Gianni Sapia ci racconta A Matter Of Time, degli Sloe Gin…
Mi ci tuffo dentro. Anzi no. Meglio. Lascio che mi coli
addosso. Parte dalla testa, poi va sulla faccia, il collo, le spalle, il busto,
il pube e le gambe e giù fino ai piedi. La sonora colata oleosa mi permea dalla
realtà e mi introduce in un mondo terrifico ed affascinante che, fino ad ora,
avevo conosciuto solo attraverso esperienze altrui. All’improvviso un rumore
proveniente dall’altra stanza spacca il silenzio che si è creato al di fuori
del mio viscoso impermeabile sonoro. Il cuore sobbalza. Non voglio ancora
chiamarla paura, per ora mi limito a irrequietezza. Devo alzarmi e andare a
controllare però, perché l’ansia si nutre della mia agitazione e non voglio che
progredisca fino alla paura. Non sarà niente penso. E infatti non è niente.
Solo Tom, il mio gatto, che dà la caccia a una mosca e nel frattempo fa strage
di suppellettili. Cito da Wikipedia: ”Il rilascio di
adrenalina è stimolato da forti emozioni, in particolare la paura, e in generale
in quelle situazioni dove sia prevedibile la necessità di una fuga, un
combattimento o comunque un'aumentata attività fisica”. Suspense nella mia vita
dovuta all’adrenalina prodotta dall’ascolto di musica che, nella mia banalità,
pensavo non si potesse fare. Ma poi metto su A Matter
Of Time, degli Sloe Gin
e scopro che si può. Pensavo non si potesse fare un disco in tre. Mi spiego. So
bene che si può, ma di solito i tre sono chitarra, basso e batteria o almeno
tastiera, basso e batteria e uno dei tre canta, invece loro sono voce, basso e
batteria, ovvero, nell’ordine, Eugenio
Mucci, Enio Nicolini e Giuseppe
Miccoli, tre esperti musicisti con alle spalle esperienze metal e
doom-metal con gruppi come The Black
o Requiem, ispirati a loro volta da
bands quali The Black Widow, Pentagram e dagli strepitosi Black Sabbath, che sfornano un album che
di banale non ha niente, a cominciare dalla formazione. Ho cercato quindi di
rendere l’atmosfera che si incontra ascoltando A Matter Of Time, il lavoro degli Sloe Gin, che sarà gotica, cupa, tenebrosa, sabbatica, proprio come
il genere richiede e che stimolerà senz’altro il sistema nervoso simpatico
degli appassionati, con la conseguente ed inevitabile produzione di adrenalina.
Si comincia con Lord Of Snowflakes e
già il basso di Nicolini spadroneggia e sono colpi pesanti e frenetici, che
accompagnano una voce profonda e dilaniata. E questa voce che sembra arrivare
da profondità abissali senza però perdere personalità, la ritroviamo nel
secondo brano, My Dog Is Beautiful,
dove il basso resta sì ossessivo, ma assume toni maggiormente psichedelici e
inusuali. Un breve galoppare di batteria ci introduce a Spiritual Coma, pezzo di nebulosa atmosfera, permeato da una
foschia sonora generata con sapienza dalla band, che non lascia intravedere
orizzonti, fino al repentino stop finale. Giusta atmosfera dovuta ad un testo
in cui è protagonista il disagio esistenziale dell’uomo. Le martellate iniziali
di Dreams In A Jar annichiliscono con
decisione ogni speranza di apertura a qualcosa di diverso che non sia duro e
compatto come la testuggine romana, inespugnabile e che travolge tutto quanto
incontri sul suo cammino. Potenza intestinale di voce e ritmo. E se in Jesus Christ Superstar Pilato sogna di
incontrare un Galileo, nel brano seguente, Islero
sogna di incontrare Manolete e da inizio alla triste storia che li vide
protagonisti il 28 agosto 1947. Una storia di sangue e morte ben resa dalle
paranoiche sonorità del brano, che avvolgono come un sudario l’incedere
mortifero di una vicenda senza lieto fine, sia che si guardi dal punto di vista
del toro, sia da quello del torero, sia che si ascolti il punto di vista degli Sloe Gin. Con The Fugitive il concetto principale diventa la necessità di vivere
dignitosamente, tipo “I chose to stand
up, fight and die/instead of living a life on my knees” e la voglia di
libertà espressa dal testo viene resa altrettanto bene con riff senza schemi
apparenti e con le usuali unghiate della parte vocale. La preghiera di Don’t Be Afraid Of The Dark invita il
figlio a non abbandonare i propri sogni, anzi, lo esorta a far di essi una specie
di guida nelle scelte della vita e la musica non fa altro che enfatizzare
questo aspetto quasi liturgico, con litanie basse e lente e cantilene ed urla
che si perdono in echi lontani. Bring On
The Lion è solo una molla psichedelica carica, pronta ad esplodere la sua
potenza, niente di più. Il sinistro di Gigi Riva pronto a calciare. L’asta che
si piega sotto il peso di Serhij Bubka. Il maglio perforante di Goldrake.
Abbastanza quindi. La narrazione di Clouds
Floating In A Blue Sky ci riporta a camminare su sentieri di
sperimentazione doom, che i ragazzi hanno dimostrato per tutto l’album di saper
affrontare con cognizione di causa e le nebbie di palude da Signore degli Anelli balzano chiare agli
occhi. Echi di basso pinkfoydiani alla One
Of These Days riecheggiano nel penultimo brano, Decline And Fall Of Progress And Illusions, forse il pezzo più
orecchiabile dell’album, dove l’intreccio di basso e batteria tessono la tela
su cui la voce di Eugenio Mucci stenderà i propri colori, regalandoci l’ultimo
dipinto della sua voce graffiante e psichedelica. Ultimo sì, perché il brano di
chiusura dell’album, Digital Space Wave,
è un commiato strumentale, in cui Enio Nicolini e Giuseppe Miccoli si
abbandonano a ritmiche visionarie ed ossessive, quasi fossero stregoni di
un’antica tribù africana. L’album regge, insomma, e regge bene. Gli
appassionati del genere non resteranno delusi. E anche chi, come me, è un
astemio del genere, un bicchiere di Sloe
Gin non può che far bene! Salute!