Il mio primo impatto con la musica,
quando avevo ancora i pantaloni corti, riporta a brani musicali per me all’epoca
sorprendenti, eseguiti dai gruppi italiani allora in voga che esercitavano in
modo assolutamente libero l’esercizio di “copiatura” sonora, modificando e adattando
il testo, che da inglese diventava italiano, cambiando completamente
significato.
Non era una grande perdita, a quei
tempi le liriche non presentavano ancora nulla di serio, nemmeno al di fuori dei
nostri confini, anche se qualcosa, soprattutto in America, stava cambiando, con
l’impegno sociale di Dylan e Baez.
La tecnologia fu di grande aiuto per
la diffusione capillare della musica, attraverso prodotti e supporti sempre più
alla portata di tutti, che permettevano peraltro la socializzazione, i quei
primi anni Sessanta: rock’n roll, il twist, il folk, il beat, il rythm &
blues, il funky… musica da ascoltare, musica per ballare.
L’Italia era ben predisposta al cambiamento, ma la cosa che risultò più rapida e semplice per i giovani musicisti e i loro "gestori" fu quella di pescare a man bassa nella produzione anglosassone e farla propria, in tempi in cui non si guardava molto ai diritti d’autore.
In pochissimi parlavano e cantavano
in inglese, e spesso i grandi nomi stranieri si prestavano a mettere da parte
il loro idioma naturale a favore dell’italico verbo, diventando loro stessi “cantanti
italiani”.
Due le alternative per i gruppi e i cantanti: prendere brani di
riconosciuto successo facendoli diventare la copia nostrana, oppure pescare nel mare magnum britannico, appropriandosi di canzoni sconosciute, rendendole “nuove”
per il pubblico italiano. E attraverso questo modus il brano originale prendeva
luce anche entro i nostri confini.
Di lì a poco, come è noto, tutto sarebbe cambiato,
ma restano dei gioiellini che credo non siano conosciuti da tutti, per cui a
partire da oggi, sporadicamente, proporrò un brano originale e la cover corrispondente,
e sono certo che qualche cosa di inaspettato verrà a galla.
Inizio dai QUELLI, ovvero le origini
della PFM.
La loro formazione, prima di
trasformarsi in prog band, si fece le ossa con il pop del momento per almeno sei anni, a partire dal ’64,
anno della loro fondazione. In quel periodo si registra un album omonimo ma, soprattutto,
numerosi 45 giri (il 33 avrebbe avuto il suo sviluppo a partire dalla fine del decennio), che attingevano dalla produzione “straniera”.
Questi i musicisti che si sono
susseguiti:
Franz Di Cioccio - batteria
(1964-1970)
Franco Mussida - chitarre, voce
(1964-1967 e 1969-1970)
Flavio Premoli - tastiere (1967-1969)
Alberto Radius - chitarre, voce
(1967-1969)
Teo Teocoli - voce (1966-1967)
Pino Favaloro - chitarre, voce
(1964-1969)
Tony Gesualdi - basso (1964-1966)
Giorgio Piazza - basso (1966-1970)
Ho scelto un pezzo che mi piace
particolarmente nella versione originale.
Si tratta di “Dizzy”,
di Tommy Roe, cantautore e musicista statunitense, traccia che i QUELLI trasformarono in "Dici".
Ascoltiamo entrambi i brani… così, tanto per confrontare!
Ascoltiamo entrambi i brani… così, tanto per confrontare!