mercoledì 29 aprile 2020

Stella Manfredi: un violino tra classica e rock


Pochi giorni fa, seguendo un commento di Lino Vairetti degli OSANNA, ho captato l’esistenza di due giovani e talentuose promesse. E se lo dice lui, le antenne della curiosità si alzano in automatico, anche perché, per chi si diletta come me nello scrivere di musica, e lo fa da tanto tempo, la voglia di scoprire delle novità tra le ultime generazioni diventa quasi un’esigenza.

Dopo aver presentato Maria Barbieri, chitarrista, introduco oggi Stella Manfredi, violinista, in equilibrio tra musica classica e contemporaneità.

In attesa di vedere realizzati i suoi sogni, proviamo a scoprire qualcosa su di lei, e vorrei sottolineare un tratto dell’intervista a seguire che mi ha colpito molto, quello che vede Stella chiosare come la sua carriera universitaria, parallela al Conservatorio, sia stata tutta in discesa, agevolata dalla complessità della formazione musicale e dall’enorme spirito di sacrificio per essa necessario, impegno continuo e disciplina che l’hanno  forgiata per qualsiasi altro tipo di impegno intellettuale.


L'INTERVISTA

Ho letto la tua biografia, nutritissima nonostante la tua giovane età: potresti sintetizzare i fatti salienti strettamente legati alla tua formazione?

Ho studiato al conservatorio fin da bambina, ed ho accompagnato la formazione musicale con una laurea magistrale in Lettere, indirizzo arte musica e spettacolo.
Da sempre mi sono interessata al folk, studiando musica irlandese da maestri irlandesi, musica popolare del sud Italia, ma soprattutto è stato il linguaggio moderno ad avermi interessato e mi sono dedicata fin da ragazzina a questo.

La tua strada musicale inizia prestissimo ed è indirizzata verso il mondo classico, attraverso lo studio del violino, e immagino tutto questo sia stato favorito dal contesto familiare: che tipo di “profumo sonoro” hai annusato in ambito casalingo?

Beh, vengo da una famiglia di artisti: mio padre è un pittore scultore e fotografo, nonché direttore del museo CAM di Casoria, mia madre è un’artigiana da sempre propensa al lato artistico, e anche le mie due sorelle hanno un buon estro, la prima appassionata di oreficeria e l’ultima una designer promettente. Ho da sempre bazzicato nella creatività insomma ed è stata una fortuna per me.

I tuoi studi al conservatorio hanno visto un percorso parallelo che, come hai raccontato, ti ha portato ad una laurea in campo umanistico, e quindi è immaginabile un enorme impegno su due fronti, nell’età, anche, del divertimento: come mai hai sentito questa esigenza e che tipo di bilancio fai del tuo primo periodo formativo?

Credo che la formazione musicale sia molto complessa, ci vuole un enorme spirito di sacrificio, dedizione e soprattutto costanza; la carriera universitaria, con questo tipo di formazione è stata tutta in discesa, è stato un hobby piacevole ed interessante, e ho avuto la fortuna di avere professori di enorme spessore culturale ed umano che mi hanno fatto amare lo studio e quindi è stato molto semplice.

Vorrei farti una domanda che normalmente rivolgo ai chitarristi, celebri per le pazzie relative al rapporto col proprio strumento. Che tipo di relazione hai con il violino?

Un dono che ho avuto nella vita, oltre alla salute, è il violino. Mi ha dato tante gioie, anche tante amarezze, ma soprattutto gioie! Devo solo ringraziarlo e ricambiarlo con rispetto e studio. Anche se non è mai abbastanza quello che faccio.

Quali sono i violinisti, tra passato e presente, che rappresentano per te un modello assoluto?

Sicuramente Jean Luc Ponty è un padre, ma anche nel mio piccolo mondo ho avuto la fortuna di incontrare artisti come Lino Cannavacciuolo che mi ha dato tanto e sono per me un modello da seguire.


Ti chiedo ancora un’opera di sintesi per segnalare le soddisfazioni e i traguardi fino ad ora ottenuti.

Mah, forse tra le soddisfazioni per ora che mi sento di annoverare, c'è l’aver suonato con artisti internazionali che stimo molto, come Michael Bublè, ma noi artisti non siamo mai contenti; tra i traguardi ancora nulla da segnalare.

Ho letto che hai collaborato a lungo con Sophya Baccini, e quindi viene naturale chiederti come sei arrivata alla musica progressiva e cosa ne pensi… ami qualche artista in particolare?

Sì, ho collaborato con Sophya ed è stato proprio Lino Vairetti degli Osanna ad indirizzarmi verso questa artista. Sono vari i concerti a cui ho avuto l’onore di partecipare con Lino, un artista raro ed una grande persona! Il prog l’ho ascoltato da sempre, è un genere dinamico dove il violino può muoversi in fraseggi interessanti, un filone che va rivalutato con l’innovazione, altrimenti rischia di svanire.

Quanto è parte di te la sperimentazione? Esistono limiti che ti poni nel muoverti in ambito musicale?

Io amo sperimentare, questo è un ambito molto complesso e per me oggetto di molti studi che si sono convogliati nella mia tesi di lettere alla magistrale, “L’altro violino”, scritta con il supporto dei docenti di musicologia della Federico Secondo di Napoli, e che avevamo intenzione forse un giorno di pubblicare. É veramente complesso sintetizzarlo, forse potrei solo dire che il violino è uno strumento ancora tutto da esplorare, e la sperimentazione è una via possibile.

Sei più a tuo agio nei live o in studio?

Sono due mondi differenti, in studio hai tempo di poter riflettere elaborare, ma le vibrazioni del live tra musicisti e con il pubblico sono la vera ricompensa di questo mestiere.

Meglio la fase creativa o la perfetta interpretazione?

Credo che la fase creativa sia obbligata, e che nel live non sempre una perfetta interpretazione sia la chiave della comunicazione artistica.

Ho letto che sei attiva anche nel campo dell’organizzazione degli eventi culturali: che cosa ti ha suggerito questo difficile momento legato alla quarantena per il coronavirus?

Beh, sono molto avvilita, questo momento ha sottolineato ancor di più quanto il mondo della cultura fosse in crisi, ci deve aiutare a riflettere e in profondità.

Un’ultima cosa: delinea i tuoi progetti - medio e lungo termine -, dividendoli dai sogni… a proposito, prova a sognare e poniti un obiettivo ambizioso!

Sto lavorando al disco del mio progetto elettropop Kamaak, che tende molto al corporate, beh sarebbe bello poter ritrovare uno dei nostri brani in un gran bel film! Si sarebbe un sogno!



Seguire i suoi prossimi passi pare quindi un obbligo!



martedì 28 aprile 2020

Max Manfredi al ProgLiguria del 21 gennaio 2012-Video inedito


Ancora un video inedito relativo a quanto avvenuto sabato 21 gennaio 2012 al Centro Fieristico di Spezia Expo, luogo in cui è andata in scena una kermesse musicale realizzata a scopo benefico per aiutare concretamente gli alluvionati colpiti dal tragico evento del 25 ottobre 2011 nel Levante ligure, in particolare nella zona di Spezia.

Un evento legato alla musica progressiva, dal momento che il livello organizzativo parlava quella lingua. Il nome scelto non poteva andare troppo lontano dalla musica proposta: ProgLiguria.

Un po' di dettagli - e ricordi - si possono ricavare da questo articolo dell’epoca:


Tante band, tra storia e novità, e una maratona che permise di realizzare 12 ore di musica non stop.

Ecco gli articoli - e i video- già proposti:








Max Manfredi partecipò in qualità di ospite de Il Tempio delle Clessidre, di cui ho già proposto un brano, ma Max non ricorda molto di quella performance:

Ah, ah! Mi ricordo poco, solo che usai una maschera d'oro tipo i Compagni di Baal, che mi misi per cantare la mia parte nella canzone del Tempio delle Clessidre, quella che aveva datura nel titolo…”

Provo a sollecitare la memoria di Max con questo video, sottolineo ancora, inedito…






lunedì 27 aprile 2020

Alla scoperta di André Lorenzatti, giovane musicista amante del new prog


André Lorenzatti è un giovane musicista che ho conosciuto casualmente in modo virtuale, chitarrista in primis, ma proiettato verso un futuro basato su un concetto di musica che oltrepassa le sue skills strumentali.
Da quanto posso captare, l’obiettivo è molto preciso, far coincidere la passione con il lavoro, e quindi le sue proposizioni/idee del momento - ad esempio il video per cui l’ho “afferrato” e che propongo a seguire - non sono forzature da quarantena, ma tessere di un puzzle di cui lui conosce la conformazione finale, quella che, con tanto impegno e un po' di fortuna, potrà raggiungere nel tempo.

Ho cercato di saperne di più, attraverso qualche domanda mirata, e mi sembra che valga la pena conoscerlo meglio, perché i giovani con le idee chiare - quelli che hanno capito che, per arrivare al risultato voluto non si può mai prescindere da una buona preparazione e da un grande impegno - vanno sempre incoraggiati e fatti conoscere attraverso la condivisione della loro arte.



Leggiamo e... ascoltiamo…

Solitamente il primo punto riguarda la storia del mio interlocutore… vado oltre, dal momento che all’interno dell’articolo propongo la tua esaustiva biografia. Vorrei partire dalle difficoltà del momento contingente: quanto hanno influenzato il brano che proponiamo a seguire e come stai vivendo da “musicista” chiuso in casa?

Questo momento di emergenza è stato sicuramente un brutto colpo verso tutte le attività che hanno a che fare con i live. Sale prova, concerti, tutto ciò per ora è solo un ricordo. Le uniche cose che riesco a fare lavorativamente parlando hanno a che fare con le registrazioni a distanza e qualche trascrizione. Per il resto, sto approfittando di tutto questo tempo libero per continuare a studiare. “Waiting” è stata un ulteriore sfogo, avevo assolutamente bisogno di mettermi alla prova e intraprendere un viaggio in solitaria. L’isolamento dalle altre persone e il rallentamento forzato della mia vita hanno portato il brano alla sua conclusione.

Mi racconti nello specifico “Waiting”?

Questo brano è nato per descrivere il senso dell’attesa. Benché la si possa immaginare come un momento di stasi, può portare con sé grande inquietudine. Inizialmente ho immaginato quali emozioni possono scaturire quando si è costretti ad attendere un determinato evento, per esempio, un messaggio che tarda ad arrivare, l’incontro che potrebbe cambiare la nostra vita. Può essere entusiasmo che diventerà frustrazione. Ma c’è dell’altro: la paura di esporci che ci spinge ad attendere, ad aspettare l’occasione giusta che verrà irrimediabilmente persa. Un comfort che alla fine arriva a castrarci. Ho voluto riversare in questo pezzo la voglia, l’entusiasmo di uscire dal guscio, il gusto di farsi avanti per il semplice gusto di riscoprirsi e riconoscersi.

Nel brano sei impegnato anche al pianoforte/tastiera: è il tuo ulteriore amore?

Lo trovo uno strumento utilissimo per comporre, perché si vedono chiaramente le interazioni tra le voci degli accordi e si ha più libertà nella loro disposizione. Nel momento in cui voglio analizzare l’armonia di un brano, o progettarne una mia, mi fiondo subito al piano. Ad ogni modo non posso definirmi un tastierista, lo suono da troppo poco tempo. In questo caso, dovendo far tutto da solo, ho fatto di necessità virtù. È stato comunque molto divertente!


Quali sono i tuoi punti di riferimento in ambito chitarristico?

Sono tantissimi! Cerco sempre di farmi influenzare da più musicisti possibili, per non chiudere nessuna porta. A volte mi piace costruire lick e riff a partire dai fraseggi di musicisti che non suonano il mio strumento. Dovendo proprio scegliere però, Steve Vai, Joe Satriani, Eric Johnson, John Petrucci e David Gilmour sono nella mia Top 5 attuale.

Quale tipo di strumentazione utilizzi?

Utilizzo per lo più due chitarre che io e mio padre abbiamo costruito insieme. Quella che vedi nel video di “Waiting” è la prima, ed è quella alla quale sono più legato affettivamente. L’altra è una sette corde.

Mi pare di capire una tua forte propensione per la fase compositiva: supera il piacere dell’interpretazione?

Sono due facce della stessa medaglia. Suonare sempre e solo musica d’altri non mi ha mai fatto sentire completo, cosa che invece fa la composizione. Ho un assoluto bisogno di frugare dentro il pentagramma e disegnare su di esso le mie riflessioni sul mondo che mi circonda. Ma l’interpretazione di quei segni poi, sono il passaggio in cui questi prendono vita. Irrinunciabile anch’essa.

Come sei arrivato alla musica progressiva e che cosa trovi di appagante rispetto a generi musicali più in linea con la tua generazione?

Il primissimo incontro con il prog lo devo a mio papà che da piccolo mi fece ascoltare “The endless enigma pt.1” degli ELP, dall’album “Triology”. All’epoca non mi piacque e non sapevo nemmeno cosa fosse il progressive, ora è tra i miei dischi preferiti e ho persino un piccolo quadretto in legno appeso nel mio angolo studio. Il colpo di grazia me lo diede il mio maestro di chitarra, il quale, ascoltando una mia piccola composizione scritta durante i primi mesi di lezione, mi disse: “Secondo me potrebbe piacerti il progressive! Prova esplorarlo.” Da lì è stata la fine! Riguardo il mio amore per questo genere, credo sia dato dal fatto che si trova in bilico tra tutti gli altri. Posso trovare tranquillamente citazioni di Bach, della musica colta del 900, ma anche sonorità tipiche dei Metallica, della cultura punk fino all’elettronica. Ma ad ogni modo, non lo trovo un genere superiore agli altri. Anche nella Trap e nel Raggaetton possono trovarsi spunti interessanti. L’importante è volersi mettere sempre in gioco con nuovi ascolti, anche quelli che la natura stessa ci offre.

Un gruppo/artista/album dei seventies che ti fa sognare?

Probabilmente i Pink Floyd sono il mio gruppo preferito di quegli anni. “Dark Side of The Moon” e “Wish You Were Here” li conosco a memoria.

Quando pensi al tuo futuro musicale ti vedi in gruppo o pensi a progetti tutti tuoi?

Non escludo né l’una né l’altra situazione. Certo, essere in una band che condivide i tuoi gusti musicali sarebbe il massimo! Ma nell’attesa che ciò avvenga, non mi fermo. Attualmente collaboro in varie band, sia cover che di inediti, e da solo mi dedico ai miei brani, progressive per lo più, ma anche di musica colta.

E allora parlami del futuro, dei tuoi sogni e delle tue certezze…

La vita ha tante di quelle curve che è impossibile pensare davvero a lungo termine. Come unica certezza, la voglia di concludere gli studi al conservatorio e sfruttare i miei studi per trovare un lavoro. Per quello che riguarda i sogni, avere la possibilità di portare la mia musica ovunque e poterla suonare.



Un pò di vita di André Lorenzatti…

Da quando mi ricordo, ho sempre amato la musica e a 16 anni ho deciso di intraprendere una carriera musicale, sia in ambito performativo che compositivo. Come amante della musica rock, ho iniziato a suonare la chitarra elettrica sotto la guida di Simone Pilloni, titolare della scuola SP Guitar Institute e ho seguito il corso RLS della Rock Guitar Academy (durante un periodo di collaborazione tra le due scuole) con Donato Begotti.
Ho frequentato varie Masterclass con alcuni dei più influenti chitarristi elettrici della musica rock. Tra questi Paul Gilbert, Steve Vai, Marco Sfogli (James LaBrie, Ice Fish, PFM); ho anche frequentato un corso di ingegneria del suono per ampliare le mie conoscenze nel campo degli ambienti performativi; da qui, le prime serate da professionista per le piazze, suonando principalmente in cover band e varietà. Ma ho avuto anche la fortuna di poter condividere il palco con grandi artisti: Simon Fitzpatrick (Carl Palmer’s ELP legacy), Nazzareno Zacconi (Doogie White, Jennifer Batten, Stu Hamm, Chad Wackerman, Blaze Bayley, Tony Franklyn, Ron Thal, TM Stevens), Barend Courbois (Blind Guardian, Timo Sommers, Vinny Appice Band, e altri) e Roland Grapow (Helloween, Masterplan) durante i loro concerti e le clinic in Sardegna.
Il mio desiderio di scrivere musica inedita è sempre stato forte in me, e attualmente sono laureando al conservatorio di Cagliari al corso di Composizione. Ho iniziato a comporre brani parecchi anni fa, di stampo assolutamente progressive, ma solo ora ho iniziato ad espormi a partire da alcuni progetti facoltativi legati al conservatorio, di tutt’altro genere. Tra i più interessanti quelli per la rassegna fiati del Conservatorio, dove ho potuto conoscere, grazie al Maestro Mario Frezzato, Enrico Gabrielli e Sebastiano de Gennaro, due bravissimi musicisti coi quali si è instaurato da subito un bel rapporto di collaborazione. Nello stesso ambito il progetto Arundo Donax, nel quale si inserivano, nell’ambito della sperimentazione musicale colta, le Launeddas, uno strumento musicale tipico della Sardegna. Per questo è stato pubblicato quest’anno un CD.





domenica 26 aprile 2020

Kimmo Pörsti-“Wayfarer”



Sono abituato a proporre su queste pagine il nome di Kimmo Pörsti, soprattutto come drummer e colonna portante dei The Samurai Of Prog, ma ho scritto anche di un suo progetto parallelo, i Paidarion.
Il commento odierno riguarda però un album solista che arriva a… 23 anni di distanza da quello precedente!

Il titolo è “Wayfarer”, tredici episodi che portano ad un ascolto totale che supera i 70 minuti: quantità, oltre la grande qualità.

Come sempre accade quando l’argomento riguarda la “famiglia dei Samurai”, le collaborazioni sono tante, e la multinazionale al lavoro trova naturale sbocco in un team work che risulta come sempre premiante.

È un lavoro fresco, che scorre, mai greve, vario, e la sua collocazione d’ufficio nella casella del prog è d’obbligo, ma non appare determinante, perché i cambi di umore (tempi e trame sonore) rendono questo disco molto accessibile a chi richiede piacevolezza di fruizione, senza condizionamenti alcuni.
L’ho ascoltato in anteprima, facilitato dalle note relative al singolo pezzo, che propongo assieme al mio pensiero.


Si parte con “Arrival”, uno strumentale da tre minuti scritto da Kimmo Pörsti che vede, oltre al drummer finlandese (in questo caso anche alle tastiere), i connazionali Kari Riihimäki alla chitarra e Otso Pakarinen alle tastiere.
Una sorta di intro, tanto per far comprendere a quali atmosfere ci si deve abituare nei minuti a seguire, magia e ritmica ripetitiva che avrebbero fatto felice Dario Argento.

A seguire “Heaven's Gate” - oltre sei minuti -, un altro strumentale scritto e arrangiato - e suonato alle tastiere - dallo spagnolo Jose Manuel Medina, che vede il primo intervento di un altro “samurai”, il bassista Marco Bernard che si affianca alla batteria di Kimmo, alla chitarra “inglese” di Dave Bainbridge, al flauto di Olli Jaakkola e al violino di Hitomi Iriyama.
Una marcetta solenne rappresenta la base di questo “classico” che profuma di aulico, ondeggiante tra virtuosismi da piena orchestra e la sottolineatura della elettrica che, a tratti, appare come urlo struggente. Davvero notevole!

Il terzo brano è “Creer, Crecer (Believe, Grow)” quasi cinque minuti di fusione interpretativa tra Europa e Sud America, con testo e musica di Jaime Rosas and Rodrigo Godoy, rispettivamente tastierista e chitarrista, mentre la sezione ritmica è ancora appannaggio di Pörsti e Bernard. Il brano era già presente nel cofanetto sontuoso (4 CD) del 2014, “Decameron Ten Days In 100 Novellas Part 2” ‎(4xCD), edito da Musea.
Primo brano cantato - protagonista Godoy -, un incedere lento su cui interviene il magnifico gioco di tastiere, un alternarsi preciso tra una voce quasi in sottofondo e passaggi fiabeschi che, arrivati a questo punto, forniscono idea concreta del viaggio musicale che si è intrapreso.

Con “Connection Lost” (5:25) si ritorna allo strumentale, scritto da Kimmo Pörsti e Rafael Pacha, che si dividono ogni compito esecutivo, il primo aggiungendo alle percussioni l’azione di tastiere e basso, e il secondo proponendo, oltre alle chitarre (acustica ed elettrica), strumenti della cultura popolare, come whistles e bodhran.
Anche in questo caso la commistione di elementi diventa caratteristica precipua, e ad una forte componente folk/tradizionale si innesta un potente rock che traina la cavalcata finale, un crescendo inarrestabile molto coinvolgente.

Morning Mist” (4:40) è creazione a completo appannaggio di Pörsti, e vede il ritorno della voce, quella magnifica di Jenny Darren, famosa British Rock singer. Ancora Rafael Pacha  alla chitarra acustica mentre a Kimmo Pörsti (tastiere, basso, chitarra acustica e batteria) si affianca Hanna Pörsti al flauto. Sottolineo una presenza italiana, quella di Carmine Capasso alla chitarra elettrica.
Traccia meravigliosa, una parte strumentale ad ampio respiro su cui si innesta la delicatezza della Darren, che entra in scena in punta di piedi e diventa anch’essa strumento tra i tanti.
Musicalmente perfetta.

Solo strumenti per “Thunkit” (6:20), la cui musica è da attribuire a Jari Riitala, incaricato anche di fornire parti di basso, chitarra solista e tastiere; Dave Bainbridge regala sezioni di tastiere e chitarra mentre Kimmo Pörsti gioca il suo ruolo di drummer.
Qui si cambia decisamente tratto, e con l’aumento di passo della sezione ritmica si inseriscono assoli e pennellate di “saggezza stilistica” che vedono in primo piano l’elettrica.

Wayfarer” (4:50) è un’altra composizione di Pörsti, con gli arrangiamenti vocali della Darren. Entrambi sono protagonisti nel brano, il primo alle tastiere e la seconda alla voce, of course. Il resto delle collaborazioni è composto da Rafael Pacha (chitarra), Olli Jaakkola (flauto) e Jan-Olof Strandberg al fretless bass.
Con la title track ci si avvicina maggiormente alla forma canzone, momento riflessivo che realizza una dicotomia tra il prima e il dopo, una perla che colpisce al primo ascolto.

E arriviamo all’ottava traccia, “Cruz Del Sur” (Southern Cross).
La musica è di Jaime Rosas, con un significativo contributo di Rodrigo Godoy, e ai due autori - tastiere il primo e voce/percussioni il secondo -, si uniscono Rafael Pacha - chitarra acustica ed elettrica - e la sezione ritmica dei “Samurai” (Bernard e Pörsti).
Una trama dalla costruzione complessa, con un profumo genesissiano, riferito all’organizzazione sonora molto articolata. Dieci minuti di paesaggi, di affreschi, che rappresentano uno dei punti più alti dell’album.

L’episodio numero nove reca il nome “Witch Watch” e dura circa sette minuti.
Trattasi di uno strumentale la cui musica è stata scritta da Jari Riitala (basso, tastiere e chitarra) e che vede, oltre alle percussioni di Pörsti, Marek Arnold al sax soprano.
L’entrata in scena del sax spinge il percorso verso un funky jazz contenuto, e ancora una volta l’ensemble scelto da Kimmo stupisce per la capacità di variare e proporre nuovi sentieri.

La musica di Steve Mauk (tastiere) e il testo di Pirkko Pörsti e Kev Moore (vocalist) conducono a “This Day Is Your”, decimo episodio.
Gli altri musicisti sono, oltre al basso/batteria dei TSOP, Marek Arnold al sax - e tastiere -, Otso Pakarinen, anch’esso tastiere, e Rafael Pacha alla chitarra elettrica e acustica.
La vocalità di Moore produce una nuova diramazione, e tasselli di rock metallico si insinuano in una melodia di sicura presa immediata che ricorre per quasi sei minuti.

Heavy Winter” è stato musicato da JP Rantanen (tastiere) e Kari Riihimäki (chitarra); Kimmo Pörsti (drums) è coadiuvato al basso da Jan-Olof Strandberg.
Pezzo rock di oltre tre minuti dal sapore jammistico con divagazioni basate sul virtuosismo di gruppo.

Con “Icy Storm” ritroviamo la voce di Jenny Darren, che cura gli arrangiamenti e affianca Kimmo Pörsti (musica) e Pirkko Pörsti (testo) nella realizzazione di un pezzo lacerante di oltre cinque minuti, un intreccio tra vocalità e la delicatezza del binomio violino/flauto, rispettivamente suonati da Hitomi Iriyama e Hanna Pörsti.
Su questa sorta di blues lento e “doloroso” non passa inosservato il solo chitarristico di Kari Riihimäki. Tutto il resto degli interventi e del Maestro Kimmo.

A chiudere il cerchio l’ultima traccia, “Mika” (5:14), costruzione Kristiina Poutanen e arrangiamenti di Kristiina Poutanen e Kimmo Pörsti.                                             
L’autarchico Kimmo Pörsti fa tutto da sé (batteria, tastiere, basso, chitarre, e chiede il solo aiuto flautistico a Olli Jaakkola.


È la fine del viaggio e, così come “Arrival” si presenta come apertura di una via da seguire per iniziare il tour musicale e immaginario, “Mika” fornisce il senso dell’approdo, anche se il mood malinconico che permea il progetto non permette di immaginare quale sia la conclusione.

L’album è un concentrato di emozioni e “Wayfarer” non ha bisogno di ripetuti ascolti per attecchire.
Atmosfere sognanti, successione di immagini sonore, musicisti virtuosi al servizio dell’obiettivo, un disco da ascoltare, anche, ad occhi chiusi, una perfetta colonna sonora da film!

Artwork affidato all’illustratrice tedesca Nele Diel.

Ascoltiamo tracce di album...

sabato 25 aprile 2020

The Dave Clark Five


The Dave Clark Five (conosciuto anche più semplicemente con la sigla DC5) è stato un gruppo musicale pop rock britannico, attivo fra il 1957 ed il 1970. Prende il nome dal loro batterista, appunto Dave Clark.

Iniziarono a pubblicare dischi dal 1962 e sono stati tra i più prolifici - e venduti - dell'era del beat. Più in particolare, è stato il secondo gruppo della cosiddetta British Invasion, dopo The Beatles, a piazzare un disco singolo nella Top Ten delle classifiche di vendita negli Stati Uniti.

Il loro brano Glad All Over è stato al primo posto in Gran Bretagna per due settimane nel gennaio 1964 e sesto in USA nel febbraio successivo, divenendo poi l'inno della compagine calcistica del Crystal Palace Football Club.


Il gruppo - formatosi nel sobborgo di Tottenham (Londra) - ha avuto diverse canzoni in classifica ed è stato molto popolare negli anni Sessanta, particolarmente negli USA.
Il 1964 è stato forse l'anno della loro maggiore notorietà in concomitanza con la partecipazione al popolare programma televisivo Top of the Pops.

Il loro primo brano, Mulberry Bush (riadattamento di una filastrocca infantile, inciso nel 1962 per la Ember/Pye) non ebbe particolare risonanza; maggior successo ebbe il secondo singolo, Do You Love Me, cover di un brano dei The Contours, alternativa a quella distribuita nel medesimo periodo ad opera dei Tremeloes, che ebbe più fortuna, scalando le classifiche di vendita britanniche. Questo convinse i DC5 a produrre da lì in avanti materiale proprio.

La discografia ufficiale del gruppo prende avvio quindi nell'agosto 1962 con il singolo contenente Chaquita (lato A) e In Your Heart (lato B), prodotto per la stessa Ember 156.

I DC5 figurano nell'elenco degli artisti musicali per maggiori vendite. Si ritiene che abbiano venduto almeno cento milioni di copie di dischi, e il 10 marzo 1988 sono stati inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame.

venerdì 24 aprile 2020

Osanna al PROGLIGURIA del 2012: video inedito


Ancora un video inedito relativo a quanto avvenuto sabato 21 gennaio 2012 al Centro Fieristico di Spezia Expo, luogo in cui è andata in scena una kermesse musicale realizzata a scopo benefico per aiutare concretamente gli alluvionati colpiti dal tragico evento del 25 ottobre 2011 nel levante ligure, in particolare nella zona di Spezia.
Un evento legato alla musica progressiva, dal momento che il livello organizzativo parlava quella lingua. Il nome scelto non poteva andare troppo lontano dalla musica proposta: ProgLiguria.

Un po' di dettagli - e ricordi - si possono ricavare da questo articolo dell’epoca:


Tante band, tra storia e novità, e una maratona che permise di realizzare 12 ore di musica non stop.
Di quella manifestazione esiste registrazione video e, separatamente, quella audio, ma per motivi che non pare interessante approfondire, tutto è rimasto nel cassetto.
MusicArTeam - organizzatrice dell’evento nato da un’idea di Angelo De Negri - ha deciso di regalare alcuni spezzoni ridotti, uniti al commento dei protagonisti sul palco.


Lino Vairetti, degli OSANNA, ricorda così quella giornata…

Ricordo con grande emozione quel sabato 21 gennaio del 2012, quando ci ritrovammo tutti insieme, tantissimi musicisti e colleghi storici, amici più recenti ed operatori del settore musicale, dai discografici indipendenti a manager illuminati, per condividere un momento straordinario seppur legato a una grande tragedia: l’alluvione che aveva colpito la parte orientale della Liguria e l’alta Toscana. Noi Osanna, con ospite Gianni Leone, accettammo subito l’invito per testimoniare la nostra solidarietà e poter dare il nostro contributo all’evento per cui fu usato l’acronimo “ProGLiguria”; una sorta di Woodstock, un festival come quelli degli anni ’70, una manifestazione musicale che non accadeva da anni. Tra l’altro la nuova formazione con me, Gennaro Barba, Pako Capobianco, Nello D’Anna, Sasà Priore, Irvin Vairetti e Alfonso La Verghetta, è rimasta intatta e coesa partendo proprio da quel periodo storico.
Oggi, per la tragedia che stiamo vivendo per questa epidemia da Covid-19, il ricordo di quel momento mi commuove e mi prende fortemente. In questo isolamento forzato, anche se da me vissuto in maniera serena e responsabile, mi assale un pò di tristezza e di nostalgia pensando a quella grande vitalità e fermento musicale espresso in maniera egregia da tutti noi artisti ed esponenti del “progressive rock” italiano a Spezia.
Tuttavia, accettando con estremo rigore l’invito di “restare a casa”, ne approfitto per continuare a scrivere e comporre brani per la nuova produzione Osanna, che prevedeva, tra giugno e settembre 2020, una triplice e parallela pubblicazione di un nuovo album di inediti dal titolo “Il Diedro del Mediterraneo”, un film rockumentary ideato e diretto da Deborah Farina e un libro scritto da Franco Vassia. Tutta questa produzione è purtroppo ferma e rimandata a tempo indeterminato, in attesa di momenti più idonei.
Credo che la tragedia che stiamo vivendo abbia la precedenza su tutto. Spero vivamente di poterne parlare prossimamente, annunciandone la pubblicazione.
Intanto noi Osanna, con David Jackson e il coro di Samuel e Leon (figli di Irvin), siamo riusciti a realizzare un brano suonando in contemporanea ognuno da casa propria, utilizzando le nuove tecnologie e piattaforme digitali, tanti e tanti cellulari, computer e quant’altro. Tutto è stato poi montato e pubblicato in rete. Il brano scelto, naturalmente, è stato “L’Uomo” per il significato intrinseco del testo che ben si adatta a questa particolare tragedia di cui l’uomo è davvero il principale colpevole.
Saluto intanto tutti i musicisti e gli amici che parteciparono a Prog Liguria, ipotizzando un prossimo raduno organizzato per la sola gioia di vivere e lontano da qualsiasi tragedia.
Viva la vita. Viva il Prog.


Gli articoli già proposti:







giovedì 23 aprile 2020

Maria Barbieri, a young guitarist in the wake of the prog... and King Crimson


As I was reading an interview with Lino Vairetti, which will be published in the next MAT 2020, I picked up a praise of the leader of OSANNA to a guitarist named Maria Barbieri, a person  I did not know before.
Intrigued, I started looking for more information and found confirmation to Lino's words, especially seeing her at work in the videos found on the net.
Needless to say, it’s an euphemism to say that I was impressed to learn of her skills and passions, not so easily found in  a young woman, because progressive music is something of immortal, that’s for sure, but let’s be honest, it’s  not something  the younger  generations like too much, if not to the extent of the niche, by some sowing parent.
Then I saw the video in which she covers "Larks' Tongues In Aspic", and to know that she was noticed by the "rigid and serious" Robert Fripp, well, this prompted me to contact her: I had to satisfy my curiosity as if I was a teenager.


Maria Barbieri responded quickly and, above all, allowed me to quickly carry out the interview to follow.
As we wait for the release of his first album, let’s discover hes story.


I'd like to start with your story, what allowed you to train yourself musically...

First of all, it was thanks to my family, and in particular my father (Antonio Barbieri) who unfortunately passed away two years ago and to whom I owe so much! He was a bass player and a careful listener of the good music that dates back to his years, especially rock, progressive rock, pop genres, without too much cataloguing, and this gave me the opportunity to look at the music in vast perceptions. Thanks to him I grew up listening to the good music that was produced in years that I did not live, but that influenced me so much. My mother Liliana is a keyboardist and had a psychedelic band with my father in the 1980s. My brother Domenico played drums and my sister Licia sang. The interest in music was almost automatic in a family like this, and at the age of ten I asked my father to take the first guitar lessons, from there I never stopped playing!

How does a girl so distant and far from progressive music can get to progressive music, which temporally speaking is light-years away?

As I mentioned, this was possible thanks to my family and in particular to my father, who was such a fan of this music; I still remember when I was five years old he was driving and I was with him, and thanks to him I listened to Genesis, King Crimson, Gentle Giant... I was fascinated and fantasized a lot looking at the landscapes from the window! Then... they had a room with all instruments, vintage and modern; there they did the rehearsals and I was very curious! Later, I also played with one of my best friends, fellow talented keyboardist, Marisa Cuomo, and Enzo Buono (his engineering approach has been fundamental). With them, for the first time, I practiced this music a lot, after my first experiences with very "heavy" bands.

If we refer to the mere technical point of view, how did you start off and how did your "craft" as a guitarist develop?

This was possible thanks to early studies definitely, and to the auditory curiosity that urged me to approach songs that interested me. I studied them by ear (just by listening to them) and experimented with personal techniques (with the constant strict judgment of my father), and later on, combined the correction of posture of the left hand with some classical guitar lessons, to my personal mood on electric.

Are there any musicians you can consider your unmovable landmarks?

Sure! Guitarists or artists such as David Gilmour, Robert Fripp, Steve Hackett, Franco Mussida, Genesis, Peter Gabriel, Steven Wilson, PFM, ELP, Led Zeppelin, Doors, Dimebag Darrell, Osanna, Jakko Jaksyk, Guthrie Govan, Beatles, Deep Purple and many others.

Let’s keep talking about the world of guitar. What guitars do you normally use?

If you've seen any of my videos, you've noticed a yellow guitar,  which is a Peavey Wolfgang Special Van Halen, but now only Suhr Modern for the electric sound,  and Godin - ACS Cedar Natural SG, which is an electrified classic guitar.

Tell me about what kind of feedback you’ve been receiving so far. What’s the one that gave you the biggest satisfaction?

The greatest musical satisfactions comes mainly from the words of great masters and personal heroes: the compliments via Facebook comment by Franco Mussida for my cover of "Celebration" (PFM), the mention of Robert Fripp on the occasion of the 50th anniversary of King Crimson in London, who asked my great friend and journalist Alessandro Staiti my namewhile answering a question during an interview:

"You could consider a woman in the interview. Not as a woman, but as a good musician. Sometimes I feel that the King Crimsons are too masculine." Fripp replies: "“I agree! The choice of members is not arbitrary. I saw This King Crimson on the evening of June 22,2013. And I saw seven musicians, one by one specifically and individually, and they were all men. If they had all been women, I would have choosen them for King Crimson. But the story is longer: on June 22,2013 evening I wondered:  if King Crimson have to play tomorrow, what kind of band would have to be? If I had seen a woman, surely, I would have called her. But It is not arbitrary. If we see something, this became possible. If not, there will be disorder. Life is chaotic. If I saw something clearly, that thing will become available.  Are we open to women members of the band? Sure, it they're the right women in the right time, right place and right circumstance. And there is a wonderful woman, Italian woman, what's her name Alessandro? (Alessandro Staiti) "Maria Barbieri", Yes Maria Barbieri that plays "Larks Tongues In Aspic Part Two".  But she didn't spring to mind on June 22,2013. If she had, I would have made the call. She is doing a great job!”

Then, having met in person some of these great exponents that I value very much, such as the singer and guitarist Jakko Jaksyk after the concert of King Crimson in Verona in July 2019, on the occasion of the After Show. Let's not forget Lino Vairetti who immediately showed a lot of respect and kindness, inviting me to play a couple of songs with Osanna on his birthday!
Then, of course, the tangible and recent satisfactions such as the record interest of international characters in America after the first official creative attempt.

Talking about satisfaction… The excitement of going into a trance while performing my solos: I feel the emotion shared with the audience... or the applause and greetings!
For example, playing Pink Floyd's "Echoes" at the Di Costanzo Mattiello theatre in Pompeii was a great satisfaction! While I was playing, I was thinking about the video of the English band shot in the digs nearby! There was something magical and I felt it!
I had a lot of fun in some Big Bands, first with Guido Russo, then another fascinating experience was collaborating with Leonardo De Lorenzo's Vesuvian Jazz Society, recording for his album and playing live for some Festivals.

Starting with Fripp's quote for "your "Larks' Tongues In Aspic" rendition, it's natural to ask you how you got there and what does the music of King Crimson represent to you...

I can say that King Crimson is my favorite band of all times and I fell in love with them at the age of fifteen; my father had different materials between records, vinyl and videos on his pc! I would often go snooping around and choose songs to put on my mp3 player... usually songs not understood by my peers at school, who saw me as a strange and absorbed girl in her world! For me King Crimson represent mystery, depth, genius, discipline, emotion, technical fluidity, intensity - a unique and immortal way of perceiving! I listen to them often and they always make me literally go crazy and "travel" so much!

Let's talk a little bit about your future projects... I know you're preparing for the release of your first album. Tell me about it (genre, messages, collaborations)?

Yes... it all started with the meeting with the legendary sessionman Guido Russo, historical Neapolitan bass player! We met in a Big Band project... I have a great musical and human esteem for him! I was starting to compose several instrumental pieces and I absolutely wanted to put on a particular trio to realize the ideas that were developing (in the wake of progressive, ambient, jazzy, dreamy harmonies, some pop-funk, but with particular rhythmic approaches, unusual, and intriguing interweaving, with references also to classical and contemporary music). His enthusiasm was fundamental, he always showed great energy, inventiveness, professionalism and feeling with what I was beginning to imagine! After several rehearsals, another great musician, Leonardo De Lorenzo, drummer, composer and jazz drum teacher at the Nicola Sala Conservatory (BN), who defined the sound of the "Maria Barbieri Reflection Trio" with particular creativity and taste. Last summer we recorded the songs from Elios Audiovisual Recordings (Carlo Gentiletti): mastering and mixing was done in Canada, and I'm in contact with a producer in Vancouver. It can be said that spending time with musicians of this caliber has been and continues to be an essential element of my training and inspiration! Definitely for a fact of age and experience, dealing with older and better-prepared people helps a lot and is incredibly inspiring! I composed seven tracks, while the other three are creations by Guido and Leonardo for a total of ten tracks. I'm in production, and when we're closer to the publishing phase I'll reveal a lot of details... For now, we're crossing our fingers... you have to wait because of the complications due to the Covid-19!

What does it mean to you… is it a starting point or the first balance of musical life?

Definitely a starting point... but also budget: it was a very instinctive work, the first for which I invested seriously also from an economical point of view and that concerned my compositions, this allowed, at the same time, to take stock of previous collaborations that included basic work as a shift worker. It developed with greater intensity after some tragic elements of my life... among them, the loss of my father! Even for this infinite love that I have towards him, I am very determined to strive to reach new goals, to study to improve myself more and more, and to communicate in the best way I can what I would like to convey to other people, leaving a trace of me. My father always wanted me to walk this musical path... this common direction will keep us together forever! Now there is my mother who listens to all the works with pleasure and perseverance!

How much do you love the live stage?

A lot... when you’re on stage you can receive different conditionings... you can feel the energies and, above all, you can get excited the moment you reach an awareness, even if instantaneous, of having given a feeling that pervades us!
Also, sometimes it’s also exciting to understand music intimately... maybe alone in your own room! I think that the balance between the two dimensions is fundamental, and how the recollection allows to express itself better live, so the comparison with the audience allows you to perceive other nuances of the music itself!

Did this period of collective difficulty lead you to some particular reflection on music and everything around it?

Yes... I believe the music is  supports me during some moments of culling that I think is common to all of us at this time, where in addition to the continuous threat that we perceive, there are added uncertainties and concerns for the future, as well as being away from many people we love... There’s many projects that were coming to fruition but which necessarily have been postponed. I continue to play, compose and have hope!

Thanks Maria, look forward to the release of your album!

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