giovedì 30 luglio 2020

Maxophone al ProgLiguria-Video inedito del 21 gennaio 2012



Ancora un video inedito relativo a quanto avvenuto sabato 21 gennaio 2012 al Centro Fieristico di Spezia Expo, luogo in cui è andata in scena una kermesse musicale realizzata a scopo benefico per aiutare concretamente gli alluvionati colpiti dal tragico evento del 25 ottobre 2011 nel Levante ligure, in particolare nella zona di Spezia.

Una manifestazione legata alla musica progressiva, dal momento che il livello organizzativo parlava quella lingua. Il nome scelto non poteva andare troppo lontano dalla musica proposta: ProgLiguria.

Un po' di dettagli - e ricordi - si possono ricavare da questo articolo dell’epoca:



Tante band, tra storia e novità, e una maratona che permise di realizzare 12 ore di musica non stop.

Ecco gli articoli - e i video - già proposti:













                                            



Tocca oggi ai Maxophone, gruppo di rock progressivo nato nei primi anni ‘70, periodo in cui lasciò il segno attraverso la realizzazione dell’album di esordio omonimo, nel 1975.

Una breve vita a cui viene dato seguito nel 2008, quando i Maxophone si ricostituiscono con una nuova formazione che vede presenti i membri storici Sergio Lattuada e Alberto Ravasini e i nuovi elementi Francesco Garolfi (chitarre, voci), Marco Croci (basso elettrico, voci) e Carlo Monti (batteria, percussioni, violino). Successivamente, a Francesco Garolfi subentra Marco Tomasini.

La band proseguirà la sua attività sino al 2018, quando verrà a mancare Sergio Lattuada.

Ascoltiamoli/vediamoli nel contesto del ProgLiguria:






lunedì 27 luglio 2020

The Seeds


The Seeds è stato un gruppo rock formato a Los Angeles nel 1965 da Sky Saxon, band conosciuta soprattutto per il brano di successo “Pushin' Too Hard”.


Come molte band californiane dell'epoca anche i The Seeds davano grande spazio all'organo, ma la durezza del sound, l'ossessivo ripetersi degli accordi, il cantato aggressivo di Saxon conferivano al gruppo uno stile quasi punk.

Il gruppo si sciolse all'inizio degli anni 1970 e Saxon abbracciò il misticismo aderendo ad una enigmatica setta religiosa nelle Hawaii.


Nel corso degli anni il gruppo ha avuto diverse rifondazioni e nel 2005, con una nuova formazione, Saxon ha ripreso a fare tournée.

Sky Saxon è scomparso il 25 giugno 2009, a 63 anni, ad Austin (Texas), a causa di una presunta infezione agli organi interni.


Componenti originari:

Sky Saxon - voce, basso
Jan Savage - chitarra
Rick Andridge - batteria
Daryl Hooper – organo

Discografia:

Album in studio
1966 - The Seeds
1966 - A Web of Sound
1967 - Future
1967 - A Full Spoon of Seedy Blues
1968 - Raw & Alive - The Seeds in Concert at Merlin's Music Box 

mercoledì 22 luglio 2020

Fabrizio Poggi-“For You”


 Fabrizio Poggi raggiunge il numero 23, una cifra cospicua di album che hanno puntellato la sua lunga strada fatta di blues e chilometri, quello spazio apparentemente enorme tra le origini e un profondo credo, in continuo equilibrio tra la “sua” Italia e la “sua” America, il paese straniero più amato, e proprio per questo potenziale oggetto di critiche costruttive.

Ciò che Fabrizio mi ha raccontato nel corso della nostra intervista descrive nei particolari il nuovo disco, “For You”, e il suo pensiero incrocia le mie impressioni d’ascolto che vado a delineare.


For You” è un disco quasi profetico, capace di diventare attuale in un momento di estrema emergenza come quello che stiamo vivendo, e questo nonostante la sua genesi risalga a momenti decisamente più sereni.
Mi viene da sottolineare che, nonostante si stia toccando oggi la punta dell’iceberg, la situazione di disagio, più o meno conscio, sia da tempo in crescita, mitigata da attimi di luce, un confortevole inverno della vita in cui gli spigoli taglienti vengono ammorbiditi da una spessa coltre di neve… ma poi ritorna la primavera, e i metalli acuminati riemergono, ferendo chi ne viene a contatto, senza particolari distinzioni, in modo quasi democratico.
In questo senso l’impegno specifico di Fabrizio Poggi si giustifica appieno all’interno del momento contingente, e ciò colpisce fortemente l’immaginazione collettiva, ma la sua azione avrebbe avuto la stessa valenza in momenti di calma apparente.

For You” è dedicato ad una persona in particolare - Patrizia Longo -, vittima del virus ma, come sottolinea l’autore, il concetto di “dono” va ampliato e assume etichetta universale, un rivolgersi a chi è solo, bisognoso di affetti, in attesa di una mano protesa verso di sé o di una semplice parola di conforto, mettendo al bando le divisioni e l’egoismo di ogni tipo: l’amore tutto può, ed è questo il collante che Poggi utilizza per cementare le dieci canzoni dell’album.
Dopo anni di autarchia la produzione è stata affidata a Stefano Spina - compositore e polistrumentista -, collaboratore di lunga data (è suo il lavoro che ha portato Poggi e Guy Davis a competere con i Rolling Stones ai Grammy Awards nel 2018). Ma Spina si è spinto oltre, superando il lavoro di produzione e quello strumentistico, dedicandosi anche agli arrangiamenti e alla guida della band di riferimento.

Sono dieci i brani proposti, di cui sei arrangiamenti di canzoni tradizionali, più tre inediti e la title track scritta dall’amico Eric Bibb.
Conosco bene la corposa fase live di Poggi e della sua band, ma il lavoro in studio fornisce possibilità che portano ad ampliamenti sonori non sempre riproducibili dal vivo, e l’utilizzo dei fiati (sax e tromba) riporta a quelle immagini “cinematografiche” che l’autore definisce come “… un viaggio che parte dalle radici africane per approdare ad Harlem, un percorso senza tempo tra il Mississippi e New Orleans, tra la madre Africa e le scale antincendio dei vecchi fabbricati di New York tanto cari a Woody Allen e Spike Lee…”.

Percepisco questo nuovo lavoro di Fabrizio Poggi come fortemente contaminato, e pur mantenendo la matrice di riferimento - il basico blues -, non mancano forti sottolineature rock e jazz. Provo a sintetizzare gli aspetti musicali, brano dopo brano.

Apre “Keep On Walkin’” riadattamento di un pezzo tradizionale. La ricerca spasmodica della terra della libertà, un cammino che non deve conoscere soste.
Arrangiamento raffinato con un rimbalzo tra lo strumento “voce” e l’armonica, e con il sax pronto a delineare toccanti atmosfere jazz.
Segue “If These Wings”, altro riadattamento che propone un arrangiamento da brividi, e spinge verso terre lontane e storie antiche.
Si prosegue con la tradizione e con “Chariot”, una traccia “voce/basso/armonica” che musicalmente riporta alle ragioni e alla semplicità del blues… ma è una condizione che oltrepassa etichette e barriere temporali.
La rivisitazione di “Don’t Get Worried” conduce verso un deciso rock che presenta gli stilemi sudamericani e che mi ha ricordato il primo “Santana”. Brano coinvolgente.
Con “I’m going there” si ritorna al blues più atavico, una trama oscura in cui l’armonica di Fabrizio conduce il gioco e penetra in profondità.
For You”, di Eric Bibb, è giudicata da Fabrizio “… la più bella canzone d’amore mai scritta…”. Un duetto tra voce/armonica e il pianoforte di Stefano Intelisano, con un arrangiamento di archi magico, una perla che suscita forti emozioni e che propongo a fine articolo.
My name is heart” è un inedito dell’autore e vede l’entrata in scena di Arsene Duevi (chitarra e voce), straordinario musicista originario del Togo. Traccia caratterizzata dagli aspetti corali, dalla tromba di Luca Calabrese e da liriche di grande impegno.
Just Love” è l’ultimo tradizionale, un giro di blues dove l’ukulele di Fabrizio si sposa ad aspetti più elettrici che trasformano il tutto in bisogno di dinamicità… muovere le gambe -oltre al cervello - sembrerebbe cosa naturale.
Altra chicca è “Sweet Jesus”, creazione di Fabrizio dal profumo quasi aulico negli intenti, ma dal ritornello “popolare” e accattivante.
In chiusura “It’s not too late”, che si apre con le parole di Arsene Duevi: “È tempo, Madre Terra piange, lacrima, urla. È tempo di udire la sua voce, guardare di nuovo il suo volto. È tempo, siamo in tempo. È tempo di fermare il tempo”.
Duetto vocale tra Poggi e Duevi per una canzone che rappresenta da sola il significato pieno di “For You”, un disco che non vuole calcare la mano sulla negatività che ci circonda, ma si focalizza piuttosto sul concetto di speranza, che in divenire diventa certezza, il convincimento che non tutto sia perduto per noi e per la terra in cui viviamo, e che si possa incidere sulle relazioni inadeguate che regolano il mondo, quelle che ritroviamo alla base di ogni stato di precarietà.

Nei dieci brani di “For You” c’è tutto questo… speranza, buoni propositi e un po' di fiducia, perché non tutto e perso, e anche la musica ce lo ricorda!


L'INTERVISTA

Vorrei partire dal titolo dell’album: dalle note del comunicato ho letto che esiste un riferimento ben preciso, ma immagino che “For You” possa avere un significato allargato…

Sì, la dedica ha decisamente un significato molto più vasto. “For You” trascende il proprio significato per assumere un senso più lato, più universale: l’amore infinito. Ecco perché, come ho scritto nella copertina del disco, “For you” è un disco “per”.
Un disco per te, per noi, per tutti. Perché uniti ce la faremo.
È un disco per tutti coloro che sono preoccupati. Per chi si sente solo e perduto.
Ed è un disco per questa terra di cui prima o poi dovremo cominciare a prenderci cura, perché non è troppo tardi, davvero…
È un disco per chiunque abbia bisogno di sentirsi dire che qualcuno ha fatto qualcosa “per te”. Solo per te…

Mi ha colpito una chiosa riferita al tuo nuovo lavoro inserita in fase di presentazione, “Un disco quasi cinematografico…”: quale film vuoi raccontare col tuo 23° album?

Per me la musica ha sempre avuto qualcosa di cinematografico. Le canzoni hanno fatto da colonna sonora ai miei sogni: veri e propri film che mi aiutavano a vivere una realtà spesso difficile e complicata. E in questo disco a mio parere ci sono parecchie canzoni che potrebbero fare da colonna sonora a film veri o inventati. Io ho solo dato lo spunto. Lascio all’ascoltatore, come è giusto, la libertà di scegliere che film far girare alla propria immaginazione …  

I temi sociali sono caratteristici del tuo impegno musicale, ma è tutto il blues che assolve alla funzione di racconto e al contempo di moderatore delle negatività, attraverso esempi concreti: che tipo di insegnamento possiamo trarre da questo periodo irripetibile, e come può aiutarci la riflessione fatta attraverso la musica?

“For you” è un disco purtroppo drammaticamente attuale, seppur pensato in un periodo che nulla lasciava presagire il dramma che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo oggi. È un disco resiliente. Resiliente come il blues. Una musica che da sempre, sin dalle origini infonde forza, speranza, fiducia. L’ondata di proteste che sta investendo gli Stati Uniti e di riflesso l’intero mondo occidentale ha riacceso l’attenzione sull’attualità delle tensioni razziali. Un’attenzione che per me non si era mai spenta. Sono ormai diversi anni che porto in giro lo spettacolo “Il soffio della Libertà”, con le canzoni e le storie che hanno fatto da soundtrack alle lotte per i diritti civili.
Con questo disco prosegue quindi il mio impegno civile allargandolo anche a temi ecologici e di giustizia sociale. Con questo disco voglio ricordare ancora una volta le parole “I HAVE A DREAM”,0 di Martin Luther King, quattro parole il cui profondo significato, espressione di valori universali, è ancora oggi, con il movimento “Black Lives Matterr” e il caso George Floyd dolorosamente valido. È attuale. Attualissimo.

Esiste a tuo giudizio uno spazio per rimediare ai nostri errori atavici?

“For You” è un disco di speranza. Sarò ingenuo, forse naif, ma a sessantadue anni io ci credo ancora. Credo ancora che la musica possa rendere questo mondo migliore. E lo dico ogni sera dal palco. C'è ancora tanta strada da percorrere per far diventare il sogno di Martin Luther King realtà ma io non ho perso la speranza e credo che le canzoni possano fare, ancora oggi, davvero tanto. Ognuno può fare ciò che vuole, ma io credo che sia un dovere per ogni artista cercare di rendere questo mondo più giusto e solidale. Non è per niente facile. Anzi è difficilissimo. E comprendo chi si arrende. Come dico spesso: “Se sarà la bellezza a salvare il mondo, io sono sicuro che il blues non si tirerà indietro e farà la sua parte”. 

Ho trovato il tuo disco aperto a nuove soluzioni, una deviazione rispetto a schemi rigorosi, con larghi spazi alla contaminazione: come lo definiresti dal punto di vista musicale?

Per la verità io non sono mai stato un bluesman così rigoroso. Come per altro non sono poi così tanto rigorosi molti dei miei eroi musicali. Gente che ha fatto la storia del blues. Il blues stesso è una musica nata da contaminazioni infinite che continuano ancora oggi. “For You” è un disco che parte dal blues e dallo spiritual ma che poi, attraverso brani originali e canzoni senza tempo, si è arricchito di sfumature folk, jazz e rock. E c’è anche un po’ di world music. In questo disco ho voluto affrontare percorsi per certi versi inediti, almeno per me, ma che alla fine si sono dimostrati estremamente affascinanti.

Per la prima volta ti sei affidato ad una produzione esterna, quella di Stefano Spina: come giudichi l’esperienza?

Estremamente positiva. Per la prima volta nel mio percorso artistico ho affidato il disco a un produttore esterno: Stefano Spina, che un compositore e polistrumentista con cui collaboro da diverso tempo. È lui ad aver registrato il disco che mi ha portato con Guy Davis a sfidare i Rolling Stones ai Grammy Awards nel 2018. Ma Stefano Spina non si è limitato al lavoro di produzione, registrazione, missaggio e a suonare diversi strumenti tra cui batteria e tastiere, ma ha anche scritto tutti gli arrangiamenti e ha sapientemente guidato una band di formidabili musicisti.

Mi racconti qualcosa di Arsene Duevi, per me novità assoluta?

Lo era anche per me. È stato Stefano Spina a farmelo conoscere. Arsene Duevi è un musicista straordinario, dalla vocalità quasi sciamanica. È originario del Togo e con grande poesia e generosità ha donato la sua voce e la sua chitarra in diversi brani dell’album. Toccanti le parole da lui cantate nella sua lingua madre in apertura del brano che chiude il disco. Parole senza tempo. Perché non è troppo tardi per rimediare al male che abbiamo fatto al nostro pianeta.

Guardando la tracklist emerge come sei tracce siano riprese dalla tradizione: come è avvenuta la scelta?

Anche questa è una scelta che ricorre spesso nelle mie incisioni. E in questo seppur con infinita modestia condivido ciò che grandi come Woody Guthrie, Bob Dylan e tanti hanno fatto nel passato. Prendere brani tradizionali e interpretarli come se li avessi scritti tu. Qui viene fuori forse il mio lato più folk. E nella musica tradizionale ci sono così tante belle canzoni che è bellissimo riportare a nuova vita.

Il completamento dell’album è dato da un brano di Eric Bibb e da tue creazioni: puoi raccontarmi qualcosa a tal proposito?

I brani autografi sono in gran parte frutto anche questi della collaborazione con Stefano Spina. Di alcuni Stefano ha suggerito anche la melodia e qualche idea letteraria. Altri invece sono mie creazioni che Stefano ha vestito con bellissimi arrangiamenti. “For you” per me è la più bella canzone d’amore mai scritta. L’ha composta il mio amico fraterno Eric Bibb con cui ho condiviso incisioni e palcoscenici. È una canzone che ho sempre desiderato cantare. E ad Eric la mia versione è piaciuta molto, cosa niente affatto scontata. Ha addirittura paragonato la mia voce a quella del leggendario Chet Baker.

Problemi sanitari permettendo, come e dove proporrai “For You” dal vivo nell’immediato futuro?

Stiamo riprendendo solo ora l’attività live che per un musicista è come l’aria: assolutamente vitale. Ma stiamo navigando a vista. Progetti a lunga scadenza non se ne possono fare, ma spero di riuscire a portare questo mio nuovo lavoro un po’ dappertutto. Non vedo l’ora di collaborare di nuovo sul palco con Stefano Spina e con tutti i musicisti che sapientemente mi hanno accompagnato in questo incredibile viaggio: Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso, Enrico Polverari e Giampiero Spina alle chitarre, Pee Wee Durante all’organo, Tullio Ricci al sassofono, Luca Calabrese alla tromba e Stefano Intelisano al pianoforte. E naturalmente Arsene Duevi.


TRACKLIST:

1-KEEP ON WALKIN’
2-IF THESE WINGS
3-CHARIOT
4-DON’T GET WORRIED
5-I’M GOIN’ THERE
6-FOR YOU
7-MY NAME IS EARTH
8-JUST LOVE
9-SWEET JESUS
10-IT’S NOT TOO LATE

Registrato, arrangiato, prodotto e mixato da Stefano Spina
Fabrizio Poggi: voce, armonica, ukulele, chitarra acustica
Stefano Apina: batteria, basso elettrico in “I’m goin’ there”, piano, tastiere
Arsene Duevi: chitarra classica, voce, in “My name is Earth” e “It’s not too late
Enrico Polverari: chitarra elettrica e acustica
Giampiero Spina: chitarra elettrica in “Keep on walkin
Tito Mangialajo Rantzer: contrabbasso
Pee Wee Durabte: organo
Tullio Ricci: sax
Luca Calabrese: tromba
Stefano Intelisano: piano in “For you
Laura Cerri, Elena Garbelli, Franca Lucarelli, Veronique Mangini, Massimo Minardi
Marco Mutti, Marilisa Rotondo, Simone Scarsellini, Ilaria Scola, Rossana Torri,
Mauro Vantadori: cori

Foto di copertina: Riccardo Piccirillo
Foro di retrocopertina: Mario Rota
Grafica: MANUELA HUBER
Fabrizio Poggi suona armoniche Hohner




martedì 21 luglio 2020

Nazareth:quattro decadi all’insegna del rock’n’roll


Quarant’anni di carriera e oltre cinquanta milioni di dischi venduti in tutto il mondo: sono questi i numeri che cristallizzano la storia dei Nazareth, band scozzese che ha superato quattro decadi all’insegna del rock’n’roll e che, tra alti e bassi, è sempre riuscita a mantenere vivo l’interesse dei fan.
Vediamo di delinearne la storia…

I Nazareth nascono in Scozia nel 1968, e possono essere inseriti nella sfera dell’hard rock.

La genesi risale al 1966, quando il cantante Dan McCafferty, il bassista Pete Agnew ed il batterista Darrell Sweet formarono a Dunfermline quella che oggi chiameremmo una cover band, i The Shadettes. Dopo un paio di anni di attività nei pub della zona la band si sciolse, o meglio, aggiunse l'ex chitarrista dei "Mark Five" Manny Charlton cambiando denominazione in Nazareth, nome derivante da un noto brano dei The Band intitolato "The Weight" ("I pulled into Nazareth/Was feelin' half past dead...").

La band si spostò a Londra nel 1970 e realizzò il primo album, l'omonimo “Nazareth”, nel 1971.


Dopo aver attirato qualche attenzione col secondo album “Exercises” nel 1972, i Nazareth pubblicarono “Razamanaz”, nel 1973, con la produzione di Roger Glover (Deep Purple).

Questo disco conteneva due brani entrati nella Top Ten britannica, "Broken Down Angel" e "Bad Bad Boy". Seguì l'album “Loud 'N' Proud”, nel 1974, che proponeva un altro singolo, una reinterpretazione di Joni Mitchell, "This Flight Tonight". Il quarto album, “Rampant”, uscì nel 1974, ebbe lo stesso successo dei precedenti, ma non fu accompagnato da singoli.

“Hair of the Dog” risale al 1975. La versione americana dell'album includeva "Love Hurts", una ballata melodica originariamente scritta per gli Everly Brothers ed eseguita anche da Roy Orbison, che venne estratta in Gran Bretagna e negli Stati Uniti dove diventò disco di platino. Sarà l'album più famoso del gruppo, e la title track sarà ripresa successivamente da molte band.


Facciamo un bel salto in avanti…

"The Newz", pubblicato nel 2008, è un ottimo disco intriso di vero autentico rock, con momenti strumentali e vocali di buon livello. La band, nonostante l'età artistica ed anagrafica, sprigiona forza e vigore con una freschezza davvero ammirevole.

L'ultimo disco del gruppo, intitolato “Rock 'n' Roll Telephone” è uscito nel giugno del 2014.
Il 13 febbraio 2015 è stata annunciata l’entrata del nuovo cantante, Carl Sentance, con cui proseguono l’attività.


Formazione attuale

Carl Sentance - Voce (2015-oggi)
Jimmy Murrison - Chitarra (1994-oggi)
Pete Agnew - Basso (1968-oggi)
Lee Agnew - Batteria (1999-oggi)
Ex Membri
Linton Osborne - Voce (2014-2015)
Dan McCafferty - Voce (1968-2013)
Ronnie Leahy - Tastiere (1994-2002)
Darrell Sweet - Batteria (1968-1999)
Billy Rankin - Chitarra (1980-1983, 1991-1994), Tastiere (1983-1984)
Manny Charlton - Chitarra (1968-1990)
John Locke - Tastiere (1980-1983)
Zal Cleminson - Chitarra (1979-1980)

Una recente esibizione:


Discografia

Album in studio
1971 - Nazareth
1972 - Exercises
1973 - Razamanaz
1973 - Loud 'n' Proud
1974 - Rampant
1975 - Hair of the Dog
1976 - Close Enough for Rock 'n' Roll
1976 - Play 'n' the Game
1977 - Expect No Mercy
1979 - No Mean City
1980 - Malice in Wonderland
1981 - The Fool Circle
1982 - 2XS
1983 - Sound Elixir
1984 - The Catch
1986 - Cinema
1989 - Snakes 'n' Ladders
1991 - No Jive
1994 - Move Me
1998 - Boogaloo
2003 - Alive and Kicking
2004 - Free Wheeler
2008 - The Newz
2011 - Big Dogz
2014 - Rock 'n' Roll Telephone
2018 - Tattoed on My Brain

Live
1972 - BBC Radio 1 Live in Concert
1973 - Live in Concert
1981 - Snaz
1998 - Live at the Beeb
2001 - Homecoming
2002 - Homecoming: Greatest Hits Live in Glasgow

lunedì 20 luglio 2020

B a r b a r a R u b i n-The Shadows Playground (Piano Works)


B a r b a r a R u b i n-The Shadows Playground (Piano Works)

Barbara Rubin propone in suo terzo album solista dal titolo “The Shadows Playground”, disponibile per il download digitale, in CD e in VINILE.
L’intervista a seguire si è trasformata in insostituibile descrizione oggettiva, perché Barbara entra nel dettaglio di ogni singolo brano, permettendo di dare luce a ciò che nessun commentatore esterno potrebbe mai afferrare in modo autonomo.

Conosco la Rubin da molto tempo, e ciò che associo immediatamente al suo nome è il violino, strumento con cui è cresciuta e si è formata, che le ha permesso di vivere momenti fondamentali della sua vita.
Ma in questo caso gioca un ruolo fondamentale il pianoforte, come indicato dal sottotitolo e dalle parole dell’autrice.
Vorrei quindi dare un’immagine di insieme di un lavoro di grande qualità che, ne sono certo, potrebbe emozionare qualsiasi anima minimamente virtuosa, perché il segreto non è decodificare ad ogni costo il pensiero e l’intento dell’artista ma, specialmente in occasioni come questa, è bene appropriarsi delle creazioni altrui e viverle in prima persona, andando incontro ad una sicura gratificazione.
Il mio suggerimento potrebbe essere quello di prendersi un po' di tempo per sé, trovare il giusto ambiente predisposto per un ascolto attivo, e… entrare nei brani, viverli, immaginarli, sognarli, lasciandosi contaminare da una proposta acustica, basata su stilemi classici fusi con la libertà espressiva tipica della musica progressiva, con ricchezza di contenuti sonori e lirici.

Barbara Rubin fa tutto in proprio, occupandosi non solo della fase creativa ma anche degli aspetti al contorno, quelli che solitamente il musicista delega a terzi.
In questa operazione autarchica, oltre alla voce e al violino, mette in campo le sue skills strumentistiche, utilizzando pianoforte e sintetizzatori, chitarra, basso e batteria.
Legame consolidato e riproposto nel tempo quello col vocalist Andrea Giolo, il cui ruolo viene sviscerato nelle righe a seguire.

“The Shadows Playground” è il compendio di quanto accaduto all’autrice in una parte della sua vita, e le nove tracce appaiono come la descrizione di episodi singoli che, se esplosi, si allargano verso concetti immortali dalle dimensioni gigantesche.
Riuscire a disegnare musicalmente storie personali e sentimenti universali è un privilegio di certi artisti che, in casi come questo, aprono la porta a chi musicista non è, realizzando uno stato osmotico che li pone sullo stesso piano dell’ascoltatore, con la realizzazione di una buona sintonia che esalta il ruolo del “donatore della musica”.

Un disco carico di sentimenti, di suggerimenti, di riflessioni, della quasi certezza che ad ogni alba possa corrispondere un momento di rinascita che arriva dopo il buio notturno, quello che appare infinito se vissuto in totale coscienza.

Sono rimasto colpito in particolare dall’ambientazione sonora, dalla commistione degli archi con gli aspetti ritmici, dalle voci trasformate in strumento, dalle atmosfere che solo un pianoforte è in grado di creare.
Un disco che merita di essere proposto dal vivo, ma nel giusto contesto, con un pubblico in grado di mantenere un minimo di concentrazione, che servirà solo come predisposizione iniziale, perché dopo le prime note il coinvolgimento delle anime sensibili diventerà naturale.   
Imperdibile!


Barbara Rubin e Andrea Giolo

Qualche chiacchiera in libertà...

Sei arrivata al tuo terzo album solista che utilizza il sottotitolo “Piano Works”: partiamo dalla decodificazione del titolo, “The Shadows Playground”.

“Il Parco giochi delle ombre”, mi sembrava il titolo giusto per un disco in cui i giochi di ombre e luce sono la metafora più adatta per il percorso di vita che ho affrontato negli ultimi anni... nei rapporti con le persone, nell'introspezione e nella continua ricerca della comprensione di chi sono e di ciò che mi circonda. È un viaggio nel silenzio della notte che lascia spazio ad una visione profonda del mondo interiore, per terminare alle luci dell'alba, che è una quotidiana possibilità di rinascita.

Tra i tuoi lavori esiste un significativo spazio temporale: gestione oculata del tempo disponibile o attesa della giusta ispirazione? Gli argomenti non mancano mai!

Ci sono diverse ragioni che spiegano questa attesa tra i miei lavori da solista. La prima è che, poco prima della pubblicazione di “Under The Ice” (2010), ho iniziato una collaborazione con la band Loreweaver, terminata nel 2014, ma che mi ha coinvolta nella composizione e realizzazione di due album. Nello stesso anno ho realizzato un album di brani per violino e pianoforte insieme alla pianista compositrice Veronica Fasanelli e nel 2015 ho intrapreso i lavori per il progetto “Luna Nuova”, che mi ha impegnata nella scrittura dei tre brani pubblicati nell'omonimo mini-album.
Nonostante questi impegni, ho continuato a scrivere per me, prevalentemente tessiture al pianoforte, ecco perché il sottotitolo “piano works”. Sono tracce che nascono quasi tutte da una base pianistica, che poi si sono evolute in brani vocali o strumentali.
Quando scrivo sento sempre il desiderio di pubblicare, ma non mi prefiggo mai una data di uscita. Il lavoro di insegnante non mi lascia molto tempo e, a volte, scrivo veramente in sprazzi di pochi minuti. Oltre a questo, non considero un brano finito finché non ho fatto del mio meglio, sia a livello di scrittura che di arrangiamento e, questa cura, richiede tempi lunghi.

Mi racconti i contenuti musicali e lirici del disco?

Endless Hope”, è una lettera immaginaria a chi, sopraffatto da una vita frenetica e materiale, non percepisce più l'amore o ha smarrito il desiderio di cercarlo. Improvvisamente si ferma e prova una profonda solitudine. Come se fosse in una landa sperduta, percepisce una voce dall'orizzonte che parla d'amore. Quella voce è la speranza.
Seven”: il 7 nella numerologia di molte culture stabilisce il contatto tra vita terrena e vita spirituale. Parla di ciò che è materiale e colpisce l'anima, le bugie, le avversità e di quanto queste ferite possano renderci più forti. Per fare questo, spesso per me è importante pensare a chi non c'è più, per affrontare la vita “seven flowers for my seven angels, seven lights, seven drops of Sun, to face the night...”.
La Maddalena”: l'amore per la figura di Maria Maddalena è stata una folgorazione, una scintilla improvvisa, scoccata dopo aver scelto il Graal come simbolo di femminilità per il brano “Gradalis”, incluso in “Luna Nuova”. Ho cominciato a fare ricerche leggendo frammenti dei Vangeli Apocrifi, in particolare il suo, il Vangelo di Maria, e quello di Filippo, terminando con la leggenda che la vede attraversare il Mediterraneo dopo la morte di Gesù, per arrivare nel sud della Francia. Più di tutto mi ha colpita ciò che è emerso da tutto questo... la complicità tra lei e Gesù, la confidenzialità, la condivisione e la stima tra un uomo e una donna che condividono una filosofia, un'idea nuova dell'amore.
Clouds” è una dedica a mia madre. Non ti è mai capitato di guardare il cielo e di vedere quei giochi di nuvole che ricordano qualcosa? “Watching at the clouds, I clearly see your face” ... un giorno, ho alzato la testa e mi sembrato di vedere il suo volto. Da qui è nato questo interludio.
Sunrise Promenade”: una passeggiata al crepuscolo, che viene descritta in uno strumentale che procede con tranquillità, quasi come i primi pigri pensieri dopo il risveglio, che prendono più energia al sorgere del sole.  È una rinascita.
The Shadows Playground” “... is a place that we found, to be part of the night...”.
La notte è il luogo dove si incontra chi si ama e, in questo caso, per trovare un modo per affrontare le avversità della vita, affrontando e attraversando tutto... love is here and you show me how the tears can be the last safe road to get away far from the storm, a blinding storm, and you'll wait till I have gone through all”.
Sleeping Violin”, come i due brani seguenti, è ispirato al romanzo “Heresy” di Hais Timur. Con l'autrice era nata l'idea di scrivere tre brani che commentassero alcune scene del libro, che al momento, è ancora inedito. Nel CD è presente una didascalia che descrive ognuno di questi momenti. “La giovane zingara, suonando il violino, poteva risvegliare l'Angelo del Lago, ma per farlo, le serviva lo strumento che era sepolto con sua madre. Durante la riesumazione, la ragazza cominciò a suonare una Romanza con la sua Viola, mentre lo spirito della madre rispondeva col suo violino”.
La Ballata degli Angeli” “...e la giovane zingara, comincia a suonare il Violino di sua madre per risvegliare l'Angelo del Lago”.
Helen's Word”: “Helen, la sorella di Gesù, rimase coinvolta in una grande battaglia sul mare, così chiamò le balene, antiche creature, per soccorrerla e salvarle lei e i suoi soldati”.
In questo brano, dopo un breve intro in latino, si può ascoltare un coro che vede la partecipazione di Veronica Fasanelli come soprano.

L’album è una bella dimostrazione di autarchia musicale, e si può dire che tu abbia fatto tutto da sola…

Sì, veramente tutto, eccetto la fotografia e la grafica che sono a cura di Simona Sottocornola, già co-ideatrice del Progetto Luna Nuova, e Martina Donà, che ancora una volta mi ha offerto le sue competenze per la grafica del disco.
Per quanto riguarda la composizione di testi e musica, arrangiamenti e produzione del disco fino al mastering, ho fatto da sola. È stata una sfida avvincente. Sono partita da zero con il mio Neraluce Studio, circa sei anni fa, forse perché stufa di dipendere sempre dagli altri, riguardo alla fase tecnica di produzione.

Come si inserisce in questo contenitore in cui appari autosufficiente l’intervento vocale di Andrea Giolo?

Andrea Giolo era già presente in diverse tracce di “Under The Ice”. È un amico ed una persona che ha seguito i tanti passaggi della mia vita personale e musicale in questi ultimi anni e lo considero un compagno di viaggio. Ma in tutta sincerità la sua presenza va al di là dell'amicizia, riguarda le doti vocali di cui sono un'estimatrice. In particolar modo mi ha sempre stupito come le nostre voci siano compatibili e difficilmente resisto all'idea di coinvolgerlo, quando comincio un progetto nuovo. Mi ha anche aiutato a risolvere diversi dubbi in fase di registrazione, non è facile lavorare da soli ed è sempre utile avere un ascolto esperto. Detto questo, tutto è partito da “La Maddalena”. Avevo bisogno di una voce per la parte di Gesù e non ho avuto nemmeno un dubbio su chi potesse farla... da lì, l'ho coinvolto per tutte le altre parti in cui si sente una voce maschile. Ha un timbro e uno stile che credo diano più prestigio al disco.

La tua essenza formativa riporta inevitabilmente al violino e agli archi in generale, ma quella che proponi, concettualmente parlando, è un’apologia del pianoforte: qual è il tuo vero amore?

La tua domanda mi fa sorridere e mi mette in difficoltà allo stesso tempo, quante pagine ho per rispondere?
Da secoli, chiunque affrontasse gli studi musicali e la composizione, in maniera approfondita, ha avuto bisogno di una tastiera e io, sicuramente suono e amo molto il Pianoforte. È un “mezzo” meraviglioso, impareggiabile che ti permette di viaggiare in lungo e in largo nei pensieri e nel tempo. Nonostante i suoi 350 anni di storia, le sue doti timbriche sposano perfettamente i generi musicali più moderni. È insostituibile.
Il violino è un amore più giovanile, col quale ho affrontato gli studi in conservatorio che mi hanno permesso di incontrare personalità determinanti come Fabio Biondi e Claudia Ravetto, dei quali ancora oggi, ascolto incisioni e performance, che influenzano la mia musicalità e i miei arrangiamenti per archi.
Il mio amore più recente è la Viola. Nell'album se ne possono ascoltare tanti temi dominanti. Non ho potuto fare a meno di sceglierla come strumento di partenza per gli arrangiamenti, anche se è insolito usarla come strumento liederistico. Questo è un ruolo generalmente affidato al violino o al violoncello. Credo abbia conferito un colore un po' scuro alle tessiture e non è stato facile riequilibrarlo, ma che devo dire, ho preferito non contrastare questa “attrazione”.

Mi parli del tuo rapporto con la tecnologia applicata alla musica?

Non sono un'amante della tecnologia, me ne servo solo per necessità, anche se devo dire che il lavoro in studio di registrazione mi piace molto. Non sono molto attratta però, dai loop elettronici, da grooves di batteria “preconfezionati”. È vero, ho suonato basso e batteria con una tastiera, eseguendo la linea del basso e suonando la batteria uno o due pezzi per volta, ma sono suonati da me. Insegno musica d'insieme e sono abituata a scrivere gli arrangiamenti per questi strumenti, ho idea di quello che devono fare, ma non sono una bassista e batterista. Considero i programmi dei registratori, tutto ciò che registro dev'essere suonato o cantato e non utilizzo dispositivi per intonare la voce. Ho una strumentazione essenziale: un PC, una scheda audio, un paio di buoni microfoni, un preamplificatore, una master keyboard e un expander. Ed è già troppo per me...

Mi racconti qualcosa dell’artwork?

La copertina riporta semplicemente un mio ritratto fotografico con un calice, che rimanda sempre alla simbologia del Graal, quindi alla femminilità e il modo in cui lo porgo, è un invito ad entrare nel mondo femminile, con la sua generosità. Fa riferimento in particolare al brano “La Maddalena”, che è quello a cui mi sento più legata, che ho amato di più scrivere e registrare. È uno dei più recenti e rappresenta la mia musicalità più attuale e il mio desiderio di raccontare delle storie con i testi.
Anche gli altri scatti mi ritraggono sempre su sfondo nero, come se riemergessi dall'ombra e, lo scatto con Andrea Giolo raffigura bene l'amicizia e la musica che ci lega. Simona Sottocornola è l'autrice di questi scatti ed è riuscita a cogliere ciò che volevo comunicare, nonostante io non sia troppo a mio agio come modella... ci vuole un po' di pazienza e la sensibilità di un'artista come Simona. Credo però, che in un album da solista, sia importante trovare il volto dell'autrice in copertina.

Quale tipo di riflessione generale ti senti di fare - mentre siamo ancora immersi nell’emergenza globale -, riferita all’aiuto che la musica può regalare nei momenti difficili?

La Musica può essere un'alleata molto speciale se la si vuole al proprio fianco, e questa è una possibilità che tutti possono avere... la Musica è di tutti! Nonostante l'ambiente musicale sia stato paralizzato dal lockdown, ho visto più che mai decine di esibizioni sui social network, a partire dai musicisti che sceglievano di esibirsi in diretta da casa, ai canti sui balconi che hanno permesso ugualmente di aggregarsi, di stabilire un legame attraverso un filo sonoro... per vincere la tensione, la confusione, per combattere la paura e sentirsi meno soli. Io, essendo insegnante, sono rimasta a casa e ho speso questo tempo per terminare il disco e per scrivere altra musica, così come hanno fatto tanti miei colleghi.
Ma tralasciando noi musicisti, quello che ho trovato più importante, è stato proprio il fatto che la gente l'abbia scelta come una mano da stringere per prendere coraggio.

Hai pianificato qualche presentazione o concerto per presentare “The Shadows Playground”?

Io e Andrea Giolo stiamo lavorando per eseguire una versione per due voci e due tastiere, di alcuni brani di questo album e di “Under The Ice”. Vorremmo preparare un programma da proporre ai Festival e nei Live Radiofonici. Siamo a buon punto, e speriamo di presentarlo quest'inverno e durante il 2021, immaginando di poterlo estendere ad una formazione strumentale più ampia.


Track List:

Lato A: Endless Hope - Seven - La Maddalena - Clouds - Sunrise Promenade
Lato B: The Shadows Playground - Sleeping Violin - La Ballata degli Angeli - Helen's Word
Parole e Musica di Barbara Rubin
Barbara Rubin: Voce solista, cori, viola, violino, pianoforte e sintetizzatori, chitarra, basso e batteria.
Andrea Giolo: Voce solista e cori.
Veronica Fasanelli: Voce nel coro polifonico di “Helen’s Word”
Fotografie di: Simona Sottocornola
Grafica di: Martina Donà
“The Shadows Playground” é registrato, mixato e masterizzato da Barbara Rubin nel suo
NERALUCE STUDIO


 Barbara Rubin in pillole

Nasce a Mede Lomellina (PV) IL 10-11-1972.
Cantautrice e violinista, inizia l’attività musicale iscrivendosi alla classe di violino del M° Fabio Biondi presso il Conservatorio Statale di Musica “A. Vivaldi” di Alessandria, diplomandosi poi al Conservatorio di Piacenza nel 1998. Comincia a mescolare la propria preparazione classica con sonorità più moderne nel 1991, cominciando una intensa e continuativa attività come cantante e violinista in varie formazioni, spaziando tra i più disparati generi musicali (classica, leggera, pop, metal, rock-progressive).
Nel 2003 partecipa al concorso “Talenti Italiani” classificandosi al I° posto per la categoria
Cantautori (Villa Brancaccio, Roma 12/04/2003).
Oltre a questa, altre competizioni di rilievo sono: Young Emergent Music (ROMA) nel 2010, con il singolo “Eyelids”, classificandosi al 1° posto.
Nello stesso anno ha realizzato un remake del brano “Change we must” di Jon Anderson (voce degli YES), audio e videoclip, selezionato per Earthday Brasil 2011.