sabato 31 maggio 2025

Rick Wakeman: Empire Pool, Wembley, Londra, 30-31 maggio 1975


Rick Wakeman
Empire Pool, Wembley, Londra, 30-31 maggio 1975


Dopo aver siglato due magniloquenti sinfonie progressive come “The Six Wives of Henry VIII” e “Journey To The Centre Of The Earth”, Rick Wakeman decise che il suo terzo colossal, “Myths And Legendes Of King Arthur And The  Knights Of The Round Table”, avrebbe meritato un allestimento scenico davvero grandioso...

Il mio management voleva la Royal Albert Hall, ma io volevo Wembley, dove una settimana dopo ci sarebbe stato uno spettacolo sul ghiaccio e quindi non se ne poteva fare nulla. Avevo un diavolo per capello. Mi capitò di incontrare Chris Welch nella redazione di Melody Maker e, chissà perché, gli dissi che avrei fatto “King Arthur” a Wembley e sul ghiaccio! Il giornale ci ricamò sopra e a quel punto non potei più tirarmi indietro. Visto che investivo soldi miei, avevo il controllo totale dell’evento e cercai di ottenere il meglio. I pattinatori arrivarono da ogni parte del mondo, l’amplificazione fu trasportata in aereo dagli Stai Uniti e per la prima volta venne sospesa tramite delle reti. Il cast era enorme: 45 orchestrali, 48 cantanti divisi in due cori, cinquanta pattinatori, cinquanta cavalieri, un gruppo di accompagnamento di sette elementi e non ricordo più che altro. Fu divertente, ma i problemi non mancarono".

“Una serata da vedere per credere. Sul serio.”
Paul Gambaccini, Rolling Stones, 1975

“Una delle due sere, appena salito sul palco, il mio mantello si impigliò in una delle tastiere che venivano sollevate dal suolo e mi ritrovai a penzolare a mezz’aria. Mi toccò uscire di scena in totale imbarazzo e cercando di non scivolare sul ghiaccio. Poi c’era il ghiaccio secco che in una situazione di quelle dimensioni era difficile da gestire. La prima sera la nebbia restò per un pò a livello dei cavalieri, poi cominciò a salire. Nessuno sapeva come spegnere l’apparecchiatura e, verso la fine di “Lady Of The Lake”, la ballerina che interpretava la regina Ginevra scomparve insieme alla parte bassa dell’orchestra e al primo ordine di posti della platea. Era come guardare dal finestrino di un aereo!".


“Quella fu la sera delle nuvole. Poi ci fu la sera del cavaliere suicida. Nella battaglia finale 25 cavalieri per parte dovevano sfidarsi a singolar tenzone e cadere morti in mezzo al ghiaccio secco. Ma uno dei cavalieri si ammalò e diede forfait. Pensai che, con tanta gente sul palco, non fosse un problema. Ma, naturalmente, alla fine del pezzo c’era un cavaliere che andava alla ricerca di qualcuno che lo uccidesse. Il direttore di orchestra mi guardava con la faccia disperata, ma il tipo se la cavò bene. Dopo aver vagato per un po' senza sapere che fare ebbe un colpo di genio e si suicidò: spettacolo allo stato puro!”
(Mark Paytress-“Io c’ero”)



venerdì 30 maggio 2025

Ricordando Ollie Halsall, immenso chitarrista che ci lasciava il 29 maggio del 1992


Il 29 maggio del 1992, all’età di 43 anni, ci lasciava Ollie Halsall, a causa di un'overdose di eroina.

Chitarrista inglese, è conosciuto per il suo lavoro con i Rutles, con i Patto, con i Timebox, con i Tempest e con i Boxer e per la sua collaborazione con Kevin Ayers. È stato uno dei pochi suonatori di vibrafono nel rock.

Halsall è stato un musicista estremamente talentuoso e versatile, in grado di suonare una vasta gamma di strumenti, tra cui chitarra, basso, pianoforte, tastiere, percussioni e fiati. La sua tecnica era caratterizzata da una grande abilità tecnica e da una creatività eclettica. Era noto per la sua capacità di passare senza sforzo tra generi musicali diversi, includendo rock, jazz, funk, soul e altri.

Nonostante il suo talento, Halsall non ha raggiunto la stessa notorietà di alcuni dei suoi contemporanei. Tuttavia, è tuttora considerato un musicista molto rispettato nella cerchia degli appassionati di musica e tra i suoi colleghi.

Rivediamolo nei PATTO, alle prese con due differenti strumenti…







29 Maggio: un'eterna vibrazione per John Cipollina


 

Oggi il cielo di San Francisco suonerebbe psichedelico: brutto giorno per l'indimenticabile John Cipollina


Oggi, il calendario segna un giorno particolare. Non solo la primavera inoltrata accarezza la baia di San Francisco, ma per chi ha amato e continua ad amare le sei corde più ribelli e visionarie, oggi sarebbe stato il compleanno di John Cipollina. Nato a Berkeley il 24 agosto del '43, John ci ha lasciato troppo presto, il 29 maggio del 1989, portando con sé un universo sonoro unico e inimitabile.

Eppure, in questo giorno che avrebbe dovuto celebrare un altro anno della sua irrequieta genialità, la sua musica risuona ancora con una forza quasi tangibile. Chiudiamo gli occhi e lasciamoci trasportare dalle spire psichedeliche di "Who Do You Love?", dall'incalzante riff di "Fresh Air", dalle tessiture acide e sognanti che hanno reso inconfondibile il suono dei Quicksilver Messenger Service.


John Cipollina non era solo un chitarrista; era un alchimista del suono, un pittore di paesaggi sonori che spaziavano dal blues più viscerale alle sperimentazioni più audaci. Il suo tocco era inconfondibile, un mix di tecnica sopraffina e un'anima profondamente radicata nella controcultura californiana degli anni '60. Le sue dita danzavano sul manico con una libertà selvaggia, strappando note che sembravano provenire da un altro mondo, distorsioni che parlavano di libertà, di ricerca interiore, di un'epoca di fermento e di sogni.

Ricordarlo oggi non è solo un atto di nostalgia, ma un modo per celebrare un artista che ha saputo piegare lo strumento alle proprie visioni, creando un linguaggio musicale personalissimo e influente. La sua leggendaria Gibson SG con il vibrato a farfalla era più di una chitarra; era un'estensione della sua anima inquieta, uno strumento attraverso il quale esprimeva gioie, tormenti e un'infinita sete di sperimentazione.

Anche se il tempo scorre inesorabile, portando con sé cambiamenti e nuove sonorità, l'eco delle sue note continua a influenzare generazioni di musicisti e appassionati. In questo 29 maggio, mentre il sole californiano illumina le strade che lo hanno visto crescere e creare la sua magia, possiamo fare nostro il suo spirito libero e la sua instancabile ricerca sonora.

John Cipollina non è più fisicamente tra noi, ma la sua musica, la sua eredità artistica, la sua inconfondibile impronta sonora continuano a vivere, a ispirare, a farci sognare. E in questo giorno speciale, possiamo solo alzare il volume e lasciarci avvolgere da quell'eterna vibrazione che solo la sua chitarra sapeva regalarci. Buon compleanno, John. La tua musica è immortale.

Rivediamolo al Festival di Monterey…





giovedì 29 maggio 2025

Buon compleanno a Noel Gallagher: l'architetto dietro le canzoni che hanno definito una generazione

 


Il 29 maggio celebriamo il compleanno di Noel Gallagher, una delle figure più influenti e iconiche del rock britannico degli ultimi trent'anni. Spesso al centro di discussioni e aneddoti, ciò che rimane indiscutibile è il suo straordinario talento come autore di canzoni e la sua acuta visione strategica che ha contribuito a scolpire il sound e l'identità di un'intera era musicale.

Come principale compositore, paroliere e chitarrista degli Oasis, Noel Gallagher ha firmato brani che sono diventati veri e propri inni generazionali. Dalle potenti melodie di "Wonderwall" e "Don't Look Back in Anger" alla sfrontatezza energica di "Supersonic" e "Live Forever", le sue canzoni hanno catturato lo spirito di una Gran Bretagna in ebollizione, diventando la colonna sonora di milioni di vite in tutto il mondo. La sua capacità di unire testi malinconici a ritornelli irresistibili ha creato un linguaggio musicale universale, in grado di comunicare con un pubblico vastissimo.

Al di là del successo commerciale e delle leggendarie rivalità che hanno animato gli anni '90, il genio di Noel risiede nella sua intuizione melodica e nella sua abilità di costruire strutture sonore che resistono alla prova del tempo. Ha saputo attingere dalle radici del rock 'n' roll classico, dai Beatles ai Rolling Stones, rielaborandole con una sensibilità moderna che ha saputo parlare a una nuova generazione.

Dopo la fine degli Oasis, Noel ha continuato a dimostrare la sua versatilità e la sua visione artistica con gli High Flying Birds, un progetto che gli ha permesso di esplorare nuove sonorità e di consolidare ulteriormente la sua reputazione come cantautore di prim'ordine. Questi anni recenti hanno evidenziato una maturazione artistica, dove la sua scrittura si è fatta più sfumata e la sperimentazione sonora più audace, pur mantenendo quell'impronta inconfondibile che lo ha reso celebre.

Noel Gallagher non è solo un musicista; è un narratore, un critico sociale a modo suo e, soprattutto, un architetto di canzoni che hanno saputo definire un'epoca. La sua influenza si estende ben oltre le classifiche, permeando la cultura popolare e ispirando innumerevoli aspiranti artisti.

Buon compleanno, Noel!





Nel ricordo di Jeff Buckley


Il 29 maggio del 1997, a Memphis, perdeva la vita, a soli 31 anni, Jeff Buckley, figlio del già famoso Tim, e musicista da un probabile futuro luminoso.
Lo ricordo ripresentando un post di un po’ di tempo fa.

Volendo parlare di una famiglia di musicisti sarebbe corretto iniziare dal capostipite, dal più vecchio, da chi ha aperto la strada.
Non posso farlo, in questo caso, perché attraverso la musica del figlio ho scoperto quella del padre.
Mi riferisco ai Buckley, Jeff il figlio e Tim il padre.

Sono arrivato a Jeff leggendo un’intervista al chitarrista Steve Vai, che diceva, più o meno: L’ultima volta che mi sono emozionato per un disco è stato quando ho ascoltato ”Grace”, di Jeff Buckley".

Incuriosito ho cercato “Grace” e… ne sono rimasto incantato.
Da Jeff a Tim, il passo a ritroso è stato il frutto della curiosità alimentata da un libro che narra la vita di un padre e di un figlio che non si conosceranno mai.
Jeff Buckley stava per diventare un mito con un solo disco," Grace", destinato a rimanere uno dei capolavori degli anni '90, quando una morte assurda lo portò via. Ma tutta la sua vita è segnata da un destino negativo.

Jeffrey Scott Moorhead nasce il 17 novembre 1966, a Orange County, da Mary Guibert e da Tim Buckley. Suo padre, uno dei più grandi cantanti e compositori della storia del rock, iniziava proprio in quel periodo la sua carriera, incidendo il primo disco e separandosi, dopo poche settimane, dal piccolo Jeff e da sua madre.
Tim morì per overdose all'età di 28 anni, entrando nella leggenda della musica americana e trascinando suo malgrado il figlio, che vide per la prima volta poche settimane prima di morire, inconsapevole di un destino altrettanto avverso che si prospettava anche per Jeff.
A 17 anni Jeff forma il suo primo gruppo, gli Shinehead, a Los Angeles.

Nel 1990 ritorna a New York e con l'amico Gary Lucas costituisce i Gods & Amp; Monsters. Ma i dissidi interni portano il progetto ben presto al fallimento.
Jeff Buckley inizia allora una carriera solista suonando nel circuito del Greenwich Village e rendendosi noto soprattutto per la partecipazione al concerto tributo in onore del padre, di cui interpreta “Once I Was” (da “Goodbye and Hello”).
Le sue prime esibizioni avvengono in un piccolo club dell'East Village di New York chiamato Sin-E'. Nel 1993, dopo alcuni anni di gavetta, Jeff ha la possibilità, tramite la Columbia, di registrare il suo primo disco, inciso dal vivo, proprio nel "suo" club.

" Live at Sin-E'", contiene solo quattro pezzi, due dei quali sono cover, una di Edith Piaf e l'altra di Van Morrison, e due suoi pezzi, "Mojo Pin" ed "Eternal Life".
Per promuovere il disco Jeff e la sua band partono per una tournée nel Nord America e in Europa.
Visto il discreto successo, la sua casa discografica avvia una campagna promozionale per il suo primo disco completo "Grace", pubblicato negli Usa nell'agosto del 1994.
Nell’album si rivela tutto il talento di Jeff: la sua voce invocante sembra prendere coraggio per strada, finendo in un crescendo, intenso e doloroso. I testi - veri tormenti dell'anima e del profondo - pescano nel repertorio del padre Tim, ma anche di Bob Dylan, Leonard Cohen e Van Morrison.

Il lavoro contiene dieci tracce: tre composte da Jeff, due in collaborazione con l'amico Gary Lucas, una con Michael Tighe e una con Mick Grondahl e Matt Johnson, più tre cover, tra le quali, da brivido, la meravigliosa "Halleluja" di Cohen.
Nell'album, Jeff Buckley suona chitarra, harmonium, organo e dulcimer, accompagnato da Mick Grondahl al basso, Matt Johnson alla batteria e percussioni, Michael Tighe e l'amico Gary Lucas alle chitarre.

"Grace" risulta davvero un'opera carica di grazia, eseguita da un gruppo di tutto rispetto, con pezzi che esaltano le doti vocali di Jeff (in particolare le altre due cover, "Liliac Wine", "Corpus Christi Carol") tali da raggiungere una struggente intensità.
Il canto di Buckley parte piano, modulando le inflessioni nello stile dei folk-singer, ma finisce sempre in un crescendo drammatico e “mistico”, lambendo blues e gospel. Uno stile ad effetto, che lascia senza fiato in ballate come “Lover”, “Ethernal Life” e “Dream Borother”, oltre che nella struggente title track.

Musicalmente, sono il tintinnio della chitarra di Gary Lucas e i soffici sottofondi delle tastiere di Buckley a esaltare il senso di religiosità dei brani (metà dei quali sono di ispirazione liturgica). Arrangiamenti eleganti, a volte sinfonici, in bilico tra folk e rock, pop e soul, si combinano bene con l’esile trama delle melodie.
Nel 1997 viene avviato il progetto per la realizzazione del nuovo disco "My sweetheart the drunk", che uscirà postumo, in una veste piuttosto grezza e visibilmente incompleta, con il titolo di "Sketches" .

La notte del 29 maggio l'artista si reca con un amico a Mud Island Harbor (Tennessee), dove decide di fare una nuotata nel Mississippi e si getta nel fiume completamente vestito.
Qualche minuto più tardi, forse travolto dall’ondata di una nave, sparisce tra le acque.
La polizia interviene immediatamente, ma senza risultati.
Il suo corpo viene ritrovato il 4 giugno, vicino alla rinomata Beale Street Area.
Aveva solo 30 anni. Le indagini stabiliranno che il musicista non era sotto l’effetto né di droghe né di alcol.
Nel 2000, la Columbia, dietro la supervisione di Michael Tighe e della madre di Jeff, pubblica "Mistery White Boy", una raccolta dal vivo, e "Live in Chicago" (su dvd e vhs), concerto del 1995, registrato al Cabaret Metro di Chicago.
Nel 2001, esce invece "Live à l'Olimpya", ritratto del giovane Jeff nella sua Parigi, contenente brani del primo disco e qualche cover.

Emerso dal circuito folkie e bohemien newyorkese, Jeff Buckley si è dimostrato musicista di razza nonché musa ispiratrice di molti artisti rock, anche in epoca recente. Seppur meno geniale del padre, ha saputo in qualche modo tramandarne lo spirito fragile e disperato, rivelandosi uno dei “personaggi” di culto del decennio Novanta.





mercoledì 28 maggio 2025

Stessa musica, diverse emozioni: il parallelismo di "A Whiter Shade Of Pale" e "Senza Luce"

 


Esiste una magia sottile nella musica, la capacità di una melodia di attraversare confini linguistici e culturali, vestendosi di nuove storie e sfumature emotive pur mantenendo un'eco del suo spirito originario. "A Whiter Shade Of Pale" dei Procol Harum e la sua rilettura italiana, "Senza Luce" dei Dik Dik con il testo di Mogol, ne sono un esempio lampante. Un parallelismo approfondito tra questi due brani rivela come una stessa ossatura musicale possa vibrare con intensità diverse, pur condividendo un nucleo di profondo struggimento.

Il filo conduttore innegabile è la melodia. La canzone nasce dall'ispirazione bachiana, che intrinsecamente possiede una solennità malinconica, una discesa armonica che suggerisce un inesorabile scivolamento emotivo. L'organo Hammond in "A Whiter Shade Of Pale" amplifica questa aura di sospensione e indefinibile emozione, quasi un ponte tra il terreno e il trascendente. "Senza Luce" eredita questa stessa bellezza intrinseca, ma la incanala verso un racconto più terreno e diretto.

È nel testo che i due brani divergono radicalmente. L'originale di Keith Reid è un enigma surreale, un susseguirsi di immagini oscure e frammentarie che evocano un'esperienza confusa e indefinita. La celebre "whiter shade of pale" rimane un'immagine potente ma sfuggente, lasciando spazio a molteplici interpretazioni. Non una storia lineare, ma un paesaggio emotivo vago e potente, intriso di disorientamento. Al contrario, Mogol cuce sulla stessa melodia una narrazione chiara e universale di perdita amorosa. La "luce" che si spegne diviene metafora dell'assenza dell'amato, l'oscurità conseguente è la solitudine. Il desiderio di un ritorno è esplicito, trasformando la malinconia in un lamento d'amore toccante e riconoscibile.

 

Le atmosfere delle due canzoni sono distinte: "A Whiter Shade Of Pale" crea un'aura mistica e un'emozione indefinita, lasciando spazio all'interpretazione; "Senza Luce" dipinge una tristezza e un desiderio intensi e diretti, con cui è facile empatizzare.

Il successo e la ricezione dei due brani riflettono queste differenze. L'enigmaticità e l'atmosfera unica di "A Whiter Shade Of Pale" la consacrarono come icona di un'epoca, prestandosi a infinite interpretazioni. "Senza Luce", con la sua immediatezza emotiva e il testo in lingua madre, divenne un pilastro della musica italiana, toccando corde profonde nel cuore del pubblico nazionale.

Nonostante le storie diverse, entrambe le canzoni sono unite da una profonda tristezza, trasmessa dalla stessa melodia e portano l'ascoltatore a riflettere su perdita, desiderio e la fragilità dei legami affettivi.

"Senza Luce" rappresenta un affascinante caso di come una melodia, pur mantenendo la sua forza evocativa, possa essere riplasmata attraverso un testo che la contestualizza in un nuovo immaginario culturale. La base armonica e la linea melodica originali, con la loro intrinseca malinconia, hanno fornito un terreno fertile per un racconto di perdita e desiderio che ha trovato una sua specifica risonanza nel panorama emotivo italiano dell'epoca.

L'arrangiamento e l'interpretazione di Dik Dik hanno poi contribuito a definire ulteriormente questa nuova veste, rendendo "Senza Luce" un brano iconico a sé stante, capace di evocare sentimenti intensi e di connettersi profondamente con l'ascoltatore italiano.

Entrambe le versioni, pur nella loro unicità, testimoniano la potenza universale della musica di evocare emozioni profonde, anche quando le parole che le accompagnano tracciano sentieri narrativi diversi. Sono due echi di un'anima struggente, che vibrano con intensità attraverso il tempo e le lingue.




martedì 27 maggio 2025

Imaginaerium-"The Rise of Medici"

 


Dalle fortificazioni sonore all'alba rinascimentale: ecco gli Imaginaerium

 

È affascinante come a volte una nuova opera possa fungere da vero e proprio portale verso un passato artistico altrettanto significativo. Il mio recente coinvolgimento avvenuto con l’album Siege - ecco il link per leggere la mia recensione - mi ha ha lasciato un segno profondo, spingendolo a cercare le radici sonore di questa formazione. E così, navigando a ritroso nel loro percorso discografico, ho incontrato il maestoso The Rise of Medici, un'opera che, ad un'attenta disamina, rivela pienamente le premesse di quella magnificenza che ho poi ritrovato nel loro ultimo capitolo. Si è trattato per me di un'immersione in un'epopea sonora che, pur essendo già familiare, si è rivelata ogni volta più stratificata e avvincente.

Pubblicato il 17 ottobre 2022, The Rise of Medici degli Imaginaerium non è semplicemente un album, ma un affresco sonoro in chiave progressive rock, intessuto con la stoffa della storia. Il concept qui è ambizioso e finemente cesellato: narra l'ascesa inarrestabile della famiglia Medici a Firenze nel Quattrocento, concentrandosi in particolare sulla figura di Cosimo il Vecchio e la sua consorte, Contessina de' Bardi. Non è solo una rievocazione storica, ma una vera e propria cronaca emotiva, dove la musica si fa voce e interprete delle trame di potere, degli intrighi e della visione che hanno plasmato una delle dinastie più influenti del Rinascimento.

Il collettivo Imaginaerium, guidato da figure di spicco del calibro di Clive Nolan (mente pulsante dietro i Pendragon e gli Arena), Eric Bouillette (già noto per Nine Skies e Solace Supplice) e l'espressiva vocalist Laura Piazzai, dimostra qui una sintonia compositiva e interpretativa davvero rara. L'album è un crogiolo di talenti, dove le influenze di ciascuno si fondono senza annullarsi, creando un'amalgama distintiva e potente.

Fin dalle prime battute, l'ascoltatore viene proiettato in un universo sonoro denso e variegato. La natura sinfonica è palpabile, con arrangiamenti che spaziano da momenti di grandezza orchestrale a passaggi più intimi e introspettivi. Le tastiere di Nolan dipingono scenari maestosi, creando atmosfere che richiamano tanto la solennità delle cattedrali quanto la vivacità delle piazze fiorentine. Le tessiture chitarristiche di Bouillette sono al contempo taglienti e melodiche, capaci di sostenere la narrazione con riff energici o arpeggi delicati.

Ma è forse la performance vocale di Laura Piazzai a conferire all'opera la sua anima più profonda. La sua voce è uno strumento versatile e potentissimo, capace di incarnare la determinazione di Contessina, l'ambizione di Cosimo, e la tensione che permeava l'ambiente politico e sociale. Ogni sfumatura, ogni accento vocale contribuisce a elevare il racconto, rendendolo non solo un ascolto musicale, ma una vera e propria esperienza narrativa. Non si tratta di una semplice esecuzione, ma di una vera e propria interpretazione che conferisce pathos e credibilità ai personaggi e agli eventi.

The Rise of Medici si distingue per la sua coesione interna. Ogni brano non è un'isola a sé stante, ma un capitolo indispensabile di una storia più ampia. Le transizioni sono fluide, le tematiche musicali ricorrenti (i "leitmotiv") contribuiscono a rafforzare il senso di unità dell'opera. La produzione è pulita e bilanciata, permettendo a ogni strumento di respirare e contribuire al disegno complessivo senza sovraccaricare il soundscape.

L'album è un esempio brillante di come il progressive rock possa essere utilizzato per raccontare storie complesse, attingendo alla storia e reinterpretandola attraverso un linguaggio musicale contemporaneo, eppure permeato di un respiro classico. Non è un lavoro che si esaurisce con un unico ascolto; al contrario, ogni nuova riproduzione rivela dettagli nascosti, nuove sfumature emotive o sottili intrecci musicali che arricchiscono l'esperienza complessiva. È un disco che richiede attenzione, ma che ripaga ampiamente l'investimento.

In definitiva, se Siege mi ha catturato con la sua potenza e il suo spessore, The Rise of Medici mi ha svelato le radici di quella maestria, mostrandoti come gli Imaginaerium abbiano già da tempo intrapreso un percorso di eccellenza narrativa e compositiva.

Un viaggio all'indietro che conferma la loro statura nel panorama del rock progressivo attuale.





Ricordando Gregg Allman nel giorno della sua dipartita.

 


The Allman Brothers Band: tra musica e dolore

 

Il 27 maggio del 2017 ci lasciava Gregg Allman, e almeno il nome dovrebbe essere famigliare a tutti quelli che bazzicano il mondo del rock, seppur episodicamente.

Chi conosce un po’ della sua vita non si sarà meravigliato più di tanto, perché i percorsi carichi di eccessi hanno una conseguenza logica, e poi di Keith Richards ce n’è uno solo al mondo!

Vale la pena tracciare un minimo di storia, un iter che ha accomunato nella disgrazia numerosi membri della The Allman Brothers Band.

Pare che la fiammella si sia accesa nel garage del batterista Butch Trucks - era il 1969 - organizzatore di una jam session che prevedeva la presenza di Duane Allman (voce chitarra), Berry Oakley (basso), Dickey Betts (chitarra) e Jai Johanson (batteria/percussioni). L’entusiasmante performance fece sì che i musicisti si trasformassero repentinamente in band. Il tassello mancante, Gregg, fratello di Duane, si unì subito dopo, con il ruolo di cantante e tastierista.

E nasce la leggenda, una delle band più influenti del rock americano, capace di scavalcare l’approccio al blues dei chitarristi inglesi (Page, Clapton, Beck…), favorendo una strategia jazzistica basata sull’improvvisazione e su una rivoluzionaria sezione ritmica. Definire la Allman Brothers Band una semplice band southern rock appare riduttivo, perchè la loro risonanza nella musica rock è pari a quella esercitata dai Cream, da Jimi Hendrix e dai Grateful Dead, miti che si mantengono freschi nel tempo.

Occorre dire che il “rock sudista” americano prese corpo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, caratterizzato da un colore locale molto radicato, accompagnato spesso da pennellate di tragedia. Gli Allman furono i primi a delineare i contorni di quell’ideologia, tra musica e comportamenti: l’attaccamento ai valori della propria terra, il gusto per le lunghe improvvisazioni e la vita da hippie. Un’intera armata di southern rockers prese d’assalto il rock americano sventolando orgogliosamente la bandiera della Confederazione e conquistando l’attenzione generale del Paese, tanto da indurre un politico potente come Jimmy Carter a interessarsi di loro e a cercarne in qualche modo l’appoggio quando tentò la scalata alla Casa Bianca.

Ma la vita degli Allman fu travagliata e funestata da disgrazie rilevanti, e a poco più di due anni dall’incontro decisivo Duane perse la vita, a soli 24 anni: è il 29 ottobre del 1971 quando il chitarrista di Nasville muore in sella alla sua Harley Davidson, davanti agli occhi della fidanzata che lo segue in auto, sulla via di casa.

E la maledizione che pende sui musicisti della TABB colpisce ancora un anno dopo, quando Berry Oakley trova la stessa sorte e con modalità molto simili: anche lui in moto, a pochi isolati di distanza dall’incidente precedente, e alla stessa età!

Arriviamo ai giorni nostri, l’anno 2017, che ha visto la dipartita di Butch Trucks - a gennaio -, suicida al cospetto della moglie, mentre per Gregg si parla di attacco di cuore, summa di una serie infinita di problemi di salute accumulati nel tempo: avevano entrambi sessantanove anni.

A tenere duro Dickey Betts e Jai Johanson.

Nel corso di cinquant’anni si sono succedute reunion e modifiche alla line up, ma ciò che resta è il marchio indelebile di una formazione che ha disegnato una strada musicale precisa, un blues rock dalle venature psichedeliche che poteva contare su di un formidabile tandem chitarristico e sulla possenza della doppia sezione ritmica, mentre Greg Allman, con la sua caldissima voce da soul man nero e il suo Hammond, sapeva colorare il tutto con intese tinte gospel.

E in quei giorni Macon, la città della Georgia in cui andarono tutti a stabilirsi in una specie di comune artistica, diventò il centro di una nuova scena rock dall’incredibile vitalità e creatività, superando nel ruolo perfino San Francisco.

Il funghetto magico della psylocibe, scelto come logo della band, divenne il simbolo di uno stile di vita comunitario e hippie, pieno di utopie e di “esplorazioni” ad ampio raggio.

Tanti tra i protagonisti di quel movimento se ne sono andati, come logica di vita vuole, ma resta ciò che molti di loro hanno creato, incancellabile, godibile, una musica di cui rimangono pregne quelle terre, arrivata a noi in tempi lontani, quella che i più oculati e attenti hanno afferrato… senza lasciarla più.





lunedì 26 maggio 2025

Compie gli anni Stevie Nicks: qualche curiosità e qualche brano caratterizzante

 

Stevie Nicks: l'incanto senza tempo di una regina del rock e della poesia


Oggi, 26 maggio, ricordiamo il compleanno di Stephanie Lynn Nicks, universalmente conosciuta come Stevie Nicks, una delle figure più enigmatiche, influenti e durature nella storia della musica rock.

Nata a Phoenix, Arizona, nel 1948, Nicks ha scolpito il suo nome nell'olimpo musicale non solo come la voce eterea e l'anima poetica dei Fleetwood Mac, ma anche come un'artista solista di straordinario successo, la cui influenza si estende ben oltre l’intero universo scenico.

La carriera di Stevie Nicks è un mosaico di successi, innovazione e resilienza. Entrata nei Fleetwood Mac nel 1975 insieme al compagno Lindsey Buckingham, ha contribuito in modo determinante alla creazione di uno degli album più venduti e acclamati di tutti i tempi, Rumours (1977). Le sue composizioni per la band, come "Dreams", "Rhiannon" e "Landslide", non sono semplici canzoni, ma narrazioni intime e complesse, permeate di lirismo e di una profonda vulnerabilità. La sua voce, un contralto distintivo e malinconico, possiede una capacità unica di evocare immagini e sentimenti, trasportando l'ascoltatore in paesaggi sonori onirici e profondamente emotivi.

La sua transizione verso una carriera solista, iniziata con l'album Bella Donna (1981), ha consolidato ulteriormente il suo status di superstar. Brani come "Edge of Seventeen", "Stand Back" e "Stop Draggin' My Heart Around" (in duetto con Tom Petty) hanno dimostrato la sua versatilità e la sua capacità di mantenere un'identità artistica forte e riconoscibile anche al di fuori del contesto della band.

Stevie Nicks è molto più di una cantante. È un'icona di stile, con i suoi iconici scialli fluttuanti, i vestiti di chiffon e velluto, e gli stivali che hanno definito un'estetica bohémien-chic diventata intramontabile. La sua presenza scenica è sempre stata una fusione di grazia, potenza e un'aura quasi mistica che le ha valso l'appellativo di "strega bianca" del rock. Questa immagine non è stata una mera costruzione, ma un riflesso autentico della sua personalità artistica, profondamente connessa alla narrazione, al simbolismo e a una sensibilità quasi esoterica.

La sua influenza si estende su generazioni di musicisti e artisti, che la citano come fonte d'ispirazione per la sua audacia lirica, la sua integrità artistica e la sua capacità di rimanere fedele a sé stessa in un'industria spesso spietata.

Nicks è stata, ed è tuttora, un faro di indipendenza femminile nel rock, dimostrando che la vulnerabilità può coesistere con una forza inarrestabile. È stata la prima donna a essere inserita due volte nella Rock and Roll Hall of Fame: prima con i Fleetwood Mac nel 1998, e poi come artista solista nel 2019, un testamento inequivocabile della sua grandezza.

Oggi, mentre celebriamo un altro anno nella vita di Stevie Nicks, riflettiamo sulla sua straordinaria longevità artistica e sulla sua inesauribile capacità di affascinare. Le sue canzoni continuano a essere scoperte da nuove generazioni, la sua voce risuona in colonne sonore e la sua immagine popola l'immaginario collettivo, confermando la sua statura di leggenda vivente.

Tanti auguri a una vera musa, la cui magia non smette mai di incantare.





Ricordando Alan White che ci ha lasciato tre anni fa

 


Il 26 maggio del 2022 ci lasciava Alan White all'età di 72 anni


Alan nacque a Pelton, nella contea di Durham, in Inghilterra, il 14 giugno 1949. Prese lezioni di pianoforte all'età di sei anni mentre iniziò a suonare la batteria a dodici anni, esibendosi in pubblico a partire dai tredici anni.

Nel corso degli anni ’60 affinò il suo “mestiere” suonando con molteplici band, tra cui The Downbeats, The Gamblers, Billy Fury, Alan Price Big Band, Bell and Arc, Terry Reid, Happy Magazine (in seguito chiamato Griffin) e Balls con Trevor Burton (The Move) e Denny Laine (Wings).

Nel 1968, Alan si unì ai Ginger Baker's Airforce, un nuovo gruppo che fu messo insieme dall'ex batterista dei Cream e da altri noti musicisti della scena musicale inglese, tra cui Steve Winwood, ex Traffic.

Nel 1969 ricevette una richiesta che inizialmente pensò potesse essere uno scherzo, perché John Lennon gli chiese di unirsi alla Plastic Ono Band. Il giorno dopo Alan si ritrovò a imparare canzoni nel retro di un aereo di linea diretto a Toronto con Lennon, Yoko Ono, Eric Clapton e Klaus Voormann. L'album che seguì, “Live Peace In Toronto”, vendette milioni di copie, raggiungendo la posizione numero 10 nelle classifiche.

La collaborazione di Alan con Lennon continuò e assieme registrarono singoli come “Instant Karma” e il successivo album di riferimento “Imagine”, con Alan che suonava la batteria in “Jealous Guy” e “How Do You Sleep at Night”. Il lavoro con Lennon diventò per Alan il passepartout per arrivare a George Harrison, che gli chiese di esibirsi nell'album “All Things Must Pass”, incluso il singolo, “My Sweet Lord” pubblicato nel 1970. Successivamente lavorò con molti artisti per l'etichetta Apple, tra cui Billy Preston, Rosetta Hightower e Doris Troy.

Il 27 luglio 1972 si unì agli Yes, avendo a disposizione tre soli giorni per imparare il loro repertorio e partì per un tour negli Stati Uniti dove suonò davanti a 15.000 fan a Dallas, il 30 luglio.

Non si separò più dagli YES, e con la scomparsa del membro fondatore Chris Squire, nel giugno 2015, Alan diventò il membro della band più longevo.

La band ha dedicato ad Alan il 50th Anniversary Close to the Edge UK Tour dello scorso giugno.

Tra le tante testimonianze disponibili in rete scelgo uno stralcio del concerto che vidi il 12 luglio del 2003, evento che cambiò significativamente la mia vita… ma questa è un’altra storia!




REPORTAGE FOTOGRAFICO FORNITO DA WAZZA











domenica 25 maggio 2025

"The Sound of the Spheres": a cosmic odyssey in progressive rock by Paola Tagliaferro and La Compagnia dell'Es

 

The last period of Paola Tagliaferro's professional career was marked by a deep artistic and human bond with the late Greg Lake, continued with his wife Regina and culminated with his entry into the historic Manticore Records, the only Italian artist to be part of it. But Paola never stops and today proposes a new project, parallel, in two languages, Italian and English.

It is necessary to underline that...


OWL Records released on all digital platforms "Il Suono Delle Sfere" on May 18th, a glass master CD distributed by BTF

https://btf.it/?s=Paola+Tagliaferro+&post_type=product&dgwt_wcas=1&lang=it 

Black Widow Records from May 30th

https://blackwidow.it/?keywords=Tabulario#shop 

The CD will be released on May 30th

The CD contains 10 UK 🇬🇧 tracks + 10 IT tracks

 

Let's come to a bit of comment...

Paola Tagliaferro and La Compagnia dell'Es present us with a work that goes beyond the boundaries of the musical genre, proposing with Il Suono delle Sfere / The Sound of the Spheres, a real progressive rock odyssey. The album, released on May 18th on all digital platforms by OWL Records (with a glass master CD distributed by BTF and from May 30th also by Black Widow Records), is not a simple listening, but a deep and contemplative experience, made even more accessible by its evocative edition in two languages (Italian / English).

The beating heart of the album is a cosmic concept that has its roots in a research that is as spiritual as it is scientific. Paola Tagliaferro reveals an inspiration drawn from the studies of Rudolf Steiner and his anthroposophical vision of the post-mortem soul's journey through the spiritual worlds associated with the planets. This esoteric dimension blends strikingly with the fascination with science, particularly the phenomenon of nuclear fusion that powers our solar system. The result is a sound tale that takes us from the Earth to the Moon and the planets, each evoked not only by its name, but also by the characteristics of the ancient Romans and Greeks with whom they were associated. Mercury the messenger, Venus goddess of love, Mars god of war: each deity finds a resonance in the lyrics and musical atmospheres of their respective songs, creating a fascinating intertwining of mythology, astronomy and spirituality.

The common thread that runs through the entire work is the symbol of the Ankh, the ancient Egyptian key to eternal life. This powerful hieroglyph, which is said to have inspired even the flip-flops, here takes on the meaning of the immortal path of the soul. It is the "Golden Key" that allows astral travel into the infinite void, an evocative image that music translates into cosmic rhythms and vibrant energies. The underlying message is clear and powerfully evocative: do not be afraid of death, because the soul is eternal. Life, explains Paola Tagliaferro, is a "school" to evolve with awareness, a path of improvement that, if undertaken with love, respect and compassion, can lead to continuous spiritual growth.

The realization of this ambitious sound universe is the result of an exceptional creative synergy. The original music is the result of the collaboration between Paola Tagliaferro and Pier Gonella, whose understanding has been consolidated in many previous projects. Paola, with her background ranging from fusion to the progressive rock of Greg Lake and King Crimson, joins Pier, who comes from rock metal and has extensive experience in composition. This fusion of styles results in instinctive and innovative sounds, with singing melodies and solos that bring to life impactful soundscapes.

The Compagnia dell'Es presents itself in a line-up that Paola Tagliaferro defines as "crazy": Luca Scherani on piano and keyboards, a true lover of prog rock with an incredible mastery of the instrument, as well as drummer Andrea Orlando. Both, in addition to being excellent musicians, have been able to arrange their parts with skill and creativity, helping to create a cohesive and enveloping sound under the artistic production of Tagliaferro and Gonella. Their "strong, positive and kind personality" has evidently fostered a fluid and productive creative dynamic.

The album also boasts valuable lyrical contributions: the lyrics of "Marte" were composed by Claudio Pozzani, poet, writer and president of the Genoa Poetry Festival, while "Plutone" bears the signature of José Pulido, Venezuelan poet, writer and journalist. These collaborations further enrich the depth of the content.

A distinctive and impactful element is the album cover, the result of the collaboration between Paola Tagliaferro and the very young contemporary artist Fiamma Diletta Cremonese. Struck by Fiamma's ability to represent the spirituality of matter, Paola entrusted her with the task of visualizing the "astral journey" of the album. Starting from a photograph of Paola herself, Fiamma was able to bring out an ethereal and powerful vision: the light of the astral body that is projected towards the celestial spheres with the key of Ankh. A representation that perfectly captures the mystical and transcendent essence of the project.

"The Sound of the Spheres" is an invitation to open new visions and to overcome the fear of obstacles and death, reminding us that "matter is only stardust, the divine is our vital flame, the spiritual energy from which everything is born". Expectations are high, and the hope is to be able to make this "sound journey" known during live concerts.

This new recording chapter allows Paola Tagliaferro to explore her vein as a singer-songwriter and her spiritual quest, while maintaining her role as interpreter of Greg Lake's classics for MANTICORE RECORDS.

So let's get ready for a musical journey that transcends earthly boundaries, which will lead us into the deep heart of the "Sound of the Spheres", a work that promises to enchant and make you think, leaving a lasting imprint on the soul of those who listen to it.

My listening journey started from the Italian side and then explored the English one, but I must admit that indicating a precedence would be superfluous. From whatever point the listener embarks on this sonic odyssey, the result is a coherent and deeply rewarding experience.

"The Sound of the Spheres" offers an undoubtedly pleasant listening for everyone, but it proves to be a real treasure trove of reflection for those who think that music is a powerful vehicle for introspection and a path to a higher awareness.


The Compagnia dell'Es is composed of:

Paola Tagliaferro: Vocals

Pier Gonella: guitar, bass

Luca Scherani: piano, keyboards

Andrea Orlando: drums


Link:

Il suono delle sfere 

Album on Spotify ⬇️

http://bit.ly/3FhIntg

Album on YouTube ⬇️

https://bit.ly/4mnbLPq

Video on YouTube ⬇️

https://bit.ly/433PRsW

 

The Sounds of the Spheres 

Album on SpotifyClick here ⬇️

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Album on YouTube click here⬇️

https://bit.ly/43nhjk7

Video on YouTube click here ⬇️

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Contacts:

OWL RECORDS

Email: info@paolatagliaferro.it

https://blackwidow.it/

 

Website

www.paolatagliaferro.it