lunedì 27 febbraio 2023

Un pensiero per Mal che compie gli anni, ricordando la canzone che gli aprì le porte dell'Italia del beat, “Yeeeeeeh!”


Compie gli anni oggi Mal, pseudonimo di Paul Bradley Couling, nato il 27 febbraio del 1944, cantante britannico naturalizzato italiano.

Quando mi avvicinai alla musica, attorno agli otto anni, una delle prime canzoni che casualmente ascoltati fu Yeeeeeeh!, proposta dai Primitives, la band in cui militava Mal.

A scovarli in piena era beat a Soho furono Alberigo Crocetta (proprietario del famoso Piper) e Gianni Boncompagni, che decisero di scritturarli e di portarli in Italia, dove le abitudine musicali erano molto diverse, e non si era mia visto e ascoltato niente di simile.

Yeeeeeeh!” fu il primo singolo dei Primitives e fu rilasciato nel 1967, nel pieno dell’era beat, e fece da apripista per i gruppi al contorno.

L’argomento era ovviamente “l’amore”, ma l’accento inglese di Mal caratterizzò il brano in lingua italiana e ancor oggi, a distanza di lustri e dopo tanti anni passati nel nostro paese, il suo “cantato” presenta il mix tra la lingua di Albione e quella italica.

Ho scoperto da poco che quella che credevo fosse l’esclusiva di “Mal dei Primitives” in realtà è la versione italiana di “Ain’t Gonna Eat Out My Heart Anymore”, degli Young Rascals, del 1966.



La trasposizione fu curata da Sergio Bardotti e Luigi Tenco, in un’epoca in cui i brani creati oltreoceano e oltremanica venivano saccheggiati a mani basse senza neanche chiedere il permesso. A quei tempi era possibile.

A conferma del successo della band esce nello stesso anno il film “I ragazzi di Bandiera Gialla”, in cui si trova una sorta di video-interpretazione della canzone, con abiti e comportamenti in linea con ciò che arrivava soprattutto dall’Inghilterra.



Ma ci sono altre versioni consigliate e più moderne.

La prima è quella dei Divinyls, roccheggiante e risalente al 1993…



Ma la più gustosa è la cover di Mike Patton per il suo progetto Mondo Cane,  (tributo ai classici della melodia italiana): sentire e guardare un americano che imita un inglese, che storpia l’italiano, è veramente un momento unico!



Tanti Auguri Mal!





venerdì 24 febbraio 2023

Coridian, il rock che arriva dalla Nuova Zelanda: in uscita il nuovo album "HAVA"


 

Coridian-HAVA

Data di uscita: venerdì 10 marzo 2023

 

Conosciamo oggi una nuova band che arriva dalla Nuova Zelanda e presenta un rock contaminato condito da un buon impegno sociale e da attenzioni verso gli aspetti importanti del quotidiano.

La loro prossima e imminente uscita discografica rappresenta il completamento di un percorso che tratta gli elementi “acqua, terra e fuoco”, a cui viene ad aggiungersi la tessera mancante “aria”.

Ed ecco quindi Hava (Aria), il 4° e ultimo capitolo del concept Coridian’s Elements.

Gli altri elementi trattati erano contenuti in Oceanic (Acqua), l’EP Caldera (Terra) del 2017 e l’album Eldur (Fuoco) del 2020.

Hava è il primo full lenght dei Coridian, contenente 13 tracce che includono cinque singoli pubblicati negli ultimi due anni e ognuno rappresenta varie fasi del suono e dell'emozione complessiva che compone l'album.

Scritto e registrato durante le varie fasi di una pandemia globale, Hava rappresenta lo sforzo finale della band che completa e raggiunge l’obiettivo finale, facendo evolvere la propria identità e ideologia, avendo come riferimento i fan e i coetanei sparsi per il mondo.

L’atmosfera di Hava rimane comunque ottimista e propone il tema continuo della crescita dell'umanità e della libera espressione.

Musicalmente e artisticamente parlando, Hava incorpora influenze indiane, un'ode al frontman Maharaj e alla sua eredità.

Come accaduto in precedenza, ogni loro album non tratta uno solo aspetto specifico, ma affronta anche argomenti relativi alla storia e alla cultura, utilizzando il binomio “esperienza e memoria”.

L'album scivola via leggero ma gli aspetti sonori sono potenti e colpiscono, per merito della miscela tra una sezione ritmica importante e parti di chitarra in evidenza con l’aggiunta del tappeto tastieristico, il tutto teso a formare la base per slanci vocali e melodici che non lasciano indifferenti.

Difficile fornire un’etichetta alla musica dei Coridian, tra rock duro e progressive, con largo spazio alle contaminazioni.

 A me sono piaciuti!


Conosciamoli meglio… e poi ascoltiamoli!


I Coridian sono un gruppo alternative rock neozelandese.

La band è composta dai fratelli Mike Raven (chitarre / tastiere), Kris Raven (batteria / percussioni), Nick Raven (basso) e Dity Maharaj (voce / testi / art work).

Hanno lavorato con alcuni dei migliori nomi della musica kiwi e australiana, tra cui Zorran Mendonsa (City Of Souls/Crooked Royals) Forrester Savell (Karnivool, Shihad) e Ermin Hamidovic (Architects/Intervals).

I Coridian hanno fatto un lungo tour intorno ad Aotearoa, inclusi molti dei loro tour da headliner, esibendosi con artisti neozelandesi di alto profilo, come Devilskin, City of Souls, I AM GIANT, Ekko Park, Dead Favors, Skinny Hobos e Written by Wolves.

Hanno anche supportato artisti internazionali come Skillet (USA), P.O.D (USA), Fuel (USA), Fozzy (USA), Sumo Cyco (CAN) e Red Sea (AUS).

Negli ultimi cinque anni, Coridian ha pubblicato una serie di singoli e video musicali (tra cui "Reflections", "Rite Passage" e "State of Mind" finanziati da Nz On Air), più tre EP come parte della loro serie di concept Elements. Le versioni precedenti includono 2015 Oceanic (Water), 2017 Caldera (Earth) e 2020 Eldur (Fire) che ha accumulato un seguito mondiale.

Il 2023 è l'anno di Hava (Air), il capitolo finale e l'album completo. Con il primo singolo "Wicked Game" (una rivisitazione del classico racconto di Chris Issak) in uscita nel 2021 seguito da "Endless War", inizia un nuovo capitolo per Coridian.

Settembre 2022 ha visto l'uscita di "Rakshasa", il 3° singolo con Michael Murphy con NZ On Air finanziato dal 4 ° singolo "State of Mind" che è uscito a novembre per finire il 2022.

Il 5° e ultimo singolo 'Co-Exist' è uscito a febbraio, prima del loro album di debutto il 10 marzo.

Un album composto da 13 tracce, disponibile su CD e vinile che Coridian presenterà live per tutti il 2023 e il 2024, proponendosi in tour in Nuova Zelanda, Australia e oltre.


coridianNZ@gmail.com

https://linktr.ee/coridian

https://www.youtube.com/channel/UCf8sBkYLJ7FfYTdy1uM2q3Q






giovedì 23 febbraio 2023

Jethro Tull: The Navigators (Official Video) estratto dall'album ‘RökFlöte’.


The Navigators (Official Video) tratto dall'album 'RökFlöte'

Questa è una versione a montaggio singolo, mixata da Bruce Soord (The Pineapple Thief). Il video è creato da Christian Rios/Ray of Light Films.

'RökFlöte' sarà disponibile su diversi formati, tra cui due formati deluxe limitati che includono materiale demo bonus, ampie note di copertina e un blu-ray con Dolby Atmos, audio surround 5.1, mix stereo alternativi di Bruce Soord (The Pineapple Thief), così come una traccia bonus e un'intervista approfondita con Ian Anderson. L'album è stato anche disponibile in digitale nei formati audio spaziali Dolby Atmos & Sony 360 RA.


Lyrics:

Feet fixed firm on windswept headland

Far above the raging sea

Lord of all the stormy deeps,

The wealth of ages at his knee

 

Protects and nurtures navigators,

Raiders bold who loot and plunder,

Giving strength to hold at bay

The tallest wave, the savage thunder.

 

Then, to bring them home again,

Safe to revel in their fame

With tales of valour, harsh and virile,

Treasures taken in Gods' names.

 

Crab pots stacked, fat diesel straining

At the white and foam-flecked wave.

Echo sounding, seaman rounding

Dark mull skirts a watery grave

 

Which calls to lure brave navigators

Who venture far from harbour home,

Burning with that lust of feisty

Fisher-folk who live to roam.




mercoledì 22 febbraio 2023

Alla scoperta dei Ring Van Möbius, band prog norvegese di recente formazione


Non conoscevo i Ring Van Möbius, gruppo rock norvegese di Kopervik a cui mi accosto grazie ad un amico.

Anche in rete non si trova molto per cui provo a tradurre e utilizzare le poche informazioni disponibili che ho recuperato.

La band si definisce "Retro Prog", evocando i suoni seventies di band come ELP, Van Der Graaf Generator e Jethro Tull.

I Ring Van Möbius si formano nel 2017 e iniziano a suonare dal vivo nel 2018.

Hanno pubblicato due LP completi per la Apollon Records, raccogliendo una significativa critica positiva da parte della stampa internazionale.

 


Membri attuali 

Thor Erik Helgesen: voce, Hammond L100, Spectral Modular Synthesis System, Fender Rhodes, Clavinet D6, pianoforte, Moog Satellite, Korg MS20

Håvard Rasmussen: Fender Bass VI, Moog Theremin, Ring Modulator ed effetti Space Echo

Dag Olav Husås: Glockenspiel, carillon, timpani, gong, campane tubolari, piatti, batteria e cori 


Da ascoltare! 


Discografia 

Album (cliccare sui titoli per ascoltare)

Past the Evening Sun – 2018


The 3rd Majesty – 2020


 

https://www.facebook.com/ringvanmobius/






martedì 21 febbraio 2023

Enrico Rocci - “Il Culto dell’Albero Porcospino - Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”-Nuova edizione aggiornata

Grafica di copertina di Davide Pansolin

 

Enrico Rocci - “Il Culto dell’Albero Porcospino - Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”

Nuova edizione aggiornata

Officina di Hank


Enrico Rocci rilascia una edizione aggiornata de “Il Culto dell’Albero Porcospino - Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”, un libro che avevo commentato originariamente nel 2018, e che ora torna più “maturo”, nel senso che l’evoluzione della storia è ora accompagnata da nuovo materiale, che tradotto in mere cifre significa un centinaio di pagine supplementari e nove nuovi capitoli.

Prima di entrare nello spirito del book vorrei sottolineare una delle peculiarità dell’autore, quella di instillare nel lettore curioso la voglia di soffermarsi e tradurre in ascolto parole scritte, magari per rinfrescarsi la memoria oppure per comprensibili lacune conoscitive. Per sviscerare il suo precedente libro, ad esempio, quello dedicato alle voci femminili nel rock, avevo impiegato un tempo esagerato, perché la lettura e l’ascolto di cose antiche mi aveva completamente rapito e indotto all’approfondimento.

È quanto accaduto in questa occasione, perché leggere o rileggere la storia attraverso chi l’ha vissuta in prima persona richiede attenzione, riflessione, voglia di comparazione… insomma, sto parlando di materiale oggettivo e non, che porta al coinvolgimento, ad un dare/avere che spesso diventa un set di tennis, con l’autore e il lettore intenti nel ributtare la pallina oltre la rete.

Rocci ha altri punti forti, come quello di essere un appassionato e presente, uno che racconta le cose vissute in prima persona, tra chilometri macinati e live; diventa quindi facile per lui acquisire autorevolezza al cospetto di chi scorre le pagine, che saranno una rivelazione per chi vuole approfondire un argomento che non possiede, o una conferma/confronto per altri seguaci/esperti.

E poi occorre soffermarsi sul suo modo di scrivere, molto ruspante, genuino, volutamente “da strada”, lontano da un modus elitario, spesso usato da chi si erge per pontificare.

La sua sintetica biografia riporta... << Nato a Torino, per lungo tempo ha fatto il medico. Ha pubblicato con Chinaski Edizioni alcuni romanzi noir: “Nuar bolognese” (2007), “Volevo solo uccidere i Porcupine Tree” (2009), “Cartoline in bianco e nero” (2013) e “Non fa per te” (2015), oltre alla prima edizione de “Il culto dell’albero Porcospino. Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree” (2018). Il suo ultimo libro è “Acid Queens.Viaggio tra le voci femminili della musica psichedelica” (Officina di Hank, 2021).>>

È quindi il suo un racconto vissuto sul campo, compendio di eventi cronologici, elementi storici e sentimenti personali, in ogni caso un lavoro sibillino di ricerca e raccolta dati che nel frattempo si sono accumulati.

Il mondo dei Porcospini ruota attorno ad una figura ormai leggendaria, quella di Steven Wilson, compositore, chitarrista/tastierista, cantante, ingegnere del suono sui generis, all’occorrenza produttore e talent-scout, figura centrale del panorama rock contemporaneo legato a soluzioni sotto ogni profilo sofisticate. È considerato il guru del progressive, non soltanto per la musica da lui creata ma anche per quella nobile rivisitata dal punto di vista tecnico, e appare ai miei occhi una garanzia il fatto che musicisti molto esigenti, come Bob Fripp e Ian Anderson, si siano affidati a lui per dare nuovo volto a materiale storico del passato.

Rocci ci racconta la storia del leader e di chi ha girato attorno a lui, attraverso concerti ed eventi che delineano il percorso di una band divenuta iconica, “il più famoso gruppo britannico di cui non avete mai sentito parlare”, frase utilizzata per sottolineare l’attenzione nel porre distanza costante rispetto al mainstream.

Dunque, all’interno del volume edito da Officina di Hank, troviamo tutto ciò che serve per l’update al percorso dei Porcupine Tree, dagli album ai live, dalle storie personali alle dinamiche di gruppo condite da gustosi aneddoti.

Ad impreziosire il tutto una sequenza di fotografie a colori, proposte secondo ordine cronologico.

Imperdibile per gli amanti della band, necessario per chi volesse saperne di più, obbligatorio per i neofiti curiosi.

Grande lavoro di Enrico Rocci!

“L’unico motivo per cui i Porcupine Tree hanno iniziato come progetto solista era che non c’era nessun altro che conoscessi che volesse fare quel tipo di musica. Ma immagino di aver sempre sperato che un giorno sarebbe diventata una band”.

Steven Wilson





lunedì 20 febbraio 2023

Elisa Montaldo e Barbara Rubin: audio estratto dal concerto al Teatro La Claque di Genova del 3 dicembre 2022



Elisa Montaldo e Barbara Rubin, presentano: 

un estratto da 

"A fistful of planets and other galaxies" 

Live al Teatro La Claque, Genova - 3 dicembre 2022

 

Tracce: 

"La Stanza Nascosta", un remake della canzone scritta da Elisa Montaldo per la sua band: IL TEMPIO DELLE CLESSIDRE. 

"Moonchild", una personale interpretazione del brano dei King Crimson, tratta dall'album "In the court of the Crimson King"


Barbara Rubin - violino, Viola and voice

Elisa Montaldo - piano elettrico, voce


 

Registrato da - Andrea Torretta & Teatro La Claque

Mix & master - Barbara Rubin

Fotografia - Daniel Nervi

Artwork e Grafica - Elisa Montaldo 

Pubblicato il 3 febbraio 2023

 


https://barbararubin.bandcamp.com/

https://elisamontaldo.bandcamp.com/

https://www.facebook.com/elisamontaldo

https://www.facebook.com/barbara.rubin2



domenica 19 febbraio 2023

“Candlelight: tributo ai Queen”-Genova, 17 febbraio 2023

 

Per scacciare gli aspetti negativi correlati al “venerdì 17” - in fondo ci credono un po' tutti dalle nostre parti - il gesto apotropaico di maggior effetto riconduce alla musica, all’evento live, alla condivisione di momenti piacevoli.

Non era programmato, ma tra i regali natalizi ho trovato una novità, per me - e mia moglie - che vivo eventi musicali da cinquant’anni.

La denominazione è la seguente: “Candlelight: tributo ai Queen”.

Di celebrazioni dei Queen e dintorni del rock il mondo è pieno, ma questo evento, almeno nelle premesse, appariva unico, e vediamone il motivo.

Intanto la location, il Palazzo Ducale di Genova, dal sapore aulico, dal profumo di storia vissuta, una bellezza indiscutibile che all’esterno si affaccia sull’illuminata e magnifica Piazza De Ferrari e all’interno propone sale ed elementi che “toccano” anche chi non è particolarmente avvezzo alla contemplazione artistica.

Proprio qui mi era capitato di assistere a quella che credo sia stata l’ultima performance italiana di Greg Lake, mica bruscolini!

Ad aumentare la sacralità dell’evento una proposizione completamente acustica presentata da un quartetto d’archi, in una sala illuminata totalmente da candele.

L’organizzazione è affidata a Fever, produttrice di eventi in giro per il mondo e portatrice del progetto a Genova.

Mi affido all’ufficialità per descrivere gli intenti focalizzati su Palazzo Ducale:

Candlelight è un’esperienza immersiva che avviene nella cornice di meravigliose location, patrimonio culturale di ogni città: a Palazzo Ducale una serie di intimi concerti a lume di candela per scoprire i grandi compositori come Chopin e Vivaldi, ma anche le più belle colonne sonore dei film e…”

IL ROCK

 

La commistione tra rock ed elementi classici risale agli anni ’70, quando un po' tutte le rock band si cimentarono con grandi orchestre, realizzando album ed eventi storici, soprattutto in ambito progressive, un genere musicale che ben si presta agli aspetti sinfonici e classici in generale, essendo la contaminazione elemento fondante di quella tipologia propositiva.

Ma immaginare i Queen “da camera” appariva ai miei occhi una bella sfida.

E invece ho apprezzato, e tanto, e mentre il repertorio più conosciuto andava in scena, la mente conduceva ai tanti stereotipi legati al concetto di musica, una sorta di ideologia  che prevede etichette e barriere, a volte comode per la semplificazione e comprensione, ma spesso inadatte allo spirito creativo e, soprattutto, lontane dalla realtà. E anche io ricado spesso nella banalizzazione.

La musica di qualità - e proseguo sul pensiero che ho sviluppato durante il concerto - può essere proposta sotto ogni veste ed entusiasmare, a patto che gli interpreti siano all’altezza. Mi allargo, anche un brano spazzatura, uno dei tanti ascoltati nella recente kermesse sanremese, nelle mani di professionisti della musica può cambiare volto, diventando un “prodotto nuovo”, scevro da tossici aspetti visual.

Chiariamo, anche qui la “scena” fa la sua, grande, grandissima parte.

Un salone austero, il buio totale con un punto centrale di illuminazione - le candele appunto -, 150 persone ansiose di vivere un’esperienza unica e quattro musicisti notevoli, professionisti, sicuramente open mind, vogliosi di condividere la loro arte con il pubblico.

E allora presento il quartetto, partendo da due elementi che avevo già visto in concerto con il GnuQuartet, Roberto Izzo al violino e Raffaele Rebaudengo alla viola. A completamento Federica Tranzillo al violino e Arianna Di Martino al violoncello, quest'ultima con compiti supplementari di guida vocale.

Una rapida ricerca online sarà icastica nel dare luce alle skills dei succitati musicisti.

Ritorno ai Queen e ad un repertorio fatto, sì, di tanta melodia e di aspetti scenici che solo un frontman come Freddie Mercury poteva esaltare con l’aiuto dei fraseggi chitarristici di Brian May, ma legata anche alle sorti della sezione ritmica, quella formata dal batterista Roger Taylor e dal bassista John Deacon: come riprodurre la storia del rock al Palazzo Ducale di Genova in modo totalmente acustico?

Atmosfera magica, pubblico ben disposto all’ascolto e al coinvolgimento, e la consapevolezza di essere parte di un momento unico.

A ben vedere la seriosità richiesta dal momento si frantuma, volontariamente, in diversi momenti, quando dal palco viene richiesto all’audience di partecipare creando ritmo con mani e piedi, magari cantando - ahimè, “Bohemian Rhapsody”, non è certo brano comune, men che meno dal punto di vista vocale! -, e alla fine si ha l’impressione di aver agito da iconoclasti, anche se non mi è chiaro se la “distruzione” dell’ortodossia sia rivolta al repertorio dei Queen o al classicismo proposto da quartetto e ambiente circostante.


Questa la scaletta proposta:


Another one bites the dust

Killer queen

Somebody to love

Don't stop me now

Love of my life

Crazy little thing called love

Radio Gaga

The Show must go on

Bohemian Rhapsody

We will rock you

We are the champions


Un repertorio molto vario, temporalmente parlando, presentato dalle didascalie vocali di Arianna Di Martino, completato dal canonico bis, che esce dal “mondo Queen”, ma resta in ambito rock, preannunciando un prossimo progetto legato proprio alle perle di quel genere. In questo caso tocca ai Deep Purple e alla loro simbolica “Smoke on the water”.

L’ultimo brano della scaletta, “We are the champions”, dava la possibilità di accedere all’uso del telefonino per le testimonianze di rito, quelle che per alcuni sono mero ricordo, ma che per me significano materiale da divulgare. Purtroppo la mancanza di luce e la scarsa qualità del mio device non mi consentono di fornire materiale di qualità, ma propongo comunque il ricordo.

Un bel progetto, che potrebbe rappresentare una giusta didattica, cercando di avvicinare i giovani alla buona musica, quella che i media tradizionali non pensano quasi mai a proporre.



sabato 18 febbraio 2023

Nel ricordo di Kevin Ayers


Il 18 febbraio del 2013 ci lasciava Kevin Ayers, uno dei fondatori dei Soft Machine.
Leader della scena musicale psichedelica, Kevin Ayers aveva 68 anni e si trovava nella sua residenza in Francia, nel villaggio di Montolieu.  

La notizia della sua scomparsa arrivava direttamente dall’ufficio del sindaco del paese, che in un comunicato definiva Ayers: "una brava persona e molto semplice", ricordando che il musicista aveva lasciato una delle sue chitarre in un caffè del posto con la scritta: "Per chiunque voglia suonarla".

Ayers è stato, insieme a Robert Wyatt, uno dei fondatori dei Soft Machine, band che, insieme ai Pink Floyd,  è stata tra gli iniziatori della psichedelia e della sperimentazione britannica.

Il gruppo, nel quale ha militato per un breve periodo anche Andy Summers, poi diventato chitarrista dei Police, venne ingaggiato come opening act per il tour nordamericano di Jimi Hendrix nel 1968, durante il quale, a New York, i S.M. registrarono il loro primo album.

Ayers, cantautore, chitarrista e bassista, ha avuto anche un'intensa carriera come solista e i suoi lavori hanno avuto un grosso impatto nella scena della musica progressive. Ha lavorato con musicisti del calibro di Brian Eno, Phil Manzanera, Mike Oldfield, Elton John, Nico e John Cale.

Il suo ultimo lavoro, The Unfairground, risale al 2007.




Yoko Ono celebra 90 anni!


Il 18 febbraio del 1933  nasceva Yoko Ono, che arriva quindi alla considerevole età di 90 anni.
Per ricordarla utilizzo un mio vecchio post...

Leggendo il libro “Rock Notes-I grandi songwriters si raccontano”, del cantautore e critico americano Paul Zollo, sono “incappato” in alcune figure mai approfondite, come David Byrne, John Fogerty, Leonard Choen e altri.
I libri dedicati alle interviste (non solo musicali) sono quelli che preferisco, perché trovo che domande intelligenti possano far emergere ed esaltare lati poco noti degli artisti posti sotto i riflettori. Ma alcune immagini sono per me più forti di altre e alcuni personaggi mi intrigano maggiormente.
All’interno di questo libro ho trovato una notissima e controversa figura che ha colpito la fantasia di tutti gli appassionati di musica della mia generazione.
Parlo di Yoko Ono, che istintivamente ho sempre "rifiutato", per via del condizionamento che ho subito attraverso i media.
Ciò che mi è sempre “arrivato” è la negatività di questa donna, a cui molti hanno imputato lo scioglimento dei Beatles.
Ovviamente non ho né i mezzi né le informazioni per giudicare, e la mia antipatia antica era basata su di un feeling comune che avevo fatto mio.
Nemmeno adesso posseggo la verità, ma razionalmente mi piacerebbe fornire un’immagine oggettiva per inquadrare il reale valore artistico, musicale, di questa ormai anziana signora.
Nessuna biografia, nessuna storia già ascoltata e nessun nuovo “reperto”, ma per la prima volta ho “sentito” la sua voce e mi piace riproporre il suo pensiero, sollecitato da alcune domande di Zollo.
La cosa su cui mi sono soffermato, come premessa all’intervista (antica), è una poesia che fa parte del disco “The Season of Glass”, lavoro uscito dopo la morte di Lennon:

Passa la primavera
e ci si ricorda della propria innocenza
passa l’estate
e ci si ricorda della propria esuberanza
passa l’autunno
e ci si ricorda della propria venerazione
passa l’inverno
e ci si ricorda della propria perseveranza.
C’è una stagione che non passa mai
Ed è la stagione del vetro

Leggendo l’intervista, realizzata nel 1992 a New York, si apprendono alcuni importanti aspetti legati al disco ed alla grafica proposta in copertina.

“Season of Glass”è stato un disco molto potente, e molto significativo per un sacco di persone, quando è uscito.
Quando ho fatto “Season of Glass” mi sentivo come se stessi camminando sott’acqua o qualcosa del genere, quindi non ne sapevo davvero nulla della reazione della gente.

Ho sentito che la tua casa discografica è rimasta sconcertata dal fatto che tu abbia voluto usare quella foto di copertina con gli occhiali di John schizzati di sangue.
Oh sì, molto!



Ho letto di recente che nella Germania nazista, come atto di crudeltà, spedivano gli occhiali sporchi di sangue degli uomini uccisi alle loro mogli.
Davvero? E’ terribile. Ma non è simbolico tutto questo? Vedi, ecco che voglio dire, quando mi viene l’ispirazione di fare qualcosa del genere, io lo faccio, perchè penso che ci sia qualcosa che mi sfugge. Mi sono anche arrabbiata. Insomma, io stavo raccontando quello che mi era successo, e non mi era certa successa una cosa bella!

La poesia intitolata”Season of Glass”, sul retro della copertina dell’album, è bellissima e triste. Hai mai pensato di farla diventare una canzone?
Ci ho pensato, ma non credo di esserne in grado. Non lo so.

In quella poesia hai scritto:” C’è una stagione che non passa mai ed è la stagione del vetro”, che riecheggia lo stato d’animo provato da tanti, dopo la morte di John, l’idea che questa sia un’epoca destinata a non passare mai. Pensi che siamo ancora nella stessa stagione del vetro?
Non lo so, perché forse in qualche modo parlavo di qualcosa al di là della morte di John. Allora, naturalmente, stavo raccontando la mia esperienza personale. Ma proprio adesso sto realizzando un’opera per una mostra su una famiglia seduta in un parco al momento del “meltdown” atomico, e quello a cui pensavo era un “meltdown” della razza umana e della specie in pericolo. E qualcuno mi ha detto che sembrava parlare anche del genocidio. Perciò è come se la stagione del vetro fosse ancora qui, in tutto il mondo. Non siamo ancora arrivati al punto in cui non ci siano più … occhiali sporchi di sangue.

Uno dei messaggi positivi che hai espresso, e che penso la gente non abbia colto, è che sul retro della copertina di “Season…”, il bicchiere d’acqua, che in copertina è mezzo vuoto, lì è pieno.
Sì. Oh, vuoi dire che ci hai fatto caso? Sono in pochissimi ad averlo notato.

Pensi che i tuoi messaggi positivi siano stati spesso trascurati?
Beh, alcuni li hanno colti ed altri no, dipende anche dalla persona. Voglio dire, tu ti sei accorto di qualcosa, giusto? Ma la maggior parte della gente no. 

La verità contenuta nella poesia rimane costante, inalterata nonostante lo scorrere del tempo. Emerge in modo mirabile quello che stavano provando milioni di persone in tutto il mondo durante in momenti cupi seguiti a quel giorno nerissimo del dicembre 1980, quando John Lennon morì. Era quella una stagione destinata a non passare, una tragedia che non sarebbe stata banalizzata nel tempo, una ferita che non sarebbe guarita. E in un certo senso non si voleva che accadesse.





venerdì 17 febbraio 2023

Il Volo... quello originale!



Il Volo fu una band che a cavallo tra il 1974 e il 1975 diede vita a due ottimi album (Il Volo e Essere o non essere?) in un mix di melodia, sinfonia e qualche accenno fusion.

Forti di intelligenti e interessanti modi di composizione musicale, Il Volo furono uno di quei gruppi che ebbero un buon riscontro fra gli amanti del genere, che rivedevano in loro una forma musicale più semplice delle colonne portanti del panorama italiano, Banco e P.F.M., con alcuni richiami alle grandi star straniere come E.L.P. e King Crimson.

Il gruppo era composto da: Alberto Radius (chitarra, voce), Mario Lavezzi (chitarra, mandolino, voce), Vince Tempera (tastiere), Gabriele Lorenzi (tastiere), Bob Callero (basso), Gianni Dall’Aglio (batteria, percussioni, voce).



giovedì 16 febbraio 2023

Jethro Tull: commento al concerto del 15 febbraio 2023, Milano, Teatro Arcimboldi

 


Ieri sera ho assistito ad un concerto milanese dei Jethro Tull, al Teatro Arcimboldi, che per chi segue da tempo la band significa un po' il ritorno sul luogo del delitto.

Era il 2 luglio del 2008 quando Ian Anderson e soci furono protagonisti di una serata davvero oscura - ma non per colpa loro - che descrissi di pancia in un post dai contributi di scarsa qualità, ma testimonianti le varie fasi dell’evento, lontani dall’argomento “musica”. Interessante magari comparare la scaletta di ieri con quella più antica.

https://athosenrile.blogspot.com/2008/07/concerto-jethro-tull-teatro-degli.html

2008 significava anche quarant’anni di attività e successiva mega convention italiana, ad Alessandria, insomma, un momento comunque positivo per la band di allora, che oltre a Ian Anderson propone oggi altri due elementi presenti all'epoca, David Goodier al basso e John O'Hara alle tastiere.

Mi riesce sempre difficile criticare un gruppo la cui musica rappresenta la parte più cospicua della colonna sonora della mia vita, la band che ho visto più volte in assoluto, tra concerti e convention, propositrice di sonorità che mi hanno accompagnato dai quattordici anni sino ad oggi.

Ma, onestamente, senza il cadeau natalizio dei miei figli non avrei avuto il “coraggio” di una nuova partecipazione. Esagero?

Restando nel personale, rimasi affascinato da adolescente da quel flauto che per la prima volta vedevo usare un ambito rock, una vera novità che non poteva non colpire. A seguire ho realizzato che una cosa che ancor più apprezzavo di Anderson era il suo modo di suonare la chitarra acustica, unico all’interno del panorama folk rock; ma poi arriva l’estrema sintesi, e ti accorgi che in realtà la cosa realmente caratterizzante è la voce, la timbrica particolare che si sposa a perfezione con il progetto di Ian, tanto da identificare sempre e comunque il leader con la band, anche in tempi non sospetti.

Quella voce non esiste più da molto tempo, ed è ormai una discussione frequente, quella che utilizzano i detrattori per dare suggerimenti vari, ovviamente non richiesti. Non sta a me dire da che parte sia la ragione, ma posso fornire un commento personale a ciò a cui ho assistito ieri, per la cronaca, il 15 febbraio 2023.

Scinderei la mia piccola analisi in due parti, una sezione emozionale ed una più di dettaglio.

Erano sei anni, credo, che mancavo ad una loro performance, l’ultima mi pare fosse a Bollate, ma di quell’atmosfera non ho trovato nulla.

Concerto proposto col cronometro, 50+50 (15 di riposo), senza neanche la falsa attesa per un bis che, neanche a dirlo, non si scosta mai da “Locomotive Breath”.

Pubblico eterogeno, con molti giovani, ma molto ingessato, pronto a scaldarsi per qualche assolo di Ian sui pezzi storici, ma non mi era mai successo di non captare alcun commento all’uscita.

Il sold out autorizza a pensare che il seguito sia inalterato, ma ciò che è andato in scena ieri sera è un concetto di evento rock davvero poco emozionante.

Nessuna presenza di merchandise, che di per sé non sarebbe un grande dato, ma il banchetto interno al teatro avrebbe dato un minimo di continuità con il passato, e segnalo che l’unico venditore esterno è riuscito ad attirare l’attenzione di molti appassionati e seguaci.

Riassumo, l’atmosfera a cui ero abituato è mancata totalmente, o almeno io non l’ho percepita, anche se non penso che sia un elemento di riflessione per il buon Ian.

Altra cosa a cui non ero abituato, almeno per quanto riguarda gli eventi tulliani, è l’impossibilità di ottenere testimonianze del concerto (foto e video), imposizione di per sé comprensibile e accettabile (non per chi come me ama l’opera di sharing), ma mai appartenuta al boss, che, ci è stato spiegato in vari momenti, è stato categorico, con un’unica concessione, quella del bis.

Gran bel palco, semplice ma efficacie la scenografia, con un grande display alle spalle della band che accompagna e commenta il susseguirsi dei brani, set che propongo a fine articolo.

La prima immagine video che emerge dallo schermo e dà lo start al concerto è quella di un mare in tempesta da cui fuoriesce un flauto ed un braccio che lo sostiene: ho dei seri dubbi sul decifrare il simbolismo cercato da Anderson, che appare ovvio e riconduce ad evento mitologico, ma con un po' di onestà intellettuale, a fine performance si potrebbe dire che il flauto è l’unica cosa “da palco” che gli rimane, immaginando che resti comunque un’importante capacità creativa e di musicista in genere.

Ian compirà 76 anni ad agosto, un’età che per molti potrebbe essere proibitiva, considerando che un tour non è una gita di piacere, eppure dimostra forza, dinamismo, capacità di tenere il palco e di condurre i suoi soldatini, alcuni dei quali divenuti ormai dipendenti di lungo corso, con l’aggiunta del giovane e talentuoso chitarrista Joe Parrish, che però su "We use to know" ha utilizzato tracce di assolo di "Hotel California" degli Eagles, proprio il pezzo che da sempre si dice sia stato "rubato" ai J.T., nel '77, dal gruppo americano, ma è stato forse  questo un atto voluto e provocatorio!

Insomma, un gruppo formato da ottimi strumentisti condotti dal genio di Anderson.

E’ dunque un dato di fatto che … la voce non c’è più, inutile proseguire su questo tema, ma ciò indurrebbe a pensare ad una scaletta ad hoc, che possa limitare le difficoltà oggettive.

I pezzi proposti sono abbastanza vari e coprono uno spazio temporale che dal ’69 arriva ai giorni nostri, attraverso album come “Stand Up” sino al recente “The Zealot Gene”, passando per “Aqualung”, “Living in the Past”, “Benefit”, “Dot Com”, “The Christmas Album”, “The Broadsword and the Beast”, “Heavy Horses”, Stormwatch”, ma… non ho compreso l’utilizzare nella set list la magnifica “With You There To Help Me”, che non ricordo di aver mai visto proposta dal vivo, e quindi non certo nei pensieri primari di Ian; sto citando un brano che lo ha messo in estrema difficoltà, tanto che ero in imbarazzo per lui. Forse questo scorcio audio rubato potrà aiutare nella comprensione…


Dopo dieci canzoni si va negli "spogliatoi", con addosso gli applausi e l’entusiasmo per per una bella versione di “Bourèe”.

La ripresa inizia con il volto di Anderson sul mega display che a poco a poco evolve, mettendo in evidenza il suo binocolo stile “Stormwatch”, che ricorda ancora: NO FOTO, NO VIDEO.

Ci aspettano altri 50 minuti, cronometro al polso, e i Jethro Tull mischiano il repertorio più antico a quello recente, con una versione davvero inusuale di “Aqualung”, completamente rivisitata, e con quella ci si avvicina alla fine, con un fil rouge che unisce nuovo e antico, ovvero la certezza che quella musica ha ancora un grande valore ma che occorrerebbe trovare una nuova formula per aumentare la convivenza tra pubblico e musica di Anderson.

Il tutto esaurito a cui ho assistito significa partecipare sulla fiducia, ma personalmente ho provato vero dispiacere nel vedere la musica dei J.T. minata nel cuore dal canto del cigno di un genio della musica, che potrebbe tranquillamente prolungare la sua carriera adottando qualche accorgimento, ammesso che il suo concetto di business lo preveda. Il calore dimostrato dall’audience al cospetto dei brani strumentali potrebbe suggerire una proposizione priva di cantato, magari con un ensemble di archi al seguito, qualcosa che non faccia soffrire Ian e il suo pubblico.

Il bis dicevo, e questo non rappresenterà mai una sorpresa!

Riappare il binocolo di Anderson che questa volta dà luce verde e permette qualche scatto.

Propongo l’audio di “Locomotive Breath”, così, tanto per dare un’idea!

Una buona band fatta da ottimi esecutori, un bravo driver che ha permesso ai più antichi, anche in questa occasione, di ripercorrere storie di vita che si rinfrescano con l’alternarsi di brani indelebili.

Però, che fortuna aver visto i Jethro Tull in tempi più antichi!

I saluti finali...


Setlist

Nothing Is Easy  

Cross-Eyed Mary 

With You There to Help Me

Sweet Dream  

We Used to Know  

Wicked Windows  

Holly Herald  

Clasp  

Mine Is the Mountain   

Bourrée in E minor

Heavy Horses

The Zealot Gene

Warm Sporran 

Mrs Tibbets 

Dark Ages  

Aqualung 

Bis

Locomotive Breath

 

Formazione

Ian Anderson - voce, flauto, chitarra acustica (1967–2011; 2017-oggi)

Joe Parrish - chitarra elettrica (2020-oggi)

David Goodier - basso (2007–2011; 2017-oggi)

John O'Hara - tastiere (2007-2011; 2017-oggi)

Scott Hammond – batteria (2011; 2017–oggi