domenica 26 aprile 2020

Kimmo Pörsti-“Wayfarer”



Sono abituato a proporre su queste pagine il nome di Kimmo Pörsti, soprattutto come drummer e colonna portante dei The Samurai Of Prog, ma ho scritto anche di un suo progetto parallelo, i Paidarion.
Il commento odierno riguarda però un album solista che arriva a… 23 anni di distanza da quello precedente!

Il titolo è “Wayfarer”, tredici episodi che portano ad un ascolto totale che supera i 70 minuti: quantità, oltre la grande qualità.

Come sempre accade quando l’argomento riguarda la “famiglia dei Samurai”, le collaborazioni sono tante, e la multinazionale al lavoro trova naturale sbocco in un team work che risulta come sempre premiante.

È un lavoro fresco, che scorre, mai greve, vario, e la sua collocazione d’ufficio nella casella del prog è d’obbligo, ma non appare determinante, perché i cambi di umore (tempi e trame sonore) rendono questo disco molto accessibile a chi richiede piacevolezza di fruizione, senza condizionamenti alcuni.
L’ho ascoltato in anteprima, facilitato dalle note relative al singolo pezzo, che propongo assieme al mio pensiero.


Si parte con “Arrival”, uno strumentale da tre minuti scritto da Kimmo Pörsti che vede, oltre al drummer finlandese (in questo caso anche alle tastiere), i connazionali Kari Riihimäki alla chitarra e Otso Pakarinen alle tastiere.
Una sorta di intro, tanto per far comprendere a quali atmosfere ci si deve abituare nei minuti a seguire, magia e ritmica ripetitiva che avrebbero fatto felice Dario Argento.

A seguire “Heaven's Gate” - oltre sei minuti -, un altro strumentale scritto e arrangiato - e suonato alle tastiere - dallo spagnolo Jose Manuel Medina, che vede il primo intervento di un altro “samurai”, il bassista Marco Bernard che si affianca alla batteria di Kimmo, alla chitarra “inglese” di Dave Bainbridge, al flauto di Olli Jaakkola e al violino di Hitomi Iriyama.
Una marcetta solenne rappresenta la base di questo “classico” che profuma di aulico, ondeggiante tra virtuosismi da piena orchestra e la sottolineatura della elettrica che, a tratti, appare come urlo struggente. Davvero notevole!

Il terzo brano è “Creer, Crecer (Believe, Grow)” quasi cinque minuti di fusione interpretativa tra Europa e Sud America, con testo e musica di Jaime Rosas and Rodrigo Godoy, rispettivamente tastierista e chitarrista, mentre la sezione ritmica è ancora appannaggio di Pörsti e Bernard. Il brano era già presente nel cofanetto sontuoso (4 CD) del 2014, “Decameron Ten Days In 100 Novellas Part 2” ‎(4xCD), edito da Musea.
Primo brano cantato - protagonista Godoy -, un incedere lento su cui interviene il magnifico gioco di tastiere, un alternarsi preciso tra una voce quasi in sottofondo e passaggi fiabeschi che, arrivati a questo punto, forniscono idea concreta del viaggio musicale che si è intrapreso.

Con “Connection Lost” (5:25) si ritorna allo strumentale, scritto da Kimmo Pörsti e Rafael Pacha, che si dividono ogni compito esecutivo, il primo aggiungendo alle percussioni l’azione di tastiere e basso, e il secondo proponendo, oltre alle chitarre (acustica ed elettrica), strumenti della cultura popolare, come whistles e bodhran.
Anche in questo caso la commistione di elementi diventa caratteristica precipua, e ad una forte componente folk/tradizionale si innesta un potente rock che traina la cavalcata finale, un crescendo inarrestabile molto coinvolgente.

Morning Mist” (4:40) è creazione a completo appannaggio di Pörsti, e vede il ritorno della voce, quella magnifica di Jenny Darren, famosa British Rock singer. Ancora Rafael Pacha  alla chitarra acustica mentre a Kimmo Pörsti (tastiere, basso, chitarra acustica e batteria) si affianca Hanna Pörsti al flauto. Sottolineo una presenza italiana, quella di Carmine Capasso alla chitarra elettrica.
Traccia meravigliosa, una parte strumentale ad ampio respiro su cui si innesta la delicatezza della Darren, che entra in scena in punta di piedi e diventa anch’essa strumento tra i tanti.
Musicalmente perfetta.

Solo strumenti per “Thunkit” (6:20), la cui musica è da attribuire a Jari Riitala, incaricato anche di fornire parti di basso, chitarra solista e tastiere; Dave Bainbridge regala sezioni di tastiere e chitarra mentre Kimmo Pörsti gioca il suo ruolo di drummer.
Qui si cambia decisamente tratto, e con l’aumento di passo della sezione ritmica si inseriscono assoli e pennellate di “saggezza stilistica” che vedono in primo piano l’elettrica.

Wayfarer” (4:50) è un’altra composizione di Pörsti, con gli arrangiamenti vocali della Darren. Entrambi sono protagonisti nel brano, il primo alle tastiere e la seconda alla voce, of course. Il resto delle collaborazioni è composto da Rafael Pacha (chitarra), Olli Jaakkola (flauto) e Jan-Olof Strandberg al fretless bass.
Con la title track ci si avvicina maggiormente alla forma canzone, momento riflessivo che realizza una dicotomia tra il prima e il dopo, una perla che colpisce al primo ascolto.

E arriviamo all’ottava traccia, “Cruz Del Sur” (Southern Cross).
La musica è di Jaime Rosas, con un significativo contributo di Rodrigo Godoy, e ai due autori - tastiere il primo e voce/percussioni il secondo -, si uniscono Rafael Pacha - chitarra acustica ed elettrica - e la sezione ritmica dei “Samurai” (Bernard e Pörsti).
Una trama dalla costruzione complessa, con un profumo genesissiano, riferito all’organizzazione sonora molto articolata. Dieci minuti di paesaggi, di affreschi, che rappresentano uno dei punti più alti dell’album.

L’episodio numero nove reca il nome “Witch Watch” e dura circa sette minuti.
Trattasi di uno strumentale la cui musica è stata scritta da Jari Riitala (basso, tastiere e chitarra) e che vede, oltre alle percussioni di Pörsti, Marek Arnold al sax soprano.
L’entrata in scena del sax spinge il percorso verso un funky jazz contenuto, e ancora una volta l’ensemble scelto da Kimmo stupisce per la capacità di variare e proporre nuovi sentieri.

La musica di Steve Mauk (tastiere) e il testo di Pirkko Pörsti e Kev Moore (vocalist) conducono a “This Day Is Your”, decimo episodio.
Gli altri musicisti sono, oltre al basso/batteria dei TSOP, Marek Arnold al sax - e tastiere -, Otso Pakarinen, anch’esso tastiere, e Rafael Pacha alla chitarra elettrica e acustica.
La vocalità di Moore produce una nuova diramazione, e tasselli di rock metallico si insinuano in una melodia di sicura presa immediata che ricorre per quasi sei minuti.

Heavy Winter” è stato musicato da JP Rantanen (tastiere) e Kari Riihimäki (chitarra); Kimmo Pörsti (drums) è coadiuvato al basso da Jan-Olof Strandberg.
Pezzo rock di oltre tre minuti dal sapore jammistico con divagazioni basate sul virtuosismo di gruppo.

Con “Icy Storm” ritroviamo la voce di Jenny Darren, che cura gli arrangiamenti e affianca Kimmo Pörsti (musica) e Pirkko Pörsti (testo) nella realizzazione di un pezzo lacerante di oltre cinque minuti, un intreccio tra vocalità e la delicatezza del binomio violino/flauto, rispettivamente suonati da Hitomi Iriyama e Hanna Pörsti.
Su questa sorta di blues lento e “doloroso” non passa inosservato il solo chitarristico di Kari Riihimäki. Tutto il resto degli interventi e del Maestro Kimmo.

A chiudere il cerchio l’ultima traccia, “Mika” (5:14), costruzione Kristiina Poutanen e arrangiamenti di Kristiina Poutanen e Kimmo Pörsti.                                             
L’autarchico Kimmo Pörsti fa tutto da sé (batteria, tastiere, basso, chitarre, e chiede il solo aiuto flautistico a Olli Jaakkola.


È la fine del viaggio e, così come “Arrival” si presenta come apertura di una via da seguire per iniziare il tour musicale e immaginario, “Mika” fornisce il senso dell’approdo, anche se il mood malinconico che permea il progetto non permette di immaginare quale sia la conclusione.

L’album è un concentrato di emozioni e “Wayfarer” non ha bisogno di ripetuti ascolti per attecchire.
Atmosfere sognanti, successione di immagini sonore, musicisti virtuosi al servizio dell’obiettivo, un disco da ascoltare, anche, ad occhi chiusi, una perfetta colonna sonora da film!

Artwork affidato all’illustratrice tedesca Nele Diel.

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