Il 31 marzo del 2012Wegg Andersen, cofondatore dei TRIP, ci lasciava.
Le occasioni per celebrare lui, Billy Gray, e successivamente Joe Vescovi, non sono mancate, ma
essendo oggi un giorno particolare mi fa piacere ricordare Wegg, non con miei
aneddoti, ma con immagini che ho ricevuto da Mirella Carrara e Stefano
Mantello, che sono un po’ il punto di raccolta del materiale che gira
attorno ad una band che tanto abbiamo amato. Non dimentico ovviamente Bruno Vescovi, fratello di Joe,
fornitore naturale di primizie del mondo TRIP.
I documenti sono infiniti e vanno
dall’agenda personale di Wegg al suo curriculum, ma mi limiterò a ciò che è
possibile racchiudere in un blog.
Significativo il ricordo della
sorella Inger che, pur essendo molto
giovane, ha avuto la possibilità di conoscere un mondo affascinante, ormai
lontano.
Inger Morris Andersen
Estratto da una lettera di Inger Morris
Andersen, l’unica sorella di Wegg Andersen cofondatore dei Trip, mancato nel 2012.
Nata e cresciuta a Londra, come il
fratello, vive aNewmarket,
Suffolk, United Kingdom
Arvid's second
home. Everyone appeared here and he took me along when I was about 14.
Alexis Korner,
Cyril Davies, Chris Barber, The Yardbirds, Jimmy Page and Led Zeppelin, Keith
Moon and The Who, The Rolling Stones, King Crimson, The Syn, Jethro Tull, Jimi Hendrix, Yes and Pink Floyd.
I remember Eric
Clapton and Ginger Baker seemed to be on the drums every time I went there.
There were so many
clubs, hang outs and coffee bars in Soho that Wegg went to when I was too young
to go. He would meet up with our elder cousin Hania who frequented the Bread
Basket and did a bit of singing. Wegg would hang out in Tin Pan Alley, The Two
Eyes and Heaven and Hell to get his break. Most of these were featured in the V
& A exhibition.
(Documento raro...)
TRIP 1969
Con il premio oscar Julie Christie sul set del film "Darling" nel 1965
La preziosa rubrica telefonica, da Jimmy Page a Jeff Beck
Prog Rock,
Psychedelic Rock, Minimal, Classic Rock
“Questo lavoro è influenzato da Mike
Oldfieldf, Steve Reich e Robert Fripp…”
Con questa chiosa il musicista tedesco Gerd Weyhingmi ha
incuriosito, un artista che non conoscevo e di cui si possono leggere le note
biografiche nell’ultima parte di articolo.
Dal momento che Weyhing afferma di non aver mai ricevuto commenti
al suo lavoro in lingua italiana, presumo che sia sconosciuto al grande
pubblico nostrano e quindi, avendone la possibilità, propongo anche l’ascolto
dell’album costituito da tre lunghi brani, la cui somma temporale raggiunge i 67
minuti. Notevole.
“SubTerraMachIneA”
è un album totalmente strumentale, e quindi risulta prezioso il breve commento
dell’autore che, per ogni brano, giustifica il titolo e ci regala l’ispirazione
creativa, tra fatti concreti e allegorie.
Va da sé che l’interpretazione soggettiva del fruitore
esterno resta sacra e rappresenta uno degli obiettivi da raggiungere, ma
conoscere l’opinione di chi ha visto/sentito scoccare la scintilla può condurre
ad una stimolante comparazione di stati d’animo.
La musica di Gerd Weyhing è… avvolgente, o almeno lo è quella
che delinea questo progetto - l’unico al momento da me conosciuto -, un disco che
ha avuto una lunga gestazione, iniziato nel novembre del 2013 e terminato nel
dicembre del 2018.
La lezione dei maestri a cui Weyhing fa riferimento ad inizio
articolo si dipana nel corso del primo giro di giostra, e mette in evidenza la forte
necessità di minimalismo espositivo che si nutre di know how elettronico e di
gioco spinto della ripetizione, un utilizzo di loop e soluzioni ripetute che sposano
le atmosfere ambient che immagino siano figlie dei luoghi e delle situazioni in
cui l’autore è nato e cresciuto, spazi che forniscono spunti che, ne sono
certo, trascendono la materia.
Dopo aver letto la sua biografia mi sono fatto l’idea che il
tipo di cultura di Weyhing abbia trovato consolidamento attraverso esperienze
trasversali e approfondite, non focalizzate su un solo aspetto, e quando si
possiede il talento e lo studio per poter spaziare a piacimento, spesso la soluzione
è a portata di mano, un “Rasoio di Occam” che porta ad una rapida selezione,
quella che indirizza verso la via più semplice, quella in cui ci si trova maggiormente
a proprio agio.
Il disco mi piace, ho apprezzato la genuinità e lo sforzo di
ricerca, e il fare riferimento alle conoscenze pregresse non significa copiare
ma, ed è questo un caso limpido, trarre indicazioni per migliorarsi.
Devo anche dire che le parole di Weyhing legate ad ogni
singolo brano mi hanno permesso di trovare con lui una buona sintonia, e il suo
racconto è diventato improvvisamente il mio.
Ma credo che “SubTerraMachIneA” potrebbe colpire d’istinto,
senza alcuna delucidazione.
Lo propongo quindi in toto, per condividere con il potenziale
lettore una musica che non può lasciare indifferente.
In una scala da 1 a 10, il mio gradimento personale determina
un bell’8, ma è possibile che successivi ascolti possano migliorare il mio
giudizio.
Ecco cosa mi ha detto Gerd Weyhing a proposito delle tracce
dell’album…
The Tree
<<"L'albero" da cui ho tratto ispirazione
è una quercia gigante di circa 300 anni, martoriata nel 1994 in modo da farla
morire lentamente, perché metà dei vasi che servono per il trasporto dell’acqua,
dalle radici verso l'alto, furono tagliate consciamente, da qualcuno che sapeva
quello che stava facendo. Alla fine, nel 2011, l’albero è morto, mai suoi resti
sono ancora lì a ricordare un atto deprecabile.Nessuno ha mai scoperto chi abbia compiuto tale gesto e il perché.>>
Clockwork for
Uncertain Times
<<“Clockwork for Uncertain Times” è un orologio
incerto, a volte più grande e a volte più piccolo della vita stessa - almeno come
la immaginiamo - un percorso di cui il
misuratore del tempo diventa metafora.>>
Silence and
Ecstasy
<<Un'altra immagine che si abbina alle normali
storie quotidiane è “Silence and Ecstasy”, che descrive un percorso di mountain
bike di circa 30 km condensato in musica. La salita costante porta all’obiettivo
iniziale - un punto di vista privilegiato che sovrasta gli elementi sottostanti
-, ma subito dopo arriva una rapida discesa, con curve inaspettate, e poi un’altra
ascensione, che riconduce al punto di partenza, ma non è detto… l’approdo non è
poi così scontato!>>
Un po' di
storia dell’autore
Gerd Weyhing è un
compositore e musicista tedesco che si muove in area Progressive Rock e
Ambient, descrivendo paesaggi sonori attraverso la musica elettronica.
Vive e lavora inun piccolo e
tranquillo villaggio in Germania, Palatinate Forest, in una regione di bassa
montagna situata nella Renania, in una sorta di parco naturale.
Fin dalla prima infanzia si
appassiona a vari strumenti,tra cui la fisarmonica, il clarinetto e l’organo.
Inizia a suonarela chitarra all'età di 14 anni e dal quel momento non si separa più
dallo strumento.
Recentemente si è spinto verso
la 12 corde arrivando a qualcosa simile al Chapman Stick, ed ha anche perlustrato
il mondo delle percussioni.
Le sue ispirazioni includono i
Beatles, Mike Oldfield, King Crimson, Gentle Giant, Genesis, Magma, Hedningarna,
Klaus Schulze, Steve
Reich, Nik Bärtsch's Ronin, e recentemente si è avvicinato al Progressive
Rock italiano degli anni '70.
All’età di diciotto anni incomincia
a comporre pezzi lunghi e complessi, conritmi e metriche insolite, come"Sutherland",
suddiviso in 4 parti, la cui registrazione iniziò nel 2013.
Mentre si trovava nelle
Highlands scozzesi conobbe Morris Pert (Brand X) che viveva in quel luogo, e con
lui realizzò lunghe sessioni musicali, purtroppo mai registrate.
Negli anni '90 è stato
chitarrista, cantante e scrittore nella band progessive "Brightness
Falls", dal nome di una canzonedi Robert Fripp e David Sylvian. La band si
sciolse dopo pochi anni e i “resti” formarono i “B4 Sunrise" (Reinhold
Kromimer, Wolfgang Bechtluft e Michael Bràckner ecc.).
Dopo aver cercato per molti
anni di trovare un modo convincente di fare musica dal vivo come solista, scopre
il softwareAbleton
Live, e da un paio d'anni è in grado di realizzarsi in forma autarchica,
suonando la chitarra con alcuni effetti dispositivi (loop, delate,ecc.) insieme
a ciò che il software ha da offrire, gestendo l'arte di fondere sempre meglio
il Guitar World e laElettronica.
Con questo concetto, a partire
dal 2012, ha iniziato a suonare dal vivo molto più spesso, soprattutto in
Germania.
Il suo CD "The Hidden Symmetry",
registrato dal vivo nel dicembre 2011,è stato accolto bene dalla critica mentre
il doppio CD “Journeys to Imposible Places" propone le migliori
registrazioni dal vivo del 2013.
Gerd Weyhing raggiunge il
terzo posto nella categoria "Nuove scoperte 2013" alle Schallwelle
Award Elections.
Un ritorno alle radici fatto
di composizioni strumentali lunghe e complesse, lo conduce al Prog-Rock-Album “SubTerraMachIneA”(2018).
Al momento Weyhing sta lavorando
su un complesso setup live strumentale di 67 minuti (la durata dell’album), e su
alcune tracce influenzate dal prog italiano, e sta componendo nuova musica nei
settori di Minimal, Electronics e Progressive Rock.
Saranno molti i musicisti che
lo aiuteranno nel percorso!
Ricorre oggi, 19 marzo, l’anniversario
della morte diPaul Kossoff, professione chitarrista, fondatore dei Free. Nato in Inghilterra,
ad Hmpstead, il 14 settembre del 1950, aveva solo 26 anni quando il 19 marzo
del 1976 morì a seguito di un’overdose di eroina, durante un volo aereo.
Kossoff era da tempo eroinomane.
Lo stile di Paul Kossoff è di chiara matrice blues,
pieno di feeling ed espressività, con largo uso di “bending” e del vibrato.
Suonava principalmente Chitarre Gibson Les Paul, e dal vivo con due
o più amplificatoriMarshall. Nessun effetto a pedale, wha o fuzz con
controllo del “guadagno” con i due potenziometri del volume sulla Les Paul.
Ma chi furono i Free?
I Free nascono a Londra nel 1968 quando Paul
Kossoff e Simon Kirke, rispettivamente chitarrista e
batterista dei Black Cat Bones, contattano il cantante Paul
Rodgers dopo averlo visto in azione con la sua blues band, i Brown
Sugar. Come bassista viene reclutato il sedicenne Andy Fraser. Con
la protezione di Alexis Korner (responsabile anche della
scelta del nome), i quattro fanno serate in piccoli club creandosi un certo
seguito, e firmano così per la Island Records, pubblicando al loro esordio
l’album Tons of Sobs. La voce graffiante di Rodgers e i
grintosi assoli di Kossoff personalizzano un sound che negli anni a venire non
sarà più così energico. Nel secondo album, Free, i toni si
fanno infatti più morbidi e pacati concedendo largo spazio alle armonie vocali.
Il grande successo arriva comunque con Fire and Water, contenente
il brano All Right Now, caratterizzato
da un riff di chitarra e un ritornello che li porterà in cima alle classifiche
di USA e Regno Unito. I Free si separano al culmine della carriera, nel1971,
per dedicarsi a progetti diversi con scarso successo per tutti e quattro. Si
rimettono quindi insieme nel 1972, e, dopo ripetuti cambi di formazione e i
problemi di droga di Kossoff, pubblicano Free at Last(1972)
e Heartbreaker (1973). Fraser lascia il gruppo formando
la Andy Fraser Band, lasciando il posto al bassista giapponese Tetsu
Yamauchi; entra anche il tastierista texano John “Rabbit” Bundrick già
con Johnny Cash, tuttavia il gruppo britannico non riesce a
trovare la stabilità a causa dell’abbandono di Kossoff prima della conclusione
di Heartbreaker (in alcune date è Rodgers a improvvisarsi
chitarrista). In seguito Rodgers e Kirke ritrovano la gloria con i Bad Company,
Tetsu si unisce ai Faces e Bundrick intraprende la carriera
solista diventando dal 1979 tastierista live degli Who.
Kossoff, dopo due anni di cure intensive, quando
sembrava essere tornato al meglio (pubblica un album da solista e due con i
Back Street Crawler), muore nel 1976 sull'aereo che lo stava portando a New
York. Dal 1974 al 2002 vengono pubblicate antologie dei Free rimasterizzate e
arricchite di inediti, e versioni alternative dei loro successi.
Conclusa l'esperienza Bad Company, Paul Rodgers
intraprende l'attività come solista e nel 2005; dall'incontro con Brian
May e Roger Taylor dei Queen, nasce
il progetto Queen +Paul Rodgers, che porta la formazione ad
esibirsi in tutto il mondo con un repertorio celebrativo comprendente i
successi di entrambi, anche se con un taglio principalmente 'Queen'.
Il tour 2005-2006, sull'ondata emotiva post-Freddy
Mercury, riscuote enorme successo e da origine ad un doppio CD live
dal nome Return ofthe Champions.
Ultima formazione
Paul Rodgers - voce, chitarra, piano (1968-1971, 1972-1973)
Parto da una canzone per raccontare un importante episodio legato alla sfera affettiva di un grande
musicista,Eric Clapton, e di alcuni “suoi
amici”.
Sto parlando di
"Layla", che
vediamo/ascoltiamo a fine post in una versione “antica”, che vede Clapton
accompagnato da amici vari (qualcheStones,Winwoodecc.) e, a seguire, in una
rivisitazione più recente, unplugged, come ancheio ho avuto modo di vedere
nell'estate del 2006 a Lucca.
Ma vediamo cosa c'e'
dietro al brano.La leggenda vuole che
"Layla" sia stata ispirata daPattie Boyd, la donna allora
divisa tra "Slowhand" e il suo grande amicoGeorge Harrison,amante del primo,
moglie del secondo.
Clapton
descrive la canzone come "una storia d'amore accaduta un centinaio
d'anni fa".
Chi
era... chi é Patty?Ecco
come è descritta.
È stata la musa dei miti rock, ha sposato George
Harrison ed Eric Clapton, con loro e molti altri ha diviso sesso, droghe,
alcol e triangoli sentimentali ad alto rischio. Per lei sono nati brani immortali
come "Something" dei Beatles e "Layla" di Eric
Clapton. Patricia Ann Boyd raccontò tutto senza censura,
nella biografia "Wonderful
Today".
Negli
anni '60 della Swinging London, dell'estate dell'amore e della controcultura,
con la sua figura esile ed aggraziata, Pattie divenne un mito, un'icona di
bellezza proprio come la contemporanea indossatrice Twiggy. Tanto
fascino non passò inosservato fra le divinità del rock e la Boyd fu amica (per
molti anche amante) di Mick Jagger e John Lennon, ma fece scalpore
soprattuttoil tormentato triangolo tra lei, George Harrison ed Eric
Clapton.
Proprio
i dettagli su questa liaison sono quelli che destano maggiore scalpore. Pare
che Eric Clapton, pazzo d'amore per la Boyd, allora moglie del suo miglior amico
Harrison, arrivò a minacciare di distruggersi con l'eroina se
lei non fosse fuggita con lui. "Sei pazzo? risposi" si legge
in "Wonderful Today", "no, è proprio così, è finita disse Clapton". Non
lo vidi più per tre anni, fece quello che aveva detto, divenne schiavo
dell'eroina. Ma lui e noi tutti prendevamo già un sacco di roba: cocaina,
marijuana, stimolanti, tranquillanti".
Dietro
l'estate dell'amore, i capelli lunghi e i camicioni hippie, dietro inni alla
vita come "Here Comes The Sun", si nascondevano gli eccessi
tossici e l'infedeltà. "George mi suonava Something in cucina",
scrive la Boyd, "ma poi si infilava in camera da letto con
Krissie, moglie di Ron Wood, Maureen, moglie di Ringo, e molte altre. Era
ossessionato dal dio indù Krishna , sempre circondato da mille
concubine. Voleva essere così".
Un
triangolo di autodistruzione, con Harrison schiavo della cocaina "che
gli cambiò la personalità, era sempre depresso", e Clapton
che dopo essersi ripulito dall'eroina annegava nella vodka. "Mi voleva
portare in una direzione che non avrei certo voluto", si legge ancora
nelle memorie di Pattie Boyd, "ma quando mi cantò Layla e mi resi conto
di aver ispirato tanta passione e creatività, caddi fra le sue
braccia". E furono nozze e colossali bevute.
Pur non
essendo la classica groupie che vive per far sesso con le rockstar, fra una
tirata di coca e una sbronza al whisky, Pattie si trovò presa nel turbine. Come
quella volta tra le 25 camere da letto della villa vittoriana di Clapton, a Friar
Park, descritto come "un manicomio, dove tutti erano
ubriachi e andavano con tutti". E quei tutti hanno nomi celebri, come
gli altri tre Beatles, il manager Brian Epstein, Keith
Richards degli Stones, Joe Cocker,Jimmy Page degli Zeppelin,
gli amici invasati dell'induismo e dell'Oriente, John Riley, medico
di Harrison a cui preparava il caffé con l'Lsd.
A me
piace pensare a "Layla" come ad una bella canzone , in qualsiasi
salsa la si proponga, cercando di obliare che dietro ad un riff indovinato e a
parole d'amore, si celi tanto dolore...
Nei miei ricordi
antichi il"Cantagiro"era qualcosa di
interessante e allo stesso tempo da tenere a debita distanza.
Provai esattamente
questo feeling quando attorno al 1972 vidi dalla finestra di casa mia la
carovana di auto piene degli artisti più in voga, salutata dal pubblico ai
bordi della strada, esattamente come al passaggio della Milano-Sanremo.
Perché provavo sentimenti
contrastanti?
Nella mia
intransigenza e rigorosità dell'epoca era quasi una sacrilegio vedereJimmy Fontana,Nicola di Bari,Massimo Ranieri,Rita Pavone, accanto a nuovi gruppi beat comeDik Dik,Nomadi,Equipe 84; per non parlare poi
degli stranieri che ci facevano respirare odore d'oltremanica, comeMal e i Primitives,Motowns,Sorrows.
Tempi lontani, tanto
lontani, ma anche adesso, nonostante mi senta ormai scevro da ogni pregiudizio
musicale, quel pomeriggio estivo di tanti anni fa mi procura un senso di
disagio, forse solo legato al fatto che per qualche motivo
"disciplinare", non ottenni il permesso per partecipare alla festa
serale.
Ed ecco una definizione del Cantagiro del primo periodo, quello a cui ho appena
fatto riferimento.
La prima edizione della manifestazione si è svolta nel 1962.
La formula era presa a modello del Giro d'Italia di ciclismo, e consisteva in
una carovana canora in giro per l'Italia con diversi cantanti che gareggiavano
tra loro, giudicati da giurie popolari scelte tra il pubblico delle varie
città.
Ogni sera veniva proclamato il vincitore di tappa, e nella tappa finale (a
Fiuggi) veniva annunciato il vincitore assoluto. Per 5 edizioni consecutive
(dal 1968 al 1972) la finale fu disputata a Recoaro Terme, nello scenario delle
Fonti Centrali. La finale era articolata in tre serate, con la diretta tv su
RaiUno della serata conclusiva.
Gli interpreti ed i relativi brani erano divisi in sezioni: il Girone A
comprendeva artisti di fama, il Girone B le "nuove proposte canore",
il Girone C i gruppi musicali.
Con l'avvento del nuovo decennio ed il declino del successo, l'organizzazione
si fermò con l'edizione del 1974. Le ultime due edizioni, chiamate Cantagiro Show, ebbero meno riscontro rispetto al passato.
Daevid Allen ci ha lasciato… era il 13 marzo
2015,
Dalle pagine del SECOLO XIX lo
ricordavo così…
La notizia è fresca,
attesa, ma toccante per chi ha vissuto un’epoca musicale felice e si accorge
che, ad uno ad uno, i tasselli scompaiono. Daevid Allen non era più giovanissimo, aveva 77
anni, ma faceva parte di quel gruppo di miti musicali che sembra non possano
mai avere fine terrena: i suoi followers sapevano bene che aveva i giorni
contati. Difficile in poche righe raccontare di lui, probabilmente conosciuto
esclusivamente dagli addetti ai lavori e dagli appassionati del genere, ma è
indubbio che il suo genio abbia dato contributo
fondamentale a quella corrente musicale conosciuta come il Canterbury Sound. Poeta, musicista,
artista poliedrico, Daevid parte dall’Australia per approdare in Europa, dove
il suo genio troverà terreno fertile nella Beat
Generation. Siamo all’inizio degli anni ’60, e l’Inghilterra è scossa
-successivamente assuefatta- dalla musica di Beatles e Stones, e ciò che Allen,
Hugh Hopper e Robert Wyatt propongono - sono loro i suoi iniziali compagni di
viaggio- è qualcosa di decisamente alternativo, tra jazz e psichedelica, rock e
sperimentazione - musicale e di vita -, il tutto nell’ottica
dell’estremizzazione del concetto di arte. E’ un fenomeno talmente precoce che
anticipa il movimento prog, sbocciato nel passaggio tra i due decenni,
contenitore perfetto per chi ha idee, talento e voglia di osare in totale
libertà, senza soffermarsi sulle separazioni e distinzioni di genere, tipiche
sino a quel momento. Se si volesse dare un’immagine che ricalca l’idea comune,
si potrebbe disegnare il filone della musica progressiva con tante branchie, e
una di queste simboleggia il “gruppo” di Canterbury, erroneamente sottolineo,
se si osservano i fenomeni dal punto di vista cronologico. Le storie di Allen e
amici superano l’elemento musicale, perché il dare vita al nuovo assoluto è
qualcosa che assume valore didattico, nel senso del metodo -anche un “non
metodo” può rappresentare una scelta precisa-, dell’innovazione che arriva
senza magari rendersene conto, del saper captare la musica che gira intorno,
che aspetta solo di essere afferrata: King Crimson, Pink Floyd, Jethro Tull,
YES, Genesis, VdGG, Gentle Giant, ELP, prototipi prog, inventarono ciò che
prima non esisteva. Non tutto è di facile presa, e fu per me davvero complicato
assistere ad un concerto dei Soft Machine -credo fosse il 1973- che proponevano
il loro free-jazz, con il mitico Elton Dean al sax, il cui virtuosismo era noto
a noi adolescenti che lo ascoltavamo, quasi per obbligo, sui vinili. La sottolineatura
della figura di Daevid Allen dovrebbe far scattare un minimo di curiosità,
quello stato che sono uso chiamare “effetto domino”, e sono certo che la
scoperta delle sue creazioni musicali sarebbe in grado di stupire anche i meno
aperti verso mondi musicali sconosciuti.
Utilizzo un simbolo, un unico lavoro a
cui non voglio dare una valutazione assoluta, ma rappresenta il mio incontro
con Daevid e i suoi Gong, con cui creò il filone mitologico che li rese
celebri; “Angel’s Egg”è l’album in
questione, un disco che mi introdusse in un mondo nuovo, accessibile, con
sonorità e atmosfere che a distanza di lustri non mi hanno ancora stancato, e
tutto questo deve pur avere un significato! Cosa resta di quei giorni? Esiste
ancora quel mondo? Cosa lascia Daevid Allen? Molti protagonisti se ne sono
andati, altri resistono nonostante gli impedimenti fisici (da anni Robert Wyatt
è paraplegico), altri si riciclano con grande difficoltà (Richard Sinclair è
ormai italiano, ma… ha vissuto giorni migliori); ciò che resta è sempre la
musica, e occorre riflettere su come il movimento globale del Prog, che ha avuto
enorme visibilità per un solo decennio, sia… più vivo che mai, sebbene seguito
da un popolo esiguo - mi riferisco all’Italia - nonostante la frequente
complicatezza di certe trame, che non hanno mai avuto l’obiettivo
dell’orecchiabilità.
Il folletto Daevid Allen non può più danzare per noi, ma la sua
genialità musicale ha lasciato un segno indelebile, da preservare e diffondere,
nella speranza che qualche giovane talentuoso sappia raccoglierne l’eredità. E
noi, appassionati di musica, attendiamo fiduciosi.
Nonostante l’indubbia
bravura, la band Era di Acquariovenne
relegata a entità marginale, ottima per i Festival Pop, ma poco utile alla
commercializzazione.
Mi riferisco ad un trio
palermitano, uno dei pochi gruppi importanti provenienti dalla Sicilia, cheprodusse solo un album che, nonostante il titolo,
"Antologia", non è una raccolta di brani già
conosciuti, ma di inediti.
L'album può essere una
delusione per gli appassionati di prog, essendo quasi completamente basato su
chitarra acustica e flauto che creano ballate e atmosfere soft, come
nell'etereo strumentale "Campagne siciliane". Un commento
autorevole riporta che…
Una vera
e propria "antologia" di sonorità che ancora oggi non solo stupisce
la critica internazionale, ma viene addirittura paragonata ai lavori di grandi
gruppi quali Crosby Stills Nash & Young, Buffalo Springfield e Chicago
(fonte: progarchives.com).
I 10 brani sono brevi
(la lunghezza del disco è di circa 29 minuti) e le uniche eccezioni allo stile
prevalente sono le più tirate "Padre mio" e "Geraldine",
con un suono più rock e voce in falsetto alla New Trolls.
Prima dell'LP il
gruppo aveva prodotto due 45 giri, il primo dei quali," Geraldine/Arabesque"
ha un suono piuttosto aggressivo con un potente basso in evidenza.
Il gruppo ha qui una
formazione a tre con chitarra, basso e batteria sullo stile dei più famosi
"power trio" inglesi, e la formazione era diversa da quella dell'LP,
con Gianni Garofalo (chitarra, flauto) poi sostituito da Angelo
Giordano.
Il secondo singolo,
"Hold on", è un brano di rock piuttosto classico cantato in
inglese, mentre "Campagne siciliane" è una dolce ballata
acustica costruita su flauto e chitarra 12 corde, con uno stile più vicino a
quello dell'album.
Come già sottolineato,
il gruppo fu molto attivo dal vivo, ma l’impossibilità di rilasciare un secondo
album già pronto - che venne preparato allargando la formazione - portò allo
scioglimento della band.
L’album “Antologia”
venne originariamente pubblicato nel 1973. Vi furono in seguito due ristampe in
CD: una dalla BMG nel 1995 e una dalla Sony nel 2011.
Ho sempre apprezzato Igor Khoroshev, famoso per aver militato negli YES,
ma di cui ho perso le tracce.
Khoroshev iniziò a interessarsi alla
musica, per espresso desiderio dei suoi genitori, fin da bambino. A quattro
anni già prendeva lezioni di piano; in seguito imparò a suonare il trombone, il
corno francese, la chitarra, il basso e la batteria. Ricevette un'istruzione
musicale completa, arrivando a ottenere un diploma come compositore e direttore
d'orchestra. All'epoca i suoi interessi musicali principali erano legati alla
musica contemporanea; apprezzava in particolare compositori russi come Igor
Stravinskij, Sergej Rachmaninov e Sergej Prokofev, ma
anche i grandi compositori americani di inizio secolo, George Gershwin e Aaron
Copland.
All'inizio degli anni Novanta, Khorošev si
trasferì negli USA. Si guadagnò da vivere come lavapiatti e suonando l'organo
della chiesa; imparò l'inglese e si comprò la prima tastiera, armato della
quale si spostò a Boston. Qui conobbe musicisti di fama, e iniziò a suonare dal
vivo insieme a band sempre diverse. Conobbe, tra gli altri, Brad Delp della band dei
Boston, Beniamin Orr dei The Cars e Charlie
Farren dei The Joe Perry Project. Un incontro decisivo fu
quello con Carl Jacobson, che lavorava alla Cakewalk, la Software house produttrice
di programmi musicali, il quale assunse Khorošev con l'incarico si preparare
file MIDI e audio da includere nel pacchetto software Pro Audio 9. Caso
volle che nello stesso periodo anche Jon Anderson degli Yes stesse
collaborando con la Cakewalk.
Anderson ricevette alcuni nastri suonati
al piano da Khorošev e ne fu abbastanza impressionato, tanto da concedere al
giovane musicista russo un'audizione.
Khorošev iniziò a far parte della
"squadra" degli Yes nel periodo di Open Your Eyes (1997).
Pur non essendo un membro ufficiale del gruppo, suonò in diversi brani e
divenne il primo tastierista durante il successivo tour. Khorošev divenne
membro ufficiale degli Yes con l'album successivo, The Ladder (1999).
Nello stesso periodo lavorò anche all'album True You True Me di
Anderson e al proprio progetto, Piano Works, completato nel
2001.
Durante il tour promozionale di The
Ladder Khorošev fu accusato di molestie sessuali nel backstage ai
danni di due ragazze che lavoravano nella sicurezza e arrestato dalla polizia.
La notizia giunse fino al Washington Post. Gli altri membri degli Yes, in
attesa che le indagini appurassero la verità, comunicarono ufficialmente
ai media che il gruppo non avrebbe tollerato, da parte dei suoi membri,
alcun atto di violenza o discriminazione verso chiunque. Le accuse furono poi
ritirate, ma Khorošev abbandonò gli Yes o ne fu estromesso.
Dopo quei giorni Khoroshev sembra uscito
di scena... chi ne avesse notizie...
TREMENDOUS è il nome di una giovane band di Birmingham formata
da Mark Dudzinski (chitarra/voce), Ryan Jee (basso) e Dave Lee
(batteria).
Per la metà di maggio è prevista l’uscita
del loro album di esordio, "Relentless",anticipato da un paio di video che fanno riferimento
al progetto, e che presento a seguire.
Qualche curiosità sulla band, partendo
proprio dal nome che trova spunto dal tormentone creato dal comico americano/cubano
Joey Diaz, diventando slogan e brand del gruppo (https://www.youtube.com/watch?v=0aoCoIqO0nU).
I tre musicisti si incontrano nel
2011, ma iniziano a creare musica solo nel 2018, influenzati dal passato, quello
che riporta ai T. Rex, David Bowie, Slade, Mott The Hoople, The Sweet ecc., cioè
quello che nei seventies abbiamo imparato a chiamare “Glam Rock “che, tra Regno
Unito e grandi città statunitensi - New York e Detroit -, abbinava musica “dura”
ad un look curato e vistoso.
Quindi parliamo di una fotografia
sonora che dal passato ritorna ai giorni nostri, con un po' di giusta “ruvidità”
musicale mista a momenti delicati caratterizzati dalla melodia.
Anche i temi che propongono non
calcano la mano, presentando quella “leggerezza” che fugge dal sociale e dall’impegno
che ne deriva, preferendo ricercare la sollecitazione istintiva, quella che
colpisce la sfera meno razionale.
Ho ascoltato in anteprima "Relentless",
album dedicato ad un amico di Mark, il compianto Adrian Millar -
deceduto nel 2006 -, manager dei britannici The Babys e noto per il suo lavoro
con i Black Sabbath.
L'album, costituito da dieci tracce
(circa 27 minuti in totale), è stato registrato in vari studi tra Londra,
Birmingham e la Svezia, con un produttore importante come Gavin Monaghan (Kings
Of Leon, Robert Plant, Grace Jones).
Si parte con “Like Dreamers Do”
e tutti si chiarisce: lo sviluppo di una trama su cui predomina la melodia viene
inciso dal fraseggio solista della chitarra sapientemente utilizzata da Dudzinski,
e si materializza la colonna sonora di una scena adolescenziale che sa di
antico, perché i “dreamers” esistevano ieri come oggi… fortunatamente.
“Open For Closing” mette in
evidenza le qualità canore del leader, ma la coralità vocale riporta ancora
indietro nel tempo, con semplicità ed efficacia. In altra epoca sarebbe stata
sicuramente una hit!
L’inizio acustico di “Bag Of Nails”
può trarre in inganno… per pochi secondi, quelli che servono a liberare l’energia
e a dare un segnale di britpop che si spinge verso tempi musicalmente più
recenti.
“Rock n' Roll Satellite” è il brano più lungo dell’album e propone
una certa “durezza” che trova mitigazione nell’atmosfera sognante e rassicurante,
tipica canzone da “back to the past”.
“Daniela” fa presagire una ballad sdolcinata, ma è un
titolo che porta fuoristrada, perché in realtà siamo in pieno periodo punk… e
qui si mette in mostra la sezione ritmica formata da Jee e Lee.
“Take A Good Look At My Good” colpisce immediatamente per certe sonorità che
riportano la mente e il cuore alle trame di Lou Reed. E certe cose toccano e
fanno male!
“Heart Sinker” è il pezzo utilizzato come ultimo avvicinamento
al rilascio del disco, carico di ritmo e molto vicino al Bryan Adams anni ’90,
ma ci si può fare un’idea ascoltandolo direttamente: https://www.youtube.com/watch?v=Kn3o6phuRWQ
“Fightin' To Lose” è rock allo stato puro, ma gli aspetti vocali
indirizzano ad un modus espositivo molto “Green Day”, e garantiscono una certa
modernità.
“Hell Is Only A Blessing Away” mi suona come un’altra sicura hit, una di
quelle produzioni che tanto sarebbero piaciute al Bowie dei giorni migliori.
A conclusione la distopica “Copycat
Killer”, rock & roll molto più tradizionale e di immediato ricordo… probabilmente
un tormentone subito dopo il primo ascolto!
Un buon album di debutto per una band
che, partendo da elementi storici, inventa una certa freschezza, facendosi tramite
di quella voce giovanile che non si lascia condizionare dalla moda del momento,
ma preferisce creare e proporre ciò che più ama, non tenendo conto dei paletti
temporali che nel frattempo si sono issati.
"Relentless" uscirà il 15
maggio su tutte le piattaforme digitali.