domenica 23 giugno 2013

Greg Lake a Genova, tra parole e musica



Il Festival Internazionale di Poesia di Genova, giunto alla 19° edizione, regala agli amanti della musica un momento che difficilmente si potrà dimenticare, l’incontro con Greg Lake, il 21 giugno.
Non è il valore assoluto di quello che è andato in scena al Palazzo Ducale che può “tramortire”, ma è l’incontro con il mito, a pochi metri di distanza, persino disponibile alla foto ricordo e alla firma di materiale che, in un lampo, assume significati importanti, passando dallo status di “pezzo come tanti” a cimelio unico.
Non è una città sconosciuta Genova per Lake, già in concerto nel 1973 con resto del gruppo, Keith Emerson e Carl Palmer; e poi Zoagli, sei mesi fa, in una situazione da favola. Tra i due poli temporali, probabilmente, molti altri passaggi, magari non ufficiali.
Il contesto si è dimostrato fantastico, e alla fine il Porticato del Palazzo Ducale si è trasformato in un contenitore fatto da ascoltatori di differenti generazioni, molti dei quali assiepati ai piedi del palco.
Il tardo pomeriggio è dedicato alla preparazione e al soundcheck, e Greg mostra un po’ di nervosismo per un qualcosa da lui richiesto nel dettaglio e non trovato sul posto.
E’ nota la sua predisposizione al cambio di umore, ma spesso gli aspetti caratteriali sono utilizzati - da terzi - per coprire ciò che molte volte è solo estrema professionalità, e capita che le discussioni con  fonici od organizzatori abbiano il mero scopo di presentarsi al pubblico con la veste perfetta.
Parole Spalancate è il titolo della manifestazione, e i sessanta minuti che separano l’entrata del pubblico dallo spazio musicale - dalle 21 alle 22 -  sono dedicati alla parole, a tre reading di illustri poeti e scrittori.
Si inizia con la poetessa italiana Iolanda Insana per poi passare allo scrittore inglese Blake Morrison per terminare con  il poeta e romanziere Anthony Phelps, nato ad Haiti ma da anni esiliato in Canada.
Forse poco efficaci le due ultime letture, che hanno richiesto la traduzione dall’inglese e dal francese: poco agevole coniugare il fascino della voce originale con concetti espressi da prestatori di voce.

E arriva il momento di Greg Lake, annunciato dalla musica che ne accompagna l’entrata sul palco, mentre gli applausi arrivano copiosi.
Inizia il reading, ovviamente nella lingua di albione, ed è facile prevedere che pochissimi abbiano afferrato il senso delle sue frasi, ma… lui è The Voice, come dice Keith Emerson, e qualunque cosa esca dalla sua bocca raggiunge il cuore e la mente dell’audience.
Ma l’inconveniente è sempre dietro all’angolo, e dopo pochi minuti di lettura un problema, tra il tecnico e l’umano, provoca un rallentamento della dizione - il tempo necessario per fulminare con lo sguardo la zona service - e successivamente un arresto, e Greg si alza e se ne va: “… tornerò quando tutti i problemi saranno risolti..”.
Strana la reazione del pubblico, che inizia ad applaudire mentre Lake scompare rintanandosi nel suo camerino:  incoraggiamento o incomprensione dell’accaduto?
Poco male, passano un paio di minuti e il nostro uomo si ripresenta sul palco sorridente: “I’m sorry!”.
E da quel momento è una goduria per tutti, con una serie di pezzi in acustico - con basi di “compensazione” - che riportano a tempi lontanissimi ma indimenticabili, quelli dei King Crimson (Epitaph e  The Court of The Crimson King), quelli degli ELP ( Still... You Turn Me On, From The Beginning, C’est la Vie) o del Lake solitario (I Believe In Father Christmas, il bis).
 Siparietto a parte per la nota Lucky Man, preceduta da un aneddoto, quello che parla della prima chitarra ricevuta in dono e dell’apprendimento dei primi accordi, quelli appunto utilizzati per realizzare Lucky…

Cinquanta minuti di spettacolo non sono poi molti, ma la scintilla scocca, e gli animi dei fortunati presenti si fondono con l’uomo sul palco, un artista che, è bene ricordarlo, il 5 luglio del ’69, a soli 22 anni, era presente ad Hyde Park, nel tributo - obbligato - degli Stones a Bryan Jones, davanti a 500 mila persone. E queste cose fanno sempre un certo effetto!


Piccolo intermezzo tra parole e musica, utilizzato per un ridotto question time, gestito come spesso accade da Max Marchini, spazio in cui Greg fornisce, ancora una volta,  la sua versione dell’abbandono dai King Crimson, ma soprattutto parla di futuro, della rinascita dell’antica label Manticore, con un obiettivo ambizioso e nobile, il lancio di nuovi talenti che spesso che spesso restano nell’ombra per mancanza di opportunità.

Mi allontano dall’austero edificio, girandomi più volte all’indietro… una massa consistente di anime felici è in attesa del contatto diretto e, dopo aver visto la soddisfazione di Greg  - i movimenti del corpo non possono ingannare -  non ho dubbi che ognuno avrà il proprio ricordo da conservare con cura.
Anche io ne avrò uno in più, e me lo terrò ben stretto.