sabato 30 aprile 2011

Procession



Marcello Capra mi ha raccontato qualcosa dei Procession.

Nascono il 1° gennaio 1971, dopo un capodanno a suonare fino all'alba, io e Angelo Girardi, il bassista che suonava con me sin dai tempi dei Flash; invitiamo a casa mia Gianfranco Gaza, vocalist, e Ivan Fontanella, drummer, che a loro volta suonavano insieme negli Ox. Stabiliamo un programma di prove per due mesi e mezzo circa, in una sala insonorizzata nel magazzino di mobili del padre di Gianfranco; per un anno suoniamo covers dei Free, Led Zeppeling, Black Sabbath, Deep Purple ecc. in molti locali del Piemonte come gruppo di attrazione, così si diceva allora. Decidiamo nella primavera del 1972 un cambio di formazione: al posto dell'organista Mario Bruno subentra Roby Munciguerra che si porta il drummer Giancarlo Capello; cominciamo a suonare pezzi nostri con l'utilizzo di due Gibson Les Paul, diverse chitarre acustiche e mandolino elettrico, testi in inglese; contattiamo Pino Tuccimei, impresario molto noto all'epoca. Viene a Torino con la sua compagna, Marina Comin, fotografa e autrice di testi, e subito si manifesta una bella intesa.
Prima dell'incisione si presenta l’occasione di fare alcune date importanti in vari festivals, e la presentazione, nel novembre 1972 al Piper di Roma, di "Frontiera". Avevamo un vocalist eccezionale che poi nel 75 entrerà negli Arti e Mestieri. Io purtroppo ricevo la cartolina per partire militare e nel giugno 1973 perdo tutto per quindici lunghi mesi. Al ritorno il gruppo ormai si era sciolto dopo un secondo album, "Fiaba".
Avrei ancora molto da raccontare, ad esempio sulle nostre influenze classicheggianti, dovute all’ influenza dello studio di contrabbasso al conservatorio che io ed Angelo frequentavamo; Roby aveva un magnifico suono con Gibson e Marshal, io invece utilizzavo un Vox 50 watt con testata e un Fender 70 abbinati insieme; Gianfranco aveva un microfono prediletto che sua madre, con la quale sono sempre in contatto, mi ha regalato come ricordo, e che ancora tengo in una piccola teca appesa al muro: troppo prematura e' stata la sua morte! Avevamo chitarre Yamaha acustiche che elettrificavamo solo con microfoni dell'impianto, non esistevano ancora le Ovations. Ascolta “Frontiera”, lo trovi in pezzi su youtube; abbiamo avuto diverse ristampe, posseggo anche una edizione giapponese...”
Ecco come vengono ricordati sul sito http://www.italianprog.com/it/

Due album molto diversi da due gruppi quasi totalmente diversi, è tutto quello che ci hanno lasciato i Procession.
Il gruppo torinese ha realizzato il primo album Frontiera nel 1972 per la piccola etichetta Help (una sussidiaria della RCA che pubblicò anche il primo album di Quella Vecchia Locanda), un bel disco che si può definire di hard prog. Con una formazione con due chitarre, basso e batteria, e l'originale voce in falsetto del cantante Gianfranco Gaza, il gruppo suona un ottimo hard rock con influenze progressive e passaggi acustici. Non particolarmente originale, l'album ha alcune ottime parti ed è molto raro.

Il gruppo ritornò nel 1974 con una nuova formazione e un nuovo contratto, con la Fonit che realizzò il secondo album Fiaba. Lavoro molto maturo, molto più originale del primo e più in stile sinfonico con grande uso di sax e flauto, l'album comprende la partecipazione di ospiti come il batterista Francesco Froggio Francica (ex-Raccomandata con Ricevuta di Ritorno), il tastierista dei Delirium Ettore Vigo e la cantante dei Circus 2000 Silvana Aliotta, mentre per i concerti venne usato il batterista Roberto Balocco (ex-Capsicum Red).

Nonostante una buona reputazione in concerto, i Procession non hanno mai ricevuto il meritato successo, e pur avendo pubblicato due album, decisero di sciogliersi nel 1975.
Il cantante Gianfranco Gaza ha fatto parte degli Arti & Mestieri nel 1975 per il secondo album Giro di valzer per domani.
Il chitarrista originale Marcello Capra, dopo aver lasciato il gruppo ed aver suonato con Tito Schipa Jr., ha pubblicato alcuni album, prevalentemente per sola chitarra acustica.
Il sassofonista Maurizio Gianotti ha suonato più tardi con il gruppo jazz-rock torinese Combo Jazz.

Una nuova formazione dei Procession è stata formata per alcuni concerti da Roby Munciguerra nel 2006, con Samuele Alletto (voce e flauto), Stefano Carrara (tastiere, chitarra 12 corde), Enzo Martin (basso) e Max Aimone (batteria, già con Venegoni & Co.). La stessa formazione ha realizzato un nuovo CD nel 2007, intitolato Esplorare, che contiene quasi tutti i brani dei due LP originali del gruppo, Frontiera e Fiaba, ri-registrati dalla nuova band, oltre ad un inedito.

Roba da collezione!
Entrambi gli album dei Procession sono molto rari e costosi, soprattutto il primo, probabilmente a causa della tiratura e distribuzione limitata.

Nel 1989 e' uscita in Giappone la prima ristampa CD di "Frontiera" per BMS Music e due ristampe nel 1993 e nel 2000 di Vinyl Magic.

Frontiera è anche stato pubblicato dalla Help in una curiosa copertina a forma di valigia; la copertina apribile ha gli angoli arrotondati e due piccole maniglie pieghevoli. 
È stato ristampato in Germania in 2003 (per la Phantastic Plastic, n. 749100), per la prima volta in vinile e con la stessa copertina dell'originale.
Una nuova ristampa, ufficiale, è uscita in Italia nel 2007 con copertina apribile senza maniglie e vinile bianco.
Nel 2009 è uscita in Giappone, per la Belle Antique, una ristampa in CD (n.BELLE 091629) che riproduce fedelmente la copertina originale con maniglie.


Fiaba è uscito per la rara serie Fonit LPQ, tutti gli album con questi numeri di catalogo sembrano essere stati stampati in un numero molto basso di copie, da qui il loro prezzo piuttosto alto. L'edizione originale ha la tipica copertina laminata di molte produzioni Fonit.
Esiste una ristampa contraffatta di questo disco, ma è riconoscibile facilmente dalla copertina lucida ma non laminata (per laminatura si intende una pellicola di plastica trasparente) e dall'etichetta liscia (mentre le etichette originali Fonit sono ruvide) con numero di matrice scritto in caratteri a mano accanto al bordo dell'etichetta sul vinile (gli originali lo hanno con caratteri regolari scritti a macchina) e senza timbro SIAE sull'etichetta, che c'è nell'originale e ha preso un colore quasi giallo dorato in controluce.
Fiaba è stato anche ristampato ufficialmente nella serie di uscite Fonit/Vinyl Magic con numero di catalogo LPP ed etichetta celeste, e di nuovo, nel 2008, dalla BTF.

Un 45 giri promozionale è uscito in Giappone nel 1987 con Fiaba dei Procession insieme a King's road dei Delirium (Nexus/King 7SSY-16).

FORMAZIONI


1972
Gianfranco Gaza (voce, armonica)
Roby Munciguerra (chitarra)
Marcello Capra (chitarra)
Angelo Girardi (basso, mandolino)
Giancarlo Capello (batteria, percussioni)



1974
Gianfranco Gaza (voce)
Roby Munciguerra (chitarra)
Maurizio Gianotti (sax, flauto)
Paolo D'Angelo (basso)


mercoledì 27 aprile 2011

Ian Anderson e Cady Coleman in un duetto spaziale...



Ho trovato la seguente notizia su ITULLIANS, sito italiano del fan club dei Jethro Tull, di cui faccio parte.
Davvero originale!

Los Angeles - (KIKA) Ian Anderson duetta con Cady Coleman, astronauta sulla Stazione Spaziale Internazionale e flautista per diletto. Lui le aveva regalato il suo strumento e lei ha portato il flauto traverso nello spazio aspettando proprio un'occasione come questa. L'astronauta Cady Coleman, in orbita sulla Stazione spaziale internazionale dal dicembre scorso, ha così coronato il sogno di ogni flautista amante del rock: suonare assieme al leader dei Jethro Tull, Ian Anderson. Il musicista era con i piedi saldamente piantati a terra mentre il colonnello qualche centinaio di chilometri oltre l'orbita terrestre, priva di gravità.

Così la Nasa ha pensato di farla duettare con il celebre leader dei Jethro Tull, per il primo concerto Terra-Spazio della storia ed i due hanno eseguito uno dei più celebri successi del gruppo: Bourèe.

Oltre al proprio flauto traverso e a quello regalato da Anderson, la Coleman se ne è portati sullo spazio altri due, ricevuti dalla band irlandese dei Chieftains. L'originale duetto e' stata anche l'occasione per celebrare il 50esimo anniversario del primo volo nello spazio di un uomo, quello effettuato da Yuri Gagarin.
Noi del "giro", del resto, lo sapevamo già che Anderson era un flautista... spaziale!!


martedì 26 aprile 2011

"Clapton is God"


Pochi giorni fa, esattamente il 30 marzo, Eric Clapton ha compiuto 66 anni. Sono un po’ in ritardo negli auguri, ma mi era “passata” davanti la data e non l’avevo afferrata, ma ogni occasione è buona per esaltare i miei miti musicali. Lo ricordo con un post di qualche mese fa, quando avevo commentato la sua autobiografia.
Ho appena terminato di leggere la l’autobiografia di Eric Clapton, pubblicata tre anni fa.
Mi intrigano le vicende dei musicisti che seguo da una vita, e mi piace saperne di più sugli aspetti più “neri”, che un tempo si potevano solo intuire, ma oggi sono alla portata di tutti.
Si apprende di un determinato episodio e si va si youtube alla ricerca dell’evento, o del periodo relativo, e si cercano conferme, ad esempio, del particolare stato di forma dell’artista.
La correlazione tra mito musicale e prezzo pagato per diventare tale, porta a chiedersi:” Ma ne valeva la pena? Non era meglio essere un comune cittadino?”
La vita di Eric, o di qualunque altro artista del suo calibro, non può essere contenuta in un libro.
Un uomo che passa lustri in giro per il mondo, potrebbero scriverne dieci, di libri. Clapton forse … cento.
E’ un intreccio di esperienze, di conoscenze, di disavventure, di morti e nascite che sembrerebbero il sunto di più vite vissute.
Emerge il ritratto di un uomo tutto sommato sfortunato e questo giudizio, probabilmente non condivisibile, è legato alla mia convinzione che ci sia uno stretto legame tra normalità e serenità, ma e ovvio che esiste chi è più incline al “giorno da leone, piuttosto che…”, come è altrettanto sicuro che certe cose non si scelgono, ma si rimane coinvolti, magari molto giovani, e uscire dall’ingranaggio è impossibile, ammesso che si comprenda la situazione di grande pericolo. Come avrebbe potuto pensare Eric Clapton, a vent’anni, quando i muri di Londra erano pieni zeppi di “Clapton is God”, che la musica sarebbe stata solo un mezzo per alleviare le sue sofferenze, che da lì a poco sarebbero diventate la costante dei successivi venti anni?!
Un confortante luogo comune ci indica che la vita incomincia a quarant’anni, e nel caso di Clapton è un dogma con una piccola correzione …”ricomincia a quarant’anni”.
E’ quello il momento che coincide con la sobrietà, e con la consapevolezza che la normalità di una famiglia e l’aiuto verso il prossimo danno dignità a un’esistenza per lungo tempo “bruciata”.
Ora Eric ha una moglie con cui cresce le sue figlie, nella sua casa di sempre, ed è in grado di apprezzare le piccole cose, come la caccia e la pesca, ma soprattutto la contemplazione della sua famiglia, finalmente un vero rifugio. Ed è bello poltrire, ed è sempre più faticoso girare in tour, lontano dai veri affetti.
E’ una storia di amicizie, di amori e forti dolori.
Si delinea la figura di un uomo ombroso, innamorato di sé e incapace di coltivare un rapporto con una donna, toccato dalla più grande disavventura che si possa patire, la perdita di un figlio.
Preso da forti passioni, quei fermenti che lo porteranno a strappare Patti a George Harrison, troverà rifugio dai disagi infantili nelle sue dipendenze, che condizioneranno tutta la sua storia.
La seconda parte del libro, quella in cui si descrive il recupero, diventa quasi una mera cronologia di eventi, con la descrizione di dettagli apparentemente inutili, ma si può immaginare con quale gioia e con quale trasporto Clapton abbia voluto soffermarsi su ciò che un tempo non avrebbe mai apprezzato e che ora diventa la base della sua vita futura.
L’immagine finale lascia tuttavia un po’ di amaro in bocca, e quella particolare età che normalmente diventa un problema per molti, sessantadue anni, per lui , con alle spalle una vita vissuta sempre al limite, appare presentare un conto salato. Eric si descrive infatti come “pesante” e fuori forma, quasi completamente sordo, incapace di dormire se lontano da casa, insofferente al di fuori del suo habitat naturale.
Ma come lui stesso indica con amarezza la sua priorità non è la famiglia, come sarebbe lecito aspettarsi, ma la sua sobrietà, perché senza quella non ci sarebbero i presupposti per proseguire a vivere la sua seconda vita, quella che prevede i binari della normalità e dell’aiuto verso il prossimo.
Chissà se riusciremo ancora a godere della sua musica dal vivo?!

Per ricordare il periodo ho riesumato un articolo di Gianni Lucini.


The Rainbow, Londra, 13 gennaio 1973

All’inizio degli anni 70, le sparizioni improvvise delle rockstar non erano più una novità. Bob Dylan sfruttò un incidente motociclistico come pretesto per tre anni di assenza dalle scene fra il 1966 e il 1969. I Beatles sfuggirono alle pressioni della celebrità post Sgt Peppers per ritirarsi in un eremo alle pendici dell’Himalaya con il Maharishi. Ma la fuga dalla notorietà che Eric Clapton si era imposto era sfociata nell’incubo di una tossicodipendenza che minacciava di distruggergli non solo la carriera ma anche l’esistenza. “Entrare nel buio fu una necessità”, avrebbe spiegato tempo dopo.
L’amico chitarrista dei Who, Pete Townshend, molto colpito dalle recenti morti di Brian Jones e Jimi Hendrix, si rese ben presto conto della piega che stava prendendo la situazione e lo stesso fece Lord Harlech, padre di Alice Ormsby Gore, all’epoca fidanzata di Clapton. Insieme i due elaborarono un piano per far si che “Dio” ritornasse al lavoro.
Dopo una settimana di prove nella casa di Ron Wood a Hampton Court, Eric Clapton si presentò sul palco del Rainbow di Londra insieme a uno strepitoso cast di accompagnatori fra cui Jim Capaldi, Steve Winwood, Ric Grech e Reebop, oltre naturalmente a Townshend e Wood. Anche fra il pubblico spiccavano volti noti come quelli di Paul e Linda McCartney, Elton John, Joe Cocker e Jimmy Page, ansiosi come gli altri 2000 spettatori di rivedere all’opera il guru della chitarra.
Date le precarie condizioni del protagonista della serata, sempre sul punto di dare forfait, venne deciso di battezzare l’improvvisato gruppo di musicisti con il nome di “ Palpitation”. E le palpitazioni ci furono davvero, visto che Clapton si presentò in teatro pochi secondi prima di andare in scena. Barbuto e appesantito rispetto all’ultima apparizione in pubblico, il chitarrista esordì sulle note di “Layla” e a quel punto tutti cominciarono a rilassarsi.
Fu un concerto storico ma non strepitoso, come riconobbe anche l’interessato, che lo avrebbe poi definito “molto sotto alla media”.
L’abbondanza di chitarre sul palco appiattì un po’ le parti strumentali di Clapton, mentre minori attenzioni ricevette la voce, divenuta più calda e sommessa.
In quel momento la cosa più importante era averlo recuperato alla musica.

Tratto dal libro “I was there-Gigs that changed the world”, di Mark Paytress



Un nuovo Eric Clapton

lunedì 25 aprile 2011

Tanti auguri (e intervista) a Glenn Cornick



Ha appena compiuto 64 anni Glenn Cornick, nato a Barrow-in-Furness, il 23 aprile del 1947.
Glenn è stato il primo bassista dei Jethro Tull e ha contribuito alla realizzazione dei primi tre album, abbandonando la band nel 1970, dopo l'uscita di “Benefit”.
In quell'anno effettivamente era venuta a galla una sorta di incompatibilità di carattere fra Cornick e gli altri membri del gruppo i quali avevano uno stile di vita totalmente diverso dal suo, essendo Cornick più incline per natura al divertimento e alla ribellione. Fu per queste ragioni che il manager Terry Ellis lo invitò ad abbandonare la band, non prima però di averlo aiutato a trovarne un'altra, i Wild Turkey, che ebbero un discreto successo all'epoca e comparvero anche come gruppo di supporto nei concerti dei Tull.
In seguito si spostò a Berlino per poi stabilirsi negli States dove incontrò Bob Welch, ex dei Fleetwood Mac, e con cui lavorò fino al 1977, anno in cui Cornick abbandonò il mondo della musica per circa dieci anni, diventando manager di un'impresa alimentare. Attualmente Cornick è ancora impegnato musicalmente in diversi progetti lavorando anche con alcuni membri dei vecchi Wild Turkey con i quali ha pubblicato altri tre album(wikipedia).
Io avuto l’opportunità di conoscerlo, ed è stato gratificante realizzare con lui un’intervista.
Era il 2007, ma mi sembra comunque un documento interessante da riproporre.
Tanti auguri Glenn.
Scrivevo in quel lontano mese di marzo...
Ho conosciuto Glenn Cornick nel settembre scorso, alla Convention dei Jethro Tull a Novi Ligure. Conosciuto e’ una parola grossa.
Diciamo che ho ottenuto un autografo, mi sono fatto fotografare con lui, e la sua disponibilità ha fatto si che nei mesi successivi io abbia provato a scrivergli per stabilire un contatto.
Non avevo scopi particolari, tranne il piacere di avere un punto di incontro con un ex Tull, il gruppo della mia vita.
La sua cortese risposta ha confermato le mie prime impressioni e mi ha incoraggiato a porgli qualche domanda.
L’esigenza nasce dalle mie recenti letture sul mondo della musica , letture che hanno fatto scaturire qualche quesito che richiedeva la risposta di un esperto.
Ma non di uno di quei giornalisti che, beati loro, sanno tutto di tutti, ma di uno che ha vissuto i fasti del rock anni 70 e che ancora continua a vivere immerso nella musica.
Gli scrivo e gli propongo l’intervista via mail .
Mi risponde in modo solerte e prende il tempo tecnico per dirmi la sua.
Lo fa in due puntate, ma nello spazio di una settimana completa il lavoro.
A me francamente sembra incredibile e non posso fare a meno di notare sul desk top del mio PC (anche mentre scrivo, adesso) che lui era accanto a Ian Anderson, Martin Barre e Clive Bunker, sul palco dell’isola di Wight, quando io iniziavo ad avvicinarmi concretamente alla musica.


Grazie Glenn per la tua disponibilità. Partiamo con qualche domanda di carattere generale.
Da un po’ di tempo mi sto dedicando a letture relative ai grandi musicisti nati alla fine degli anni 60, alcuni dei quali ancora in piena attività..
Emerge come tantissimi musicisti di valore siano nati nello stesso periodo, magari compagni di scuola.
Come spieghi questo prolificare di talenti musicali, nello stesso periodo, tutti arrivati al successo e tutti a cavallo tra il 60 ed il 70?
Quali differenze ci sono oggi rispetto ad allora?
Ora tutti hanno a disposizione un enorme quantità di materiale e molte possibilità.
Noi agli inizi non sapevamo molto e dovevamo reinventarci ogni giorno, per poter proseguire.
Per questo motivo uscivano fuori un sacco di nuove idee.
E’ molto più difficile ora, dal momento che negli ultimi 40 anni e’ stato fatto tantissimo.
Inoltre, in quei giorni c’era un grande palcoscenico musicale per chi intendeva sviluppare nuove idee e tutti i musicisti erano amici ed era consuetudine incoraggiarsi l’un l’altro, traendo da ciò grande ispirazione.

Le stesse letture forniscono un altro elemento comune (forse i Tull erano differenti in questo) e cioè la vita dissoluta, piena di eccessi, senza nessuna cura della propria salute fisica e mentale.
Credi che questa sorta di autodistruzione fu per molti un passaggio obbligato per raggiungere il successo?
Pensi che l’abuso di sostanze illegali fosse giudicato dagli artisti necessario per migliorare le performance e la creatività?
J.T. e’ stato un gruppo molto”pulito”.
Quasi nessuna droga e pochi party.
Se così non fosse stato non avremmo potuto sopravvivere.
Quando eravamo in tour in America suonavamo in 30 città diverse in 30 giorni.
Dovevamo tornare in hotel attorno alle 23 ed alzarci al mattino alle 6 per la colazione e subito in aeroporto per un altro volo in una nuova città.
Appena atterrati ci recavamo nel luogo in cui ci saremmo esibiti la sera, per assicurarci che ogni cosa fosse a posto e fare il sound check.
Dopo tutto questo rimanevano 3 o 4 ore per riposare nel pomeriggio, in un hotel che poi lasciavamo alle 19, per tornare “al lavoro”.
Come puoi intuire, non avanzava tempo per qualsiasi altra cosa che non fossero i concerti e la loro preparazione.
Non posso parlare per gli altri, ma io suono meglio quando ho il pieno controllo di me stesso.
Mi piace bere 1 o 2 birre prima di salire sul palco, ma non più di questo.
Ho visto molti amici morire a causa dell’abuso di alcool e droga, e questo mi rattrista, ma devo pensare che sia stata una loro scelta.

E ora qualcosa di più personale.
In Wikipedia, alla voce Glenn Cornick”, e’ raccontata la storia secondo cui la tua separazione dai Tull avvenne per una sorta di incompatibilità di carattere tra te e gli atri membri del gruppo che avevano un stile di vita totalmente differente dal tuo, essendo tu più portato al divertimento e alla ribellione”.
Cosa significa questo, ammesso che sia vero: estrema rigidità di comportamento da parte del resto della band, difficoltà di coabitazione con Ian o desiderio di provare a “camminare da solo”?
Non mi e’ mai stato detto il motivo per cui sono stato licenziato dalla band.
Certo, avevo molta voglia di divertirmi,ma questo non rappresentava un problema per gli altri, tranne che per Ian.
Clive e John sono ancora due tra i miei migliori amici e mi piace molto Martin, sebbene non abbia molte occasioni per vederlo.
E’ stato detto che ero una persona incline alle feste, ma se guardo all’evoluzione del gruppo nel corso degli anni, mi vengono in mente persone dedite ad alcool, alla droga e “cacciatori di femmine” che mi hanno superato e sono andati ben oltre il mio limite massimo.

Quale pensi sia stato in assoluto il miglior momento dei Jethro Tull?
Secondo me il periodo migliore e’ quello dei “miei” ultimi mesi, quando abbiamo fatto “Benefit” e abbiamo suonato alla Carnagie Hall e alll’Isola di Wight.
La mia uscita e’ coincisa con la chiusura di un ciclo ed il passaggio dei J.T. da Rock and Roll band a gruppo immerso nel grande circo dello show businnes.

E quale il miglior bassista?
Scusami, ma per la musica dei J.T. nessuno e’ stato meglio di me.
Una volta qualcuno mi chiese in quali canzoni dei Tull avessi suonato ed io risposi:”Se ascoltando una canzone dei J.T. senti il basso cantare, allora sono io che suono”.

Ti ho visto suonare alla Convention di Novi con alcuni dei tuoi ex compagni , ma anche con John Weathers, ex Gentle Giant.
Come nascono queste collaborazioni tra musicisti?
E’ solo rispetto e stima o gioca un ruolo importante l’amicizia?
Pugwash fu il primo batterista dei Wild Turkey prima di passare ai Gentle Giant , così suonare con lui alla Convention e’ stata una specie di riunione.
Tu sai che ora soffre di sclerosi multipla e quindi non può occuparsi in toto della batteria e questo e’ il motivo per cui ha suonato le percussioni.
E’ stato il mio batterista preferito, da sempre.
E poi e’ sempre divertente suonare con vecchi amici.

Esiste l’amicizia nel mondo della musica rock?
Si, sebbene non penso ci siano molte opportunità attualmente, dal momento che non ci sono molti posti, club o altro, dove i musicisti posso incontrarsi.
Nel 1969 a Londra, ogni musicista era amico di ogni altro musicista e ognuno cercava di vedere le performance degli altri, aiutando chiunque ne avesse bisogno.
Era veramente come una grande famiglia .
In USA avevamo uno speciale legame di amicizia con Mountain ed eravamo soliti arrangiare i nostri pezzi assieme. Un giorno chiudevamo il loro show ed il giorno dopo loro chiudevano il nostro. Non c’era competizione tra noi.

Per molti anni sei stato fuori dallo star system. Perchè?
Mancanza di motivazione e delusione o le tue priorità sono cambiate e hai preferito dedicarti alla famiglia?
Non ho mai smesso di suonare, ma, sfortunatamente, non sono riuscito a trovare nessun grande progetto a cui lavorare.
Negli ultimi 30 anni ho spaziato in tutta la California, seguendo progetti differenti e divertendomi un sacco a suonare.

Che cosa hanno rappresentato per te i Wild Turkey e che cosa rappresentano in questo momento?
Wild Turkey e ‘stata davvero la mia chance di fare la musica che amo e mi ha dato l’opportunità di suonare con grandi musicisti.
Nel nuovo album ,ho potuto scrivere quasi tutti i pezzi e ho anche disegnato la cover e così e’ diventato un vero progetto personale.

Come è oggi il tuo rapporto con Ian Anderson?
Non siamo mai stati amici intimi, sebbene non ci sia mai stato un rapporto… sgradevole tra di noi.

Ho sentito differenti definizioni di “Progressive Music”.
Tu come lo definiresti?
Negli anni 60 e 70 il” progressive rock non era il genere il principale e quindi non era interpretato da tutti quelli che suonavano, ma oggi con questo termine si vuole identificare gruppi che suonavano o suonano canzoni molto complesse, divise in diverse sezioni spesso complicate, nella scrittura ed esecuzione.
Io non sono un amante del Prog Rock e non penso che tra le cose che ho scritto ci sia veramente musica prog, secondo gli standard tradizionali.
Preferisco le canzoni molto più dirette.
Io penso che sia molto più difficile scrivere canzoni corte , semplici, ma buone canzoni, e quello che cerco di fare e’ scrivere pop songs che possano durare nel tempo .

Pensi che i Jethro Tull possano essere stati considerati a tutti gli effetti una band di Rock Progressive, oppure.. come li definiresti?
Credo che nessuno dei pezzi dei Tull dei “miei tempi” si possa definire progressive secondo gli attuali canoni e fu soltanto con “Thik as a Brick” che J.T. diventarono una “prog rock band”.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Spero di poter continuare a suonare con i Wild Turkey.
Vorrei poter registrare molti album e fare molti tour.
Sento di poter scrivere come non ho mai fatto in vita mia e che l’ultimo album,”You and me in the Jungle” sia la cosa migliore che abbia mai fatto.

Un ultima domanda, qual e’ il tuo concetto di felicità, applicato alla musica?
Musica e felicità? La cosa più ’ importante e’ essere felice delle cose che suoni insieme alle persone giuste, ma onestamente e’ anche bello avere successo e anche.. fare un po’ di soldi.
Diventare musicisti di successo da l’opportunità di fare molte più cose e di investire in progetti diversi.

Ringrazio idealmente Glen Cornick , ma non posso rinunciare a proporre il suo pensiero su John Pugwash Weathers, sentimento già espresso in altra intervista, ma che lui ha voluto ribadirmi.

"Pugwash e’ di gran lunga il miglior batterista con cui io abbia mai suonato ed ho voluto coinvolgerlo in questo progetto sebbene, ovviamente , egli non possa suonare la batteria in maniera totale, per i problemi noti.
Ho avuto l’idea di utilizzare una sezione di percussioni nel mezzo della canzone “You and Me in the Jungle”, ma non avevo alcuna idea su come inserirla, così ho chiesto a Pug se avesse voglia di contribuire. E’ venuto in studio e, con l’aiuto di Clive, ha realizzato un grande arrangiamento.
E’ stata sua l’idea di aggiungere la slide guitar, così ha chiesto a Mick di provare qualcosa e ciò che si ascolta nel disco e’ la prima prova eseguita: il risultato fu talmente buono che non furono necessarie altre registrazioni.
Pugwash e’ a pieno titolo un membro del gruppo e viene a suonare con noi ogni volta che il suo stato fisico lo consente.
Ha grande talento ed e’ un meraviglioso aiuto per noi tutti".

Nel corso di questa intervista una domanda verteva sull’esistenza dell’amicizia nel mondo della musica rock e quest’ultima “immagine” dedicata a Pugwash mi pare sia davvero esauriente.
Oppure Glenn e’ davvero diverso?

domenica 24 aprile 2011

SBAND 2011-JU-BAMBOO 1° semifinale


Venerdì 22 aprile si è svolta la prima semifinale di SBAND 2011, manifestazione organizzata dal JU-BAMBOO di Savona.

Si sono esibiti, in ordine di apparizione:

Madame Blague

Rotten Apples

Experior

Sixtie Six

Biografia e immagini di Madame Blague e Experior sono già state inserite in post precedenti e sono fruibili al seguente link:


A seguire le notizie relative a Rotten Apples e Sixtie Six.

A fine articolo un piccolo video ci racconterà qualcosa della serata.
Rotten Apples


I Rotten Apples, nati in un garage dalla passione per la musica di sei ragazzi tra i diciassette e i diciotto anni, si presenta con una formazione assai inconsueta: alla voce uno street rapper e una melodica voce femminile, un batterista dedito al punk rock, un bassista dall'animo rock con influenze funky e due chitarristi, un brutale metallaro e un melodico bluesman.

Con questa line up dai toni contrastanti non poteva che sorgere un sound particolare, incentrato verso il punk-rock con ingerenze da tutti i componenti, una fusione epica di diversi generi.
Sixtie Six


I Sixtie Six nascono nel 2008 quando il chitarrista Luca Fracchia (Frash) , il batterista Gregorio Molinari (G), il bassista Mauro Perusino (Maurella) e Ares Garolla (Sasso) uniti da una vecchia e consolidata amicizia, seduti al tavolino di un bar nella ridente e solare Ibiza, in condizioni più che precarie, decidono di unirsi in una band e lanciarsi all'avventura nel mondo del Rock'n Roll. Dopo aver arruolato anche l'attuale primo chitarrista Daniele Donnarumma (Il Nanni) il gruppo trascorre un breve periodo alla ricerca di un cantante. Nell'estate 2009 entra a far parte dei 66 Nicolò Gaiero, detto The Voice! I SixtySix sono ormai al gran completo e sebbene siano alle prime armi con grande passione e impegno, dopo aver superato i primi problemi come molti gruppi agli esordi, stanno ora lavorando al loro primo singolo oltre ad una lunga lista di cover.

sabato 23 aprile 2011

Paolo Rigotto-Corpi Celesti


Corpi Celesti” è il primo album di Paolo Rigotto batterista ( ma non solo) torinese.
Un po’ di tempo fa scrissi (anche ) di lui in quanto membro dei Syndone, gruppo di cui presentati l’album “Melapesante”:


L’autobiografia di Bill Bruford ha “svelato al mondo” che il drummer di una band non è soltanto il 50% della sezione ritmica, ma il ruolo si è evoluto al pari degli altri strumentisti, anche se nell’immaginario comune il batterista( almeno quello del passato) è quello che ha meno idee compositive da condividere con i compagni di avventura. Concetto superato.
Giovane, ma non giovanissimo, Rigotto presenta qualcosa di originale, ironico, dissacrante e… preoccupante per le riflessioni a cui induce. Ho evidenziato l’aspetto anagrafico perché sembra palese la voglia di fare un primo bilancio, di uscire allo scoperto col proprio pensiero, e queste cose sono tipiche di un certo grado di maturazione personale.
Dieci brani “corti”, forse perché i messaggi e le denunce sociali hanno bisogno della “forma canzone”, con un unico filo conduttore che Paolo, forse per “nascondersi”, dice di aver scoperto solo alla fine.
Un concept album quindi, divenuto tale casualmente, e rinominato quindi “Casual Album”.
Rigotto sintetizza l’argomento topico come quello de”l’ambizione umana”.
“Ambizione e motivazione” vanno spesso a braccetto, e condizionano i movimenti dell’uomo, determinando molti dei successi che lastricano un percorso di vita. Ma l’ambizione spinta oltre il limite porta a comportamenti deteriori, e … a “La Fine del Mondo”, presentata nell’ultimo brano del CD.
Lo scorrere del tempo, raccontato in “Cronofilia”, scandisce ogni passaggio, ogni momento della giornata, ogni momento della vita, con la costante ricerca del benessere, che ogni tanto si può raggiungere (o è solo un’illusione?), ma non è mai duraturo. Pesante conclusione!
Corpi Celesti” non può quindi prescindere dalle liriche, e non è una regola scolpita nella pietra perché esistono “strutture musicali” che si reggono bene, forse meglio, senza testo.
La musica proposta sfugge, a mio giudizio, alle etichette conosciute. Pop, rock, elettronica, loop, tempi dispari…
Io conierei un nuovo filone, quello di “Musica Funzionale”, inventata apposta per il singolo messaggio, plasmata sul testo e sullo stato d’animo dell’autore che utilizza con forza l’arte dell’(auto) ironia.
Ho sentito qualche accostamento con Elio e Le storie Tese, ma la prima immagine che mi è venuta alla mente ascoltando l’album, è quella del Camerini di fine anni settanta, periodo in cui solo lui sapeva prendersi in giro con l’utilizzo del rock elettronico.
Ma forse l’intervista a seguire e l’ascolto di un brano potranno fornire l’aiuto necessario per una corretta lettura dell’album di Paolo Rigotto.



L’INTERVISTA

Leggendo le tue note biografiche mi ha colpito la tua precocità, il tuo “non uniformarsi” al gruppo, in età in cui identificarsi in qualcosa di consolidato sembra una necessità. Hai mantenuto nel tempo la coerenza di comportamento? Sei sempre rimasto legato a principi rigidi o sei dovuto scendere, a volte, a compromessi?

Possiamo dire che per molti anni ho fatto musica preoccupandomi molto poco di chi l'avrebbe ascoltata. Ho attraversato fasi di scoperta e sperimentazione che hanno portato, come tutte le sperimentazioni, a cose a volte interessanti e a volte improponibili. Oggi sto trovando una formula che concilia il mio desiderio di fare ogni volta qualcosa di nuovo (almeno per me) e al tempo stesso qualcosa che sia ascoltabile da un pubblico di ascoltatori il più eterogeneo possibile. Ma non lo definirei un compromesso, perché è esattamente ciò che voglio fare adesso.

Ho letto nomi altisonanti tra i tuoi “maestri”drummers. Esiste qualche musicista che non hai potuto conoscere direttamente, che è stato comunque fonte di ispirazione?

Quasi tutti i miei “miti” appartengono al periodo rock a cavallo tra i '60 e i '70, e in gran parte sono morti senza preavviso. Syd Barrett, Frank Zappa, Demetrio Stratos, Gaber, De Andrè, più molti altri che, anche se viventi, difficilmente mi capita di incontrarli facendo colazione al bar, tipo Brian Eno o Roger Waters. Ad ogni modo credo che tutto quello che un artista possa dare ad una persona stia nelle sue opere, che sono spesso l'aspetto migliore di una persona creativa.

Dalle tue note relative all’album, definisci “Corpi Celesti” come un lavoro che, “casualmente”, ha un unico filo conduttore, e il concetto di fondo potrebbe essere quello dell’ambizione, che muove il mondo, in qualsiasi rappresentazione del quotidiano. Io credo che “l’ambizione” sia importante, se moderata, ma vada trasformandosi in qualcos’altro, col passare del tempo. Secondo te, qual è la vera motivazione di chi decide tenacemente di vivere di sola musica(non basta la passione per poter sostentarsi)?

Spesso, almeno nel mio caso, si sceglie la musica perchè è l'unica cosa che si ha davvero voglia di fare. Più se ne ha voglia, più si è tenaci nel tentare di raggiungerla. Il problema è quando la musica diventa frustrazione. Nel momento in cui dovessi accorgermi che fare musica sta diventando per me un obbligo e non una scelta, sceglierei probabilmente un altro lavoro.

Ho letto il tuo pensiero a proposito della nascita di un brano e del rapporto testo/canzone. Personalmente ho sempre pensato che il testo abbia importanza minore, dal momento che ci siamo innamorati da bambini di dischi di cui non capivamo una parola ( e anche oggi che “sappiamo le lingue” accade la stessa cosa). Ma allora… musica, poesia o tutte e due le cose?

Da ragazzino mi imbattevo spesso in casa mia in dischi di grandissimo livello (penso ad esempio ai lavori di Gaber) e non li ascoltavo mai perché “non assomigliavano ai Pink Floyd”. Credo che un’opera artistica completa debba dare spessore musicale e concettuale, e quindi anche lirico. I lavori migliori sono quelli in cui la profondità dei testi influenza la qualità della musica e viceversa. E dove non c’è testo, esiste sempre nelle opere d’arte uno spessore concettuale palpabile, come nelle stupende suite degli avanguardisti jazz degli anni ’60 e ’70 (Max Roach, John Coltrane).

Qual è il tuo pensiero rivolto all’attuale mondo del business musicale?

Penso che il mondo musicale debba stare attento a non trasformare la “crisi del mercato discografico” in crisi della musica. Prima dell'invenzione della musica riprodotta i musicisti vivevano di concerti e di scuola. Lentamente si sta tornando alla stessa condizione, dove il musicista deve innanzitutto suonare. Permettere alla crisi del business discografico di frenare la promozione live e artistica in generale sarebbe un catastrofico errore.

Cosa da e cosa toglie internet a un musicista come te?

E' un giocattolo stupendo. Ad esempio, poter girare in casa video improbabili con le mie poche risorse e renderne partecipe il mondo mi diverte tantissimo. Peraltro, un musicista deve esistere fisicamente. I concerti sono il suo lavoro, per questo sulla locandina dei miei concerti c'è scritto “Paolo Rigotto in concREto”.

Quale tipo di rapporto riesci a stabilire col pubblico, in fase live? Cerchi e trovi una sorta di interazione?

Sul palco devo innanzitutto divertirmi. È un concetto assoluto. Solo l'artista che si diverte realmente porta un reale divertimento a chi lo ascolta e guarda. Che poi il divertimento sia il frutto di mesi di prove e che, come nel mio caso, quasi tutto ciò che accade sul palco sia stato accuratamente pianificato, non deve togliere nulla alla spontaneità del momento. Mi piace stupire il pubblico con piccole trovate che ovviamente ora non descrivo ma che mi pare divertano davvero la gente e di conseguenza anche me.

Inventa il supergruppo dei tuoi sogni… trova sei musicisti da mettere sul palco, compresi quelli del passato.

Mi piace questo gioco. Innanzitutto stabiliamo che si parli di un gruppo rock. Credo che con uno Stewart Copeland alla batteria e un Tony Levin al basso la ritmica sia bella che a posto. Il volume sonoro di David Gilmour come chitarrista e un manipolatore di suoni tipo Brian Eno ai sintetizzatori potrebbero immergere il tutto in sonorità davvero intriganti. A questo punto un vero maestro dell'arrangiamento come il nostro Mauro Pagani e la voce di Bono Vox creerebbero un gruppo, almeno sulla carta, che risponderebbe a tutti i miei criteri musicali. Certo immaginare che questi musicisti possano convivere su un palco senza pestarsi reciprocamente i piedi è davvero una bella fantasia. Alla fine i gruppi che hanno dato le cose migliori hanno sempre avuto metà formazione in prima linea e metà in posizione “defilata”, è la condizione che dà secondo me i frutti migliori.

Dimmi il nome di cinque album che sono il simbolo della “tua perfezione musicale”.

Before and After Science - Brian Eno
Animals – Pink Floyd
The dark side if the moon – Pink Floyd
Salvadanaio – Banco del Mutuo Soccorso
Selling england By the pound - Genesis

E dopo “Corpi Celesti”… disegna i tuoi desideri per i prossimi tre anni.

Caro Babbo Natale, è tantissimo tempo che non ti chiedo qualcosa per cui ho diritto ad un credito. Potresti, per i prossimi tre anni, farmi fare un sacco di bei concerti, farmi pubblicare un secondo CD (per aiutarti ti dirò che l'ho quasi finito, appena ti arriverà in Lapponia mi dirai che ne pensi) e farmi portare a casa quanto basta per vivere decorosamente di musica? Grazie. Dal quarto anno in poi se riesci fammi diventare una ricca rockstar... ma ne riparleremo...






PAOLO RIGOTTO – BIOGRAFIA UFFICIALE


Paolo Rigotto è a Torino il 18 dicembre 1973. All'età di 12 anni si avvicina alla registrazione multitraccia e alla programmazione di sintetizzatori e sequencer. Primi esperimenti e composizioni. All'età di 18 anni si avvicina allo studio della batteria con i maestri Dario Bruna e Marco Volpe. Frequenta seminari di Giulio Capiozzo, Ellade Bandini, Tommy Campbell, Tullio de Piscopo e Walter Calloni e corsi di musica d'insieme con i maestri Tessarollo e Chiricosta.
Coinvolto fin da adolescente in vari progetti musicali (sia come tastierista che come batterista) attualmente le sue principali collaborazioni sono quelle con Banda Elastica Pellizza (premio SIAE Tenco 2008); la reunion dei Syndone (la gloriosa prog band del compositore Nik Comoglio); il cantautore Francesco Stabile. Collabora inoltre con due ensemble di ricerca musicale ed inserimento sociale: il CLGEnsemble di Dario Bruna e il progetto Groove 'n' Therapy di Albino Vicario.
Nel 2010 il brano Scheda Madre vince il premio La musica elettronica italiana nel 2061, promosso dal Festival Club To Club in collaborazione con il Comitato Italia 150. Scheda madre è uno dei dieci brani che compongono il suo primo album solista Corpi celesti, realizzato nel 2010 e uscito all’inizio del 2011. Grazie all'esperienza con il gruppo Banda Elastica Pellizza (che ha visto questa band impegnata sui palchi di Premio Tenco, MEI Faenza, Caterraduno 2009) e alle interessanti collaborazioni con personaggi quali Roberto "Freak" Antoni, nasce il progetto solista di Paolo.

BAND LIVE:


Paolo Rigotto: voce, tastiere, batteria

Francesco Borello: basso

Silvio Vaglienti: chitarra

Felice Sciscioli: batteria


Paolo Rigotto web: