Il Festival
Internazionale di Poesia di Genova,
giunto alla 19° edizione, regala agli amanti della musica un momento che
difficilmente si potrà dimenticare, l’incontro con Greg Lake, il 21 giugno.
Non è il valore assoluto di quello che è
andato in scena al Palazzo Ducale
che può “tramortire”, ma è l’incontro con il mito, a pochi metri di distanza,
persino disponibile alla foto ricordo e alla firma di materiale che, in un
lampo, assume significati importanti, passando dallo status di “pezzo come
tanti” a cimelio unico.
Non è una città sconosciuta Genova per
Lake, già in concerto nel 1973 con resto del gruppo, Keith Emerson e Carl Palmer;
e poi Zoagli, sei mesi fa, in una situazione da favola. Tra i due poli
temporali, probabilmente, molti altri passaggi, magari non ufficiali.
Il contesto si è dimostrato fantastico, e
alla fine il Porticato del Palazzo Ducale si è trasformato in un contenitore
fatto da ascoltatori di differenti generazioni, molti dei quali assiepati ai
piedi del palco.
Il tardo pomeriggio è dedicato alla
preparazione e al soundcheck, e Greg mostra un po’ di nervosismo per un
qualcosa da lui richiesto nel dettaglio e non trovato sul posto.
E’ nota la sua predisposizione al cambio
di umore, ma spesso gli aspetti caratteriali sono utilizzati - da terzi - per coprire
ciò che molte volte è solo estrema professionalità, e capita che le discussioni
con fonici od organizzatori abbiano il
mero scopo di presentarsi al pubblico con la veste perfetta.
Parole
Spalancate è il titolo della
manifestazione, e i sessanta minuti che separano l’entrata del pubblico dallo
spazio musicale - dalle 21 alle 22 - sono dedicati alla parole, a tre reading di
illustri poeti e scrittori.
Si inizia con la poetessa italiana Iolanda Insana per poi passare allo
scrittore inglese Blake Morrison per terminare con il poeta e romanziere Anthony Phelps, nato ad Haiti ma da anni esiliato in Canada.
Forse poco efficaci le due ultime letture,
che hanno richiesto la traduzione dall’inglese e dal francese: poco agevole
coniugare il fascino della voce originale con concetti espressi da prestatori
di voce.
E arriva il momento di Greg Lake,
annunciato dalla musica che ne accompagna l’entrata sul palco, mentre gli
applausi arrivano copiosi.
Inizia il reading, ovviamente nella lingua
di albione, ed è facile prevedere che pochissimi abbiano afferrato il senso
delle sue frasi, ma… lui è The Voice, come dice Keith Emerson,
e qualunque cosa esca dalla sua bocca raggiunge il cuore e la mente dell’audience.
Ma l’inconveniente è sempre dietro all’angolo,
e dopo pochi minuti di lettura un problema, tra il tecnico e l’umano, provoca un
rallentamento della dizione - il tempo necessario per fulminare con lo sguardo
la zona service - e successivamente un arresto, e Greg si alza e se ne va: “… tornerò quando tutti i problemi saranno
risolti..”.
Strana la reazione del pubblico, che inizia
ad applaudire mentre Lake scompare rintanandosi nel suo camerino: incoraggiamento o incomprensione dell’accaduto?
Poco male, passano un paio di minuti e il
nostro uomo si ripresenta sul palco sorridente: “I’m sorry!”.
E da quel momento è una goduria per tutti,
con una serie di pezzi in acustico - con basi di “compensazione” - che riportano
a tempi lontanissimi ma indimenticabili, quelli dei King Crimson (Epitaph
e The Court of The Crimson King), quelli
degli ELP ( Still...
You Turn Me On, From The Beginning, C’est
la Vie) o del Lake solitario
(I Believe In
Father Christmas, il bis).
Siparietto a parte per la nota Lucky Man, preceduta da
un aneddoto, quello che parla della prima chitarra ricevuta in dono e dell’apprendimento dei
primi accordi, quelli appunto utilizzati per realizzare Lucky…
Cinquanta minuti di spettacolo non sono poi molti, ma la
scintilla scocca, e gli animi dei fortunati presenti si fondono con l’uomo sul
palco, un artista che, è bene ricordarlo, il 5 luglio del ’69, a soli 22 anni,
era presente ad Hyde Park, nel tributo - obbligato - degli Stones a Bryan
Jones, davanti a 500 mila persone. E queste cose fanno sempre un certo effetto!
Piccolo intermezzo tra
parole e musica, utilizzato per un ridotto question time, gestito come spesso
accade da Max Marchini, spazio in cui Greg fornisce, ancora una volta, la sua versione dell’abbandono dai King
Crimson, ma soprattutto parla di futuro, della rinascita dell’antica label Manticore,
con un obiettivo ambizioso e nobile, il lancio di nuovi talenti che spesso che
spesso restano nell’ombra per mancanza di opportunità.
Mi allontano dall’austero
edificio, girandomi più volte all’indietro… una massa consistente di anime
felici è in attesa del contatto diretto e, dopo aver visto la soddisfazione di
Greg - i movimenti del corpo non possono
ingannare - non ho dubbi che ognuno avrà
il proprio ricordo da conservare con cura.
Anche io ne avrò uno
in più, e me lo terrò ben stretto.