mercoledì 31 agosto 2022

Storia in pillole di Ginger Baker's Air Force


Ginger Baker's Air Force è stato un supergruppo jazz-rock fusion guidato dal batterista Ginger Baker.

La band si formò alla fine del 1969 dopo lo scioglimento dei Blind Faith.

La formazione originale era composta da Ginger Baker alla batteria, Steve Winwood all'organo e alla voce, Ric Grech al violino e al basso, Jeanette Jacobs alla voce, Denny Laine alla chitarra e voce, Phil Seamen alla batteria, Alan White alla batteria, Chris Wood al sax tenore e flauto, Graham Bond al sax contralto, Harold McNair al sax tenore e flauto, e Remi Kabaka alle percussioni.

I loro primi spettacoli dal vivo, al Birmingham Town Hall nel 1969 e alla Royal Albert Hall nel 1970, includevano anche Eleanor Barooshian (sia Jacobs che Barooshian erano ex membri del gruppo femminile The Cake).

La band pubblicò due album, entrambi nel 1970: Ginger Baker's Air Force e Ginger Baker's Air Force 2.

Il secondo album coinvolgeva personale sostanzialmente diverso dal primo, con Ginger Baker e Graham Bond che erano le costanti primarie tra gli album.

L'Air Force di Ginger Baker suonò anche un set allo stadio di Wembley il 19 aprile 1970, durante l'inizio del Rally della Coppa del Mondo, che andava da Londra a Città del Messico.






martedì 30 agosto 2022

Un ricordo di Nino Ferrer


Nino Agostino Arturo Maria, noto come Nino Ferrer (Genova, 15 agosto 1934-Montcuq, 13 agosto 1998), è stato un cantautore e autore francese di origine italiana.

La sua prima soddsifazione da solista arriva nel 1965 con la canzone "Mirza". 

Seguirono altri successi, come "Cornichons" e "Oh! hé! Hein! bon!", che trasformarono Ferrer in una sorta di cantante "comico". 

Gli stereotipi e il suo enorme successo finale lo fecero sentire "intrappolato" e incapace di sfuggire alle costanti richieste di un vasto pubblico che richiedeva di ascoltare i successi che lui stesso disprezzava.

Iniziò così a condurre una vita di "vino, donne e canto" mentre dava infinite esibizioni provocatorie nei teatri, in televisione e in tournée.

In Italia, ha avuto un grande successo nel 1967 con "La pelle nera" (la versione francese si chiamava "Je voudrais être noir"); la canzone soul, con il testo quasi rivoluzionario rivolto ad implorare una serie di suoi idoli della musica nera di regalargli la loro pelle come simbolo del "fare buona musica", raggiunse uno status iconico di lunga durata in Italia.

Si è suicidato nel 1998, vittima di un episodio di depressione in seguito alla morte della madre di cui si considerava responsabile, lasciando l'immagine di una personalità arrabbiata, complessa, sensibile, romantica ed esigente con sé stessa.

Nino Ferrer ha composto oltre 200 canzoni con molteplici influenze, ma così si era espresso con un amico: "Ti rendi conto che ho scritto, composto e prodotto quasi duecento canzoni e la gente ne conosce solo tre!"









lunedì 29 agosto 2022

Wilson Project-"Il viaggio da farsi"


Wilson Project-"Il viaggio da farsi"

Ma.Ra.Cash Records

Rilasciato nel luglio 2022

 

I giovani Wilson Project presentano il loro album di esordio, rilasciato nel mese di luglio, dal titolo "Il viaggio da farsi", un concept album che sintetizzo nella sua anima estraendo la spiegazione inserita nel comunicato ufficiale:

Ispirata al lancio del Falcon Heavy di Elon Musk, la storia racconta di una donna che lascia la Terra e con essa i suoi affetti per andare su Marte. Cercherà di sopperire alla mancanza del suo mondo, ricostruendone una copia sul nuovo pianeta, ma scoprendo che a volte l'imperfezione della realtà è meno deludente dell'inerte eccellenza della sua replica. Un viaggio non solo fisico ma anche psicologico, una lotta interiore tra la nostalgia del passato e l'entusiasmo per il nuovo.”

Scopriamo qualcosa in più della band piemontese attraverso il compendio della loro biografia…

Wilson Project sono un gruppo di Acqui Terme che propone musica progressive rock originale in italiano. I quattro componenti, che hanno in media 21 anni, si sono incontrati nel corso di questi anni, fino ad approdare al loro attuale progetto.

Oltre a lavorare su musica originale, sin da subito è stato stretto il legame con la musica prog italiana, tanto da volerne assaporare ogni singola sfaccettatura. È così che hanno iniziato un lavoro di studio ed esecuzione dal vivo dei brani tratti dai primi due album della PFM, band di loro grande influenza, che li ha portati fino ad aver l’occasione di suonare questi con Giorgio “Fico” Piazza, bassista storico e fondatore della Premiata Forneria Marconi. Nel tempo si sono avvicinati anche alle sponde del progressive rock inglese, esibendosi in live con cover di altre due band di loro attuale riferimento quali Genesis ed ELP.

Leggere l’età media di questi musicisti - 21 anni - e associare una passione per il progressive rock, mi regala la speranza che non tutto sia perduto, e non per trincerarmi all’interno del mio mondo protetto, quello forzatamente condizionato dal momento formativo, ma perché esiste la quasi certezza che il prog sia musica per la mente e che quindi esista uno spazio giovane in cui c’è voglia di perlustrare anfratti, di aumentare il tempo di concentrazione, di riflettere, di comparare le articolate trame progressive con la semplicità e la banalità di quanto passa il convento oggigiorno.

Ed è quindi con curiosità ed entusiasmo che mi sono approcciato al loro disco, “Il viaggio da farsi”.

Arriva lo start con “Intro”, 50 secondi di effetti conditi da puntina vinilica graffiante, tanto per far comprendere l’ambientazione musicale settantiana.

Lo scatto arriva con “Non pensare vai”, e il biglietto da visita fa emergere l’amore dichiarato, con trame ariose, cambi di tempo e vocalizzazioni - e certi stacchi - che mi hanno riportato al mondo “YES”.

Facile abbinare le atmosfere sonore al messaggio, quell’esortazione a partire lasciandosi alle spalle il passato: disegnare musicalmente il viaggio e i sentimenti che lo animano non è cosa da poco!

Emergono skills personali importanti e una voce già matura per poter fare da driver.  

Il terzo episodio si intitola “Come mi vuoi” e prevede una prima sezione molto complessa e variegata, dove il classico rivisitato dalla tastiera si miscela alla conduzione vocale e alla solista che a tratti duetta col synt, sino ad avere il sopravvento. A metà strada le acque si calmano, almeno per un po', sino a quando la sezione ritmica emerge e disegna tempi… inusuali per i comuni mortali!

Coinvolgente!

La prima parte di “Complice innocente” è uno strumentale struggente che aumenta di ritmo mano a mano che ci si avvicina all’entrata vocale di Annalisa Ghiazza, e nel farlo disegna scenari distopici e oscuri.

Una seconda parte più melodiosa e intimistica termina la sua ascesa, rilasciando un senso elegiaco che non può lascare indifferenti.

È stato un erroreè un brano breve ma che regala un’altra chiave di lettura dei Wilson Project che, pur presentando nella parte finale un largo respiro sognatore, riescono a dare esempio di particolare groove, quasi un funky con varianti moderne e una concatenazione di suoni ripetitiva e positivamente ossessionante.

Ingannando i miei sensi mi ha dato l’impressione di essere tra le più vicine al prog italiano originario, voce compresa.

Una costruzione che a me pare molto complessa, partendo da una sorta di marcia che evolve rapidamente, con lo sguardo rivolto alla prima PFM. Ma non esiste un'unica via da percorrere, i cambi di direzione sono continui e ad ogni girar d’angolo ci si aspetta la novità!

Pregevole.

Quando cerchi di respirareè caratterizzato, come un po’ tutto il disco, da sorprese, da movimenti che, in questo caso, uniscono il senso del viaggio e della speranza, con la sottolineatura del pianoforte che fa da regia e sottofondo allo stesso tempo.

Ma il rock, anche duro, arriva, e si apre alle accortezze prog, quelle che mirano ad esaltare il dettaglio, a inserire il particolare di pregio in un contesto dal sapore ritmico complesso.

Un sample di cosa possa essere l’unione perfetta tra lirica e suoni che, a questo punto, appaiano avanguardistici.

Se solo avessi un’anima”, vissuto dall’esterno, almeno inizialmente, sembra più lineare, una calma controllata che però potrebbe esplodere improvvisamente, cosa che accade puntualmente dal secondo minuto, e la solista di Giovanni Giordano conclude virtuosisticamente il momento sognante e stellare.

Con “Un gioco” ci si avvicina alla fine del viaggio, e se non fosse per certi tempi composti - un plauso alla sezione ritmica formata da Stefano Rapetti al basso e Mattia Pastorino alla batteria - si potrebbe pensare che ci sia persino spazio per la “forma canzone”; certo è che colpisce il mix tra complessità ricercata e una proposizione vocale popolare presente in Italia, forse, anche nell’era che precede il movimento progressive.

Una grande dimostrazione di ecletticità!

E arriviamo alla fine del percorso con la title track, “Il viaggio da farsi”, quando la nostalgia per ciò che è rimasto indietro svanisce al cospetto del vivere la novità, una sorta di rinascimento inaspettato.

Un disco prog che si rispetti non può vivere senza la sapienza creativa e strumentale delle tastiere intese nel senso più ampio possibile, e occorre sottolineare le competenze e il gusto di Andrea Protopapa, una bella sorpresa.

Un altro pezzo di bravura per arrivare alla fermatura del cerchio, e il mio elogio è riferito soprattutto alla capacità di unire un messaggio metaforico e pesante a musiche che perfettamente gli si adattano, anche se mi è oscuro il ciclo creativo della band: si costruisce un abito ad hoc ad un test scritto o… l’esatto contrario?

Qualunque sia l’iter realizzativo, l’ultimo brano sancisce il mio pensiero che, a questo punto, dovrebbe essere chiaro.

Una bella sorpresa per un pugno di ragazzi che potrebbero darci un bel po’ di soddisfazioni, mantenendo la barra dritta verso l’impegno creativo e la qualità conseguente.

Tracce video e immagini del concerto del 21 agosto...


 LE TRACCE (CLICCARE SUL TITOLO PER ASCOLTARE)

01 Intro (0:50)

02 Non pensare vai (7:06)

03 Come mi vuoi (4:46)

04 Complice innocente (4:32)

05 È stato un errore (2:54)

06 Ingannando i miei sensi (3:19)

07 Quando cerchi di respirare (5:02)

08 Se solo avessi un’anima (3:29)

09 Un gioco (5:35)

10 Il viaggio da farsi (5:04)


FORMAZIONE

Annalisa Ghiazza: voce

Andrea Protopapa: tastiere, cori

Stefano Rapetti: basso

Mattia Pastorino: batteria, cori

Giovanni Giordano: chitarre

 

LINK UTILI:

wilsonprojectband@gmail.com

 www.instagram.com/wilson.project/

www.facebook.com/wilsonproject

https://maracashrecords.bandcamp.com/album/il-viaggio-da-farsi




sabato 27 agosto 2022

Michel Delpech e i Dik Dik



Il mio primo impatto con la musica, quando avevo ancora i pantaloni corti, riporta a brani musicali per me all’epoca sorprendenti, eseguiti dai gruppi italiani allora in voga che esercitavano in modo assolutamente libero l’esercizio di “copiatura” sonora, modificando e adattando il testo, che da inglese diventava italiano, cambiando completamente significato.
Non era una grande perdita, a quei tempi le liriche non presentavano ancora nulla di serio, nemmeno al di fuori dei nostri confini, anche se qualcosa, soprattutto in America, stava cambiando, con l’impegno sociale di Dylan e Baez.

La tecnologia fu di grande aiuto per la diffusione capillare della musica, attraverso prodotti e supporti sempre più alla portata di tutti, che permettevano peraltro la socializzazione, i quei primi anni Sessanta: rock’n roll, il twist, il folk, il beat, il rythm & blues, il funky… musica da ascoltare, musica per ballare.


L’Italia era ben predisposta al cambiamento, ma la cosa che risultò più rapida e semplice per i giovani musicisti e i loro "gestori" fu quella di pescare a man bassa nella produzione anglosassone e farla propria, in tempi in cui non si guardava molto ai diritti d’autore.
In pochissimi parlavano e cantavano in inglese, e spesso i grandi nomi stranieri si prestavano a mettere da parte il loro idioma naturale a favore dell’italico verbo, diventando loro stessi “cantanti italiani”.
Due le alternative per i gruppi e i cantanti: prendere brani di riconosciuto successo facendoli diventare la copia nostrana, oppure pescare nel mare magnum britannico, appropriandosi di canzoni sconosciute, rendendole “nuove” per il pubblico italiano. E attraverso questo modus il brano originale prendeva luce anche entro i nostri confini.

Di lì a poco, come è noto, tutto sarebbe cambiato, ma restano dei gioiellini che credo non siano conosciuti da tutti, per cui a partire da oggi, sporadicamente, proporrò un brano originale e la cover corrispondente, e sono certo che qualche cosa di inaspettato verrà a galla.

Dopo aver proposto i QUELLI/Tommy Roe, passo a Michel Delpeche, da cui attinsero i Dik Dik.

Il brano originale si chiamava “Wight Is Wight”, diventato in italianoL’isola di Wight”, tormentone dell’epoca.

La canzone francese, che celebrava il festival rock-hippy organizzato nell’isola al largo della Gran Bretagna, ideale continuazione della esperienza dell’anno prima a Woodstock, divenne un successo internazionale.

Dal punto di vista musicale era però un “lentone” del tutto asincrono con quello che si sentiva nel festival (Hendrix e compagni), niente di comparabile alla canzone simbolo del festival americano, “Woodstock” appunto, scritta da Joni Mitchell e cantata da Crosby, Stillts, Nash & Young.




venerdì 26 agosto 2022

Unka Munka - “Foreste Interstellari”


Unka Munka - “Foreste Interstellari” (LP/CD)

BLACK WIDOW RECORDS

 

Nell’ottobre del 2016 ho presenziato e presentato a Genova l’ultimo concerto degli Analogy, evento storico e triste, se si pensa che tre dei protagonisti di serata non sono più tra noi (Jutta Taylor Nienhaus, Martin Thurn-Mithoff e Pino Tuccimei).

Su palco quella sera trovai un tastierista che non conoscevo, almeno non con il nome di Roberto Carlotto, ovvero Unka Munka. Riannodando i fili della memoria associai il tutto ad un brano che da adolescente mi era rimasto impresso, “Fino a non poterne più”, un singolo dall’atmosfera drammatica amplificata da una voce che riportava a Demis Roussos.

Ma Carlotto/H.M. è stato ed è molto di più, tra sperimentazione e progressive.

Vale la pena ricordare “Dedicato a Giovanna G.”, l'album di debutto, l'unico da solista dell'artista, pubblicato nel 1972 dalla Ricordi, rimembrato per la sua copertina provocatoria raffigurante un gabinetto chiuso con dei fiori che fuoriescono da esso.

Il disco è stato distribuito in LP e in CD anche in estremo oriente (Giappone e Corea del Sud) ed è stato ristampato nel 2012 dalla AMS.

Lo si può ascoltare cliccando sul seguente link:

https://www.youtube.com/watch?v=eGtHpFHrMO4&t=491s

 

Ma vediamo un po' di biografia estrapolata dal comunicato ufficiale di BWR…

Il tastierista varesino Roberto Carlotto, in arte Hunka Munka, inizia a suonare fin dall'infanzia, anche se la sua carriera musicale fu seriamente compromessa da un incidente aereo che gli causò alcuni gravi infortuni.

I suoi inizi come musicista professionista lo hanno portato a suonare in Inghilterra, Germania e Svizzera, dove ha anche avuto la possibilità di sostenere artisti come Rod Stewart e Colosseum.

In Italia suona con Big 66, I Cuccioli e successivamente con Ivan Graziani (Anonima Sound – 1970), prima di iniziare una carriera solista iniziando con un singolo di discreto successo - “Fino a non poterne più” - nel 1971. Come artista solista, Carlotto era facilmente riconoscibile per la sua ottima qualità tecnica e l'alto livello della sua attrezzatura, che comprendeva un numero incredibile di tastiere diverse e persino i primi esempi di drum machine a nastro.

Il suo unico album solista, “Dedicato a Giovanna G.”, con la sua copertina oltraggiosa, è un album soft-prog, ovviamente dominato dalle tastiere di Hunka (in particolare dal suo organo Hammond auto-personalizzato) e dalla strana voce tremolante che ricorda Demis Roussos o i Bee Gees. Tra i musicisti di supporto di allora c'erano il batterista Nunzio "Cucciolo" Favia degli Osage Tribe e il chitarrista Ivan Graziani.

Dopo l'uscita dell'album Carlotto si unì ai Dik Dik, nel 1973, sempre con il batterista Cucciolo che suonò con lui anche più tardi come "Carlotto & Cucciolo". Presumibilmente ha anche pubblicato un album elettronico nel 1984, “Promise of love” (Atlantide AMX 12003), sotto il nome di Karl Otto. Nel 2011 Roberto Carlotto si è unito alla riformata Analogy suonando con loro molti concerti.

Nei primi anni 2000 Roberto Carlotto inizia una collaborazione con il tastierista Joey Mauro, talentuoso utilizzatore e riparatore di tastiere vintage; insieme hanno rivitalizzato il nome Hunka Munka e recentemente hanno pubblicato un nuovo album chiamato "Foreste Interstellari" in cui Carlotto scrive testi, suona le tastiere e canta come protagonista. Joey Mauro suona anche le tastiere e scrive le musiche insieme a Mr. Hunka Munka.

Foreste Interstellari” è un ritorno alle origini, un disco prog la cui genesi risale a quasi 20 anni fa, almeno per quanto riguarda alcuni brani che sono stati rivisitati a più riprese e proposti ora con una nuova veste. Ciò che non cambia rispetto al passato sono le elaborazioni su strumenti tradizionali con distorsioni esasperate, un mix tra antico e presente che rappresenta il paradigma del genere.

I testi in lingua italiana permettono una facile decodificazione e contribuiscono a rinnovare la tradizione del prog italico, tra metafore e viaggi sognanti che, uniti alle musiche, alimentano il modus onirico, il sogno ma… ad occhi aperti.

Il combo Unka Munka rappresenta l’unione di Roberto Carlotto (voce e tastiere) e Joey Mauro (tastiere, orchestra).


Apre l’album “La dama della foresta” …

Biondi capelli e signor vestiti, il fuggire vostro da qual mariti, la mia domanda sgarbata e stolta, ma la foresta dà già risposta, si fermi qui…

Tastiere sugli scudi per un brano sognante, dove le atmosfere orchestrali si sposano ad un rock settantiano e ad una ritmica insistente, con stacchi e ripartenze, ma senza un attimo di respiro.

Segue “Brucerai” …

Bugiardo ipocrita brigante sei, quanto male hai fatto, agli amici tuoi, fingendoti leale, bastardo sei, ma dove vai c’è già qualcuno che ti aspetta là, professione traghettatore, assunto in regola con Satana… 

Brano dalla cadenza regolare, condito da virtuosismi personali e melodie che riportano al primo progressive italiano, in cammino su una strada limite, quella che separa il rock tradizionale da quello contaminato a oltranza.

Personalmente mi affascina il tono, il colore della voce di Carlotto, che riesce ad essere caratterizzante.

 La solitudine delle stelle” è un brano strumentale, un duetto tra pianoforte e voce, con effetti annessi. Che dire, aulico, sacrale, riflessivo, impegnativo… da ascoltare ad occhi chiusi!

Con “Idee Maledette” si ritorna alla lunga durata, oltre otto minuti…

Esistenti sicurezze, non portano mai soluzioni, soltanto un bene tacito risvolto e mere illusioni, che tu sia maledetta idea mia, maledetta via. 

Tipica costruzione prog, con synth in primo piano che disegna la melodia, mentre la sezione ritmica spacca e il tappeto tastieristico prepara il lavoro di chitarra elettrica.

L’Uomo Dei Trenini” è un altro strumentale che si carica di sonorità onomatopeiche, mentre emergono le immagini di un treno, di un viaggio, di un uomo solitario in una stazione di periferia, un quadretto perfetto che fa da trait d’union con la parte rimanente.

I Cancelli Di Andromeda”, strumentale, è caratterizzato da un giro di tastiere scritto sul finire degli anni ’90 da Joey Mauro.

Bellissimo, pungente, con l’elettrica di Gianluca Quinto in primo piano, al pari delle divagazioni da synth che appaiono quanto mai funzionali alla traccia, anche se un certo gusto per le magie sonore appare evidente e comprensibile.

E arriviamo alla title track, “Foreste Interstellari”, l’episodio più lungo dell’album, quasi dodici minuti.

Chiudi gli occhi per lasciare la tua fantasia volare, per calarti giù nel mare, più profondo, per scoprire questo tuo pianeta vivo, un tempo nato e poi formato insieme a stelle e meteoriti, pezzi grezzi di granito, e volo tra gli spazi siderali, in mondi nuovi e foreste interstellari. 

Una mini-suite, dove i tempi composti - e l’assolo - di Marcantonio Quinto contribuiscono a fornire la corretta dinamicità del brano, della storia raccontata, tra fughe e riflessioni. A mio giudizio brano rappresentativo dell’intero album e della proposta dell’attuale Unka Munka. E non sarebbe male ascoltarla dal vivo!

Amanti come noi” è la traccia che più si avvicina alla forma canzone tradizionale…

I nostri ruoli ormai troppo diversi, solo ora mi è chiara la tua irruenza, la sopportazione, dopo la tua arroganza, ho deciso, lascio tutto, libero di andare via… 

Magnifica, la sintesi dell’incomunicabilità, della fine di un amore, un pezzo sentimentale trattato nel modo "corretto", un lentaccio anni ’70 che non dovrebbe faticare per trovare una rotazione radiofonica…

Si conclude con “La Stanza Dei Bottoni”, la canzone più breve.

Il viaggio prosegue, il treno continua il suo percorso attraversando la campagna e salutando le anime in attesa, un viaggio senza fine, come la musica di Roberto Carlotto, nata oltre cinquant’anni fa e ancora viva.

Un album davvero inaspettato, un ritorno al passato con schegge di innovazione presentate attraverso un pensiero… analogico, che non vuol dire “vecchio”, ma solo di estrema qualità.

Consigliatissimo!


Tracklist (cliccare sul titolo per ascoltare) 

La Dama Della Foresta (7:52)

Brucerai (5:55)

La Solitudine Delle Stelle (2:20)

Idee Maledette (8:08)

L’Uomo Dei Trenini (2:24)

I Cancelli Di Andromeda (5:20)

Foreste Interstellari (11:49)

Amanti Come Noi (4:30)

La Stanza Dei Bottoni (2:06)

 

Band:

Roberto Carlotto: Voce e tastiere

Joey Mauro: Tastiere e orchestrazioni

 

Special Guests:

Marcantonio Quinto: Batteria e percussioni

Gianluca Quinto: Chitarra

Andrea Arcangeli: Basso

Andreas Eckert: Basso

Alice Castagnoli: Voce e cori

Tony Minerba: Voce

 


https://www.facebook.com/hunkamunkaprog

https://blackwidow.it





domenica 21 agosto 2022

Case maledette...


Esistono intrecci, concatenazioni, circostanze, che spesso scuotono la morbosa attenzione di chi si interessa al mondo della musica rock, soprattutto i più … “maturi ed esperti”.

Ma... che cosa lega Harry Nilsson a Mama Cass e Keith Moon?
Per chi non sapesse chi sia stato il cantante pop Harry Nilsson (mancato nel 1994 a 53 anni), ecco alcune note trovate in rete:

Nato a New York nel 1941, Nilsson raggiunge la fama alla fine degli anni sessanta, grazie a una dichiarazione dei Beatles che lo considerano fra i migliori compositori americani. Alla conferenza stampa di presentazione della Apple Corps, infatti, viene chiesto a John Lennon quale fosse il loro cantante americano preferito. La risposta è “Nilsson”. Subito dopo viene chiesto a Paul quale fosse il loro gruppo americano preferito. La risposta è ancora “Nilsson”
Se qualcuno lo avesse dimenticato, le note della colonna sonora di “Un Uomo da marciapiede”, risveglieranno le memorie:


Harry è molto popolare, e passa molto del suo tempo in giro per il mondo e lontano dalla sua abitazione londinese, al numero 12 di Curzon Place, casa che presta volentieri agli amici.
Il 29 luglio del 1974 la famosa cantante Mama Cass Elliot, ex cantante dei Mamas and Papas, muore nell' appartamento di Harry, ufficialmente per un attacco cardiaco, ma come è tipico delle “morti rock”, molte ombre impediscono di arrivare ad una verità certa, e il referto ufficiale denuncia un’insufficienza cardiaca.
Mama stava cercando una sua identità, volendo scrollarsi di dosso quel “Mama” in cui non si riconosceva più, ma a trentatré anni, il suo cuore cessa di battere, nella casa a lei imprestata da Harry Nilsson.


Passano quattro anni, e in quell'appartamento troverà la morte un altro grande del rock, Keith Moon, batterista degli WHO.

E’ il 7 settembre del 1978 e Moon, sempre più perso nelle sue ansie personali, tra alcol, droghe e problemi psicologici, è ospite di Nilsson con la sua nuova fidanzata svedese.
Anche in questo caso le dinamiche che porteranno al decesso sono controverse, e ufficialmente si parlerà di overdose da farmaco anti-alcol.


Scioccato da queste due tragedie Harry Nilsson si affretterà a vendere l’appartamento.
A chi?
Pete Townshend… chissà come è andata!




sabato 20 agosto 2022

VOX IN BESTIA - Gli animali della Divina Commedia - Un progetto per voce sola di Laura Catrani

 


VOX IN BESTIA

Gli animali della Divina Commedia

Un progetto per voce sola di Laura Catrani

 

Musica di

Fabrizio De Rossi Re

Matteo Franceschini

Alessandro Solbiati

(Stradivarius)

 

Affrontare l’ascolto e il commento di un album come “Vox In Bestia”, di Laura Catrani, non è stato per me agevole… solitamente vagolo nel rock, anche se prediligo ciò che nutre la mente piuttosto che il corpo, e questa personale tendenza all’indagine mi spinge a dire la mia, anche in un campo che non “posseggo”, ma la curiosità e la voglia di condivisione mi aiuterà nel prosieguo dell’articolo.

Occorre però partire dagli elementi oggettivi e realizzare la cornice al soprano Catrani e al suo progetto.

Partiamo dal suo pensiero, dalla sintesi della sua biografia.

Laura Catrani è una cantante che si occupa principalmente di musica nuova, contemporanea, e “Vox In Bestia” è stato realizzato in omaggio a Dante nell’anno dantesco.

Trattasi di un bestiario tratto dalla Divina Commedia per voce sola, in cui Laura affida le creazioni musicali a tre compositori della scena internazionale, e la scrittura dei testi di accompagnamento e di riflessione allo scrittore Tiziano Scarpa.

Ne è uscito un lavoro visionario e poetico che negli ultimi sei mesi del 2021 ho portato in scena ben 22 volte.”

Cantante che si occupa principalmente di sperimentazione vocale, volge il suo sguardo, anche, al repertorio tradizionale, dal barocco alla musica vocale da camera.

Estraggo altre indicazioni utili - essenziali per comprendere il livello della proposta - estrapolate dal magnifico booklet inserito in un perfetto artwork.

Dice Laura Catrani:

Mi occupo di repertorio a voce sola da molti anni, quando giovane studentessa in Conservatorio a Milano, ho affrontato “Sequenza III” di Luciano Berio, diventata presto il mio “cavallo di battaglia”.

Alla base di tale repertorio ci sono uno studio rigorosissimo, capacità tecniche ed intuizioni musicali. I compositori stessi, a cui commissiono nuovi pezzi, devono conoscere la mia vocalità e le mie inclinazioni; la musica cucita sull’interprete riflette la sua unicità, e il canto, sempre di più oggi, attinge alle risorse personali, mettendone in luce attitudini musicali e teatrali.

“Vox in Bestia è il naturale proseguimento di “Vox in Femina”, il mio primo concerto destinato al canto senza accompagnamento risalente al 2010, nel quale ho riunito alcuni dei grandi compositori del Novecento, realizzando un unicum editoriale, progetto per voce sola in cui l’interprete è essa stessa ideatrice, produttrice e leader.

L’idea prende vita nel 2020, in piena pandemia quando, immaginando un nuovo progetto per voce sola mi sono imbattuta nell’universo degli animali fantastici e dei bestiari medioevali. Contemporaneamente era in arrivo l’anniversario di Dante ed ecco che… è scoccata la scintilla: dare vita ad un vero e proprio bestiario dantesco, una sorta di ricognizione sugli animali reali e fantastici della Commedia, visti e percepiti attraverso il prisma della mia voce.

Ho convocato al mio fianco i compositori Fabrizio De Rossi Re, Matteo Franceschini e Alessandro Solbiati e ho chiesto loro di comporre, ispirati dalle terzine dantesche che parlano di animali, ciascuno cinque brevi brani per voce sola, secondo il loro stile, la loro personalità e la loro sensibilità.

Accanto alla loro musica doveva intrecciarsi una linea narrativa di una voce autorevole della letteratura italiana dei nostri giorni. Tiziano Scarpa mi è apparso lo scrittore perfetto, immaginifico e nello stesso tempo radicato e concreto, al quale ho chiesto di scrivere una sorta di commentario, in forma letteraria, ai versi di Dante.

Il perno intorno al quale gira tutta l’idea compositiva è la possibilità di creare ponti reali e fantastici tra i giorni nostri e l’antico medio evo.

“Vox in Bestia” - nato per RAI3 in 15 puntate andate in onda nel maggio 2021 - è stato da subito immaginato per un pubblico dal vivo, in teatro.

In sintesi, l’opera è una sorta di “manuale” che accompagna l’ascoltatore nella grande selva della Commedia, un “libro di viaggio”, che aiuta a districarsi nel labirinto dei versi di Dante e osserva da molto vicino il suo mondo animale fantastico, metaforico e reale.

Appare evidente che senza l’aiuto delle note ufficiale sarebbe stato difficile fare emerge l’anima del lavoro di Laura Catrani e, prima di entrare nello specifico, aggiungo che la lettura delle note didascaliche mi ha dato una differente visuale del dilemma che mi porto avanti da sempre, quello legato all’importanza delle liriche in un contenitore chiamato “canzone”, avendo ben presente che la musica è tale anche senza testo, mentre la parola da sola è definita in altro modo: certo che l’unione di due cose perfette può portare a magnificenze!

La chiosa riguarda… l’impossibilità di fare a meno dei poeti, apparentemente dediti a metafore, similitudini, capaci di lasciare sulla carta la definizione di un disegno da loro iniziato e che altri devono concludere nei dettagli.

Un paio di risposte: “la prima realizza che senza i Poeti, in Occidente, non esisterebbero quindici secoli di musica; la seconda, forse più sottile, è che senza i poeti i musicisti, anche quelli che non intonano i loro versi, non avrebbero mai imparato ad ascoltare il suono, a misurarlo, a imprimere alla loro musica un ritmo, un metro, una dinamica, un fraseggio, ovvero il senso di un discorso”.


Può certamente aiutare l’intervista che abbiamo realizzato in questi giorni…

https://athosenrile.blogspot.com/2022/08/intervista-laura-catrani.html


Ma vediamo nel dettaglio i vari episodi…

 


Inferno, canto primo. Le tre fiere.

Qual è il vero significato, letterale e allegorico, che Dante presenta con “Le Tre fiere”?

Tre bestie feroci si oppongono al cammino di Dante, differenziandosi per le loro peculiarità: la Lonza agile ed elegante, il Leone statuario e capace di incutere paura e la Lupa, inquietante per la sua magrezza, velocità e irrequietezza.

Ma la Divina commedia è l’opera che sin da bambini ci insegnano sia “allegorica e didascalica” e sono diversi i “commentatori” che hanno fornito differente chiave di lettura; tra le tante, la più comune riporta alla simbologia della lussuria (la Lonza sarebbe il sesso), la superbia (l’arroganza del Leone) e l’avarizia (l’avidità della Lupa).

Al sonetto e alla declinazione del testo si aggiunge e si miscela l’interpretazione dell’autrice, e prende vita il viaggio, tra suoni onomatopeici e dilatazioni vocali, estensioni e sperimentazioni che diventano il mezzo per raggiungere l’obiettivo, una meta che non appare chiara, perché conoscere i dettagli dell’opera di Dante non coincide con la consapevolezza del punto di approdo di Laura, solo supposizioni e una indicazione su quale potrebbe essere il sentiero.

 

Inferno, canto terzo. Mosconi, vespe, vermi 

Uno sciame di insetti perseguita quegli esseri posti tra cielo e inferno, quelli definiti indifferenti, incapaci di prender posizione, inerti per predisposizione e quindi ora condannati, anche, in quanto ignavi, ad essere colpiti da mosconi, vermi e vespe, in quel tempo veri flagelli, anche a causa della promiscuità con gli animali domestici, e alle precarie condizioni igieniche.

Ma quale condizionamento avrà vissuto Dante per incarcerare a vita nell’oltretomba le bestiole?

Incredibile come una voce possa idealizzare una scena descritta da altri, le azioni, gli attacchi, gli sciami che colpiscono in modo chirurgico, i cambi di umore… e l’elemento tecnico, sicuramente prevalente, scompare a vantaggio della chiara descrizione di un momento che da violento si trasforma in poetico.

 

Inferno, canto quinto, Stornei, gru, colombe.

Dante entra nel secondo cerchio, quello in cui trovano spazio i lussuriosi, coloro che hanno sottomesso la ragione all’istinto, i peccatori carnali.

Il tema è l’amore, quello che, forse, può portare alla morte del corpo e dell’anima, sebbene sia essenza di Dio.

Il poeta introduce tre similitudini che simbolicamente riportano a tre uccelli:

Gli storni di uccelli, che appaiono in balia del vento sospingendo le anime dei lussuriosi, attraverso passioni erotiche che pare non abbiano confine e senso del limite.

Le anime di coloro che sono morti per amore - uccisi o suicidati - procedono come le gru, che volano in fila mentre cantano con suoni lamentosi.

Le colombe, le anime dei due innamorati (Paolo e Francesca) che si distaccano e, sospinte dall’istinto d’amore, si dirigono verso il loro nido.

Una voce narrativa si trasforma in canto angelico, descrivendo una miriade di effetti e sottolineando le skills di una performer straordinaria.

A questo punto si delinea icasticamente il disegno dell’artista, e si incomincia a godere del suo modus propositivo, indipendentemente dall’obiettivo culturale.

  

Inferno, canto sesto. Cerbero 

Cerbero, fiera crudele e diversa,

con tre gola caninamente latra

sovra la gente che quivi è sommersa…


Dante trova una nuova e tormentata schiera di dannati, i golosi, sdraiati nel fango “controllati” da Cerbero, che li sovrasta con le sue tre fauci. Ha gli occhi rossi, il muso sporco, il ventre gonfio e le zampe artigliate; graffia le anime facendole a brandelli rintronandole coi suoi latrati. I dannati urlano come cani per la pioggia, voltandosi spesso sui fianchi nel vano tentativo di ripararsi l'un l'altro. Quando Cerbero vede i due poeti gli si avventa contro, mostrando i denti, ma Virgilio raccoglie una manciata di terra e gliela getta nelle tre gole. Il mostro sembra placarsi, proprio come un cane affamato quando qualcuno gli getta un boccone.

Sofferenza e stupore si alternano mentre le esasperazioni vocali prendono campo, la delicatezza sonora viene sopraffatta dalla necessità di racconto aggressivo e vie concettualmente parallele si annodano con grande semplicità.

 

Inferno, canto tredicesimo. Le cagne 

Dante rappresenta ora i dissipatori, nudi, fuggenti per una selva paurosa (la selva dei suicidi); dietro di loro, cagne nere bramose. Nascondersi non servirà, verranno fatti a brandelli sino a che gli animali non troveranno soddisfazione.

Non sono cani cacciatori, ma selvatici e al femminile, nella descrizione dantesca più rabbiose e crudeli dei maschi.

Due uomini nudi corrono terrorizzati nella boscaglia, graffiati dai rovi della boscaglia, ma hanno preoccupazioni più grandi, quelle che l’interprete disegna lasciandosi andare ad una melodia sofferta, dal tratto aulico, mentre duetta con un’altra anima.

 


Purgatorio, canto ottavo. Li astor

Nel luogo dei principi negligenti, le anime intonano al tramonto la preghiera della sera, mentre sono in arrivo degli angeli armati di spada.

Il poeta osserva le anime della valletta e poi vede scendere due angeli armati di spade infuocate e senza punta, che indossano vesti verdissime e hanno ali con penne dello stesso colore. La loro testa è bionda, ma il volto non è distinguibile, né comprensibile per gli umani. Vengono per proteggere la valle da un serpente che è in arrivo.

Non ci sarà nessuna battaglia, solo un atto di forza tra due falchi del Paradiso e un animale, quella che viene definita una “manfrina tra il bene e il male”.

Va in scena, musicato, lo stupore, lo schiarimento dei contorni, dei dettagli, giacché esiste apparente linearità di contenuto e una forte necessità di semplificazione di racconto; l’autrice ci prende per mano e ci permette di perlustrare anfratti che forse, la sola lettura, ci impedirebbe di raggiungere. Magia della Musica!

 

Purgatorio, canto quattordicesimo. I botoli

Dante, proseguendo il suo viaggio e scendendo giù per la valle dell’Arno, insulta gli abitanti di quella parte della Toscana, che hanno dimenticato che cosa sia la virtù e sono diventati simili alle bestie nutrite dalla maga Circe. Nel suo primo tratto il fiume scorre tra i brutti porci del Casentino, poi scende tra gli abitanti di Arezzo, i botoli che ringhiano più di quanto consentano le loro capacità; quindi, passa attraverso i lupi di Firenze e infine fra i pisani, volpi fraudolente che non temono alcun inganno.

La personificazione e l’andamento dei “botoli” fa nascere l’immagine di un piccolo cane, tozzo e ringhioso, che però si lascia intimorire facilmente. Il lamento e il patimento si sviluppano in oltre quattro minuti di beatitudine sonora, non priva di un certo tono spiritoso e sarcastico.

 

Purgatorio, canto sedicesimo. L’agnel

L’animale che in questo caso Dante incontra è un suono, una parola, un canto, una preghiera, l’Agnus Dei cantato dagli iracondi per ottenere pace e misericordia. Il canto è intonato e tutte le voci, che si esprimono in completa armonia, scontano la loro penitenza e invocano pietà.

L’agnello simboleggia la mitezza, in contrasto con l'iracondia, che secondo i padri della Chiesa è diversa dalla passione, che al contrario si può domare con la ragione.

Tecnica sopraffina necessaria per un quadretto quasi bucolico, se rapportato ai precedenti, dove il tratto elegiaco sorprende e calmiera ogni tipo di emozione.


Purgatorio, canto diciottesimo. L’ape

Virgilio, con una metafora, spiega a Dante l’amore e il libero arbitrio e viene evocata brevemente l’ape, che crea miele senza averne consapevolezza del motivo, non è una scelta ma un prodotto dell’istinto, proprio come l’uomo, ignora da dove venga la conoscenza basica in lui connaturata.

Il dialogo tra il poeta e la sua guida - con considerazioni così profonde - realizza una similitudine che pare sgorgare dal cantato soave, una meraviglia estetica, un tocco di dolcezza estrema.

 

Purgatorio, canto venticinquesimo. Il cicognin

Altra similitudine - con dovizia di particolari -, un piccolo di cicogna che solleva l'ala per il desiderio di volare, ma poi non ha il coraggio lasciare il nido e la mette giù.

Il contrasto personale caratteristico di ogni anima, il desiderio di camminare nuove e avventurose strade frenato dal timore di lasciare un porto sicuro.

L’autrice ripercorre il desiderio di Dante di leggere nell’animo del piccolo volatile, perché il sentimento proposto è assai comune e senza tempo, perlustrato in anticipo dal sommo poeta.

Nuvole sonore impalpabili si elevano e l’ascolto non ha più bisogno di estrema concentrazione, basterà possedere un po’ di sensibilità e virtuosismo.



Paradiso, canto primo. L’aquila 

quando Beatrice in sul sinistro fianco

vidi rivolta e riguardar nel sole:

aguglia sì non li s’affisse unquanco


In questo canto Dante descrive un’azione soprannaturale di Beatrice, un superamento delle capacità dell’aquila nel corso di un’azione poco umana.

Dante vede Beatrice intenta a fissare il sole, proprio come potrebbe fare un'aquila, ma con un’intensità visiva superiore, una prova di superamento che porta all’invenzione del termine “transumanare”, andare oltre i limiti della specie, esercizio compiuto dalla sua amata.

Catrani prende la sua tela musicale e dipinge la luce, il movimento, l’osservazione, il silenzio, la contemplazione e lo stupore… va in scena un dialogo che sgorga spontaneo e tocca l’anima.

 

Paradiso, canto sesto. Il colùbro 

Il Poeta utilizza un latinismo per evocare un “serpente velenoso”, in modo specifico l’aspide con cui Cleopatra si diede la morte.

Un incrocio di destini, tra animali e uomini, che in questo caso raggiunge livelli elevatissimi, vista la valenza rilevante e le conseguenze per la politica dell’era.

Una cantilena, una tristezza spontanea, una nenia che ondeggia tra morte e simulazione di movimento. Quanta competenza ci vuole per rendere vivo un momento simile!

 

Paradiso, canto ventitreesimo. L’augello 

Molta attenzione per una minuscola creatura, appostata sul nido intenta a proteggere la sua famiglia, in ansiosa attesa che la luce fornisca la possibilità di andare alla ricerca del cibo necessario al sostentamento; questo porta all’analogia con Beatrice, e la comparazione tra comportamenti celesti e terrestri trova sintesi nell’accettazione che anche gli animali, forse, riflettono il Paradiso.

Un tale pensiero, leggero e delicato, non poteva che essere proposto con un canto che delinea il volo, il colloquio e il senso di protezione che regola le leggi di ogni sana casa. Emozionante!

 

Paradiso, canto ventiquattresimo. L’agnello

Beatrice vede il Paradiso come una cena, con tutti i componenti al loro posto, ma manca il simbolo principe, l’agnello, Gesù Cristo.

Si danza, le anime splendono, ogni desiderio viene realizzato e la gioia è piena; si raggiunge la felicità partecipando alla gran cena arrivando alla sazietà, la beatitudine che arriva dopo la fruizione metaforica dell’agnello.

I giochi con le corde vocali risultano più contenuti rispetto all’idealizzazione della festa, un momento che non trova esplosione ma riservatezza e cautela.

 

Paradiso, canto venticinquesimo. Il Pellicano 

Poche parole dedicate al pellicano, anzi, una sola. Una nomination e via.


Questi è colui che giacque sopra 'l petto

del nostro pellicano…

 

San Giovanni Evangelista, l’apostolo prediletto di Gesù, posò il capo sul petto del Salvatore, il quale, prima di morire, lo affidò come figlio a Maria.

Ma perché "pellicano"? Secondo una leggenda nota nel Medioevo, il pellicano, squarciandosi il petto, risuscita i propri figli con il sangue che sgorga dalla sua ferita.

Poiché Gesù è rappresentato come un pellicano, la letteratura medioevale attribuì a quella leggenda un significato simbolico per indicare Cristo, che con il suo sangue redense l’umanità.

Una chiusura adeguata che cesella la fermatura di un’opera unica, pregna di valori culturali e competenze specifiche.

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La ricerca dei singoli significati mi ha costretto ad una ricerca nella memoria e ad un’indagine documentale cospicua, ma ne valeva la pena.

Il lavoro realizzato da Laura Catrani è, purtroppo, rivolto ad una nicchia di appassionati, anche se la speranza è sempre quella che sia possibile diffondere il verbo a macchia d’olio.

Vox in Bestia” si presta a innumerevoli fruizioni, come quella radiofonica già realizzata, quella su formato digitale o fisico e quella teatrale, probabilmente la più spettacolare e affascinante.

Certo, anche il luogo in cui nascono le rappresentazioni è legato alla sacralità della proposta, ma vale la pena esaltare tale capitale culturale.

Laura Catrani, che non conoscevo, fa parte di quella schiera di virtuosi della voce che utilizzano il proprio strumento per sperimentare, per trovare nuove vie, limiti e frontiere, come accaduto in passato al maestro Demetrio Stratos, come ha fatto per tutta la vita Bernardo Lanzetti, come persegue da sempre Claudio Milano, come accade con Raffaello Regoli.

La voce è strumento difficile da “suonare”, non si separa mai dal suo proprietario, per cui c’è un rapporto intimo e di complicità con il suo possessore.

Laura Catrani ce ne fornisce ampia dimostrazione, unendo cuore e anima a temi universali e immortali.

Lavoro pregevole, impegnativo - per chi ha creato ma non solo -, una probabile via didattica che andrebbe perseguita.

Prezioso l’artwork, con booklet esaustivo, immagini e informazioni utili alla decodificazione dell’opera.




Alcuni link interessanti inerenti al lavoro di Laura Catrani:

 

https://www.youtube.com/watch?v=E0TTd2roL6s&t=219s

Luciano Berio, Sequenza III per voce sola

 

https://www.youtube.com/watch?v=3TDRQ4uX3LU

Henry Purcell, The cold song

 

www.lauracatrani.com

https://www.youtube.com/user/lauracanta75