Ci sarà un
motivo se “White Rabbit” è
diventato un brano manifesto del rock psichedelico!
Persino Marty
Balin, successivamente "rivale" di Grace Slick nelle
dinamiche interne dei Jefferson, riconobbe al brano la statura di vero
"capolavoro".
Sì, sto
parlando dei Jefferson Airplane e del masterpiece scritto dalla Slick e
inserito in “Surrealistic Pillow”, album licenziato nel 1967 e divenuto
un disco imprescindibile quando si parla di rock in termini generali. Se poi si
volesse scendere nel filone della psichedelia, beh, in quel caso ci sarebbe da indagare
ed esaltare un manifesto di quei giorni.
La canzone
divenne famosa dopo la presentazione al Festival di Woodstock nel ’69 e fu
scritta dalla vocalist quando era ancora nei The Great Society. Quando il
gruppo si sciolse, nel 1966, la Slick fu invitata ad entrare nei J. A. in
sostituzione della cantante Signe Toly Anderson che aveva lasciato il gruppo
dopo la nascita del figlio.
Di quell’album
mitico, il primo al quale partecipò la Slick coi Jefferson Airplane, fa parte
un’altra canzone celebre, “Somebody to Love”, composta con il cognato
Darby Slick ed incisa con il titolo “Someone to Love” dai Great Society.
Questi due
brani, assieme a “Volunteers”, resero famosi i Jefferson Airplane ai
quali sarebbero rimaste associate per sempre.
L’album uscì
nel mese di giugno e “White Rabbit” fu pubblicato come secondo singolo
estratto e raggiunse la posizione numero 8 nella classifica statunitense
Billboard Hot 100.
Fu una delle
prime canzoni scritte dalla Slick, composta a fine 1965 o inizio 1966, ispirata
dai libri di Lewis Carroll Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso
lo specchio, utilizzando elementi come il cambio di dimensioni dopo aver
assunto pillole o liquidi sconosciuti, aggiornandoli alla luce della
controcultura anni Sessanta per descrivere gli effetti di un viaggio sotto LSD.
È un brano profondamente influenzato dalla cultura delle droghe di quegli anni,
l'LSD e i funghi allucinogeni. Ovviamente il coniglio bianco del titolo
("White Rabbit") è proprio quello del racconto di Carroll,
trasfigurato come metafora della psichedelia.
Per il movimento
hippie le droghe erano elemento essenziale per l'espansione della mente e la
ricerca interiore. Con il suo enigmatico testo, White Rabbit fu una
delle prime canzoni con riferimenti alla droga a passare in radio senza cadere
vittima della censura.
Dal punto di
vista musicale, in un'intervista rilasciata al The Wall Street Journal Grace
Slick menzionò altre influenze, e cioè "il bolero" usato da Miles
Davis & Gil Evans per il loro album del 1960 Sketches of Spain. Infatti, il
brano è essenzialmente un lungo crescendo simile a quello del famoso Boléro di
Ravel.
L’incidenza più
evidente è comunque quella derivante dalle opere di Carroll, metafora delle
esperienze lisergiche della California dell'epoca; i celebri romanzi dedicati
al mondo fantastico e inquietante della piccola Alice dei quali nel testo del
brano vengono espressamente citati personaggi come:
il
bianconiglio
il
bruco che fuma il narghilè
il
catastrofico cavaliere bianco
la
collerica regina rossa
il
sonnolento ghiro
Come già
scritto il brano uscì come 45 giri e sul retro era presente “Plastic
Fantastic Lover”.
La
formazione dei J.A. era la seguente:
Grace Slick - voce
Jack Casady - basso
Spencer
Dryden - batteria
Paul
Kantner - chitarra ritmica
Jorma
Kaukonen - chitarra solista
Ecco
cosa accadde a Woodstock…
Dall'anno di uscita ad oggi il brano è stato coverizzato una cinquantina di volte, reinterpretato e adattato ad ogni genere musicale. Ho scelto alcune versioni comparative più recenti che mi sono piaciute particolarmente, quella degli Elephant
Revivale dei Grece Potter and the
Nocturnals, oltre ad un esempio corale.
La più recente, corale...
Testo e traduzione di “White Rabbit”
One pill
makes you larger,
and one pill
makes you small
And the ones
that mother gives you,
don't do anything at al
Una pillola ti fa diventare più
grande,
e una pillola ti rimpicciolisce
E quelle che ti dà tua madre,
non hanno alcun effetto
Go ask Alice,
when she's
ten feet tall
Prova a chiederlo ad Alice,
quando è alta
dieci piedi
And if you go
chasing rabbits,
and you know
you're going to fall
Tell 'em a
hookah-smoking caterpillar
has given you the call
E se tu vai a caccia di conigli,
e ti accorgi che stai per cadere
Dì loro che un bruco che fuma il
narghilè
ti ha mandato a chiamare
And call Alice,
when she was
just small
E chiama
Alice,
quando è
proprio piccola
When the men
on the chessboard
get up and
tell you where to go
And you've
just had some kind of mushroom,
and your mind
is moving low
Quando gli uomini sulla scacchiera
si alzano e ti dicono dove devi
andare
E tu hai appena preso qualche specie
di fungo,
e la tua mente sta affondando
Go ask Alice,
I think
she'll know
Prova a chiedere ad Alice,
penso che lei saprà (la risposta)
When logic
and proportion
have fallen
sloppy dead
And the white
knight is talking backwards
Quando la logica e le proporzioni
(delle cose)
sono cadute come morte al suolo
E il cavaliere bianco sta parlando
all'incontrario
Il
libro di Enrico Ricci, “Acid Queens”, mi ha portato sulle orme di…
Jess and the Ancient Ones,gruppo
rock psichedelico finlandese formatosi a Kuopio nel 2010. Alcuni dei membri
della band erano co-musicisti della band metal finlandese Deathchain.
Elephant Revivalè
stato un gruppo di musica folk del Colorado formatosi nel 2006. La band era
composta da Bonnie Paine (voce), Bridget Law (violino e voce), Charlie
Rose (voce, pedal steel, banjo, violoncello, tromba, trombone), Dango
Rose (contrabbasso, mandolino, banjo, voce), Daniel Rodriguez
(chitarra acustica, banjo elettrico/chitarra, voce) e Darren Garvey
(percussioni).
Il loro stile musicale è stato definito "folk trascendentale", perché trascende le diverse e ortodosse
categorie musicali e incorpora elementi di melodie di violino scozzese/celtico,
pezzi folk originali, ballate tradizionali, bluegrass e indie rock.
Tutti i
membri della band sono polistrumentisti e hanno contribuito ai canti e al
songwriting.
Il primo
spettacolo in cui tutti e cinque i membri hanno suonato insieme è stato in
Colorado, nell'ottobre 2006, al Gold Hill Inn, esibendosi come Elephant Revival
Concept.
Dopo aver
consolidato il gruppo, "Concept" è stato presto eliminato dal nome.
Il debutto di
“Elephant Revival”, registrazione omonima, è stato pubblicato nel 2008.
Nell'estate
del 2010 gli Elephant Revival hanno firmato un contratto con la Ruff Shod
Records, un'etichetta indipendente fondata da Chad Stokes della State Radio and
Dispatch.
Il secondo CD
degli Elephant Revival, “Break In the Clouds”, anch'esso prodotto da
Tiller, è stato pubblicato il 22 novembre 2010.
Il 17 giugno
2016 la band è sfuggita per un pelo a un incendio di un autobus la mattina
prima di uno spettacolo al Music at the Mill di Hickory, NC. Diversi strumenti
e oggetti unici sono stati distrutti nell'incendio, ma i membri della band sono
rimasti illesi e hanno suonato lo spettacolo quella notte con strumenti presi
in prestito e vestiti donati.
Il 9 febbraio
2018 gli E.R. hanno annunciato che si sarebbe presa una pausa indefinita "a causa
di questioni familiari".
Il loro
spettacolo di addio è andato in scena il 20 maggio 2018.
Nell'autunno
2020, Rodriguez ha annunciato che avrebbe pubblicato un album intitolato “Sojourn
of a Burning Sun”, prodotto dal compagno di band Garvey.
Nelle interviste,
spiegò che lo scioglimento della band coincise con la fine di una storia
d'amore tra lui e un altro membro della band.
Formazione
Bonnie
Paine (voce, washboard, stompboard, djembe, musical saw, violoncello)
Charlie
Rose (voce, pedal steel, banjo, violoncello, tromba, trombone)
Dango
Rose (contrabbasso, mandolino, banjo, voce)
Daniel
Rodriguez (chitarra acustica, banjo elettrico/voce)
Ipso Facto si
scioglie a metà 2009 e Rosalie inizia un nuovo progetto chiamato Purson, che
durerà sino al 2017.
L’artista dichiara:
"Mi sento fortemente attratta da un approccio più fai-da-te alla mia
carriera musicale e non vedo l'ora di esplorare molte strade come artista
solista".
Il suo album
di debutto da solista, omonimo, è stato pubblicato il 5 giugno 2019 da Esoteric
Records.
Cunningham ha
anche lavorato come corista con altre band - Magazine e The Last Shadow Puppets - apparendo sul palco con loro nei loro recenti tour.
Ha anche
suonato le tastiere da gennaio a maggio 2010 con i These New Puritans nei loro concerti relativi all’album “Hidden”.
Nel 2012, Cunningham suona la chitarra con Willy Moon, come gruppo di supporto per il tour di Jack White
nel Regno Unito.
Ha anche contribuito come corista all'ultimo album dei Cathedral, The Last Spire, pubblicato nel 2013.
Stairway to Heaven è
uno dei brani più famosi dei Led Zeppelin ed
è contenuto in “Led Zeppelin IV”. La canzone, acclamata per la sua
composizione, è stata anche bersagliata per un presunto contenuto di messaggi
subliminali di matrice satanica. Secondo alcune interpretazioni un verso della
canzone, ascoltato al contrario, conterrebbe un inno demoniaco.
Il testo
ascoltato nel senso normale già alluderebbe al bifrontismo delle parole. Dice
infatti: "Cause you know sometimes words have two meanings"
("Perché come sai a volte le parole hanno due significati").
Se poi il
brano viene ascoltato al contrario, sembra che “La scala per ilparadiso”
porti direttamente all’inferno. Vi è un messaggio nascosto nella canzone al
rovescio e questo fenomeno è chiamato backward masking. Non siamo davanti a
delle parole sensate casuali che messe insieme non conducono ad alcun
significato, ma di vere e proprie frasi di senso compiuto e grammaticalmente
corrette. Questa è da sempre l’accusa più grave e celebre che i Led Zeppelin si
sono guadagnati.
Il luogo in cui fu creata "Stairway to Heaven"
In realtà
non vi è alcuna prova che i Led Zeppelin abbiano volutamente fatto passare
questi messaggi "al contrario" con la tecnica del backmasking, e
probabilmente si tratta di uno dei tanti casi di pareidolia acustica della
storia del rock, poiché altresì non esiste prova che i messaggi nascosti siano
stati inseriti volutamente. Page negò sempre queste dicerie. Robert Plant affermò
in una intervista: "To me it's very sad, because Stairway
to Heaven was written with every bestintention,
and as far as reversing tapes and putting messages on the end, that's not my
idea of making music" ("Per me è veramente triste, perché Stairway
to Heaven fu scritta con le migliori intenzioni, e per quanto riguarda
messaggi registrati al contrario, non è la mia idea di fare musica").
Ecco il tratto incriminato ascoltato in backward: si può sentire distintamente il seguente
messaggio: “So here's my sweet Satan, the one whose little path
won't make me sad, whose power is Satan. He will give the growth giving you six-six-six. There
was a little tool shed where he made us suffer, sad Satan.”
Traduzione: “Ecco il mio dolce Satana, (l’unico) la
cui piccola via non mi renderà mai triste e di cui il potere è Satana. Lui
darà il progresso dandoti il sei-sei-sei. C’era un piccolo capanno degli
attrezzi dove ci faceva soffrire, triste Satana.”
Il mistero e il fascino hanno un legame molto stretto…
Morto Meat Loaf, icona
della musica rock: il suo ‘Bat Out of Hell’ uno dei dischi più venduti della
storia
È morto Meat
Loaf. Il cantante e attore statunitense si è spento all’età di 74
anni. L’annuncio sulla sua pagina social oggi 21 gennaio. “Abbiamo il cuore
spezzato nell’annunciare che l’incomparabile Meat Loaf è morto stasera con al
fianco sua moglie Deborah, le figlie Pearl e Amanda e gli amici più cari con
lui nelle ultime 24 ore – si legge su Facebook -. La sua straordinaria carriera
ha attraversato 6 decenni che lo hanno visto vendere oltre 100 milioni di album
in tutto il mondo e recitare in oltre 65 film”.
Meat Loaf era nato a Dallas il 27
settembre del 1947. Meat Loaf fu anche il nome della band di cui era cantante.
Nonostante alcuni inconvenienti (tra
cui la bancarotta) raggiunse un successo notevole con la sua carriera di
musicista e cantante, soprattutto grazie all'album “Bat Out of Hell”,
uno dei dischi più venduti della storia del rock.
Per
il brano “I'd Do Anything for Love (But I Won't Do That)”,tratto
dall'album “Bat Out of Hell II: Back into Hell”, ottenne il Grammy Award
per la migliore performance vocale.
Dopo un primo album del 1971 Stoney
& Meatloaf, venne chiamato per l'interpretazione del ruolo di 'Eddie' nel
film The Rocky Horror Picture Show (1975), dove cantò Hot Patootie/Bless My
Soul. Il suo secondo album “Bat Out of Hell” (1977), prodotto da Todd
Rundgren e contenente canzoni scritte da Jim Steinman richiese quattro anni per
essere realizzato. L'album ebbe un enorme successo commerciale vendendo più di
43.000.000 di copie.
Meat Loaf raggiunse presto una
grandissima popolarità in Europa diventando una vera e propria icona del Rock,
soprattutto in Gran Bretagna, dove fu classificato 23º come artista più a lungo
presente nelle classifiche settimanali ed è uno degli unici due artisti con un
album che non è mai uscito dalle classifiche. In Germania, Meat Loaf raggiunse
la massima popolarità dopo l'uscita di Bat Out of Hell II e si piazzò al 96º
posto nella classifica dei cento più grandi artisti dell'hard rock
dall'emittente VH1.
Apparso in almeno cinquanta tra film
e spettacoli televisivi, oltre al The Rocky Horror Picture Show, prese parte ai
film Roadie - La via del rock (1980) di Alan Rudolph, Fight Club (1999) nel
ruolo di Robert "Bob" Paulsen e Tenacious D e il destino del rock
(2006, accanto a Jack Black), mentre nel film Pelts, episodio diretto da Dario
Argento della serie televisiva americana Masters of Horror, andato in onda
negli Stati Uniti il 1º dicembre 2006, fu il pellicciaio Jake Feldman.
Gli Yes e Richie Havens… forse non
tutti sanno che…
Time and a Wordè il secondo album degli Yes.
Pubblicato da Atlantic Records a metà
del 1970 in Europa e in novembre negli Stati Uniti, fu l'ultimo realizzato
dalla formazione originale del gruppo composta da Jon Anderson, Chris
Squire, Peter Banks, Tony Kaye e Bill Bruford.
L'album rappresenta un tentativo
ambizioso di far coesistere la musica rock dei primi anni Settanta con un
accompagnamento di orchestra sinfonica (operazione in seguito ripetuta dagli
Yes con l'album Magnification del 2001). Banks e Kaye si lamentarono del
fatto che l'orchestra aveva sottratto spazio ai loro strumenti e fu per queste
motivazioni che Banks fu costretto ad abbandonare il gruppo agli inizi del 1970
dopo le prime date del tour.
Time and a Word giunse alla posizione 45 delle
classifiche inglesi di vendita, risultato che poteva essere considerato un
successo rispetto al precedente album di debutto. Tuttavia, subito dopo la
Atlantic iniziò a fare pressioni sul gruppo, minacciando di sciogliere il loro
contratto se non avessero avuto successo col terzo album.
Fra i brani di Time and a Word,
come nel precedente Yes, si trovano alcune cover, come Sweet Dreams (un
brano in seguito riproposto occasionalmente dal vivo durante gli
"assoli" di Anderson) è cofirmato da David Foster, con cui Anderson
aveva suonato nella band The Warriors e che in seguito suonò con Kaye nei
Badger. E poi No Opportunity Necessary, No Experience Needed, di Richie
Havens, che ripropongo nelle due versioni.
Tracce
Edizione originale in vinile
Lato A
No
Opportunity Necessary, No Experience Needed (Richie Havens) - 4:47
Then
(Jon Anderson) - 5:42
Everydays
(Stephen Stills) - 6:06
Sweet
Dreams (Jon Anderson/David Foster) - 3:48
Lato
B
The
Prophet (Jon Anderson/Chris Squire) - 6:32
Clear
Days (Jon Anderson) - 2:04
Astral
Traveller (Jon Anderson) - 5:50
Time
And A Word (Jon Anderson/David Foster) - 4:31
Edizione
CD
No
Opportunity Necessary, No Experience Needed (Richie Havens) - 4:48
Then
(Jon Anderson) - 5:46
Everydays
(Stephen Stills) - 6:08
Sweet
Dreams (Jon Anderson/David Foster) - 3:50
The
Prophet (Jon Anderson/Chris Squire) - 6:34
Clear
Days (Jon Anderson) - 2:06
Astral
Traveller (Jon Anderson) - 5:53
Time
And A Word (Jon Anderson/David Foster) - 4:32
L'album è stato rimasterizzato e
ripubblicato nel 2003, con l'aggiunta di diverse tracce bonus.
Formazione
Jon Anderson: voce, percussioni
Chris Squire: basso, seconde voci
Peter Banks: chitarra acustica,
chitarra elettrica, seconde voci
Marco Mattei propone il suo primo album da
solista, ma non siamo di certo al cospetto di un “acerbo apprendista”. A fine
articolo propongo la sua biografia, sintetica, sufficiente però per evidenziare
skills musicali importanti e una vita carica di esperienze variegate, quelle
che incidono in modo naturale sulla formazione personale e, se parliamo di arte,
sulla “produzione” conseguente.
Sono tante ed esaustive le
informazioni oggettive che mi sono arrivate tramite il comunicato stampa - unite
ad una interessante intervista realizzata con l’autore - e da sole sarebbero state
più che sufficienti per far comprendere al lettore la portata di questo nuovo e
coinvolgente progetto.
Nondimeno proverò a condividere
qualche pensiero personale.
Le comode etichette a cui siamo
abituati non trovano facile abbinamento in questo caso specifico e la
definizione ufficiale utilizzata in fase di presentazione propone il concetto poco
sintetico di “mix di prog-rock, dream-pop, folk e world music”.
Difficile farsi un’idea prima dell’ascolto,
anche se qualche altro dettaglio diventa poi indizio attraverso il nome di ospiti dal nome altisonante: Tony Levin, Fabio Trentini,
Jerry Marotta, Pat Mastelotto, Chad Wackerman, Clive
Deamer.
In effetti, le collaborazioni che
hanno visto la presenza dei musicisti di cui sopra, spaziano dal prog - antico e
presente - dei King Crimson sino alla genialità zappiana, attraverso il
virtuosismo di Allan Holdsworth e l’unicità di Gabriel o Plant, tanto per citare
qualche situazione nobile.
Vale la pena recuperare le parole dell’autore
riferite al topic “guest”:
“Dopo aver scritto musica e testi
del disco ho iniziato a collaborare con una serie di ottimi musicisti per
registrarlo, per la maggior parte amici e collaboratori di lunga data. Per un
paio di brani, Would I be me e On your side, avevo in mente un
suono ed un groove specifico. Ho chiesto a diversi batteristi di suonare nello
stile di Jerry Marotta ma nessuno riusciva a farlo in maniera soddisfacente. Da
lì ho avuto l’idea di provare a contattare Jerry. Dopotutto chi meglio di lui
avrebbe potuto suonare nel suo stile? Dopo aver ascoltato i brani, Jerry ha
molto gentilmente accettato di suonare. Poi mi ha detto: «Secondo me dovresti
far suonare il basso a Tony Levin su questi brani». «Stai scherzando?» gli ho
detto. «Certamente!» Jerry Marotta e Tony Levin, la sezione ritmica di Peter
Gabriel dei primi dieci anni della sua carriera solista, una combinazione
fantastica. Poi avevo un altro brano, Void, che aveva una parte di
batteria molto tecnica. Ho pensato che Chad Wackerman sarebbe stato perfetto, e
così è stato. Un altro brano, Picture in a Frame, è tutto in tempi
dispari ma volevo che scorresse in maniera fluida. Ho pensato che Pat
Mastelotto sarebbe stato la scelta ideale per una cosa del genere. Insomma, dal mio punto di vista, la
chiave è stata quella di coinvolgere questi grandi in maniera funzionale alle
necessità dei vari brani, scegliendo di volta in volta il musicista più adatto
allo scopo e chiedendogli di essere sé stesso. Ovviamente per me è stata una
soddisfazione particolare non solo vedere come siano riusciti a realizzare in
maniera brillante e personale la mia visione musicale ma anche aver collaborato
con alcuni dei miei punti di riferimento come musicista.”
Leviamoci dalla mente tutte le etichette
da cui siamo dipendenti e pensiamo ad un album trasversale, carico di spunti interessanti,
impossibile da incasellare, piacevolissimo dal punto di vista musicale ma allo
stesso tempo carico di concetti pesanti, che si dipanano brano dopo brano con
un forte fil rouge che unisce le differenti creazioni.
È un disco figlio della sofferenza? Probabile.
Il periodo difficile che il mondo sta vivendo ha lasciato il segno,
tutti hanno avuto il tempo per riflettere sul reale senso della vita ma, a
differenza dei comuni mortali, gli artisti hanno dato sfogo alla loro
creatività, arrivando a fissare per sempre il pensiero del momento.
Dichiara Mattei: “Out Of Control è
un concept album sulle cose che non possiamo controllare. L’intuizione chiave è
la realizzazione che molti aspetti di ciò che percepiamo definire la nostra
identità non sono sotto il nostro controllo. E il messaggio principale è che
questa realizzazione dovrebbe portare a un cambiamento di prospettiva: quando
ci mettiamo nei panni degli altri, ci permettiamo di diventare più aperti ed
empatici. L’altro aspetto è che non possiamo controllare la mano che ci viene
data, ma possiamo sicuramente decidere come giocarla”.
Proverò a “raccontare” il mio ascolto,
traccia dopo traccia, segnalando che la lingua utilizzata dall’autore è l’inglese - non poteva essere diverso - e che tutti i brani sono
scritti da Marco Mattei, ad eccezione di “Gone”, composta da Andy
Timmons.
Si parte con “Would I be”,
che mette subito in campo la sezione ritmica Marotta/Levin.
Marco utilizza una ballad sognante e
orientaleggiante - meraviglioso il sitar di Marco Planells - per proporre il
suo primo pensiero pesante:
“Se avessi la pelle scura, se
fossi un re, se fossi malato, se non sapessi leggere, se fossi cieco, se fossi
fuori di testa… quando giudichi, quando scegli, quando vinci, quando perdi… pensa
a cosa avrebbe potuto essere, pensa che potrei essere io…”.
Voce e mandolino di Dave Bond, a
tutto il resto, e per tutto l’album, pensa Marco Mattei.
Partenza col botto!
Segue “Picture in a frame”,
condotta vocalmente da Matthew Brown.
Pezzo ritmicamente complicato, basato
su tempi composti, ma non c’è nulla di impossibile per la coppia
Levin/Mastellotto.
La pacatezza iniziale si interrompe e
i segnali di prog moderno diventano tangibili.
Amara la riflessione: “Le cose
stanno andando bene, le cose stanno andando male, un punto su un singolo fotogramma e niente
sembra uguale; questo è quello che siamo diventati… un'immagine in una cornice.”
Coinvolgente.
Ritorna la calma con “More
Intense”, cantata ancora da Dave Bond.
Vincente il rimpallo tra synth e chitarra
solista, così come la sottolineatura di attimi e sentimenti che si esaltano all’interno
della trama musicale.
“Cerco la gioia, cerco solo
sollievo, cerco il contatto e cerco la pace. Come tutti gli altri, sì, come
tutti gli altri, solo più intenso.”
Brividi!
“I’ll be born” ci conduce
verso la semplicità folk, un brano acustico, addolcito dalla voce di Felix
Brandt, dalla chitarra acustica di Marco Mattei e dal flauto e fischietto di Paul
Johnson. Una dichiarazione d’amore:
“Nascerò domani, nascerò ogni
volta che sarai con me, ogni volta che ti vedo e mi sento completo, ogni volta
che penso a te e ogni volta che sorridi, perché il tuo nome è amore, ed è
così che ti chiamerò…”.
Quadretto bucolico musicale davvero
delicato.
“Lullaby for you” non ha
bisogno di molte interpretazioni. Momento intimistico dedicato da un padre ai
suoi naturali prolungamenti:
“Dormi piccolo bambino, tuo padre
si prende cura di te, bambina da sogno, tuo padre è qui per te, per aiutarti a
cercare di trovare ciò che è giusto per te, ciò che ti rende felice renderà
felice anche me; il mondo sta cambiando, non posso dirti cosa fare, ma vivi
ogni momento, io penserò sempre a te…”.
La messa in musica del pensiero che
ogni genitore elabora e in cui crede fermamente. Ma come essere efficaci nei
tempi dell’assoluta incertezza e in cui tutto appare “out of control”?
La voce è di Felix Brandt supportata
dal violino di Rob Wakefield, dall’equipaggiamento acustico di Mattei e dal pedal
steel di Diederik van den Brandt. Intro vocale affidata a Arianna Mattei che,
suppongo, sia uno degli oggetti della lirica.
Sognante.
Un’energia tipica dell’hard rock -
così come la voce di Barak Seguin - è la base di “Anymore”, riff
e velocità per descrivere il disagio quotidiano, fatto di relazioni imperfette
che offuscano il giudizio e minano la serenità:
“Lotta dopo lotta, importa davvero
chi ha ragione?Non sei la vittima e io non sono un eroe, non potevo salvarti... comunque…”.
Power song notevole!
Lo strumentale “Tomorrow”
disegna il concetto di viaggio, spaziale o temporale, alla ricerca di ciò che
sarà. Paesaggio desolante quello iniziale, con una slide guitar che disegna una
polverosità da vecchio west ed un’elettrica che tra riverberi e delay inventa
uno scenario distopico. La melodia finale addolcisce un brano caratterizzato
dall’alta tensione.
La voce di Richard Farrell introduce “Voide”,
ovvero il senso di vuoto che colpisce come un assassino, in grado di appannare
la vista, di far perdere ogni sicurezza”:
“Non riesco a sentire il terreno
sotto i miei piedi, il vuoto più profondo in ogni battito cardiaco, cocktail
anestetico per il mio cervello, un quarto di lacrime, tre quarti di pioggia, per
sentirmi vivo tocco il mio dolore, per sentirmi sopravvissuto chiamo il mio
nome… eppure, avrebbe potuto essere così semplice…”.
È la traccia più lunga (6:40) e dopo due
terzi di “regolarità” si tuffa in atmosfere molto “Seattle”, accentuate da un
monito ripetuto: “Più le cose cambiano, più rimangono le stesse”.
Di gran pregio la parte solista di Max Rosati,
così come “l’ambient” creato dai synth di Duilio Galioto.
Si prosegue con “On your side”,
il manifesto dell’appoggio condizionato verso un affetto:
“Quando hai voglia di parlare, quando
semplicemente non vuoi pensare, io sono dalla tua parte; quando sei stanco ma
non riesci a riposare, quando sei arrabbiato e poi ti penti io sono, sono dalla
tua parte. Ad ogni lacrima invecchiamo, con ogni paura diventiamo più forti. Scegli
un percorso vero e io camminerò con te!”.
Andamento sonoro congruo alla lirica
proposta: spleen e riflessione.
La breve “After Tomorrow”
apre al trittico strumentale finale e propone il dialogo tra Marco Mattei e il
suo Bouzouki: attimo intimistico agreable!
“Hidden Gems” non ha
quindi un testo, ma regala immagini per mezzo della musica, che in questo caso
è un fatto privato tra l’autore e Jerry Marotta.
Una delle tante perle nascoste che
tutti possediamo e che spesso facciamo fatica a far emergere. Mattei appartiene
alla categoria di quelli che dispongono delle leve per razionalizzare e subito
dopo dare continuità, inventando quadretti che racchiudono sentimenti e
pensieri da condividere.
A chiudere il disco “Gone”,
unico brano firmato da terzi (Andy Timmons), condotto verso ogni direzione dalla
chitarra elettrica, pezzo che Marco descrive così:
“Musicalmente ho sempre amato quel
brano. Anche il tema, che è la tragedia dell’11 settembre, mi sembrava inerente
ad “Out of Control”. Ma c’è anche un’altra ragione. Facendo ascoltare il disco,
mentre era ancora in lavorazione, a Gianni Pierannunzio, batterista dei
DeBlaise che ha anche suonato su Out of Control, mi ha colpito un suo commento
che non sembrava un album di un chitarrista. Da un lato mi ha fatto molto piacere
perché la mia intenzione era proprio quella di focalizzarmi sulla composizione.
Dall’altro mi ha fatto venire voglia di inserire un brano prettamente
chitarristico.”
Una grande sorpresa “Out Of
Control”, un lavoro sontuoso quello di Marco Mattei, pregno di molteplici
significati da “leggere” passo dopo passo, gustandone ogni step, una sorta di
album fotografico di famiglia, capace di raccontare un periodo di vita ben
delineato e che, almeno in questo caso, rappresenta un bilancio di vita.
Unico neo arriva dalla difficoltà di
una proposizione live, essendo complicata la trasposizione “da studio a palco”,
ma anche questo fa parte del contesto del momento e Mattei si trova in buona
compagnia.
Ma la Musica di qualità resta e fa
piacere, ogni tanto, trovare una perla in mezzo ad un mare di mediocrità!
Album super consigliato!
Out
Of Control tracklist:
1.
Would I Be Me
2.
Picture in a Frame
3.
More Intense
4.
I'll Be Born
5.
Lullaby for You
6.
Anymore
7.
Tomorrow
8.
Void
9.
On Your Side
10.
After Tomorrow
11.
Hidden Gems
12.
Gone
Misicisti:
Chitarre elettriche ed acustiche,
Guitar Loops, Chitarre resofoniche, Bouzouki, Basso Elettrico, Basso Elettrico
con archetto, Voce, Shaker, Percussioni elettriche e acustiche, Campionamenti e
Programmazione: Marco Mattei
Voce:
Dave Bond (1,3,9), Matthew Brown (2), Felix Brandt (4,5), Barak
Seguin (6), Richard Farrell (8)
Batteria e Percussioni: Jerry
Marotta (1,9,11), Pat Mastelotto (2), Chad Wackerman (8), Clive
Deamer (3), Matt Crain (6), Gianni Pierannunzio (7), Salvatore
Mennella (12), Matilde Mattei (Shaker su 7)
Basso: Tony Levin (1,2,9), Fabio
Trentini (8), Gabriele Bibbi Ferrari (12)
Tutti i brani sono scritti da Marco
Mattei ad eccezione di Gone, composta da Andy Timmons.
Un po’ di storia di Marco Mattei
Marco Mattei è nato e cresciuto a
Civitavecchia. Appassionato di musica fin dalla più tenera età, da adolescente
studia chitarra jazz con Max Rosati, mentre sviluppa un profondo interesse per
la visione creativa e la complessità del progressive. Si è unito alla prog band
dei DeBlaise, contribuendo al songwriting del loro EP By Common Consent e a
molti anni di musica dal vivo. Ha anche co-fondato la tribute band dei Rush The
Snowdogs. Dopo aver conseguito una laurea in Ingegneria Elettronica ed un
Master in Business Administration, ha continuato a coltivare il suo interesse
per l’ingegneria del suono frequentando programmi avanzati di ingegneria audio
e produzione musicale. Marco ha vissuto in sei paesi diversi in tre differenti
continenti, esplorando le differenze culturali, raccogliendo influenze musicali
e imparando il valore della diversità.
Attualmente vive negli Stati Uniti e
continua a sondare innumerevoli stili musicali come compositore, musicista e
produttore.