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lunedì 30 maggio 2011

Intervista ... anomala a Vittorio Nocenzi


Foto di Augusto Croce

Da poche ore è terminato l’evento di Valenza… memorabile. Ne perlerò nei dettagli nei prossimi giorni.

Nell’occasione, tra le tante soddisfazioni che normalmente questi concerti mi regalano, una è da evidenziare immediatamente, e ne racconto il motivo.
Un anno fa, era l’inizio di giugno, il mago Franco Taulino realizzava una delle sue alchimie in quel di Volpedo, dove gli appassionati del prog di casa nostra potevano gustare, tra le tante cose, il ritorno sul palco del binomio “Nocenzi”. Storie da BANCO!!
Nei giorni a seguire l’amico Wazza Kanazza favoriva un mio contatto con Vittorio Nocenzi, a cui spedii le mie solite domande. Non accadde niente, così come sei mesi dopo, quando rinviai le stesse domande ad indirizzo diverso. In un anno di "tribolazioni epistolari" mi ero quindi fatto l’idea di un'inaccessibilità di Vittorio, un filtro “spesso”, una marea di impegni e… mi ero rassegnato. Mi sbagliavo. Forse il solito problema di comunicazione…
A Valenza incontro Vittorio e gli ricordo l’iter della nostra mai avvenuta intervista. Lui cade dalle nuvole e appare realmente dispiaciuto dell’incomprensione. Mi ripassa un altro indirizzo mail e appena arrivato a casa riprovo, lasciando esattamente le stesse domande di dodici mesi prima.
Passano poche ore e mi arriva la seguente mail di Vittorio Nocenzi:
Quello che non è accaduto in un anno è accaduto in un giorno: sono appena tornato e sto ancora con la valigia davanti al computer: però ho risposto a tutte le tue 10 domande.
Scusa del ritardo!!!"
Questa è dunque un’intervista anomala, con risposte che corrispondono a domande vecchie di un anno, eppure, a mio parere, non c’è niente di stonato o fuori dal tempo.

L'INTERVISTA

Non posso che partire da Volpedo, ricordando un concerto emozionante, in un contesto che, come anche tu sottolineasti, è risultato affascinante, oltre le più rosee aspettative. Pensavo che la forte emozione provata fosse riservata soprattutto a noi spettatori, ma parlando con Bernardo Lanzetti, pochi giorni dopo, ho capito che il momento magico aveva coinvolto anche gli artisti. Che cosa ha contato di più per te … la festa in onore di Rodolfo Maltese … la reunion on stage con tuo fratello Gianni, dopo molti anni … il luogo, l’amicizia, il pubblico?
Le componenti di un concerto sono scritte con un linguaggio diverso da quello verbale, è un linguaggio subliminale fatto di percezioni mentali, fisiche,spesso irrazionali, attinenti ad una sfera “parallela” a quella conscia, reale e concreta. Per cui c'era sicuramente tutto quello che hai indicato ed altro ancora, ma strutturato “dentro” secondo parametri diversi da quelli usuali.

Ho commentato con un amico presente “750.000 anni fa, l’amore” e concordavamo sul fatto che le prime note di piano provocano intensi brividi che percorrono la spina dorsale. Tipico della musica … di certa musica. Il potere gratifica molti, anche nelle situazioni più aberranti, ma avere la capacità (e quindi il potere) di creare qualcosa che provoca sensazioni positive negli esseri umani deve essere una delle maggiori soddisfazioni che si possano provare. Sei conscio di questo tuo “ dono del Signore” e sei d’accordo sul fatto che possa essere considerato come una terapia per alleviare dolori dell’anima, spesso più forti di quelli fisici?
Più che “potere” io definirei quello di cui parli “privilegio”, un privilegio di cui non bisogna mai dimenticarsi. Di sicuro la musica è qualcosa che sta contemporaneamente dentro e fuori la realtà, che coinvolge matericamente e spiritualmente, che racconta storie già note eppure ogni volta può alludere a storie nuove, inaspettate. In genere tutta l'arte ha questa capacità di essere alchemicamente costituita da ragione e istinto, da tecnica e pulsione inconscia, ma forse la musica ha il vantaggio di essere al primo impatto più coinvolgente, come se consentisse un accesso più immediato, forse più “facile”, almeno in molti dei suoi generi e stili (per la musica dodecafonica, ad es., dovremmo parlare ovviamente di altri processi). Letteratura, scultura, architettura, ad es. hanno bisogno subito dell'intervento del pensiero per essere recepite, coinvolgono in maniera più ampia la nostra parte razionale, richiedono per essere “SENTITE” emotivamente la conoscenza di linguaggi e tecniche più complesse. Con questo non intendo affatto dire che la musica sia più semplice, dico solo che al primo impatto risuona in modo più immediato, mettendo subito in moto una possibile percezione emotiva, lasciando poi agli ascolti successivi il piacere di approfondirne la conoscenza per scendere più in profondità. Credo che questa sua prerogativa la renda più incisiva degli altri linguaggi artistici e quindi ad esempio anche come terapia abbia una maggiore incisività di altre tecniche.

Vedendovi a Volpedo mi è venuto da pensare che avete moltissimo da dare … insieme. Vi avevo ascoltato un paio di anni fa, a Savona e, al di là della buona performance da professionisti, la sensazione che avevo provato era di un concerto un po’ “forzato”, come se ci fosse un contratto da rispettare, ma con una gran voglia di finire presto. L’atteggiamento di Francesco Di Giacomo , apparentemente svogliato (ma credo faccia parte del personaggio) aveva accentuato questa sensazione. Forse mi sono sbagliato, ma la mia curiosità resta: è davvero difficile suonare assieme dopo tanti anni? Si possono trovare nuovi stimoli e fresche motivazioni per continuare a far felici i sostenitori?
Un concerto non è in nessun caso fatto solo da quello che accade sul palco, anzi è molto più importante quello che accade fuori del palco, parlo della qualità del “pubblico”. Soprattutto dopo tanti anni, è l'attenzione, la qualità di chi si mette in ascolto di un concerto che lo rende interessante, emozionante, travolgente, perché è questo che ispira maggiormente un artista: chi c'è ad ascoltare la tua performance, perché questo apparente “destinatario” è invece non solo “committente” del concerto ma ne è assolutamente “cointerprete”. Ogni volta il gioco è soprattutto questo: se l'esecuzione di chi ascolta è forte, quella di chi suona non può essere mai inferiore: è un boomerang, è un rimbalzo incredibile che non potrà mai accadere in modo scontato e uguale ad un altro, almeno questo è quello che mi capita sempre con il Banco.

Cosa ha significato per te ritrovarti sul palco con Gianni, sia dal punto di vista tecnico (lo hai presentato come uno dei più grandi in Italia) che da quelloaffettivo?
Quando Gianni lasciò la formazione, fu un momento molto particolare, e oggi a distanza di tanto tempo possono dire che per me fu sicuramente doloroso, fui subito consapevole delle occasioni preziose che avremmo sottratto a noi stessi e agli altri... ma le scelte vanno ovviamente sempre rispettate. Il potenziale delnostro binomio, provando a parlarne in maniera onestamente distaccata ed obiettiva, credo che si sia espresso direi al massimo al 30 - 40 % di quello che avrebbe potuto dare, e bada bene questa è la prima ed ultima volta che lo dico pubblicamente (le autocelebrazioni, anche se mi ci tiri per i capelli, sono sempre imbarazzanti e di poco gusto!). Sul livello tecnico-artistico di Gianni credo che la mia affermazione sia assolutamente oggettiva, distante anni luce dal fatto di essere fratelli: è una mia convinzione ed in quanto tale certamente condivisibile oppure no.

Dando una lettura ai tuoi moltissimi impegni ufficiali, emerge la tua attenzione verso i giovani talenti e verso la cultura in generale, non solo musicale quindi. So che è facile cadere nella retorica, ma esiste tutto un mondo di “ultimi”, cronologicamente parlando, che rischia di restare pericolosamente senza obiettivi, o comunque senza comprendere quale tipo di impegno serva per raggiungerli. E non credo che “Amici” sia un buon esempio. Che cosa, concretamente, può fare un artista per far capire a un giovane che l’oasi si raggiunge dopo chilometri di deserto?
Non c'è niente che un artista possa fare per indicare le scorciatoie verso l'oasi... perché se sei un vero artista, hai già sofferto tu quell'inferno, le illusioni, le delusioni, le ipocrisie, l'ignoranza crassa e arrogante... per cui puoi solo essere dalla parte dei giovani e dire loro di resistere e di credere a sé stessi fin dove possono e oltre.

”Estremo occidente” è una questione tra te e il tuo piano. Potresti scegliere tra la bellezza di una lirica musicata e le immagini fornite dalla sola musica? Cosa prevale, se prevale, tra testo e suoni?
Ancora una volta è un fatto di linguaggi: il suono non ricorre ai concetti logici del pensiero e delle parole, quindi ha il vantaggio di raccontate tante storie parallele quanti sono gli ascoltatori. Nel momento in cui metti insieme parole e musica, sicuramente in qualche modo restringi un po' l'immaginario evocato dalla sola musica, come se le immagini suggerite dalle parole possano imbrigliare quelle più ampie della musica strumentale. Però, come spesso accade, in qualche modo c'è una specie di compensazione: il testo da una forza più penetrante, da ulteriore efficacia alla musica e quindi le consente di arrivare prima agli altri, le suggestioni sono già in parte decodificate. Inoltre se è vero che suggerisce delle immagini obbligate (cioè quelle legate alle parole) è altrettanto vero che, come accade per un libro, io posso comunque dare, in modo personale e diverso da quello degli altri, fisionomia ad un viso, emozioni ad un racconto, insomma fare di una lettura una specie di film individuale. “Movimenti” proponeva le poesie che Alda Merini aveva scritto per i miei brani come lettura parallela all'ascolto, proprio per scardinare l'obbligarietà delle parole della canzone fissate e “inchiavate” sulle note della melodia: proponevo di leggere le poesie di Alda Merini contemporaneamente all'ascolto dei brani, liberamente... con una scansione temporale più larga di quella delle canzoni, che consentisse di gustare le immagini evocate dalle parole in modo ampio, amplificandole con l'ascolto della musica. I versi della Merini potevano essere letti più volte, durante l'ascolto della mia musica, con una scansione ampia e reiterata, come sorseggiare un grande bicchiere d'acqua e scoprirne la bontà mentre ti leva la sete.

Credo di avere grossi esempi di “classico “ che soccorre il rock. Ma c’è qualcosa di rock nella musica classica?
Posso rispondere meglio se mi consenti di rifarmi all'ABC della musica: i tre elementi fondamentali che la costituiscono sono melodia, armonia e ritmo (oltre naturalmente al suono, al timbro). Quando la pulsazione ritmica viene esaltata dalla scrittura e dall'esecuzione, allora la musica classica è più vicina al rock. La “Sacre du printemps” di Stravinskji, con i suoi accentati insistenti ed esplosivi, può essere un buon esempio di quello che intendo. Ho sentito eseguire, ad es., da Nigel Kennedy “Le quattro stagioni “di Vivaldi con una forza ritmica così prorompente da far diventare l'intera composizione assolutamente rock!! Eppure la partitura non aveva subito nessuna variazione, anzi era stata eseguita in modo filologico e assolutamente rigoroso. Nello stesso concerto ho sentito eseguire anche Hendrix dallo stesso ensamble di archi di Kennedy: era un regalo del rock al mondo sinfonico.

Mi ha affascinato il concetto di “mutamento” alla base dell ‘ “I CHING “, filosofia che hai applicato nella realizzazione del tuo disco. Quando riproponi i vecchi brani del BMS li “senti” differenti , per significato o presentazione, rispetto al passato?
E' sempre la stessa storia: la musica è un miracoloso paradosso, è matematica eppure allo stesso tempo esprime irrazionalità, è tecnica, è precisione ed allo stesso tempo è istinto, è realtà concreta che si porge all'ascolto per spostarti in altre parallele dimensioni, è il contatto con il trascendente, il divino... come la follia che veniva rispettata dalle culture popolari proprio per la sua illogicità come interfaccia metafisico. Il tempo, il passato, il presente, sono categorie mentali così relative!

Mi porto dietro sin dall’adolescenza un concetto di Voltaire che definiva l’amicizia “… un tacito accordo tra persone sensibili e virtuose … “. Quanto erano “sensibili e virtuosi “ gli uomini on stage a Volpedo.
Sono convinto che sul palco c'era molto di quel tacito accordo volteriano.

Sei felice, musicalmente parlando?
No, mi manca il tempo necessario per scrivere di più, mi manca l'opportunità di poter credere ancora alla forza della cultura e dell'emozione... vedo invece intorno un cinismo stupido e miope che non ha nulla a che fare con quella dimensione spirituale di cui la musica e le altre arti dell'uomo hanno sempre bisogno per potersi trasformare in idee nuove, emozioni, visioni future, sentimenti condivisi e privati allo stesso tempo, insomma nel miracolo di poter sognare ad occhi aperti.