lunedì 27 aprile 2020

Alla scoperta di André Lorenzatti, giovane musicista amante del new prog


André Lorenzatti è un giovane musicista che ho conosciuto casualmente in modo virtuale, chitarrista in primis, ma proiettato verso un futuro basato su un concetto di musica che oltrepassa le sue skills strumentali.
Da quanto posso captare, l’obiettivo è molto preciso, far coincidere la passione con il lavoro, e quindi le sue proposizioni/idee del momento - ad esempio il video per cui l’ho “afferrato” e che propongo a seguire - non sono forzature da quarantena, ma tessere di un puzzle di cui lui conosce la conformazione finale, quella che, con tanto impegno e un po' di fortuna, potrà raggiungere nel tempo.

Ho cercato di saperne di più, attraverso qualche domanda mirata, e mi sembra che valga la pena conoscerlo meglio, perché i giovani con le idee chiare - quelli che hanno capito che, per arrivare al risultato voluto non si può mai prescindere da una buona preparazione e da un grande impegno - vanno sempre incoraggiati e fatti conoscere attraverso la condivisione della loro arte.



Leggiamo e... ascoltiamo…

Solitamente il primo punto riguarda la storia del mio interlocutore… vado oltre, dal momento che all’interno dell’articolo propongo la tua esaustiva biografia. Vorrei partire dalle difficoltà del momento contingente: quanto hanno influenzato il brano che proponiamo a seguire e come stai vivendo da “musicista” chiuso in casa?

Questo momento di emergenza è stato sicuramente un brutto colpo verso tutte le attività che hanno a che fare con i live. Sale prova, concerti, tutto ciò per ora è solo un ricordo. Le uniche cose che riesco a fare lavorativamente parlando hanno a che fare con le registrazioni a distanza e qualche trascrizione. Per il resto, sto approfittando di tutto questo tempo libero per continuare a studiare. “Waiting” è stata un ulteriore sfogo, avevo assolutamente bisogno di mettermi alla prova e intraprendere un viaggio in solitaria. L’isolamento dalle altre persone e il rallentamento forzato della mia vita hanno portato il brano alla sua conclusione.

Mi racconti nello specifico “Waiting”?

Questo brano è nato per descrivere il senso dell’attesa. Benché la si possa immaginare come un momento di stasi, può portare con sé grande inquietudine. Inizialmente ho immaginato quali emozioni possono scaturire quando si è costretti ad attendere un determinato evento, per esempio, un messaggio che tarda ad arrivare, l’incontro che potrebbe cambiare la nostra vita. Può essere entusiasmo che diventerà frustrazione. Ma c’è dell’altro: la paura di esporci che ci spinge ad attendere, ad aspettare l’occasione giusta che verrà irrimediabilmente persa. Un comfort che alla fine arriva a castrarci. Ho voluto riversare in questo pezzo la voglia, l’entusiasmo di uscire dal guscio, il gusto di farsi avanti per il semplice gusto di riscoprirsi e riconoscersi.

Nel brano sei impegnato anche al pianoforte/tastiera: è il tuo ulteriore amore?

Lo trovo uno strumento utilissimo per comporre, perché si vedono chiaramente le interazioni tra le voci degli accordi e si ha più libertà nella loro disposizione. Nel momento in cui voglio analizzare l’armonia di un brano, o progettarne una mia, mi fiondo subito al piano. Ad ogni modo non posso definirmi un tastierista, lo suono da troppo poco tempo. In questo caso, dovendo far tutto da solo, ho fatto di necessità virtù. È stato comunque molto divertente!


Quali sono i tuoi punti di riferimento in ambito chitarristico?

Sono tantissimi! Cerco sempre di farmi influenzare da più musicisti possibili, per non chiudere nessuna porta. A volte mi piace costruire lick e riff a partire dai fraseggi di musicisti che non suonano il mio strumento. Dovendo proprio scegliere però, Steve Vai, Joe Satriani, Eric Johnson, John Petrucci e David Gilmour sono nella mia Top 5 attuale.

Quale tipo di strumentazione utilizzi?

Utilizzo per lo più due chitarre che io e mio padre abbiamo costruito insieme. Quella che vedi nel video di “Waiting” è la prima, ed è quella alla quale sono più legato affettivamente. L’altra è una sette corde.

Mi pare di capire una tua forte propensione per la fase compositiva: supera il piacere dell’interpretazione?

Sono due facce della stessa medaglia. Suonare sempre e solo musica d’altri non mi ha mai fatto sentire completo, cosa che invece fa la composizione. Ho un assoluto bisogno di frugare dentro il pentagramma e disegnare su di esso le mie riflessioni sul mondo che mi circonda. Ma l’interpretazione di quei segni poi, sono il passaggio in cui questi prendono vita. Irrinunciabile anch’essa.

Come sei arrivato alla musica progressiva e che cosa trovi di appagante rispetto a generi musicali più in linea con la tua generazione?

Il primissimo incontro con il prog lo devo a mio papà che da piccolo mi fece ascoltare “The endless enigma pt.1” degli ELP, dall’album “Triology”. All’epoca non mi piacque e non sapevo nemmeno cosa fosse il progressive, ora è tra i miei dischi preferiti e ho persino un piccolo quadretto in legno appeso nel mio angolo studio. Il colpo di grazia me lo diede il mio maestro di chitarra, il quale, ascoltando una mia piccola composizione scritta durante i primi mesi di lezione, mi disse: “Secondo me potrebbe piacerti il progressive! Prova esplorarlo.” Da lì è stata la fine! Riguardo il mio amore per questo genere, credo sia dato dal fatto che si trova in bilico tra tutti gli altri. Posso trovare tranquillamente citazioni di Bach, della musica colta del 900, ma anche sonorità tipiche dei Metallica, della cultura punk fino all’elettronica. Ma ad ogni modo, non lo trovo un genere superiore agli altri. Anche nella Trap e nel Raggaetton possono trovarsi spunti interessanti. L’importante è volersi mettere sempre in gioco con nuovi ascolti, anche quelli che la natura stessa ci offre.

Un gruppo/artista/album dei seventies che ti fa sognare?

Probabilmente i Pink Floyd sono il mio gruppo preferito di quegli anni. “Dark Side of The Moon” e “Wish You Were Here” li conosco a memoria.

Quando pensi al tuo futuro musicale ti vedi in gruppo o pensi a progetti tutti tuoi?

Non escludo né l’una né l’altra situazione. Certo, essere in una band che condivide i tuoi gusti musicali sarebbe il massimo! Ma nell’attesa che ciò avvenga, non mi fermo. Attualmente collaboro in varie band, sia cover che di inediti, e da solo mi dedico ai miei brani, progressive per lo più, ma anche di musica colta.

E allora parlami del futuro, dei tuoi sogni e delle tue certezze…

La vita ha tante di quelle curve che è impossibile pensare davvero a lungo termine. Come unica certezza, la voglia di concludere gli studi al conservatorio e sfruttare i miei studi per trovare un lavoro. Per quello che riguarda i sogni, avere la possibilità di portare la mia musica ovunque e poterla suonare.



Un pò di vita di André Lorenzatti…

Da quando mi ricordo, ho sempre amato la musica e a 16 anni ho deciso di intraprendere una carriera musicale, sia in ambito performativo che compositivo. Come amante della musica rock, ho iniziato a suonare la chitarra elettrica sotto la guida di Simone Pilloni, titolare della scuola SP Guitar Institute e ho seguito il corso RLS della Rock Guitar Academy (durante un periodo di collaborazione tra le due scuole) con Donato Begotti.
Ho frequentato varie Masterclass con alcuni dei più influenti chitarristi elettrici della musica rock. Tra questi Paul Gilbert, Steve Vai, Marco Sfogli (James LaBrie, Ice Fish, PFM); ho anche frequentato un corso di ingegneria del suono per ampliare le mie conoscenze nel campo degli ambienti performativi; da qui, le prime serate da professionista per le piazze, suonando principalmente in cover band e varietà. Ma ho avuto anche la fortuna di poter condividere il palco con grandi artisti: Simon Fitzpatrick (Carl Palmer’s ELP legacy), Nazzareno Zacconi (Doogie White, Jennifer Batten, Stu Hamm, Chad Wackerman, Blaze Bayley, Tony Franklyn, Ron Thal, TM Stevens), Barend Courbois (Blind Guardian, Timo Sommers, Vinny Appice Band, e altri) e Roland Grapow (Helloween, Masterplan) durante i loro concerti e le clinic in Sardegna.
Il mio desiderio di scrivere musica inedita è sempre stato forte in me, e attualmente sono laureando al conservatorio di Cagliari al corso di Composizione. Ho iniziato a comporre brani parecchi anni fa, di stampo assolutamente progressive, ma solo ora ho iniziato ad espormi a partire da alcuni progetti facoltativi legati al conservatorio, di tutt’altro genere. Tra i più interessanti quelli per la rassegna fiati del Conservatorio, dove ho potuto conoscere, grazie al Maestro Mario Frezzato, Enrico Gabrielli e Sebastiano de Gennaro, due bravissimi musicisti coi quali si è instaurato da subito un bel rapporto di collaborazione. Nello stesso ambito il progetto Arundo Donax, nel quale si inserivano, nell’ambito della sperimentazione musicale colta, le Launeddas, uno strumento musicale tipico della Sardegna. Per questo è stato pubblicato quest’anno un CD.