lunedì 15 agosto 2022
Shea Stadium, Queens, New York, 15 agosto 1965-Beatles
domenica 14 agosto 2022
The Samurai Of Prog featuring Marco Grieco-"Anthem To The Phoenix Star"
Anthem To The
Phoenix Star
The Samurai
Of Prog featuring Marco Grieco
Registrato nel periodo 2021-2022
Prodotto da Marco Bernard, Marco
Grieco and Kimmo Pörsti
Mixato e masterizzato da Kimmo Pörsti
Artwork di Ed
Unitsky
(Seacrest-Oy ℗&©2022)
È in arrivo un nuovo progetto musicale targato The Samurai of Prog e il mio incipit tende a
ripercorre gli stessi concetti che propongo ogni volta e che si rifanno alla prolificità del gruppo, alle loro skills, alla capacità di coinvolgere
musicisti sparsi per il pianeta, all’essenza della musica progressiva.
Ma questa volta c’è una novità perché Marco Bernard e Kimmo Pörsti, promulgatori massimi dell’idea che spinge i Samurai musicali sparsi ormai nel mondo, lasciano grande spazio al compositore e multistrumentista Marco Grieco, in passato soprattutto collaboratore, ma nell’occasione compositore per intero (un'ora intensa di musica progressive) di un viaggio musicale che lo vede, anche, come naturale interprete, insieme a Bernard (basso) e Pörsti (batteria), e ad un corposo e virtuoso "equipaggio" formato da alcuni tra i migliori musicisti progressive internazionali che vado ad elencare:
- Marco
Bernard / Shuker basses
- Marco
Grieco / keyboards, acoustic and electric guitars, ukulele, backing vocals
- Kimmo
Pörsti / drums & percussion
With:
- Clive Nolan
/ vocals
- Juhani
Nisula / acoustic and electric guitars
- Marek
Arnold / alto and soprano saxes
- Bart
Schwertmann / vocals
- Sara Traficante / flute
- Ruben Alvarez / electric guitar
- Yogi Lang /
vocals
- Steve Unruh
/ violin and flute
- Bruce Botts
/ electric guitar
- Rafael
Pacha / acoustic and classical guitars, Uillean pipes, recorder
- Olivia
Sparnenn Josh / vocals
- Luke
Shingler / flute
- Beatrice
Birardi / xylophone
- Carmine
Capasso / electric guitar
- John
Wilkinson / vocals
- Marcel Singor / electric guitar
- Massimo Sposaro / acoustic guitar
- Cam Blokland / electric guitar
A fine commento propongo anche una esaustiva intervista che
doverosamente coinvolge Grieco, che con le sue risposte illumina un percorso
che, per essere compreso appieno, necessità di elementi didascalici.
Scopriamo/anticipiamo attraverso le
sue parole la “trama del film”, un falso concept, nel senso che i vari brani
rappresentano ciascuno un atto di senso compiuto, ma esiste un diario di bordo del
viaggio interstellare fantascientifico verso la costellazione della Fenice
compiuto da una donna, assolutamente comune e non specializzata, all'interno di
una futuristica astronave. Scopo del viaggio è quello di tentare di salvare
quel che di buono l'umanità è stata capace di esprimere prima di aver messo sul
campo i presupposti per la sua distruzione definitiva.
Alla fine, i vari episodi trovano il legame per realizzare
l’idea di concettualità e il vero scopo/messaggio si materializza sotto forma
di esortazione a non mollare mai, anche quando tutto sembra perduto, cercando di
risorgere dalle proprie ceneri e spiccare il volo, proprio come l'Araba Fenice.
Il percorso sonoro inizia con la
title track, “Anthem to the Phoenix Star”.
La protagonista compila il suo diario e si rivolge alla figlia: la meta è vicina, pochi giorni e la destinazione “terra” sarà raggiunta, ma quello che per la navicella è stato un viaggio di poco più di un anno corrisponde ai terreni 76 anni; alla fine del percorso, se la missione sarà stata compiuta con successo, il tempo sarà arretrato e mancheranno cinque anni alla nascita della destinataria dello scritto. Ma, cosa più importante, saranno disponibili dieci anni per disinnescare gli eventi autodistruttivi previsti per il 2027. L’obiettivo per madre e figlia è quello di poter leggere assieme le lettere, sperando sia possibile rivedere la vita tornare all’iniziale splendore.
Un inizio icastico, non facile da descrivere attraverso le sonorità tradizionali. La libertà espressiva del prog permette questo ed altro. A livello strumentale, oltre ai soliti tre - Bernard, Pörsti e Grieco - che compaiono in tutti i brani e che quindi non nominerò più, troviamo Juhani Nisula alla chitarra elettrica e acustica, Marek Arnold al sax alto e soprano e la calda voce di Clive Nolan.
Caratterizzanti appaiono i fiati, che forniscono immagini
spaziali e drammatiche, mentre la solista e le fughe di sintetizzatore producono
atmosfere distopiche, aggettivo che credo di avere più volte utilizzato nel
commentare i “lavori samurai…”.
Uno start emozionate e coinvolgente!
Segue “Burning Silence”.
Prosegue il dialogo a distanza tra
madre e figlia e il cuore si apre, la mente ritorna alla giovinezza, quando la
vita sembrava noiosa e routinaria e darle un senso sembrava esercizio inutile.
Chiudere gli occhi e sognare sembrava abbastanza, e per trovare sfogo alla
piattezza era sufficiente tuffarsi nell’alcool con persone poco raccomandabili.
Quanto può bruciare il silenzio e quanto è difficile non farsi avvolgere dalle fiamme!
Ruben Alvarez alla chitarra elettrica, Sara Traficante al flauto e Bart
Schwertmann alla voce sono gli strumentisti aggiunti.
Brano dai tempi cangianti, tra elementi classici e rock spaziale, il tutto focalizzato sulla rappresentazione dei sentimenti da parte di una madre che, riannodando i fili della sua storia, si ritrova e pensa a rimediare, avendo forse a disposizione una seconda possibilità.
Il terzo episodio prende il nome di “Killing Hopes”.
La donna svela alla figlia qualche doloroso segreto che si
lega alla morte delle speranze, nello specifico collocate in un contesto di
degrado che l’ha vista coinvolta con un uomo in storie di droga, un compagno,
un padre per tre giorni, un genitore mancato da subito. E le promesse di
cambiamento, mai mantenute, sono utilizzate per creare un parallelo con il male
provocato alla natura, con il voto teso all’idea di un rimedio, necessario, ma
mai preso in considerazione.
Nell’occasione ritorna un terzo Samurai, Steve Unruh (violino
e flauto) assieme ad una vecchia conoscenza alla chitarra acustica, Rafael Pacha, mentre l’elettrica è ad appannaggio
di Bruce Botts e il driver vocale è Yogi Lang.
Un’altra lunga storia complicata da musicare, dove melanconia
e riflessione vengono descritti attraverso suoni ancestrali e aulici, e quando
l’arpeggio acustico lascia spazio alle aperture tastieristiche l’dea di
speranza e luce viva prendono forma, con un’armonizzazione armonica che riporta
al mondo degli YES.
Emozioni a gogo!
“Bones” vede la partecipazione della voce soave
di Olivia Sparnenn Josh, Luke Shingler al flauto, Beatrice
Birardi allo xilofono, Carmine Capasso alla chitarra elettrica e Rafael
Pacha alla chitarra classica e alle uilleann pipes.
È questa l’occasione in cui Grieco lascia passa la mano alla
figlia Daphne che realizza un testo magistrale.
La memoria ritorna ad un momento indimenticabile e gioioso,
quello della nascita della figlia, con una bimba serena in mezzo ad altre
neonate. E proprio nel momento idilliaco per eccellenza nasceva la sensazione che
l’ascesa del caos fosse inarrestabile, che l’avanzare senza tentennamenti verso
la fine fosse una progressione continua senza alcun ripensamento. E fu lì che il cuore si oscurò!
Oltre otto minuti di emozioni
continue, un sample di cosa possa rappresentare un brano prog, tra messaggio,
competenza strumentale e bellezza estetica, un fiume in piena che diventa docile
torrente, un salire e scendere un difficile pendio con facilità, un’agitazione
smisurata che diventa quiete positiva.
Cosa si può chiedere di più ad un brano musicale!
“Don't Be Afraid” è una delle tracce più lunghe
del disco e si fregia della partecipazione di Sara Traficante al flauto,
Marcel Singor all’elettrica, Massimo Sposaro alla chitarra
acustica e John Wilkinson alla voce.
Un incidente sulla navicella - una piccola ferita al volto -
riporta alla mente la violenza domestica perpetrata dal padre a moglie e mamma
per ogni rientro a casa da ubriaco. Nascondersi sotto alle coperte, usate come
scudo invalicabile, non era così rassicurante e i genitori si trasformavano
presto in animali incuranti dell’innocenza di una figlia. Forse da lì nacque la
capacità di non guardare/sentire, al sicuro tra i sogni, pensando a non mollare
mai.
Una voce dal tono “genesisiano” conduce un dramma che si
snocciola in una suite dai momenti differenziati. La marcetta si lega alla
classicità pura, mentre le lancinanti svisature dell’elettrica penetrano
nell’anima e realizzano un’andatura in pieno stile seventies, quando queste
sonorità erano il nutrimento quotidiano.
Senza parole!
“Wings” è il brano più corto dell’album,
quattro minuti di Gran Piano in cui Marco Grieco descrive il dramma e la
delusione per ciò che sta per avvenire.
Un guasto tecnico porta la protagonista a sacrificare la
propria vita o in caso contrario l’intera umanità verrà distrutta senza avere
possibilità di rinascimento.
Quanta responsabilità sulle spalle di una donna comune, senza
particolari attitudini tecniche, priva di equilibrio e vittima di scelte
sbagliate!
Non resta che mettere le ali per giungere alla stella
propizia, provando a trasferire il conosciuto ai potenti del pianeta, nella speranza
che non ripetano errori già commessi.
Anche il diario di bordo arriverà a destinazione, in modo da
poter essere letto, mentre le ali si piegano e conducono ad una stella, la sua
stella, che dall’alto osserverà gli eventi e proteggerà l’affetto lontano.
Poco da aggiungere, un pezzo di bravura di Marco Grieco che
utilizza il suo piano chiudendo gli occhi e lasciando andare mani e mente, solo
così si può raccontare musicalmente il parallelo tra infinita tristezza e
speranza di luce infinita.
A chiusura “Behind The Curtain”,
il brano più lungo, quasi 14 minuti.
Protagonisti Cam Blokland
all’elettrica e ancora Clive Nolan alla voce.
La vera suite, divisa in nove movimenti.
E arriva l’ultimo messaggio e davanti
agli occhi scorre la vita intera, che riporta ad una metafora, quella che
riconduce ad un evento teatrale giovanile, in cui la donna, attrice sul palco,
cadde nel momento topico ma trovò la forza per continuare, mentre il pubblico
sembrava scommettere sulla sua tenacia e sul suo coraggio.
L’alcool ingerito successivamente
provocò la liberazione dai pensieri subdoli, ma presto le idee si chiarirono: non
era stato importante il "riuscire a farcela", ma il
"sentire" di potercela fare.
E gli spettacoli teatrali restanti
furono un successo.
Sarebbe poi arrivato l’oblio, assieme
a quell’uomo che sembrava quello perfetto, ma è questo il momento della
rinascita, con le ali che condurranno verso la giusta stella.
L’ultimo messaggio dalla navicella è il seguente:
La nave di prima classe "Phoenix", dopo un viaggio
di 84,8 anni luce, durato per l'unico essere umano a bordo 428 giorni (tempo
locale) alla velocità di crociera di 72,3177 volte la velocità della luce,
impatterà tra 3' e 22" (tempo locale) la stella denominata Ankaa,
altrimenti detta anche "α Phoenicis", innescando la reazione a catena
di entanglement quantistico per effetto della Singolarità Cosmografica di
Pögribe. In allegato si trasmette a mezzo canale trasmissivo in Entanglement
Quantistico, il materiale inerente la missione, i video del pilota a bordo e il
relativo giornale di bordo. END OF TRANSMISSION
Un’ondata di emozioni in cui cito la sezione ritmica, quella
coppia di geni che ormai appare scontata se si pensa al risultato finale, ma
Marco Bernard e Kimmo Pörsti sono i musicisti a cui occorre dire grazie,
soprattutto per il loro modo di intendere la musica e incarnarne il giusto
spirito.
L’atto conclusivo, volendo anche dimenticarne il messaggio
profondo, diventa un quadretto iconico del prog, dove la contaminazione viene
proposta con il corretto equilibrio, senza sbavature, priva di esagerazioni
tecnicistiche, esaltando la squadra piuttosto che il singolo.
Un altro grande successo per i The Samurai of Prog.
Non poteva mancare l’Artwork di Ed Unitsky, il mio cover designer preferito!
Track List
01. Anthem To
The Phoenix Star (7:17)
02. Burning
Silence (6:59)
03. Killing
Hopes (7:39)
04. Bones
(8:38)
05. Don't Be
Afraid (11:23)
06. Wings
(4:02)
07. Behind
The Curtain (13:39)
Marco Grieco racconta…
Rispetto ai lavori precedenti dei Samurai, dove eri presente
come partecipante/creatore, mi pare che in questo nuovo progetto tu abbia
assunto un ruolo di maggior evidenza all’interno del gruppo: mi racconti le
differenze rispetto al passato?
“Anthem to the Phoenix Star” è un lavoro la cui scintilla è
nata da una idea di quel vulcano in eruzione continua che è Marco (Bernard).
Era l'inizio di giugno del 2021 e Marco mi propose quella che chiamò
"un'idea pazza" (le idee pazze di Marco sono per me sempre fonte di
grandissima ispirazione!): comporre un intero album che ripercorresse i
"sapori" della musica progressive dei grandi e storici gruppi degli
anni '70 pur mantenendo una propria originalità. Puoi immaginare la mia
felicità nell'avere una sorta di "carta bianca" nella composizione e
nella scrittura di qualcosa che poi avrei suonato insieme a Marco e Kimmo e a
tanti fantastici ospiti internazionali. Un vero onore e, al contempo, un
pesantissimo onere. Ecco, credo che la vera differenza tra quanto io abbia
composto per i precedenti album dei TSOP (mai più di due brani per album) e
questo progetto consista proprio nella grande responsabilità della scrittura e composizione
di tutti i brani completamente affidata a me. Ed è una dimostrazione di stima
da parte loro che mi ha sicuramente ispirato tantissimo e che non dimenticherò
mai... e che, soprattutto, spero abbia portato i risultati sperati.
Potresti sintetizzare la storia che proponete in questa
occasione?
In realtà l'album è una sorta di
"album-viaggio", un concept/non-concept. Nel senso che ogni brano è
perfettamente staccato dall'altro. Non vi è una storia che viene narrata dai
testi che inizi con il primo brano e si concluda con l'ultimo. Ma, sfogliando
il booklet, in realtà, si scopre un "Diario di Bordo" di un viaggio
interstellare fantascientifico verso la costellazione della Fenice che collega
tutti i brani, in sequenza, dal primo all'ultimo, ripercorrendo un viaggio
pieno di "tricks" ed "easter eggs" compiuto da una donna,
assolutamente comune e nella media (e per questo così assolutamente unica e
speciale!), all'interno di una futuristica astronave. Un viaggio che si rende
necessario per tentare di salvare quel che di buono l'umanità è stata capace di
esprimere prima che la preponderante quantità di autentici orrori che ha al
contempo generato nella propria storia la distrugga per sempre. È una storia a
più livelli allegorici nella quale la musica ricopre un ruolo di primo piano
nel trasferire le emozioni direttamente alla parte più profonda delle coscienze
di chi ascolta. È una esortazione a non mollare mai, a non darsi mai per vinti.
Ad essere capaci, anche quando tutto sembra perduto, di "risorgere"
dalle proprie ceneri e spiccare il volo. Proprio come l'Araba Fenice. Credo che un piccolo
"riassunto" di questo viaggio possa essere condensato nel video
ufficiale creato sul primo, omonimo brano, dell'album e disponibile on line
qui: https://www.youtube.com/watch?v=IEQgfw1pirQ&t=1s
Dal punto di vista prettamente musicale ci sono linee
differenti rispetto al percorso consolidato dei TSOP?
Conosco i TSOP da quando li ascoltavo soltanto come fan e
seguivo il loro percorso che chiamerei di vera e propria "ricerca".
Collaborare, oggi, con loro significa, per me, essere parte creativa di questa
ricerca. In tal senso, già dal primissimo brano composto per loro
("Friday", poi pubblicato nell'album "Robinson Crusoe" di
Bernard & Pörsti) ho cercato di inserire il mio stile compositivo
consolidato in tanti anni di attività, sia nel campo del Rock che in quello più
orchestrale legato al mondo dei musical, in un percorso del quale conoscevo,
per fortuna, come ascoltatore, molte delle tappe precedenti. Inoltre, mi sono
ritagliato il ruolo, oltre che come compositore, anche come keyboardist,
cercando di integrarmi quanto più possibile, anche strumentalmente parlando,
con Kimmo, Marco e tutti gli ospiti presenti nelle mie composizioni. In
sostanza, qualcosa che fosse come aggiungere un pistone ad un motore di una
macchina perfettamente rodata, in piena corsa, facendo di tutto per aggiungere
potenza e non appesantirne l'andatura. “Anthem to the Phoenix Star”, sotto
questo aspetto, ha costituito per me il vero banco di prova di questa
integrazione in corsa.
Come sempre è folta la schiera dei partecipanti e sarà mio
compito elencarli in sede di commento, ma volevo sapere se sono state fatte
scelte specifiche in funzione del nuovo lavoro, “Anthem To The Phoenix Star”.
Man mano che procedevo con la composizione dei brani e ne
condividevo i mix parziali con Marco e Kimmo, c'era un continuo scambio di
messaggi con le proposte dei vari possibili ospiti che la mia musica
"ispirava". Man mano mi arrivavano messaggi da Marco Bernard che
andavano progressivamente a comporre la "rosa" dei candidati. Ed ogni
volta che leggevo quei nomi leggendari del panorama progressive internazionale
non mi sembrava sinceramente possibile che avrebbero mai accettato di suonare
nelle mie composizioni. E invece hanno sostanzialmente accettato tutti (e non
finirò mai di ringraziarli, per questo, come non finirò mai di ringraziare
Marco per averli contattati e coinvolti uno per uno in questo folle progetto!)
e hanno dato una spinta pazzesca, con la loro voce, i loro strumenti, con la
loro sensibilità, il loro talento e i loro stratosferici e ispirati
virtuosismi.
Quanto sei stato influenzato dal punto di vista creativo dal
periodo di emergenza sanitaria? La situazione completamente nuova ti/vi ha
spinto verso argomenti riflessivi condizionanti?
Come ho già detto, e come suggerisce il titolo stesso,
"Anthem to the Phoenix Star" costituisce un vero e proprio inno alla
resilienza, alla capacità di reagire e non mollare mai. Sicuramente è un tema
che, compositivamente parlando, mi ha ispirato molto, sia nella musica che nei
testi. A tal proposito mi piace citare l'unico testo dell'album non scritto da
me: "Bones". È un testo scritto da mia figlia Daphne che, quando l'ho
letto, mi ha dato immediatamente l'impressione di essere una sorta di
"fotografia" asettica, nuda e cruda, dell'effimerità umana, della
falsa illusione di eterna esistenza che sembra assolvere ogni nostro
comportamento. Una caducità resa ancora più evidente dal periodo di emergenza
che viviamo, a più livelli, in questo periodo. Scriverne la musica è stato un
calarmi totalmente in questa sensazione di "caducità" e sicuramente
le emozioni vissute in questi ultimi anni hanno in buona parte influito.
D'altra parte, tutto il lavoro svolto con Marco e Kimmo è stato, esso stesso,
per intensità e passione profuse, una sorta di ribellione alla pesante
costrizione fisica e psicologica imposta dalla emergenza pandemica.
Visto il tutto dall’esterno, sembra che la grande e allargata
famiglia dei “Samurai” goda di entusiasmo unico, che si traduce in prolificità
inusuale, fatto abbastanza strano se si pensa che i contatti sono quasi tutti a
distanza: quale alchimia vi tiene così coesi e produttivi?
Più che parlare di "una" alchimia, direi che in
campo ve ne sono diverse. A partire dall'esperienza, competenza e conoscenza
degli ambiti musicali nei quali si muovono i TSOP, veramente fuori dal comune.
Il rispetto immenso per ogni singola nota scritta dai compositori e
dall'apporto straordinario dei musicisti e dei cantanti. Un rispetto che ognuno
dei compositori e dei musicisti che hanno lavorato negli album dei TSOP, me
compreso, sentono, perfettamente, quando il brano si sviluppa in tutta la sua
esecuzione dopo i mastering definitivi. Personalmente sentire i TSOP e tutti
gli ospiti reinterpetare le mie composizioni, con il proprio modo di suonare e
la propria sensibilità, mi riempie di gioia e mi fa sentire un compositore
"libero" di dare il meglio di sè, senza dogmi, senza costrizioni e
preconcetti. In sostanza nei progetti dei TSOP le distanze geografiche sono
spazzate via, si scambiano apprezzamenti, idee e ci si sente tutti molto uniti,
anche con gli altri musicisti, da un incondizionato amore per la musica, per il
prog, per la ricerca, la contaminazione, la sperimentazione. Per questo i
Samurai sono così "speciali", e io sono fiero, nel mio piccolo, di contribuire a farli
continuare ad essere un progetto così unico e fantastico!
Un’ultima domanda, che ho fatto più volte a Marco e Kimmo e
che appare retorica, ma contiene in sé una discreta dose di speranza: vedremo
mai dal vivo i TSOP?
Inutile dire che personalmente penso che sarebbe
meraviglioso! Allo stesso tempo è un tema che più volte mi è capitato di
affrontare con Marco e Kimmo ma che, pur non essendo mai scartato, sicuramente
non è nelle priorità del gruppo considerata la enorme quantità di idee creative
relativa ai rilasci discografici che impegnano ed impegneranno nel breve e
medio termine i TSOP e tutto il collettivo di artisti che con i TSOP collabora.
Potrebbe essere perfino possibile che nel frattempo spunti fuori qualche cover
band dei TSOP, chissà. Allo stesso tempo direi, ricorrendo ai concetti
contenuti in questo album, che la speranza non vada mai abbandonata e che non
bisogna mollare mai. Quindi magari chiedendolo ripetutamente e a gran voce
chissà che, prima o poi, non accada davvero...
venerdì 12 agosto 2022
Maurizio Baiata-"ROCK MEMORIES Scritti ribelli E SINCRONICITA’ DI UN GIORNALISTA MUSICALE -Volume primo.”
Ho divorato il libro di Maurizio Baiata, in uscita ufficiale prevista per il mese di settembre (ma già disponibile sulle piattaforme online), dal titolo icastico e dal sottotitolo criptico - ma facilmente comprensibile dopo l’intervista all’autore che pubblico a seguire: “ROCK MEMORIES-Scritti ribelli E SINCRONICITA’ DI UN GIORNALISTA MUSICALE- Volume primo.”
Sono due le prefazioni autorevoli,
quella di Renato Marengo e di Susanna Schimperna, due “aperture”
all’opera e due diversi punti di vista che convergono e che forniscono valore
aggiunto, certamente partecipazioni sentite.
Anche le mie parole saranno influenzate
da sentimenti che, talvolta, potranno allontanarsi dalla razionalità, perché la
musica - anche il solo parlarne - può far volare alti e perché la sollecitazione della
memoria che riporta al periodo formativo tocca il cuore, la mente, le storie di
vita e un po’ di rammarico per un tempo andato, che solitamente quelli della
mia generazione ritengono assolutamente migliore di quello attuale.
Non voglio giungere a conclusioni in tal senso, ma mi piace crogiolarmi nelle mie sicurezze di sempre, alle quali mi aggrappo con una buona dose di sicurezza conoscendone in parte la validità.
Queste prime note rappresentano la
mia introduzione al libro, con l’intento di delineare i contorni del lavoro di
Baiata e al contempo i miei, perché non riesco a scindere le vie che intersecano il
mio periodo giovanile e quel gruppo di persone, ai miei occhi inarrivabile, che
attraverso un giornale, Ciao 2001, mi hanno fatto crescere e istruito. Non
esagero, la musica non mi ha mai abbandonato e credo nel tempo di aver fornito
il mio piccolo contributo, ma nulla sarebbe accaduto se quel numero sparuto di
giornalisti non mi avesse portato in casa musica nuova da abbinare alla mia
curiosità.
Nel corso del tempo la tecnologia ha reso possibile un contatto diretto con molti di loro, alcuni conosciuti non solo virtualmente, come nel caso di Maurizio Baiata che, come accaduto con Armando Gallo, ha partecipato episodicamente all’avventura di MAT 2020, giornale online che per nove anni ha cercato in modo dichiarato di ridare lustro a Ciao 2001 e di cui ho partecipato alla gestione.
Leggere “Rock Memories…” mi ha fatto un po’ male, uno stato d’animo che penso possa abbracciare chi riesce a capire all’impatto quale sia il tema e il linguaggio proposto dall’autore, ma oltre ad un bilancio di vita e alla sintesi personale di una storia importante, fatta di eventi e cultura pura, l’occhio di Baiata è rivolto, anche, ad un altro pubblico, quello dei giovani curiosi.
Maurizio mette mano e rivisita materiale pubblicato su Ciao 2001 dal ’70 al ’74, rivolgendosi soprattutto a quei millennials predisposti ad indagare un periodo epico di cui si continua a parlare, almeno all’interno di nicchie di appassionati. Personalmente non sono molto ottimista, ma spero di sbagliarmi e in ogni caso l’intento è pregevole e condivisibile.
L’ulteriore denominazione, “VOLUME
PRIMO”, svela la complessità del progetto, e dopo questa prima parte delineata
temporalmente arriverà un secondo book che comprenderà scritti degli anni a
seguire, quegli articoli definiti “meno asciugati, corretti e
comunque non stravolti nella sostanza”, pubblicati su Muzak, Nuovo Sound e
Best, Stereoplay, Rolling Stone prima edizione e Classic Rock.
Nella sua prefazione Susanna Schimperna
sottolinea inizialmente le parole di Baiata: “Per leggere questo libro
bisogna lasciarsi andare al Suono che lo ha generato”, e aggiunge il giornalista:
“Un giorno nacque il Rock e il mondo non fu più lo stesso”.
Con questa chiosa inizia il viaggio delle “Rock Memories”, un percorso dinamico che accorcia spazi e tempi, e che partendo dalla “Johnny B. Goode” di Chuck Berry (1958) termina nel 1980 con con gli U2 (“I will follow”), venti tracce con ampia didascalia e consigli per l’ascolto, possibilmente in vinile, perché anche il tipo di fruizione appartiene a quel rito fatto di piena condivisione, con tanto di fruscio tipico del “mezzo”, e almeno una volta occorrerebbe… provarne l’ebrezza!
Qualche nome? Lo start è affidato a Jimi Hendrix e alla sua “Purple Haze” (senza tempo), e passando per i Santana di Woodstock (“Soul Sacrifice” - 1969) e i Jethro Tull ("My God"-1971) si arriva ai The Who ("Baba O'Riley-1971) e ai Led Zeppelin (“Kashmir” - 1975). Tanto per fornire qualche sample.
La super sintesi della vita di Baiata riporta ad un inizio di lavoro giornalistico iniziato ai tempi del liceo, con collaborazioni e differenti ruoli in ambito musicale e vaste esperienze negli States - in due periodi differenti -, questo per chiarire il curriculum rilevante, che oltre a significare gratificazione personale sancisce skills e autorevolezza nell'affermazione e nel racconto.
Il saggio prende il via e vengono proposti articoli “ripuliti” accanto alle immagini degli originali, e appare chiaro come non esista un genere preferenziale - anche in quei giorni era necessaria diversificazione e apertura mentale - senza dimenticare che il primo Baiata non poteva certamente essere un grande esperto, per mero elemento anagrafico, e che tutto il periodo che lui racconta gli sarà servito per accumulare esperienze che poi, dalla sua posizione privilegiata, ha potuto condividere col resto del mondo.
Pop, jazz, blues, prog, rock, psychedelia,
folk, sperimentazione, avanguardia, cantautorato… non ci sono paletti che possano
restringere il campo di interesse e la proposta, con occhi che si muovono tra
Italia, Inghilterra, America, Germania.
E poi interviste e commenti ad album
e incontri sonori.
Qualche
nome altisonante sparso?
Black Sabbath, Jefferson Airplain, John Mayall, Rory Gallagher, ELP, King Crimson, Colosseum, Francesco Guccini, Antonello Venditti, Angelo Branduardi, Claudio Rocchi, Tangerine Dream, Soft Machine, The Doors, Osanna, Il ritratto di Dorian Gray, Il Balletto di Bronzo, Joe Cocker, Magma, Santana… mi fermo qui. La lista è lunga!
A conclusione del libro segnalo un
paio di capitoli rilevanti.
Il primo riguarda la discografia rock
consigliata dall’autore a cinquant’anni di distanza da quella realizzata per
Ciao 2001, facendo probabilmente storcere il naso, all’epoca, a molti colleghi di
redazione con gusti differenti.
Si va in rigoroso ordine cronologico, con una sezione finale dedicata agli album “speciali” (il triplo “Woodstock”, ad esempio) e una dedicata agli “italiani”.
L’ultimo spazio, specchio esatto di
quei giorni in cui l’interazione passava obbligatoriamente attraverso le poste
italiane, si chiama “L’Angolo del Pop”, una sorta di tribuna dei lettori
che permetteva l’unione tra giornalisti esperti e fruitori del giornale, in
tempi in cui l’idea di poter essere in apparente diretto contatto con i propri
guru dell’informazione musicale appariva gratificante, oltre che utile per i
contenuti.
Altri tempi, e mi chiedo se Baiata e i suoi colleghi potessero essere consci della loro importanza al cospetto dei giovani appassionati di rock, che trovavano un punto di aggancio reale con i propri sogni.
Una lettura che, come sottolineavo in
precedenza, mi ha regalato molto, soprattutto sotto l’aspetto emotivo, una esplosione
di ricordi, sentimenti, profumi, gusti… un’azione sinestesica che mi ha
procurato benessere a iosa.
E poi c’è la storia, la realtà, le
cose raccontate perché accadute e vissute in prima persona, il valore aggiunto
della passione applicata alla professione.
Ammetto anche la mia debolezza umana, quella che mi porta a pensare che se fossi nato un pugno di anni prima, vivendo nella città giusta, forse, anche la mia strada avrebbe potuto prendere una via simile a quella di Maurizio e tanti come lui. Sana invidia la mia!
L’intervista realizzata con Maurizio
Baiata aggiungerà molto al mio commento.
Vorrei partire da uno stimolante annuncio, “Volume primo”, segno che hai già programmato il seguito e, soprattutto, che hai materiale a iosa da proporre: come hai pianificato il progetto?
Dopo attenta riflessione, ho optato per la sequenza storica. Ho iniziato a collaborare con il Ciao nella seconda metà del 1970 (ero ancora al Liceo), curando una rubrica sulle motociclette e poi articoli su grandi personaggi dello sport mondiale. La raccolta dei pezzi musicali del “Volume Primo” parte dal novembre ‘70 (Black Sabbath) e arriva al 9 giugno ‘74 (Tim Buckley). Allora avevo già preso contatto con il Collettivo di Redazione di Muzak. Il “Volume Secondo” si aprirà su articoli e recensioni del “Ciao 70-74” esclusi dal primo per ragioni di spazio. Poi arriveranno i materiali tratti da Muzak luglio 74-novembre 75), dal settimanale Nuovo Sound e dai monografici della serie “Best” (75-77), fra cui quello sull’Avanguardia, da me curato. Lo stesso è previsto con Stereoplay e con l’Annuario Discografico (76-79), di cui sono stato caposervizio Rock. Chiudevo gli anni ‘70 alla direzione della prima edizione italiana di Rolling Stone e qualcosa merita di essere letta oggi. Valgono anche le mie corrispondenze da New York nuovamente per il Ciao 2001 (81-83), alcuni articoli del quotidiano Il Progresso italoamericano chiuderanno il secondo volume, che conterrà almeno sette interviste inedite a grandi del Rock tutte realizzate negli USA. Quella a Ray Manzarek è apparsa su Mat2020.
Opere come la tua contengono, anche, frammenti nostalgici e bilanci di vita, ma va sottolineato l’elemento storico, culturale e quindi didattico: a chi vorresti fosse maggiormente rivolto il tuo book?
Il libro è dedicato ai ragazzi di oggi che amano il Rock e le Avanguardie, vi troveranno fonti di ispirazione di riflessione e ne apprezzeranno la scrittura in totale libertà. Ho comunque editato e snellito molti dei testi originali per renderli di fruizione più immediata. Ai ragazzi di ieri, dai dodicenni in su, dico che di essere felice di aver condiviso con loro un’era irripetibile.
La lettura mi ha portato da subito al mio mondo adolescenziale e formativo, quando sul “mio” CIAO 2001 imparavo a memoria i nomi di giornalisti - e musicisti - che hanno accompagnato la mia crescita, non solo musicale: c’è qualche aspetto di quei giorni antichi che sarebbe riproponibile con successo 50 anni dopo?
Interrogativo da film post apocalittico. Sarebbe come parlare di “The Book of Eli” a uno che non ha mai sentito parlare delle grandi religioni monoteiste (meglio per lui sarebbe). Per questo, in apertura di libro ho inserito un lungo viaggio con una scelta di 50 brani epocali che dovrebbero accompagnarne la lettura, in effetti antecedendo di almeno tre lustri i Black Sabbath del primo album. Una colonna sonora di viaggio a cavallo di una Harley…
Approfitto della tua vita oltreoceano: quali erano le più grosse differenze tra “noi e loro” rispetto alla concezione di musica, in tutti i suoi aspetti?
Ho vissuto negli USA negli anni 1979-1986, NYC. La musica la si viveva e respirava ad ogni angolo di strada, dall’East Village ad Harlem. Le radio andavano ovunque a tutto spiano dagli altoparlanti dei boombox, gli stereo portatili. Immaginate la colonna sonora di “The Warriors” ambientata tra Centocelle e la Magliana…
Tra i tuoi tanti incontri musicali, quale/quali ti ha dato maggior gratificazione e quale/quali invece ti ha deluso?
Gratificazione imperitura l’intervista a David Bowie, il cui testo aggiornato e integrale appare nel Volume Primo. Ho lavorato con i Genesis a Roma per tre giorni per il lancio italiano di “Invisible Touch”. Mai avuto a che fare con un individuo più spocchioso e scostante quale Phil Collins.
Hai mantenuto i contatti con qualche vecchio collega di redazione?
Ad oggi, solo con Dario Salvatori.
La tua carriera professionale all’interno del mondo musicale ti ha visto impegnato in diversi ruoli, ma qual è il tuo… vestito più comodo?
Il conduttore di programmi radiofonici in cui trasmettere la musica che a me piace, l’ho fatto in passato, da “Atmosfere 2000” a “Spazio X” nei programmi Radio Rai. Mandavo i Corrieri Cosmici tedeschi, gli Amon Duul 2 e Bruce Palmer, Beaver & Krause e Terry Riley e non li sfumavo mica…
Fare il commentatore di “cose musicali” significa ascoltare, anche, materiale e generi che non si amano particolarmente: qual è la tua musica di riferimento, quella a cui ti aggrappi quando hai bisogno di stare bene, senza costrizioni professionali?
Le musiche insulse non le ho mai trattate. Preferisco lo facciano altri. Quando ho partecipato a Sanremo per due edizioni in qualità di discografico, ho avuto modo di ascoltare live Pino Mango e mi sono detto: questo è un Dio della Voce e dell’Anima, per questo nessuno se lo fila, soprattutto fra gli addetti ai lavori. La musica che per me è taumaturgica è quella dei Dead Can Dance.
Il sottotitolo di “Rock Memories” è abbastanza criptico: puoi decodificare “Scritti ribelli e sincronicità di un giornalista musicale”?
“Scritti ribelli” nasce dal fatto che il sottoscritto, come Riccardo Bertoncelli che ammiravo e a un tempo detestavo (le ragioni lui le sa, ognuno ha le proprie fissazioni), eravamo gli unici che davano “visione” ai suoni. Mi sono detto: se questo libro deve essere un report di quattro anni trascorsi ogni giorno ad ascoltare e vivere e scrivere di musica, la mia fortuna è stata di avere uno spirito ribelle, che non si conformava, ergo… le sincronicità nascono da ogni incrocio di armonie, di urla, di sberleffo, di trappole che ti si animano davanti ad ogni istante e che vuoi e devi evitare, quindi hai solo una scelta: o colleghi il tutto in un entanglement che neppure sai cosa significhi, ma avviene in automatico, oppure sei fottuto e resti solo capace di scrivere quello che altri vogliono che tu scriva.
Credo che i nostri percorsi di vita non dipendano solo da noi; qualcuno, 2000 anni fa, disse che la fortuna non esiste, ma capita talvolta che il talento incontri le opportunità: ti riconosci un po' in questa affermazione antica?
Il talento incontra le opportunità? A volte, anche per molti, è così. Per me è più il dolore dell’anima che davvero scoperchia le nuove realtà, a quel punto… lassù qualcuno ti ama. Aggiungo: il talento che utilità potrebbe mai avere se non batti le tue nocche contro il makiwara per tante e tante volte sino a sbucciartele e farle sanguinare. A quel punto l’opportunità che ti arriva è che sai che un giorno non proverai più il dolore. Ma mi piace di più concludere con il titolo di quel film dedicato a Rocky Graziano. Perché mi sento italoamericano dentro.
Avrei mille domande da farti ma le
lascio per il secondo volume!
giovedì 11 agosto 2022
Video intervista ai CYRAX-16 luglio 2022-Backstage Porto Antico Prog Fest.
16 luglio 2022-Backstage Porto Antico
Prog Fest
Il 16 luglio del 2022 è andata in scena a Genova la tradizionale kermesse dedicata alla musica progressiva organizzata da Black Widow Records e Nadir Music, il Porto Antico Prog Fest.
Il mio commento e il sunto live sono
fruibili al seguente link:
https://athosenrile.blogspot.com/2022/07/porto-antico-prog-fest-16-luglio-2022.html
Nell’occasione ho approfittato del tempo disponibile per chiacchierare nel backstage con alcuni dei protagonisti sul palco, raccogliendo frammenti di notizie, tra attualità e futuro.
Dopo Lino Vairetti, Ettore Vigo, Sophya Baccini, Claudio Barone e G.O.L.E.M, termino con
la chiacchierata con i CYRAX, che nel
video a seguire raccontano frammenti della storia della band, lunga nonostante
la giovane età.
Qualche nota sul loro nuovo album, dal titolo “Metamorphosis”.
Si tratta di un lavoro in cui la band
ha voluto rivisitare alcune song già contenute su precedenti album ma con la
particolarità che ogni brano è stato nuovamente arrangiato e risuonato in
chiave acustica.
I CYRAX hanno fatto da sempre della sperimentazione la loro cifra stilistica ed anche questa volta sono riusciti a lasciare l’ascoltatore a bocca aperta, grazie ad un sound che va ad abbracciare diverse sfumature: etniche, industrial, prog e orchestrali. “Metamorphosis” è un EP consigliato a tutti gli amanti della musica sperimentale e mai scontata, ricca di repentini e visionari cambi sonori.
Ascoltiamo il loro pensiero…