lunedì 28 dicembre 2020

M'Z's-"Cool is Watching You"

"Cool is Watching You" è il nuovo EP di M'Z's, una critica sociale legata a quanto definito “cool”, sia nella vita che nella musica.

Leggendo il pensiero di Mathieu Torres, titolare del progetto, si assorbe un bisogno preminente, quello di urlare un forte disagio affrontando temi sociali e condividendo il bisogno di riflessione.

Stiamo parlando di un progetto strumentale dove non appaiono liriche e questo potrebbe apparire un ossimoro: come fornire messaggi con la sola musica? Il pregio intrinseco dell’album risiede proprio nel tentativo di tradurre idee, pensieri e immagini in trame sonore, spingendo l’ascoltatore ad entrare in piena sintonia con l'autore, che nel corso della sua creazione riesce a stimolare i sentimenti giocando sull'emotività che deriva dall’immedesimazione.

Il francese Mathieu Torres prova quindi ad adottare una posizione musicale «cool», cercando di mettere in prospettiva i limiti di questo atteggiamento che spesso ci si impone, più o meno volontariamente, e che i social media promuovono largamente, una “postura” che sembra nuocere più che servire.

Dice l’autore: "Cool is Watching You" è anche un punto d'incontro musicale tra Orwell e Huxley che spera di curare il cool attraverso il cool.”

Sono sette i brani che compongono il disco, sette capitoli che stimolano l’immaginazione e spingono a sognare.

Musicalmente parlando è difficile incasellare "Cool is Watching You", contenitore dove convivono elettronica, sperimentazione e virtuosismo strumentale.

L’esempio a seguire potrà dare buone indicazioni.

Dice ancora Torres: “Ringrazio le varie famiglie che mi circondano, particelle che contribuiscono a creare il tutto: Fari quando sono al buio, che mi guidano anche nel silenzio. Brio quando sono nelle avversità e che mi aiutano ad affrontare il mondo. Uno sguardo caloroso quando il mio lato critico attacca il "Me" e lo blocca sul posto. Un polo più attraente dell'abisso. Uno spazio dove anche le nostre follie sono amiche, giocano, si esprimono e non si giudicano eccessivamente.”

Una musica che, nelle intenzioni di M'Z's, si rivolge allo spirito, pur nutrendosi di elementi che profumano di energia terrena, ma questa è l’alchimia che, nella mente dell’autore, si realizza nel corso dell’ascolto… provarci è un obbligo!

La distribuzione è affidata a Anesthetize Productions e Guillaume Beringer, impegnati nel portare alla luce l’underground francese.

TRACKLIST 

Mystic Machine

Worldtown

Astral Züz

Palais Plastique

Ali007

Suis-je Bien Chez Ce Cher Serge?

Freedom is slavery

 


LINK UTILI ALL’ASCOLTO:

BANDCAMP

 SOUNDCLOUD

SITO WEB

 


sabato 26 dicembre 2020

21 GRAMMI DI SOLITUDINE- DI GIANNI VENTURI


21 GRAMMI DI SOLITUDINE” è un libro di poesie proposto da Gianni Venturi, di mestiere e per diletto “artista”. Che è qualcosa di più… qualcosa di diverso dal concetto di specialista in un singolo “ramo”.

Ho conosciuto Venturi in ambito musicale, e con lui mi sono sempre relazionato in quel settore, ma catalogare i suoi talenti sarebbe come ingabbiarlo, porgli dei paletti rigidi e solide catene. Situazione inadeguata al personaggio.

Le sue note bibliografiche riconducono ad una famiglia bolognese in cui nacque al tramonto degli anni Cinquanta, padre fisarmonicista, madre di origine gitana, entrambi ballerini di tango. La poesia lo colpisce da giovincello e non lo abbandonerà più, tra pubblicazioni personali, performance e organizzazioni di eventi.

Arriva anche la musica, che permette di sperimentare, di unire suoni a liriche, di completare un percorso e soddisfare necessità primarie.

Il libro “21 grammi…” rilasciato ad agosto rappresenta il penultimo atto (dell’ultimo parlerò a breve) di un percorso molto lungo e vario, costituito da produzioni poetiche e musicali.

Ma sono certo che qualcosa di altrettanto interessante nascerebbe se Venturi si trovasse al cospetto di una tela vuota o con materiale plasmabile tra le dita.

Arrivo all’oggetto del commento, con una premessa: l’ermeticità, il celarsi dietro alle parole, il modus criptico sono parte dell’espressione poetica - musicata o meno - e il mero lettore, accanto alla prova di decodificazione mette in atto quasi sempre un processo di immedesimazione/comparazione, trovando similitudini e congruenze, oppure valutazioni opposte; ma se l’acquisizione delle parole lette sarà attiva, nascerà una sorta di interattività che renderà la creazione una multiproprietà, e a quel punto il significato voluto dall’autore potrà cambiare ad ogni passaggio di mano.


“un sentimento semplice dire per sempre

e credere veramente

che sei consapevole che per sempre è il tempo

di un respiro tra bacio e bacio

questa è la sera delle lucciole che danzano

sul filo dei ricordi piccole schegge di luce

quello che eravamo bimbi sognanti

che saltavano i fossi cosparsi di viole

l’amore non è mai fuori tempo un bacio non

                                                                             [invecchia

le labbra eternamente morbide

Succhiano amore ad ogni età

mi guardo allo specchio sognante so chi sono

l’uomo che vive al ritmo del cuore

seppure anni scavano la pelle implacabili e definitivi

gli atomi che compongono questo corpo sono eterni

è tempo di condividere l’assenza

tempo di estrema partenza

c’è un ponte di nebbia che separa le strade

poco battute che conducono ovunque

partecipare condividere aggregare

mi sento la pietra lapidaria

non angolare nel muto dialogare

fuori tempo l’estremo abbandono.”

 

Queste strofe sono quelle che concludono la prima parte del book, diviso in due sezioni, intitolata “La memoria delle valli”.

L’ho presentata esattamente come ha fatto Venturi, con la sua concezione di anarchia grammaticale, senza la minima punteggiatura, una sola lettera maiuscola usata per iniziare i due capitoli, un corsivo personalizzato, parantesi (quadre) che non trovano fermatura e un utilizzo, a tratti, di una forma dialettale che necessita decodificazione.

Ma non sono casuali i pensieri che ho scelto: l’epilogo di un bilancio di vita caratterizzato da un percorso che vede sullo sfondo la pianura padana, la serenità legata alla semplicità, la terra, le feste di paese, i canti e i balli, l’alternarsi felice - e rapido - delle stagioni, il lavoro continuo nelle mani e nella testa, il sole accecante contrapposto alla rigidità invernale e alla presenza di una nebbia che offusca le idee e al contempo protegge come solo un isolante sa fare.

E quando ci si trova davanti ad uno specchio incapace di mentire, mentre il giorno della partenza diventa un punto sempre più vicino, il ristoro giace nei ricordi e nella consapevolezza che la semina realizzata durante il percorso è avvenuta avendo coscienza del metodo e del merito.


Non c’è creazione per lo meno

Non c’è felice creazione

La creazione è dolore che esplode

La fine gesto creativo


La seconda sezione è un poema unico e regala il titolo al volume.

 

vecchi curvi avanzano dimenticati

come roccia che si sgretola

il tempo che scorre e racconta il silenzio

sono nel traffico impetuoso

questa distonia dimentica il passato

spaventa il bimbo in corpo di vecchio

la parola è vuota

un groviglio disarticolato

di bollette insolute e conti da pagare

c’è vento dalle colline


Il bilancio entra nel vivo e sgorga un marcato pessimismo, o almeno così si percepisce.

Disagio e consapevolezza di uscire sconfitti dalla contesa nata su di un sentiero che qualcuno ingannevolmente ha descritto inizialmente come passeggiata colorata di rosa e che, a questo punto del percorso ha assunto tinte fosche. L’ambientazione diventa distopica e l’umore un potente freno che inibisce la reazione. Solo la parola e la musica alleggeriranno un peso talmente grande da dover inventare una nuova unità di misura.

La linea orizzontale ci spinge verso la materia, quella verticale verso lo spirito” è una citazione presa in prestito da Battiato che mi porta a sottolineare come alla fine di ogni dura revisione personale ci sia una forte e intima speranza, quella che induce tutti - credenti, laici e agnostici - a immaginare che esista una logica, uno scopo, una motivazione che possa rendere utile il nostro combattere quotidiano e che alla fine quei 21 grammi di anima, una volta lontani da un corpo divenuto inadeguato, trovino una giusta dimensione, difficile da immaginare, ma questo è parte del mistero della vita.

Un plauso a Gianni Venturi che, mimetizzato nella sua assoluta libertà di espressione riesce a mettersi completamente a nudo, contagiando il lettore e spingendolo ad un minimo di autoanalisi che facilmente sfocia in attimi di amarezza e grigiore di pensiero, o più semplicemente fornisce uno specchio e gli occhi per guardarlo senza filtri.

 




giovedì 24 dicembre 2020

Valerio Billeri-“COSMO”

È appena stato rilasciato “COSMO”, di Valerio Billeri, cantautore romano di cui ho più volte scritto, artista poliedrico e prolifico che ama esprimersi in ampio spettro musicale, tra folk e blues, tra forma elettrica e acustica, in team o in posizione solitaria. 

L’album è la conseguenza diretta della riflessione generata dal periodo di isolamento legato all’emergenza sanitaria e anche se appare incauto stabilirne oggi la sua valenza assoluta rispetto ai lavori pregressi, credo che il progetto rimarrà il simbolo di un periodo unico e irripetibile, drammatico e quindi stimolatore di sensazioni e mood che l’autore rovescia nella propria arte e condivide col pubblico.

E ancora una volta la musica diventerà una unità di misura…


“La vita è tempo, quindi la musica è l’arte di misurare il tempo”

Agostino d’Ippona


Racconta Billeri: “Cosmo è un progetto nato durante le lunghe giornate di coprifuoco, quando avevo bisogno di dare voce al tempo sospeso che avevo (avevamo) vissuto. Sia nei testi che negli arrangiamenti ho cercato di ricreare il suono del silenzio pochi suoni e poche parole, accordi semplici, a volte con l'uso di accordature aperte.

Ho avuto la fortuna di avere come compagni nella registrazione musicisti preparati, sia dal punto di vista musicale che spirituale, consapevoli del suono semplice e folk da me ricercato per questo EP:

Fabio Mancini, cantautore e violinista spettacolare a cui ho lasciato campo libero e che a mio parere ha fatto salire i brani ad un livello superiore a quello della loro scrittura; Gian Luca Figus che, malgrado il nostro periodo di allontanamento, ha saputo cogliere con le sue trame le atmosfere rarefatte e sognanti delle due canzoni che gli ho chiesto di arricchire con pochi suoni”.

Tutti i brani sono stati scritti da Valerio Billeri che, come da lui sottolineato, si è affidato agli interventi di Fabio Mancini al violino e Gian Luca Figus alle tastiere.

L’EP si può inserire nella “casella” del folk puro, uno dei tanti “terreni” fertili in cui Billeri è solito seminare.

Si parte dalla title track che propone il primo intervento violinistico e l’atmosfera che prende corpo ha qualcosa di marcatamente “irlandese”.

Amore e ambientazioni che assumono vigore attraverso efficaci immagini sonore: “Dammi un solo momento per poterti parlare, sono vecchio da tempo, è mille anni che brucia il mio cuore, sono qui per le fiamme, per bruciare il tuo cosmo, con un anello d'oro… dolcezza…”.



A seguire “Curzio”, una ballad chitarra/voce/tastiera dalla costruzione minimalista e dall’incedere cupo, capace di realizzare una picture un po' distopica: “Ora è buio pesto, la città dorme, la tua guerra è persa tra le fiamme. Sei il re del bosco legato al suo ramo, nel regno del nulla, ne sei il guardiano…”.

Foglie di juta” è traccia nuovamente caratterizzata dal violino di Mancini, che riesce a trasformare le parole di Billeri in sensazioni concrete, una sorta di immedesimazione musicale che cala l’ascoltatore all’interno della canzone: “Fuori c'è vento, fuori piove, guardando oltre dalle stanze vuote; lei è lontana, persa nel sole, persa signore… tutto è lontano, tutto è uno, tutto ritorna…”.

Nostos” ha un profumo esoterico e il tema del viaggio - trattato in tempi di assoluto immobilismo - si spinge oltre i leciti confini, un trasporto che solo l’arte - e l’artista - riesce a rendere vivo e coinvolgente: “Guarda dove s'alza il sole, tra le ossa e le scogliere, guarda bene dentro l'alba, i tuoi passi sulla sabbia, e nessuno capirà chi sei stato tempo fa, nessuno lo saprà; spinge il vento le tue vele tra le onde e le sirene, verso casa fai ritorno alla fine di ogni giorno, verso casa fai ritorno…”.

Caos” ci consegna un profilo sonoro molto “americano”, un ritmo tipico delle antiche storie di Neil Young, con una nuova descrizione a tinte scure, una visione dall’alto, con distacco, a tratti dolorosa: “Il caos regna nei tuoi sogni, le tue pupille sono in fiamme mentre sorvoli la tua casa; polvere ovunque, su ogni cosa, niente rimane in ogni caso…”.

Chiude il disco “Novembre”. Inusuale affidare un’immagine positiva al meso grigio per eccellenza: “Fuori è mattino, dobbiamo andare… novembre è alla porte, il sole è un disco di rame; se il serpente è morto il veleno non nuoce, se il serpente è morto il mare è così scuro, ma la nave andrà in porto…”.

Valerio Billeri regala al pubblico il suo dono natalizio, un disco profondamente intimo, frutto di un’elaborazione enorme che lui riesce ad intrappolare in un contenitore volutamente semplice, pochi suoni e parole - come lui dice -, la ricerca del silenzio come necessità contingente, il bisogno di raccogliere le idee e ripartire, non dimenticando mai quale sia la nostra reale posizione in questo universo, caratterizzato dall’armonia dei suoi elementi e dall’apparente ordine che convive fatalmente con il caos, con l’aumento dell’entropia che prima o poi arriverà alla sua ultima misura.

E nei periodi neri, personali o collettivi, arriveranno a getto più o meno continuo momenti in cui la fitta nebbia offuscherà la visuale, e il disagio potrà avere tempi lunghi e insopportabili… saranno quelli i frammenti di vita in cui occorrerà solo sedersi e aspettare, perché la nebbia, così come è arrivata, prima o poi se ne andrà!

Un lavoro toccante, perfettamente dento al nostro tempo e, come sempre, un grande Valerio Billeri. 

Sottolinea l’autore: “L'EP sarà scaricabile gratuitamente, ho sempre pensato che il dolore e la speranza non abbiano prezzo”.


DOWNLOAD BANDCAMP

SPOTIFY 


Disponibile su tutte le piattaforme streaming per l’ascolto.

https://www.facebook.com/billeri.valerio


Tracklist

Cosmo

Curzio

Foglie di Juta

Nostos

Caos

Novembre

 

 

 


domenica 20 dicembre 2020

Viola Nocenzi-"Viola Nocenzi"

Scrivere di "Viola Nocenzi", album di esordio di Viola Nocenzi, mi obbliga ad un rigore supplementare, perché sono legato a lei da lunga e consolidata amicizia… virtuale, un concetto apparentemente eccessivo, ma nel pieno spirito del progetto che Viola ci propone. Urge in ogni caso il massimo dell’obiettività.

Sottolineare il termine “esordio” potrebbe trarre in inganno: non siamo al cospetto di un’artista che spunta fuori dal nulla, ma Viola ha una solida formazione musicale, studi approfonditi specifici, esperienze importanti, tanta gavetta e, naturalmente, un DNA che gioca a suo favore.

C’è poi da descrivere il “Suo” strumento, una voce incredibile che può sfruttare un’estensione vocale non comune (quattro ottave), una dote naturale che lei ha nutrito con l’applicazione e che la rende performante sia nel registro basso che in quello alto, con l’impressione, a tratti, di ascoltare di una vocalità operistica.

L’album “Viola Nocenzi” nasce al pianoforte, ed è figlio della stretta collaborazione tra l’autrice - che firma tutte le musiche, oltre al testo della conclusiva “Bellezza” - e lo scrittore siciliano Alessio Pracanica.

Della cinquantina di brani disponibili, alcuni dei quali creati anni fa, emergono sette perle, un numero magico per Viola, che propone in ogni episodio una parte di sé, e la sintesi del pugno di canzoni fa esplodere la concettualità che si cela - neanche troppo - dietro al progetto.

Il file rouge che annoda i sette pensieri di Viola si manifesta nella celebrazione dell’amore e della bellezza, con il focus puntato su aspetti interiori e metafisici, e quindi su tutto ciò che ruota attorno ad elementi relazionali, non solo all’interno di una coppia.

Ma per raggiungere obiettivi leciti e ambiziosi - la comprensione, il perdono, la comunione di intenti, un credo che sia coltivato nel quotidiano - occorre possedere delle virtù, cosa non certo scontata, e il racconto dell’artista fa emergere, passo dopo passo, le sue qualità personali, diventando al contempo monito e suggerimento, una via di uscita in tempi bui.

Ma mi piace sottolineare come gli aspetti estetici abbiano una loro valenza - spesso si ha timore nel metterli in primo piano -, perché l’osservazione della magnificenza della natura, di un quadro di uno sconosciuto o di un volto umano, possono fornire una scossa, o più semplicemente dare gioia e serenità, esattamente come riesce a fare una canzone… quella giusta per ognuno di noi.

Guardando dall’alto il lavoro nella sua globalità si registra una certa atipicità.

Non troviamo né i caratteri della musica progressiva - Viola si nutre da sempre di quel cibo musicale - né la leggerezza pop che ci viene propinata oggigiorno dai media, ma la proposta è fatta di sonorità estremamente moderne che legano episodi in cui spicca la poesia e la capacità interpretativa. Inutile definire il genere di un album che è il compendio di tante esperienze e skills, molto meglio assaporare ogni singola perla, perché di questo si tratta.

Ovviamente la sezione “arrangiamenti” può contare sull’eccellenza assoluta, ovvero la supervisione dello “Zio Gianni” - che partecipa anche come strumentista (piano elettrico, pianoforte, sampler, orchestrazione archi) e sulle competenze enormi di Lo Zoo di Berlino, i cui elementi sono: Andrea Pettinelli (rhodes, hammond, synth, theremin, mellotron), Diego Pettinelli (basso elettrico, sampler, elettroniche, programming) e Massimiliano Bergo (batteria, percussioni, drum machine), oltre a Roberto Masotti (percussioni); Viola Nocenzi suona il pianoforte, ovvero lo strumento studiato una vita, con cui crea ogni canzone.


Provo a fornire qualche immagine seguendo il percorso, step by step:

Apre il sentiero “Viola”, potenzialmente una hit, se fossimo in un paese normale.

“Viola” è - anche - un colore, ma ad esso è immediatamente collegato un profumo; la stimolazione dei sensi non passa solo attraverso le possibilità visive, e la capacità di eliminare le scorie negative e guardare il mondo circostante con un po' di comprensione può aiutare nel fornire “tinteggiatura” differente da quella imposta e a quel punto potremo avere nuovi occhi che ci regaleranno la realtà. Un urlo preoccupato diventa un monito: “… non vedi… il cielo è viola…”.

Musicalmente accattivante, tra elettronica e maestosità sinfonica.

A seguire “Lettera da Marte”, ovvero il brano uscito come anticipazione dell’album e che propongo a seguire.

Poesia scritta molto tempo prima da Pracanica, arriva improvvisamente e telepaticamente sulle dite di Viola, in piena libertà sul pianoforte mentre si lascia guidare dall’ispirazione, sicura che le sue qualità canore impediranno ogni ostacolo di accoppiamento. Il fulcro del brano e l’aspetto comunicativo, con immagini metaforiche molto convincenti.

La tecnologia non pone limiti e l’avvicinamento tra mondi lontanissimi tra loro, un tempo impensabile, è divenuto realtà. Marte non è poi irraggiungibile. Ma queste enormi possibilità esaltano un ossimoro, quello che sottolinea il contrasto determinato dalla facilità di contatto tra chi abita spazi lontani e le difficoltà relazionali rispetto a chi è a pochi passi da noi, e le incomprensioni portano spesso ad un repentino stacco della spina; ma le differenze tra simili, fatto di per sé oggettivo, non devono obbligatoriamente condurre alla chiusura totale dei rapporti personali, e la capacità di saper rispettare il prossimo sarà elemento premiante.

Risulta facile intravedere un arrangiamento di gran lusso, con una voce modulante supportata da un tappeto orchestrale che miscela analogico e digitale…


Colui che ami” è il terzo brano, citazione tratta dal Vangelo, utilizzata per affrontare il tema del dolore e della sofferenza, presenti in abbondanza in questo mondo, contrastabili con l’amore a la solidarietà.

Intimismo e atmosfera quasi aulica, con uno stretto dialogo musicale tra pianoforte e voce.

E arriviamo a “Entanglement”, termine molto tecnico nella sua concezione originale, quella che fa capo alla “correlazione quantistica”, e il legame esiste, ma tra due persone - potenzialmente le stesse che troviamo in “Lettera da Marte” -, due entità molto lontane tra loro dal punto di vista spaziale, ma ugualmente vicine e, nonostante tutto, dipendenti l’una dall’altra.

Incredibile prestazione vocale su di un tappeto sonoro elettronico.

Itaca” può condurre solo all’Odissea e quindi al tema del viaggio e permette all’autrice di mettere a nudo aspetti differenti che convivono in lei, quello più spirituale accanto ad uno più materiale, elementi con cui tutti dobbiamo fare i conti, seppur con dosaggi differenti.

Traccia permeata da una certa drammaticità, presenta una buona tensione sonora che non può lasciare indifferenti.

Con “L’orizzonte degli eventi” la ritmica ritorna in auge e l’elettronica incide, mentre la lirica assume una nuova dimensione: “… sul confine solo stupidi pensieri, lascio i miei magri poteri, perdo fame e desideri, io perdo tutto questo ma poi divento eternità…”.

Musicalmente forse più facilmente adattabile alla lingua inglese - un plauso agli arrangiatori -, sprigiona una buona energia che spinge ad abbandonare la staticità tipica dell'ascolto.

La conclusione è affidata al brano “Bellezza”, come già sottolineato l’unico scritto in totale autonomia, una sorta di manifesto che fornisce il brand all’album.

“Che si possa camminare per lasciare impronte nella terra bagnata, un peso permanente che copra la rabbia, il dolore e i sentimenti piccoli, non tutti sono disposti a misurare il proprio cuore e la propria intelligenza, il proprio cuore; che la soluzione, in fondo, sia solo l'amore e la bellezza?”.

Un concetto di bellezza che contiene, ma supera, l’aspetto estetico, una gradevolezza non fine a sé stessa ma derivata da sani principi, relazioni “pulite” e tanta semplicità, e a quel punto il bello non sarà più quello definito dai canoni tradizionali, ma la summa di sensibilità e virtuosismo.

Concludendo… Viola Nocenzi si mette in gioco e propone un album coraggioso, sceglie la forma canzone ma pensa istintivamente alla musica che ha assorbito sin dalla nascita - quella dei tempi composti e dell’estrema difficoltà compositiva e strumentale -, si contorna di musicisti esperti, persone fidate e affetti e tira fuori tutta la sua personalità, preparazione e talento. Forte e chiaro risulta il suo messaggio, il suo credo, la sua voglia di divulgare un pensiero positivo.

In attesa di qualche suo futuro live - sapendo poi che molti brani sono rimasti nel cassetto - c’è da augurarsi una buona continuità discografica: abbiamo tanto bisogno di musica di qualità che possa contrastare la mediocrità che ci circonda.


Tracklist:

 

1.      Viola

2.      Lettera da Marte

3.      Colui che ami

4.      Entanglement

5.      Itaca

6.      L’orizzonte degli eventi

7.      Bellezza


Biografia sintetica

Figlia del fondatore e da sempre anima del Banco del Mutuo Soccorso, Vittorio Nocenzi, nipote di Gianni, Viola inizia a suonare il pianoforte all’età di quattro anni, in seguito si dedica allo studio del violino e intraprende poi quello del canto d’opera, affiancando allo studio l’attività di insegnamento. La sua formazione umanistica e le stimolanti frequentazioni artistiche all’interno dell’ambiente familiare nel quale è cresciuta, hanno contribuito a plasmare la personalità di Viola, che si rivela in un intrigante mix di estro, sensibilità e ironia.

 


Viola Nocenzi Official:


http://www.violanocenzi.com/

 

https://www.facebook.com/viola.nocenzi/

 

https://www.instagram.com/nocenziviola/




giovedì 17 dicembre 2020

of NEW TROLLS - il Progressive è più vivo che mai!

 

Ho ascoltato in anteprima due brani degli of NEW TROLLS che sono parte di un progetto piò completo che vedrà la luce la prossima estate.

Fuori di qua” e “La mia musica” saranno disponibili dal 18 dicembre con una confezione sontuosa i cui dettagli sono riportati a seguire, nello stralcio di comunicato emesso dalla band attraverso l’ufficio stampa.

Mi riservo di commentare in modo approfondito l’album alla sua uscita, ma posso dare un primo giudizio basato sulle impressioni iniziali, certo che la proposta sia rappresentativa dell’intero lavoro.

Fuori di qua” è portatore di un messaggio ben preciso ma, come ogni lirica, può essere ripresa dall’ascoltatore, reinterpretata e modellata a propria immagine e somiglianza. Restiamo sul generico fornito dall’ufficialità: “Un testo attuale, un attacco frontale, punta il dito verso chi si estranea dalla nostra vita o da progetto, un urlo liberatorio, che tutti possiamo cantare.

Il DNA New Trolls, quello per cui la band diventò famosa cinquant’anni fa, è presente più che mai, e l’evoluzione naturale non intacca il profumo conosciuto, che è marchio di fabbrica.

Il brano è di oltre cinque minuti - quindi fuori dai tempi tradizionali della “forma canzone” - ed è questo lo spazio temporale in cui Belleno, Di Palo e friends riescono a condensare il loro umore attuale, con tre momenti espressivi differenti, tipici della libertà collegata al prog, di cui sono stati alfieri.

Ritmo pazzesco, un riff chitarristico che ti prende in un nanosecondo e non ti lascia più, un secondo frammento molto “rock traditional” di un paio di minuti e una terza sezione, questa volta melodica, che si riaggancia alla potenza iniziale.

In tutto questo altalenare di situazioni resta cristallina una delle peculiarità del gruppo, ovvero l’aspetto vocale per il quale il marchio “NT” resta punto di riferimento ed elemento caratterizzante.

Con “La mia musica” - si cambia decisamente mood e si quietano le acque.

Canzone toccante in cui, in quattro minuti, si ripercorre la vita di uno degli autori, allo stesso tempo un messaggio di speranza, perché “…si può rinascere e ancora vivere… con voi, per voi, posso riaccendere, oltre ogni limite, la mia musica”.

Facile estrapolare il concetto della solidarietà, dell’aiuto che serve per rialzarsi quando si cade duramente, della forza che la musica può fornire a tutti, indiscriminatamente.

Atmosfera magica per una ballad quasi commovente, con un finale di chitarra solista lacerante, e non sarà necessario essere esperti di musica per lasciarsi coinvolgere.

E se il buongiorno si vede dal mattino!

A seguire le indicazioni ufficiali…  


of NEW TROLLS - il Progressive è più vivo che mai! - (distribuzione SELF.IT) 

Una imperdibile anteprima discografica su 45 vinile white che sbalordirà vecchi e nuovi fans dei New Trolls e del prog-rock.

A giugno il nuovo Lp. (SELF distribuzione)

Due brani incisi su vinile a 45 giri colore bianco impreziositi da un esclusivo cofanetto numerato (300 copie), autografato con un cadeau all’interno per i fan: un bracciale con impresso il marchio of NEW TROLLS che usciranno il 18 dicembre 2020 e entreranno successivamente, con altri gemelli, nel progetto finale che arriverà soltanto alla fine di giugno del 2021, (16 brani inediti di cui 10 inediti e 6 storici ri-arrangiati ) ci mostra la costruzione di un progetto molto ambizioso, che vede gli of NEW TROLLS entrare frequentemente in sala d'incisione, nel corso delle pause tour per completare le nuove partiture.

FUORI DI QUA – Un brano rock ottimamente arrangiato, con un ritmo che ti rimane in testa a cui si aggiunge un bellissimo testo attuale, un attacco frontale, punta il dito verso chi si estranea dalla nostra vita o da progetto, un urlo liberatorio, che tutti possiamo cantare. Una partitura, una scrittura provocatoria, che scivola via in modo fluido, tessuta con delicatezza ed intelligenza musicale, esplode nel ritmo e nella coralità, come ad indicare che la scelta, rimane su una strada diversa. Un concentrato imprevedibile, fresco e decisamente personale, cantato da una splendida voce, infarcito da venature rock che vanno anche oltre, con un riff dalle altissime note. Un sound efficace permette di immergersi nella partitura, immaginando un’altra angolazione, interpretato dagli of NEW TROLLS, una band che conosce a menadito il proprio mestiere.

LA MIA MUSICA - Dal primo ascolto, si nota, che il testo a grandi linee, ricamato su un sound accattivante e molto “sinfonico, energico senza esagerare, ricco di riff e di tastiere ostinate, esprime, al meglio, la biografia della voce solista, un viaggio che tocca il cuore con la potenza di sguardi profondi. Il pensiero vaga nella testa e cantando lo condivide, con chi, musicalmente lo ascolta, con dolcezza e passione. Un lavoro interessante, dove voce e strumenti, mettono in evidenza le idee chiare, che la band vuole esprimere e sarà, motivo in più, per seguirla nelle loro prossime uscite live e discografiche. In poco meno di cinque minuti, stupendo tutti, nella partitura si trova tutto quello che qualsiasi amante della buona musica vorrebbe da un disco, ma che negli ultimi anni, non è di certo stato facile trovare.




martedì 15 dicembre 2020

JULIUS PROJECT-"Cut the Tongue"

JULIUS PROJECT è il nome di un nuovo progetto musicale guidato da Giuseppe "Julius" Chiriatti - musicista salentino dai trascorsi prog - e coordinato dall'ex-JUMBO Paolo Dolfini.

Il titolo dell'album di esordio distribuito da G.T. Music Distribution è "Cut the Tongue".

Prima di addentrarmi in un commento di un disco che, lo anticipo, mi ha entusiasmato, riporto i dati oggettivi, quelli che estrapolo da un ‘intervista che ho realizzato con la band e che sarà pubblicata per intero nel prossimo MAT2020.

Sarò prolisso… volutamente prolisso!

Partiamo dalla storia raccontata e dal contenuto del concept album, anche se il messaggio si presta a differenti varianti che dovrebbero coinvolgere l’ascoltatore attento e sensibile, che avrà la possibilità di elaborare la proposta interpretandola in modo personale. La traduzione in italiano compresa nel booklet potrà facilitare l’opera di comprensione.

“Cut The Tongue” è un viaggio, difficile e a tratti doloroso, che Boy, il protagonista, affronta per trovare il senso della propria vita e per sconfiggere la nebbia che è calata nella sua mente. Dapprima si chiude in sé stesso, poi, su indicazione di un amico di famiglia, si affida a un “profeta” che gli decanta le meraviglie della ricchezza e l’importanza dell’apparenza, fino a quando, la notte di San Silvestro, Boy non si rende conto che si tratta solo di false illusioni. All’alba, in una dimensione onirica, ascolta la voce di uno spirito guida che gli raccomanda di “tagliare la lingua” (“Cut the tongue”) ai falsi profeti. Dopo varie vicissitudini, affrontando le tempeste nel mare della vita, dove si troverà anche a naufragare, alla fine Boy troverà il significato della sua esistenza, accettando la solitudine come virtù.

Oggettivamente un percorso e una metafora molto attuali, probabilmente senza tempo.

Ma quando e come è nata l’idea? Cosa ha scatenato la voglia di espressione?

L’iter creativo è antico e risale a una quarantina di anni fa…

Fra il 1978 e il 1981 Giuseppe “Julius” Chiriatti ha scritto 17 dei 18 brani che compongono “Cut The Tongue”. La sua intenzione era quella di suonarli con la propria band dell’epoca, ma alcuni membri li ritennero superati e poco interessanti e il progetto fu così abbandonato. Nel 2014 la figlia maggiore di Julius, Bianca, che impersona il protagonista del disco, scopre le vecchie carte e i provini registrati su musicassetta e convince il padre a riprendere il tutto. Nel 2019 Julius completa, infine, l’opera scrivendo la title track su propri testi dell’epoca. Tutti i pezzi sono stati ripresi solo nel 2014, dopo 33 anni di “sonno” nel cassetto. Subito si è posto un problema di ordine concettuale, se rispettare lo stile originale del 1978/81 oppure adattarlo all’attualità. È stata scelta la prima soluzione e anche gli arrangiamenti hanno rispettato i brani originali senza stravolgerli; sono stati usati moltissimi strumenti vintage e il missaggio finale è stato fatto utilizzando apparecchiature analogiche. I brani di “Cut The Tongue” sono molto attuali e forse sono nati già proiettati nel futuro. Ciò probabilmente spiega anche il rifiuto degli altri componenti della band dell’epoca ad abbracciare il progetto.

Accennavo inizialmente all’idea di “collettivo musicale” e allora appare necessario delineare il pool di musicisti che hanno collaborato…

Oltre a Julius (Hammond, Mellotron, Moog Voyager, tastiere e voce) e Paolo Dolfini (Piano, Moog model D, Korg Lambda, tastiere e cori), Julius Project ha una base ritmica possente, costituita dal figlio di Paolo, Filippo, alla batteria e dal bassista Marco Croci (ex-Maxophone) che ha anche interpretato un personaggio dell’opera. Alle chitarre ci sono i salentini Francesco Marra e Mario Manfreda e al flauto e voce l’ex Jumbo Dario Guidotti. La voce del protagonista, Boy, è invece affidata alla figlia di Julius, Bianca (in arte Bianca Berry). Successivamente sono stati chiamati a partecipare grandi nomi del Prog italiano, quali l’ex-Jumbo Daniele Bianchini (chitarre) nonché Flavio Scansani (chitarre) e, sul fronte salentino, Egidio Presicce al sax e l’altra figlia di Julius, Martina, che interpreta la voce del “profeta”. La title track è cantata dal grande Richard Sinclair, ex membro di gruppi storici come i Caravan, i Camel, Hatfield and the North.


Veniamo alla musica, 57 minuti di sonorità sontuose, diciotto episodi senza soluzione di continuità, una mini-opera che vede differenti protagonisti, a partire da un “narratore” che introduce i vari “attori”. Proverò a fornire pillole per ogni episodio.

Mi soffermo maggiormente sull’introduttiva “The Fog” perché musicalmente mi ha spiazzato. Vorrei uscire dal razionale e sottolineare come mi accada ogni tanto di essere colpito da una trama, un’atmosfera, un particolare tratto vocale che mi induce ad un rapido riascolto. È quanto mi è successo con “The Fog”, che è a mio giudizio la sintesi perfetta della bellezza delle costruzioni prog: atmosfere sinfoniche sostenute da una sezione ritmica virtuosa, una voce caratterizzante - in questo caso di Julius - e, nello specifico, un particolare e semplice passaggio ripetuto, che mi è rimasto in testa e ho fatto mio.

Aggiungo l’importanza della lirica che descrive una famiglia comune, tradizionale: “Sta arrivando la nebbia e l’assassino della mente cancellerà tutto e distruggerà la ragione, anche quella dei cervelli più brillanti. È facile abbattere ogni pensiero, anche il più giusto, e quando la nebbia aprirà il suo ampio mantello potrai solo chiuderti nella stanza, sperando che scompaia”.

Concetto semplice ma profondo, illuminato e incredibilmente attuale.

L’album prosegue tra virtuosismo, estrema bellezza estetica e facilità di ascolto, con un lavoro di squadra che vede in evidenza differenti lead vocal, e questa varietà espressiva mi appare premiante e un punto di forza del progetto.

Con “In the Room” entra in scena “BOY”/Bianca Berry, imprigionato/a in una stanza da cui vuole fuggire per ritrovare la libertà, e chiede aiuto: “Aiutami, rompi questo lucchetto, liberami!”.

Pezzo per metà molto “tirato”, con la chiusura affidata al nuovo cantato, che permette di conoscere una vocalità davvero nobile e delicata.

E arriva l’amico di famiglia che suggerisce l’aiuto di un profeta (“You Need a Prophet”): “Se vuoi spazzare via tutta la tua nebbia e il nemico della mente che ti minaccia… paga il profeta e sarai salvato”.

Altra nuova e piacevole voce - un po’ “morrisoniana” -, quella di Dario Guidotti, per un’altra traccia che colpisce al primo giro di giostra. Perfetta armonia tra sezione ritmica e aspetti melodici.

Mask & Money” ci presenta il dialogo tra BOY (Bianca Berry) e il profeta evocato (Martina Chiriatti): “Ho cercato in tutti i modi di sapere come distruggere la nebbia, ma è inutile…”; “Se vuoi un futuro luminoso devi seguire il mio consiglio, dimentica tutti i tuoi sentimenti e pensa all’oro e il gioco incomincia…”; “Il profeta è stato chiaro, devo cambiare e intraprendere un nuovo corso…”.

Dialogo vocale delicato e sostenuto dai tempi composti tipici del genere, con una sezione centrale che mi ha riportato ad antiche costruzioni targate “Genesis”, con l’intervento pianistico di Paolo Dolfini: una chicca!

In “Welcome to the Meat Grinder” il conflitto è interiore: “Ora non sono più un ragazzo pieno di nebbia, ora ho mucchi di soldi tutti per me, sono un uomo nuovo e recito la mia parte”; “Ma forse sto sbagliando tutto, sono insoddisfatto, vuoto, triste, questo tritacarne mi ha macinato troppo…”.

L’ascolto mi ha riportato a “Tommy” - l’opera rock dei The Who -, una serie di immagini sonore che danno la perfetta idea di “racconto musicale”, con un virtuosismo strumentale mai fine a sé stesso ma al servizio della trama.

Speed Kings” introduce i re della velocità che influenzano il BOY: “Ti piacciono le macchine? Possiamo dartene una, dobbiamo correre, domani è il nuovo anno e ci ubriachiamo stasera… siamo i re della velocità… viscidi, nebbiosi, sporchi, polverosi…”.

La velocità a cui ho accennato è rappresentata da uno start sostenuto, dove basso e batteria recitano ruolo preminente ed entra in gioco un’altra voce, quella di Marco Croci, che presenta una vocalità molto interessante e matura, da rocker tradizionale navigato.

Clouds pt. 1 e 2è divisa in due parti: “È l’alba del giorno di Capodanno, la gente dorme perché la festa stanca, è orribile essere bagnati e soli in questi giorni, mentre tutti rimangono davanti a un camino; vedo nuvole che corrono via e la mia anima corre via con loro… e il profeta era una frode!”.

Dolce melodia condotta vocalmente da Bianca Berry, passaggio lento e intimistico con il sax tenore di Egidio Presicce che ricorda i giochi fiatistici di David Jackson.

E arriviamo a “Cut  The Tongue” che vede un ospite di eccezione, quel Richard Sinclair che non ha bisogno di presentazioni. Sono stato testimone, negli ultimi dieci anni, di alcune sue collaborazioni “italiane” un po' superficiali in fase live, ma in questo frangente l’ospite dalla storia nobile regala vero valore aggiunto, un’interpretazione magica che riporta ai fasti della “Canterbury Scene”.

Taglia la lingua di ogni cattivo profeta, di ogni uomo che cerca di portarti fuori dai tuoi giusti pensieri, taglia le nostre lingue per parlare ogni lingua, la lingua del silenzio, taglia tutte le lingue perché dobbiamo imparare a sentire la persona che ci sta vicino, senza parlare…”.

Protagoniste le tastiere di Paolo Dolfini - pianoforte e moog - che accompagnano l’iniziale delicatezza dell’ex Caravan che sfocia in una atmosfera lacerante in cui si inserisce la solista di Daniele Bianchini.

The Swan” prosegue il racconto: “Un cigno proveniente dal cielo mise le ali su di me… prese un coltello e mi tagliò la lingua mettendola in una posizione diversa nella mia gola e così posso parlare in tutte le lingue che il mondo conosce, io capisco il mondo…”.

La mutazione del protagonista è musicalmente commentata utilizzando pacatezza e profondità onirica; Bianca Berry e Paolo Dolfini ancora in evidenza.

Island” è il primo strumentale, molto funky e “anni ‘80”, giri importanti di un basso elettrico che gioca quasi a fare il solista, in contrapposizione all’elemento tastieristico.

La breve “We Know We Are Two” parla di amore: “Non vedo il tuo volto ma so che stai pensando a me, mi dai la luce, mi fai sorridere, mi dai la luna… siamo due anime e sappiamo di essere due…”.

Brano acustico, orchestrale, striscia di passaggio, potenziale colonna sonora di una favola.

I See the Sea” é il secondo strumentale, inizialmente movimento aulico, quasi elegiaco, sfocia in un “veloce andante e gioioso” dove sezione ritmica e moog conducono il gioco con orizzonti molto “seventies”.

Glimmers” rappresenta il pensiero espresso da BOY, mentre naviga lontano dal suo amore: “Non essere triste se devi partire, lei ti aspetta e dice che quei bagliori sul mare sono i suoi occhi bagnati che ti vedono e ti seguono ovunque…”.

Brano magnifico che riporta alle ballad di Gabriel e soci dei primi ’70 e vede la partecipazione preziosa di Flavio Scansani alla chitarra (solista e 12 corde).


Castaway” è un altro strumentale di breve durata che rappresenta il naufragio di BOY, una marcetta molto evocativa e immaginifica.

Wood on the Sand” presenta il dialogo tra il narratore e BOY: “C’è legno sulla sabbia, puoi accendere il fuoco e scaldarti e passare la notte… cigno per quanto tempo starò qui ad aspettare la tua chiamata?”.

Ritorno alla lead vocal per Julius - che duetta con Bianca Berry -, una proposta davvero gradevole per una traccia che riporta al prog più amato da chi ha vissuto il periodo d’oro del genere.

Con “Wandering” - ultimo e breve strumentale - si sprigiona la forza della band prog, con tutti gli elementi che sono diventati il brand di un movimento musicale mai sepolto.

Chiude l’album “Desert Way” e la storia di BOY giunge all’epilogo: “Ora posso dire di conoscere la via deserta, che amo dimenticare il giorno per vivere in una notte tranquilla, rinunciando a lottare per uscire e andare via, per tornare nella mia strada deserta dove cercherò di trovare tutto quello che ho perso nella mia mente, per trascorrere una giornata deserta senza andare più via.”

L’approdo al porto sicuro e alla serenità è magistralmente rappresentato da una fermatura musicalmente epica, con arrangiamenti ad ampio respiro, la scena finale di un film che ha mantenuto una forte tensione per tutta la narrazione.

E a questo punto viene la voglia di ricominciare l’ascolto.

Mi sono dilungato nella descrizione di un progetto che credo valga la pena divulgare senza esitazione, un album che pongo tra i primissimi di questo 2020.

La speranza è che nascano le possibilità per vedere JULIUS PROJECT dal vivo, e per fare ciò - emergenza sanitaria permettendo - bisognerà individuare la giusta organizzazione/logistica che possa oltrepassare i problemi legati ai collettivi musicali, per definizione composti da un numero svariato di artisti, molti dei quali lontani tra loro. Non meno importante il fatto che “Cut the Tongue” si presta ad una rappresentazione teatrale, oggettivamente difficile, ma non impossibile.

Una segnalazione per il magnifico artwork che, anche nel formato ridotto del CD, riesce da dare contributo rilevante all’iter narrativo.


Il mix & mastering sono stati completati nell’agosto del 2020 ai RecLab Studios di Buccinasco (Milano) grazie all’esperienza e all’estro di Larsen Premoli, anche lui catturato dal fascino di questo progetto e felice di “mettere la parola fine a un disco che ha iniziato a vedere la luce nel 1978”.

TRACKLIST:

1. The Fog (6:27)

2. In the Room (3:40)

3. You Need a Prophet (3:30)

4. Mask & Money (4:23)

5. Welcome to the Meat Grinder (3:10)

6. Speed Kings (3:33)

7. Clouds pt. 1 (3:06)

8. Clouds pt. 2 (4:45)

9. Cut the Tongue (5:06)

10. The Swan  (2:17)

11. Island (1:56)

12. We Know We Are Two (2:06)

13. I See the Sea (3:07)

14. Glimmers (3:55)

15. Castaway (1:07)

16. Wood on the Sand (3:06)

17. Wandering (1:39)

18. Desert Way (2:53)