lunedì 21 aprile 2008

Fine Young Cannibals


Fine Young Cannibals
Le storie personali dei tre componenti la band sono abbastanza anonime, ma il loro amalgama ha dato un contributo indimenticabile alla storia del brit-pop degli anni ottanta.
L'avventura dei FYC parte dallo scioglimento di una formazione precedente, chiamata The Beat, avvenuto nel 1983. Il chitarrista Andy Cox e il bassista/tastierista David Steele, forti dell'esperienza nello ska/dance, cercano in fretta un cantante per formare un nuovo gruppo, e lo trovano in Roland Gift, nato a Birmingham come Cox, ma di origini caraibiche .
Gift, che stava intraprendendo una carriera da attore, si rivela l'elemento ideale per completare la miscela: dotato di un falsetto davvero singolare, aggiunge freschezza e originalità alle raffinate melodie composte dagli esperti compagni. Il nome del gruppo si ispira al film "All The Fine Young Cannibals" di Robert Wagner.
Il singolo d'esordio, "Johny Come Home" (1985) raggiunge in fretta la top ten inglese, aprendo la strada all'album "Fine Young Cannibals", uscito l'anno successivo.
Dopo questo progetto, Gift prosegue la strada del cinema, mentre Cox e Steele vanno avanti da soli sotto il nome di "Two Men, A Drum Machine And A Trumpet".
Un loro singolo house, " I'm Tired Of Being Pushed Around", raggiunge un lusinghiero successo nel 1988.
Quando il trio si riunisce, tuttavia, è tutta un'altra cosa: nel 1989 il secondo album "The Raw And The Cooked" (il titolo deriva dal libro di Claude-Levi Strauss, "Le cru et le cuit", 1964) arriva a vendere due milioni di copie, soprattutto grazie al traino del singolo "She Drives Me Crazy", un hit planetario.
Ai Brit Awards del 1990 vincono il premio per il miglior gruppo e il miglior album, ma lo rifiutano in opposizione al partito conservatore e a Margaret Thatcher. Per quanto clamoroso, questo gesto risulta coerente con un impegno civile avvertibile fin dal singolo di esordio, dove si racconta la storia di un ambizioso provinciale che migra verso la grande città pieno di speranze, trovandovi solo sofferenza e alienazione.
In tutti gli anni successivi i FYC hanno pubblicato solo un remix e una raccolta. Si inseguono, per ora senza fondamento, voci di un atteso nuovo lavoro. Intanto ci godiamo questo bel pezzo:

Jonny Come Home





Citazione del giorno:

"La ricerca della verità è più preziosa del suo possesso" (Albert Einstein)

domenica 20 aprile 2008

PFM


Ed ecco un' altra "vecchia" recensione di Enzo Caffarelli, ancora per Ciao 2001.
Era il 1972.
Il disco non ha bisogno di grosse presentazioni ,e neanche la PFM.


PREMIATA FORNERIA MARCONI
Storia di un minuto - Numero uno (1972)



Devo dire subito che questo è il disco che attendevamo con fiducia da parecchi mesi, da quando cioè si era capito che i Quelli, tornati alla ribalta con una nuova originalissima denominazione, e con un quinto elemento, il cantante e polistrumentista Mauro Pagani, avevano le idee molto chiare sua quale tipo di musica suonare, e verso quali modelli stranieri orientarsi, o comunque da essi prendere lo spunto.
Così, mentre la Premiata Forneria Marconi continua a sviluppare una personalità sempre più propria, cercando di evitare ogni palese imitazione, esce questa "Storia di un minuto", il primo episodio di un cammino probabilmente molto lungo.
Franco Mussida, chitarrista e cantante della formazione, e Mauro Pagani, che si alterna al flauto all'ottavino ed al violino, sono gli autori di tutte le musiche e di quasi tutti i testi (c'è lo zampino del solito Mogol).
Parte dell'album era già nota per l'edizione su 45 giri de "La carrozza di Hans" e di "Impressioni di settembre".
Parlavo prima di ispirazioni: ebbene la principale viene dai King Crimson, dei quali il gruppo amava interpretare in concerto più di una pièce. La "introduzione" è tipicamente crimsoniana, mentre la successiva "Impressioni di settembre", dolce e stupenda per la musica e per il testo, ricostruisce la struttura caratteristica della "Lucky man" di Greg Lake, con le aperture a largo respiro di organo e di moog. Intimista allo stesso modo, ma più acustica e stilisticamente più personale la prima parte di "Dove... quando".
Due le cose principali da osservare: una prima è la levatura tecnica degli strumentisti, la loro poliedricità, fruttata pienamente nell'impiego di flauto, violino, clavicembalo, mellotron, sintetizzatore, pianoforte, chitarra a dodici corde, percussioni. Sicuramente un album come questo potrebbe avere un certo successo anche all'estero, forse nella stessa Inghilterra.
L'altra considerazione è la ricerca del gruppo all'interno di certe matrici classicheggianti tipicamente italiane: Vivaldi, Rossini, Verdi: l'amore adombrato per la musica operistica, e soprattutto il desiderio, comune un po' a tutti i nuovi gruppi nostri, di riscoprire contenuti da rivestire e da reinterpretare nel patrimonio musicale italiano, colloca la PFM in una posizione del tutto particolare nel panorama di coloro che cercano un aggancio al classico. I sintomi emergono in " E' festa" e nella seconda parte di "Dove... quando", carosello di suoni, di pause, di dialoghi ricchi di fantasia e di una strumentazione varia e costantemente indovinata.
L'album è molto frammentario: ma frammentario non è un aggettivo negativo, vuole solamente significare la tessitura sfaccettata, intrecciata, elaboratissima, dei colori che compongono il mosaico dei suoni, su cui veleggiando testi semplici ma significativi, anch'essi frammentari, ricchi di silenzi, editi alla descrizione di piccole cose, di immagini tradizionali ma rivissute con ingenuo incanto, simili alla poesia di stampo crepuscolare.
Il flauto ed il violino, rispetto alle esibizioni dal vivo, sono molto impiegati, mentre impiegati sovente il mellotron ed il moog, e la chitarra acustica è l'autentica dominatrice.
Buona la registrazione, anche se la voce è troppo in sottofondo. E bello il disegno di copertina, opera di Caesar Monti, Wanda Spinello e Marco Damiani.
Enzo Caffarelli

La Carrozza di Hans



Citazione del giorno:

"Le parole delle canzoni sono così banali che appena ci metti un pizzico di intelligenza ti chiamano poeta" (Paul Simon)

martedì 15 aprile 2008

Beach Boys



Oggi cambio genere musicale e mi "tuffo" sui Beach Boys.
I Beach Boys sono un celebre gruppo musicale pop statunitense degli anni '60 nato a Hawthorne, California.
Sono considerati il gruppo più rappresentativo del sottogenere noto come Surf, una forma di rock'n'roll/pop associata, nell'immaginario collettivo, alla vita balneare sulle spiagge assolate della California. Hanno inciso decine di singoli di successo; molti di essi sono considerati classici della musica leggera di tutti i tempi e sono paragonabili, per popolarità, solo ai più noti brani firmati da Lennon/McCartney per i Beatles (fra tutti si possono citare "Surfin" e "California Girls").
Figura centrale del gruppo fu Brian Wilson, uno dei massimi compositori di canzoni dei primi anni '60, insieme ai già menzionati Lennon-McCartney, Lee Hazelwood e pochi altri. Brian Wilson fu forse il primo musicista popolare a eccellere tanto nella composizione quanto nell'arrangiamento (oltre a inventare uno stile molto imitato al proprio strumento, il basso). In tal senso, fu più un compositore classico (con una spiccata sensibilità per la polifonia sinfonica) che un cantante di musica pop. Il formato originale delle sue canzoni (la musica surf) servì a pagare i conti, ma ovviamente gli risultò rapidamente stretto. Anche quando Wilson si emancipò da quel formato e cominciò a produrre canzoni più elaborate ("Good Vibration" e gli album "Pet Sounds" e "Smile").

La sua rimase sostanzialmente una carriera sprecata: con quell'orecchio avrebbe potuto fare ben altro che semplici canzoni.
Con la formazione rinnovata (nel 1972 esce dal gruppo Bruce Johnston, che era nel frattempo subentrato a Brian) pubblicano 2 album, forse gli ultimi capolavori del gruppo: "So tough/Carl & the Passion" (1972) e "Holland" (1973), registrato interamente nei Paesi Bassi, con Brian che produceva via telefono dalla California.
In questi album i Beach Boys abbandonano le sonorità e le tematiche che li avevano resi celebri nella decade precedente (e che torneranno prepotentemente dalla seconda metà dei 70 caratterizzando l'immagine del gruppo fino ai giorni nostri): niente macchine, ragazze, spiagge ma temi ecologici e di pesante denunica sociale , con decisi accenti R&B .
La seconda metà dei '70 è un periodo assai caotico per il gruppo: Blondie e Rick lasciano il gruppo mentre ritorna Brian, apparendo per un breve periodo anche dal vivo (1976). In formazione originale a 5 pubblicano una serie di album di scarso successo , mentre l'attività live si concentra quasi esclusivamente sugli hit anni '60 "Cars & Girls".
I Beach Boys, pur essendo un icona della musica anni '60, hanno partecipato al Live Aid del 1985 a Philadelphia riscuotendo un notevole successo di pubblico.





domenica 13 aprile 2008

Saint Just


Dopo l'indovinello, tappa fissa del fine settimana, provo una nuova (vecchissima) strada, che è quella di rispolverare le mitiche recensioni di Ciao 2001 per riproporre artisti di valore.
A Ciao 2001 ho già dedicato un post e non posso dimenticare ciò che ha rappresentato per me.
Di fatto la mia cultura musicale, seppur limitata, è nata da quelle pagine e da quelle recensioni che prendevo come oro colato.
Tra i "santoni" più seguiti ricordo soprattutto Enzo Caffarelli che "sfrutterò" utilizzando i suoi vecchi scritti.
Inizio dal pensiero DOC di Enzo su un disco dei "Saint Just".
Ecco cosa scriveva nel 1973.

SAINT JUST
Omonimo - Harvest (1973)

Anche il mercato italiano pare maturo per sfornare una rivelazione. I Saint Just sono tre ragazzi napoletani, di cui due, Robert Fix e Jane Sorrenti, sorella del più celebre Alan, per metà inglesi.
Tentando di esprimersi con un linguaggio veramente nuovo, e nello stesso tempo di allinearsi con quegli artisti britannici che hanno riscoperto e riattualizzato l'originario folk nazionale, i Saint Just compiono la medesima operazione, scandagliando nella cultura italiana e non, dei secoli scorsi, principalmente del Medioevo. In questo i tre possono essere ricollegati, cpiù che a formazioni quali i Pentangle o gli Steeleye Span, alla Third Ear Band, che essi ringraziano espressamente sulle note di copertina.
Certe tematiche meravigliosamente antiche non sono però che il pretesto per una musica totalmente nuova, completamente acustica, con una strumentazione ampliata da alcuni elementi di supporto.
Una nota particolare merita Fix, i cui contralto e tenore mi ricordano il miglior Chris Wood dei Traffic, e la voce di Jane, discepola del fratello maggiore (anche se sostiene di essersi formata artisticamente in maniera indipendente da Alan): ella alterna i toni con estrema sicurezza e con indubbia tecnica, anche se non ancora con la varietà e la flessibilità necessarie. Ogni brano meriterebbe un discorso particolare. Atmosfere rarefatte, pochi tocchi sapienti di ciascuno strumento per creare momenti affascinanti, una dolcezza pregna di contenuti appassionanti in ogni dove, e canti ora indefinitamente malinconici ora convulsi. Segnalo in particolare "Una bambina", in cui la voce maschile è proprio quella di Alan Sorrenti, e il titolo omonimo "Saint Just", cantato in lingua francese.
L'album necessita di parecchi ascolti prima di essere compreso appieno ed apprezzato quanto merita. Ma è eccezionale, specie considerando che il gruppo è all'esordio, e s'impone immediatamente come uno degli avvenimenti più nuovi e più interessanti della scena italiana.
Enzo Caffarelli


Non ho trovato filmati dell'epoca e allora propongo "La belle Se Sit", per me piacevole sorpresa , dal disco :

Medieval Zone,2001


venerdì 11 aprile 2008

Dream Syndicate



Alcuni giorni fa ho presentato il resoconto di Nazario relativo ad un concerto di Steve Wynn, tenutosi in Italia a metà marzo.
Non conoscevo l’artista, ma i termini entusiastici utilizzati da Nazario per parlare di Wynn e del gruppo di origine, vale a dire i Dream Syndicate, hanno sollecitato la mia curiosità ed ho cercato di colmare un vuoto di conoscenza.
Dalla ricerca in rete ne ho ricavato la seguente sintesi.

I Dream Syndicate furono uno dei gruppi della new wave che meglio espresse quella sintesi fra Bob Dylan e i Velvet Underground che fu un po' il tema fondamentale dell'intero movimento.
Quando esplosero il punk-rock e la new wave, Steve Wynn, Russ Tolman, Kendra Smith e Scott Miller erano studenti alla UC Davis, a metà strada fra San Francisco e Sacramento. Miller sarebbe rimasto in zona con i Game Theory. Tolman avrebbe formato i True West.
Il chitarrista Steve Wynn e la bassista Kendra Smith, trasferitisi a Los Angeles, conobbero l'altro chitarrista Karl Precoda e formarono nel 1982 i Dream Syndicate.
Il sound di questo gruppo apparteneva al revival psichedelico di quegli anni ma se ne differenziava perché si teneva alla larga dagli stereotipi del folk-rock e del garage-punk e pescava invece a piene mani nella tradizione "alta" di quel rock ambiguo che lambisce i Rolling Stones ma che trova espliciti referenti soprattutto nei Velvet Underground, negli Stooges, nei Doors.
Il loro album di debutto, "The Days Of Wine And Roses "(Ruby, 1982), fece epoca e sensazione , coniando un linguaggio a cui si sarebbero ispirati innumerevoli complessi degli anni '80. La tensione drammatica dei pezzi e le liriche maniacali e introverse (che raccontano storie estreme di alienazione, depravazione e terrore), il canto intossicato di Wynn e il lavoro doppio di chitarre (quella melodica di e nervosa di Wynn e il feedback di Precoda) creano un acid-rock molto particolare.
Senza piu` la bassista e con un Precoda disarmato dei suoi feedback ma piu` che mai scatenato in infuocati assoli, il secondo disco, "Medicine Show "(A&M, 1984), risultò molto più rilassato, nonostante una lunga e febbrile jam/deliquio intitolata John Coltrane Stereo Blues.
Il terzo ,"Out Of The Grey "(Big Time, 1986), sterzo` verso il country-rock "acido" di Neil Young, con Paul Cutler al posto di Precoda e un sound infinitamente più moderno, ballabile e radiofonico.
Wynn aveva preso il sopravvento e preferiva il formato tradizionale della canzone (con tanto di storia e di atmosfera) alle eruzioni libere di Precoda e Smith.
Completando un'evoluzione (o "involuzione") iniziata da "Medicine Show", "Ghost Stories"(Enigma, 1988) sanciva l'avvento di una canzone rock senza rumori e senza distrazioni, ancorata classicamente alla melodia.
La nuova carriera di Wynn si inserisce nel filone inaugurato da Neil Young con le sue violente ed elettriche ballate folk.
Benché  il disco ospiti ancora tracce di rimembranze antiche, il nuovo genere e` ormai chiaramente definito, e non ha più nulla delle vertigini psichedeliche delle origini (che forse appartenevano più a Kendra Smith che a lui).
Wynn esprime una visione truce e pessimista della condizione umana attraverso un fatalismo depresso da film-noir; ma la morale delle sue saghe negative e` sempre all'insegna della speranza di redenzione. In tal senso la sua e` una musica catartica, nobile anche nei momenti di massima afflizione, al contrario di quella di Young, che non ammette rivincita, e di Reed, che gode del martirio. 
Ciò non toglie che la redenzione) si debba ottenere passando per prove di dolore intenso (reso dalle tremende piogge di distorsioni).
Wynn resta uno dei pochi, che sappia far sanguinare i versi delle sue canzoni.






Citazione del giorno:

"La virtù non è odiosa. Lo sono invece i discorsi sulla virtù.(Albert Camus)


martedì 8 aprile 2008

Area


In alcune riviste specializzate, gli Area vengono inquadrati nell’area Prog italiana.
A me riesce difficile una collocazione schematica.
Nei miei ricordi antichi, gli Area erano separati dal gruppone prog, ed erano più tendenti al contenitore free jazz , in compagnia dei Perigeo.
Per quello strano meccanismo che ci porta a cercare il simbolo di qualsiasi cosa ci troviamo davanti, ho sempre identificato gli Area con la voce di Demetrio Stratos, ben conscio del valore di musicisti come Capiozzo, Djivas, Fariselli, Tofani, Tavolazzi ecc.
Stratos ci ha lasciato prematuramente.
Capiozzo anche.
Resta il loro lavoro ed il loro insegnamento.
Io ero innamorato del loro disco “Arbeit macht frei”, secondo me attualissimo.
Per ricordarlo degnamente ho rispolverato la recensione che a quei tempi fece Enzo Caffarelli su Ciao 2001 .
Mi sembra davvero strano presentare a distanza di anni una di quelle recensioni che leggevo con dedizione assoluta,quasi fosse il Vangelo che settimanalmente mi veniva fornito dall'edicolante di fronte a casa.


AREA
Arbeit macht frei - Cramps (1973)

Sono nati da circa un anno, ma la loro formazione ha già subìto numerosi cambi (vedi anche le mininotizie di questo stesso numero), cosicché due soli dell'originaria formazione sono i superstiti. Gli Area sono comunque il gruppo più interessante venuto alla ribalta in questo 1973 in Italia, e il loro difficile album conferma le belle premesse di tanti spettacoli e di tanti inviti (ricordo fra parentesi che hanno suonato in tour con i Gentle Giant, i Soft Machine, gli Atomic Rooster, i Faces, sono stati invitati alla Biennale di Parigi ed alla Triennale di Milano, ecc.).
Dall'iniziale free jazz, orientato verso i Nucleus o i Soft Machine, gli Area si sono spostati verso una ricerca più attenta di contenuti e di effetti sonori, attingendo alla musica popolare, in modo particolare a quella greca ed araba, ed alle esperienze concreto-contemporanee con le quali sono venuti a contatto: Luigi Nono, Luciano Berio, l'ungherese Gyorgy Ligeti, il greco Yannis Xenakis fra i principali. La loro musica vuole essere assolutamente di "rottura", radicale nelle intenzioni dei musicisti e di chi li guida. "Arbeit Macht Frei" significa in tedesco "Il Lavoro Rende Liberi", ed era lo slogan posto all'entrata dei campi di concentramento nazisti. I sei brani che compaiono sull'album sono legati da un filo ideologico simboleggiato appunto dalla consapevolezza del carattere totalitario dell'affermazione.
Il contenuto del LP si ispira a riflessioni sulla violenza e sul terrorismo: ma scelte orientative come l'introduzione di una recitazione in lingua araba, i richiami al folklore mediorientali trasfigurati, le citazioni si Smirne o di Settembre nero, sono da una parte la logica conseguenza della provenienza (greca) del leader Demetrio Stratos, dall'altra tendono a sottolineare un percorso storico-geografico della violenza: dai campi nazisti agli ebrei, al mondo arabo, turco, greco, russo.
E la musica è violenta, aggressiva, specie nella struttura volutamente caotica di certi momenti, nelle sofferte interpretazioni vocali, alcune delle quali recitative, di Demetrio. Così il brano conclusivo, "L'abbattimento dello Zeppelin", dal sapore sinistro e provocatorio, sottolineato da effetti particolari dell'uso della voce, che segue le indicazioni di Berio nell'affiancamento voce-musica elettronica, ha un doppio senso: da un lato l'abbattimento di una realtà difesa dai miti; dall'altro un chiaro attacco alla musica pop tradizionale, individuabile in quel momento nei Led Zeppelin.
Tutti i brani sono ad alto livello: "Luglio, agosto, settembre (nero)" con la voce araba che introduce una melodia orientaleggiante; "Arbeit macht frei" di sapore più tipicamente jazzistico, come pure "240 km da Smirne", esclusivamente strumentale, un pezzo fra i migliori anche eseguito secondo schemi piuttosto classici di free, Infine "Le labbra del tempo" si presenta più varia e contorta, un insieme di sensazioni e di voci che si accavallano e si divaricano con particolare cura degli effetti.
Complessivamente la ritmica si rivela particolarmente efficace: Ian Patrick Djivas, neo acquisto della Premiata Forneria Marconi, suon un basso Fender Precision privo di tasti ed il contrabbasso, rivelandosi un solista instancabile e fantastico. L'altro musicista di spicco è Eddy Busnello, un sassofonista già con una lunga esperienza alle spalle.
Ma anche tutti gli altri si muovono con attenzione giungendo a risultati ricchi di potenza e di fantasia, come Stratos, che opera alle percussioni, suona l'organo con il compito principale di creare un continuum di fasce sonore per gli altri solisti, ed utilizza la voce alla maniera tipica e significativa di uno strumento.


Qualche nota su Demetrio

Il 13 giugno 1979 Demetrio Stratos si spegneva al Memorial Hospital di New York, dov'era ricoverato in attesa di un trapianto midollare a cui i medici volevano sottoporlo nell'estremo tentativo di salvarlo dalla leucemia fulminante che lo aveva colpito poche settimane prima.
Era uno sperimentatore audace e irrequieto, raramente disposto ad accomodarsi sugli allori.
E dire che in carriera aveva raggiunto traguardi di assoluta rilevanza...
Nato il 22 aprile 1945 ad Alessandria d'Egitto in una famiglia di origine greca, era cresciuto ad Atene frequentando nell'adolescenza il conservatorio locale. Arrivò in Italia nel 1962 e si stabilì a Milano, dove ben presto finì nell'orbita della nascente scena beat. Entrò così a far parte dei Ribelli, inizialmente come tastierista, divenendone dopo poco anche cantante. Suonavano rhythm'n'blues all'italiana, sanguigno e irruente, come nel loro massimo successo a 45 giri: "Pugni chiusi".
Un'esperienza che si concluse con la fine degli anni Sessanta: "Ero stanco di scimmiottare Tom Jones", disse allora Stratos.
Aspirava ad altro e le sue ambizioni si materializzarono nella formazione che al principio del decennio seguente radunò insieme al batterista Giulio Capiozzo: gli Area. A conti fatti, il più significativo gruppo italiano di quella generazione.
Musica aperta a 360 gradi: jazz, rock, folclore mediterraneo, avanguardia colta... Impossibile definirla in modo univoco, se non assumendone come principio fondante l'esplicita politicità.

Ascoltiamo gli Area ...musica e intervista.




venerdì 4 aprile 2008

BANCO a Savona il 4 aprile del 2008


Savona, 4 aprile 2008

Ho appena assistito al concerto del BANCO, al Teatro Chiabrera di Savona, e provo a descrivere quanto accaduto.

Il teatro è gremito e incontro le solite “facce da concerto”, quelli che io chiamo “addicted to music”, gli inguaribili seguaci della musica rock (il prog di questa sera è una diramazione della grande famiglia in cui tutti si riconoscono).

Sono in seconda fila, seduto su di una bella poltroncina rossa, e forse non ho mai visto nessuna performance in queste assolute condizioni di favore, vale a dire comodo e vicino.

Si è sparsa la voce che Franz Di Cioccio è in zona e io scorgo anche Nico di Palo, che avevo già notato in platea al concerto della PFM dello scorso anno.

Non vedevo da anni il Banco.

Del gruppo che avevo sentito a Genova un secolo fa sono rimasti Vittorio Nocenzi alle tastiere, Francesco Di Giacomo alla voce, Rodolfo Maltese alla chitarra (come ci rimasi male quando sostituì Todaro!).
 A completamento il bassista Tiziano Ricci, il batterista Filippo Masi e il giovane Filippo Marcheggiani, che scopro sia membro del gruppo da quattordici anni.

Commento col mio vicino di sedia, musicista da sempre, “il materiale” tecnico presente sul palco.
I grandi amplificatori fatti di casse e testate, le ridondanti batterie, le tastiere a trecentosessantagradi, le selve di chitarre, che un tempo colpivano lo spettatore, oggi non esistono più, forse non servono, e anche un “appoggiachitarra” risulta elemento superfluo.

Insomma, un palco minimalista che è in sintonia con le idee che Francesco ci regala.

Entra per ultimo sul palco, dopo che il resto della band si è già scaldato.
 Lo trovo più in forma di trentacinque anni fa e anche il suo look non mi sembra casuale.

Esordisce elogiando il pubblico, unica cosa di cui un musicista non può fare a meno, elemento indispensabile per la realizzazione di un buon concerto.
Ci presenta il suo assoluto anticonformismo, con una certa vena polemica permeata di delusione.
Sfiora gli argomenti di attualità e sembra quasi capitato per caso on stage.
Un cantante di passaggio su di un palco pieno di luci alternate.

Ad un certo punto si avvicina a Nocenzi e gli chiede... un permesso. La cosa non sembra preparata.
Francesco si accentra e racconta una storia antica, quella di due gruppi che erano presentati come antagonisti, tanti anni fa.

Il BANCO e la PFM si contendevano con le ORME lo scettro del miglior gruppo italiano di Musica Prog, e probabilmente la rivalità era sentita, al di là di quanto dichiara un saggio (ma lo poteva essere a 25 anni?) Di Cioccio, nel piccolo filmato che segue.
Ma essere rivali non significa essere nemici e sono sicuro che l’affetto visto sul palco è rappresentativo di una stima umana e professionale dimostratasi palpabile questa sera.

E così Di Giacomo saluta Di Cioccio e Di Palo a centro sala, che si guadagnano una buona dose di applausi.

                                                               Nico Di Palo tra il pubblico

Franz sale sul placo e ringrazia, dal luogo in cui, nel gennaio del 2007, aveva incantato il pubblico col suo“ceeeeellllleeeebreeeesssccciooooonnnnn”, distribuito per settori di pubblico.

E poi la musica. Pezzi antichi, come” R.I.P., La Danza dei Grandi Rettili, La Conquista della Posizione Eretta, Il Ragno, Emiliano, E mi Viene da Pensare”.

Due ore di musica di qualità, con emozioni che arrivano dai ricordi, dalla tecnica, e dall’amalgama dei protagonisti, vecchi e nuovi.
E tutti i passaggi sono sottolineati da urla di approvazione e dalle mani che battono, elementi che sembrano davvero dare soddisfazione a Rudy (così ho captato nel labiale di Nocenzi) e soci.
E poi il bis.
Inzia Maltese con un assolo pro Beatles e a lui si unisce Marchegiani, per l’inizio di un sorprendente blues.  A ruota Nocenzi e Ricci, ma…manca il batterista.
Vittorio chiama Franz e Franz risponde.
Ed ecco una jam con un Di Cioccio scatenato che riempie la scena.

E’ il gran finale e non posso fare a meno di pensare che il “sembrar quasi per caso sul palco” di Francesco rechi in se una contraddizione.

Se è vero che il pubblico è l’elemento portante del concerto, e interagisce con la band dando a lei energia, è altrettanto vero che la platea accumula e rilascia forza stimolata da qualcosa che non è necessariamente “la musica”.

Ho sempre definito Di Cioccio un animale da palcoscenico, un grande musicista capace di far saltare e di coinvolgere oltre misura il pubblico.
Forse il culmine si è toccato proprio nell’ultimo atto, nel momento “ibrido “della serata.
Grande merito va a quel gruppo di amici che, dal palco, ci hanno regalato emozioni che non hanno niente a che vedere con la nostalgia del tempo passato.




giovedì 3 aprile 2008

The Pretty Things



Ho scoperto casualmente il vecchio gruppo dei “Pretty Things” e propongo qualche nota su di loro.
I Pretty Things, nella prima metà dei '60, hanno conteso agli Stones, insieme ad Animals e Yardbirds, lo scettro di miglior band beat/r&b della nascente scena rock britannica, in virtù di un grande e selvaggio cantante, Phil May, e di un chitarra solista, Dick Taylor, che dava lezioni di blues a Keith Richards ed Hilton Valentine.
Si formano nel 1963 nel Kent, in Inghilterra, in pieno periodo della British Invasion.
Dopo un apprendistato di due album dedicati a cover , e dopo l’ ottimo “Emotions”, nel quale cercavano attraverso un beat trasversale nuove direzioni melodiche e compositive ,scrivono con “S.F.Sorrows” un pezzo di storia rock ,incidendo l'antesignano di concept-album, ormai prossimo all’arrivo ( "Tommy" degli Who ed "Arthur" dei Kinks).
Lo riproporranno dal vivo agli Abbey Road studios nel 2003 .
Sto citando la prima opera rock della storia della musica!
Vennero alquanto ignorati dal grande pubblico, ma la band continua ancora oggi.
E’ infatti del 2007 l’uscita di un nuovo disco (senza che lo spirito originario sia andato perso) dell'unica band della 60s "British Invasion", che suona ancora con la line-up originale (unica eccezione il chitarrista Frank Holland con loro dal 1992) .
Il titolo del loro nuovo lavoro è” Balboa Island”.

Giudizio scovato on line:

Dopo alcuni ascolti, nonostante uno spirito autocelebrativo un pò accentuato, speri che May, Taylor e c. non saranno così cinici dal farci aspettare altri otto anni per regalarci un altro timeless album così denso e generoso.
Si astengano i fans ad oltranza delle nuove fatue bands-meteora britanniche
”.

Ed ascoltiamo una splendida "Midnight to Six Man "




martedì 1 aprile 2008

Debora e Augusto Daolio




Oggi parlerò dei Nomadi e della mia amica Debora.
I Nomadi sono forse il primo gruppo italiano che ho ascoltato e inquadrato in uno spazio alternativo al costume dell’epoca.
Parlo, credo, del 1964 ed io avevo 8 anni.
I miei genitori avevano stretto amicizia con una famiglia “emigrata” in Liguria , ed impegnata nel campo della maglieria.
Il paese di origine era Novellara e pare che il fratello di Cicci, questo era il nome della donna, fosse in confidenza con il gruppo dei Nomadi (non so esattamente con chi).
Nel solito registratore a bobine, di cui spesso parlo, e che ancora posseggo, c’erano cinque canzoni che ricordo ancora perfettamente.
Due di queste erano “Come Potete Giudicare” e “Noi non ci Saremo”.
Nella mia visione , i Nomadi erano soprattutto Augusto Daolio.
Poi Augusto è scomparso ed i Nomadi sono ancora lì a dispetto del tempo che passa.
Sono spariti i Camaleonti, l’Equipe 84, i Dik Dik, ma i Nomadi no, nonostante il ricambio generazionale.
Non mi sto a chiedere il perché e sinceramente non li seguo più da molto tempo , ma l’essere ancora attivi , a distanza di anni, ha sicuramente una motivazione importante.
Ma io continuo nell’equazione Nomadi=Augusto .
A lui si intitolano strade e piazze, e nel suo ricordo nascono manifestazioni, feste, celebrazioni.
La mia amica Debora e’ rimasta folgorata dalla figura di Augusto e dai Nomadi , e nel suo sito(http://www.galadriel.biz/index.htm) ci sono numerose pagine a loro dedicate, che consiglio di guardare.

Ho preso in prestito da
le considerazioni di Simonetta Pagnotti.

La sua tomba è qualcosa di più di un mausoleo. Augusto Daolio, il fondatore dei Nomadi scomparso nell'ottobre del '92 dopo una fulminante malattia, a 45 anni, è sepolto nel cimitero del suo paese, a Novellara, nella bassa padana, "tra la via Emilia e il West".
Cantava da quando aveva 16 anni.
Allora i Nomadi si chiamavano i Monelli. Poi venne l'incontro con Beppe Carletti, la scelta di un nome che è diventato un mito, le canzoni di Francesco Guccini, allora un illustre sconosciuto, che Augusto legò per sempre alla sua immagine, da "Dio è Morto" fino a "Canzone per un'Amica" .
Sono motivi che hanno segnato un'epoca: per lui non solo parole ma un programma di vita. Libertà, amicizia, rifiuto della banalità e delle ipocrisie. Il meglio degli ideali dei figli del '68 che Augusto ha continuato a cantare anche quando non erano più di moda, facendoli conoscere a migliaia di giovani che ancora oggi, sei anni dopo la morte, gli testimoniano un affetto smisurato.
La sua tomba è inconfondibile. Semplicissima, in mezzo al prato dove sono sepolti i bambini, scolpita da uno scultore amico con i simboli del viaggio di un cacciatore, letteralmente sommersa dalle testimonianze di un vero e proprio pellegrinaggio.
"Specialmente d'estate e durante le vacanze di Natale è un flusso continuo", spiega con molta semplicità la compagna della sua vita, Rosanna Fantuzzi, per tutti "la Rosy", mettendo un po' d'ordine nel delirio di oggetti: pupazzi, anelli, collanine, portachiavi, accendini, cuori e messaggi appesi agli alberi.
"Sei un mito", "Sempre Nomadi", "Semplicemente grazie: le tue note mi guidano nella vita".
Soprattutto, come una bandiera, le parole di quello che era diventato l'inno dei suoi concerti, che suonano come un testamento"Io, vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho, ma lassù m'è rimasto Dio".
Probabilmente è proprio questo il segreto di Augusto. Un grande desiderio di libertà unito a una gran voglia di comunicare.
Antidivo per eccellenza, poco o niente attaccato al denaro, "gli dava fastidio persino andare in banca”, spiega Rosy, faceva fino a 200 concerti l'anno, aborrendo le scenografie complicate e scegliendo, d'istinto, le piazze di paese.
Augusto si è speso fino all'ultimo. Finché c'era anche una sola persona ad aspettarlo, per parlare con lui, chiedergli un consiglio, o anche solo un autografo, lui non andava via.
Anche negli ultimi mesi, quando già stava male".
Spontaneamente, dalle offerte che sono arrivate dai suoi fan dopo il funerale, è nata l'associazione "Augusto per la vita", che devolve fondi per la ricerca sul cancro.
Il primo seme di una solidarietà che continua col gruppo di Beppe Carletti. Anche lui continua ad abitare a Novellara, poco distante dalla casa di Augusto. I ragazzi che vanno a trovarlo al cimitero passano sempre da casa sua...

Debora aveva un proposito che sta per realizzare: organizzare “a casa sua” una serie di manifestazioni, illustrate nelle righe a seguire.

Programma mostra ed eventi

SABATO 26 APRILE 2008

Ore 15,30 VISITA GUIDATA ALLA SCUOLA DI BARBIANA.

Sulle pendici del Monte Giovi, a pochi chilometri da Vicchio si trova Barbiana dove Don Lorenzo Milani arrivò nel 1954.
La scuola di Barbiana rappresentò una delle più importanti esperienze educative del nostro paese: sconcertò e stimolò il dibattito pedagogico anche attraverso opere come “L’obbedienza non è più una virtù” e “Lettera a una professoressa”..
Ancora oggi l’esperienza di Don Milani e della sua Scuola, continuano ad essere modelli di riflessione e di stimolo a trasmettere saperi critici che formino “cittadini sovrani” e ad affermare principi di equità e solidarietà contro ingiustizie e discriminazioni. Barbiana è stata recentemente restaurata e, seppur dotata di servizi adeguati alla vita quotidiana, è rimasta un ambiente povero e severo che continua a lanciare messaggi importanti e a dare intense emozioni a coloro che la visitano

Ore 18,00 BIBLIOTECA COMUNALE inaugurazione della Mostra:
” AUGUSTO DAOLIO … DIPINGE. “

Con Rosanna Fantuzzi compagna di vita dell’artista.
ll sindaco Elettra Lorini e l’assessore alla cultura Francesca Landini , del comune di Vicchio.
Alessandro Marchi, assessore alla cultura della Comunità Montana Mugello.
Orari di apertura : Lunedì ,mercoledì ,venerdì e domenica : 15:00-19:00
Martedì ,giovedì e sabato 9:30-12.:30 e 15:00-19:00

MERCOLEDI’ 30 APRILE

Ore 21,15 TEATRO GIOTTO , piazzetta dei Buoni VICCHIO
“MUSICA PENSIERI E PAROLE DI AUGUSTO DAOLIO”
Con Rosanna Fantuzzi e cover Nomadi del gruppo musicale “ARABA FENICE” (www.myspace.com/arabafenicefolk)

GIOVEDI’ 1 MAGGIO

Ore 8,30 CIRCOLO DI CASOLE – VICCHIO

“UN SENTIERO PER AUGUSTO”

MAGNALONGA DEL PRIMO MAGGIO 2008

Golosa passeggiata nel verde del Mugello,con pane ,vino,
formaggio,finocchiona…musica, arte e mercato della terra.
Per informarzioni e prenotazioni rivolgersi a : Arcobaleno Sport-Vicchio (fi)

Tel e Fax 0558448155 -3382556304
Studio Noferini -Borgo San Lorenzo(fi) Tel .055 8495894

DOMENICA 11 MAGGIO

CHIUSURA DELLA MOSTRA

PIAZZA GIOTTO : FESTA DI PRIMAVERA

Mercato dei fiori ,e nel pomeriggio intrattenimento musicale .

INCONTRI SULLA PREVENZIONE a cura della” Lega Italiana per la lotta contro i tumori”, sezione di Borgo San Lorenzo,
in data da definire. Per informazioni rivolgersi all’ufficio cultura del comune di Vicchio.

INFO: Biblioteca Comunale 0558448251
Ufficio Cultura Comune Vicchio 0558439224
Pro Loco Vicchio 0558448720
Ufficio Promozione Turistica Comunità Montana Mugello Tel.055 845271
Fans Club Mugello Nomade 347 7812073

Link:



E

Citazione del giorno:

"Apri il cuore e accontentati di quello che la vita ti concede. Siamo tutti invitati alla festa della vita, dimentica i giorni dell'oscurità, qualsiasi cosa possa essere successa non è la fine." (Augusto Daolio)