mercoledì 29 dicembre 2021

Jade: il folk rock inglese dei seventies

Jade é stato un gruppo folk rock inglese fondato nel 1970 da Dave Waite & Marianne Segal che si esibiva come duo folk già dalla metà degli anni Sessanta.

Dave e Marian-1968

Negli Stati Uniti era conosciuto come Marianne Segal e Silver Jade ed era composto da Segal (compositore, voce, chitarra, percussioni), Waite (chitarra, banjo, basso e voce) e Rod Edwards (tastiere, basso e voce). 

Il loro album “Fly On Strangewings” (DJLPS 407) fu registrato nel marzo 1970, ai Trident Studios di Londra, prodotto da John Miller e progettato da Robin Cable per DJM Records.

Alla sua realizzazione contribuirono i seguenti musicisti: James Litherland - chitarra -, Pete Sears - basso, Michael Rosen - chitarra -, Clem Cattini - batteria -, Terry Cox - batteria -, Pete York - batteria -, Mick Waller - batteria -, Harry Reynolds - basso -, Phil Dennys - arrangiamenti archi.

L'album proponeva anche clavicembalo, violino e strumentazione per chitarra, combinati con armonie vocali maschili e femminili.

I Jade si sciolsero nell'autunno del 1971, riformandosi per una singola esibizione nel novembre 2004 per pubblicizzare la ristampa in CD del loro album.

Nella nuova versione di "Fly On Strangewings" sono comprese un paio di tracce bonus, registrate dopo che l'LP originale fu pubblicato nel 1970, e includono materiale inedito con John Wetton al basso.

Nel pantheon dei rari album folk rock dell'epoca d'oro del genere dei primi anni Settanta, “Fly On Strangewings” di Jade è un vero classico.

Ampiamente ignorato quando uscì, nel 1970, l'album è ora ampiamente acclamato, il che ha portato collezionisti e intenditori a considerare la principale cantante e compositrice di Jade, Marian Segal, come un talento eccessivamente trascurato.

“Fly On Strangewings” è successivamente riemerso in una edizione deluxe, un box set di tre CD, dove è raccontata la storia completa della carriera musicale di Marian Segal.

La nuova veste, compilata e annotata con il coinvolgimento di Marian, offre un secondo disco che contiene le prime registrazioni di Marian con il collega, membro di Jade, Dave Waite, mentre il terzo disco presenta la storia più aggiornata con le registrazioni sia soliste che della Marian Segal Band.

http://tyme-machine.blogspot.com/2010/03/jade-fly-on-strange-wings-uk-1970.html






martedì 28 dicembre 2021

MARIO BONANNO - “FENOMENOLOGIA DELL’ALTRO BATTIATO”


 

MARIO BONANNO - “FENOMENOLOGIA DELL’ALTRO BATTIATO”

COMPAGNIA NUOVE INDYE

 

Mi capita spesso di descrivere i progetti letterari di Mario Bonanno, specializzato nella perlustrazione dei sentieri che conducono alla canzone d’autore e a chi ha contribuito alla sua creazione e divulgazione.

Oggi tocca a “Fenomenologia dell’altro Battiato”.

Il pericolo per chi commenta, avendo in comune con lo scrittore passioni e “materia” trattata, è l’eccessiva personalizzazione, mentre sarebbe opportuno fare opera di sintesi e trovare elementi salienti in grado di incuriosire il potenziale lettore, dando risalto all’opera di ricerca o più semplicemente alla bellezza estetica del contenuto. Dipende dal contesto, non conosco una regola ferrea e indiscutibile.

Certo è che scrivere di Franco Battiato, “l’altro” Battiato, mi riporta alla mente aneddoti fondamentali della mia vita, uno in particolare che ho più volte esposto parlandone tra amici e che, a mio giudizio, rafforza l’immagine che Bonanno realizza e quindi non posso esimermi dal dare il mio piccolo contributo - anche fotografico - certo di restare in tema, giacché l’artista analizzato nel periodo dei “seventies” occupa grande spazio nella mente dello scrittore.

Dirò di più. A chi ha avuto l'opportunità di vedere l’ultimo Battiato - quello da teatro nobile, da orchestra sinfonica, dal profumo aulico, quello seduto per gran parte di concerto su di un tappeto rosso (il mio riferimento è la performance del Carlo Felice di Genova, 13 febbraio 2013) - non sarà sfuggito l’attimo liberatorio palese per gran parte del pubblico (non sono certo per Franco!), in cui esplodeva la voglia di passato, un percorso che dagli anni ’70 arrivava al decennio successivo, piccolo spazio temporale capace di racchiudere molteplici vite musicali.

Ma, come anticipato, sono spinto a tornare ancora indietro, ai miei diciotto anni appena compiuti.

Luglio 1974. Partecipo ad un festival di due giorni in pieno stile Woodstock, uno di quei momenti comuni all’epoca, come spiega l’autore a più riprese.

Ci si aggira nel campo tra le band: Circus 2000, Il Balletto di Bronzo, Alan Sorrenti…

Due giornate dure per me, e tiro un sospiro di sollievo quando al calar del sipario della manifestazione arrivano i miei genitori per riportarmi a casa.

È quello il momento in cui un artista di cui conoscevo solo il nome attraverso le pagine di Ciao 2001 - Battiato appunto - chiude la kermesse.

Mentre imbocco il sentiero del ritorno gli passo accanto e percepisco qualcosa di inascoltabile, per me, in quel momento della mia esistenza.

“Rumori” impossibili, sonorità distorte, atmosfere da fantascienza, mentre il Battiato antico resta chinato sul suo attrezzo del mestiere e non si cura di cosa accade attorno a lui.

Archivi Fotobella Micalizzi - Festival di Altare - 1974

Mi aggancio al book riprendendone alcuni tratti:

Il sintetizzatore aveva un nome da film di fantascienza, VCS 3. Franco Battiato se ne era portato uno dall’Inghilterra. All’inizio della sua fase sperimentale ne era come posseduto, ne dipendeva al punto da farne uso smodato, come si dice. Non c’era raduno pop che non lo vedesse all’opera - da solo o in gruppo - con i suoi suoni pre-mistici e ultra-sintetici. Duravano minuti. Diversi minuti a insistere, talvolta su una nota sola.

Tra il pubblico dei concerti di Battiato, c’era chi gli lanciava contro i canonici pomodori e c’era chi invece si sforzava di capire, di coglierne il messaggio dietro la provocazione. A conti fatti nessuno avrebbe però immaginato l’escalation di cui quel giovane capelluto dall’aria impassibile e il look vagamente beat, si sarebbe reso protagonista di lì a poco, diventando il re-mida della pop music made in Italy, ma nessuno ancora ci avrebbe scommesso una lira”.

Mario Bonanno ci racconta Franco Battiato attraverso alcune significative interviste che lo vedono protagonista (partendo da quella di Gianni Minà del 1997 sino ad arrivare a quella realizzata in proprio nel 2002), che si allargano nelle direzioni di alcuni collaboratori - Filippo Destrieri, Gianfranco D’Adda - con l’analisi di alcuni testi significativi e di album specifici e uno spazio conclusivo dedicato alla discografia/bibliografia/filmografia, nonché una playlist di Spotify ascoltabile scansionando il QRCode presente.

Ho trovato il libro un arricchimento personale, anche se l’immagine globale che fuoriesce è quella che avevo già sviluppato e consolidato nel tempo.

Ma la ricerca di Bonanno percorre strade solitamente poco battute, attraverso un modus tipico dell’autore, che privilegia intersecare storie e oggettività agli accadimenti generazionali, indagando i fenomeni culturali e gli attori che li hanno promossi.

Proviamo a divertirci utilizzando simboli e accostamenti affascinanti:

Fenomenologia dell’altro Battiato” può essere vissuto come un concerto, durante il quale viene messo in scena il sunto di una vita, una intera evoluzione raccontata attraverso canzoni e momenti storici. Seguendo le indicazioni di Bonanno, ognuno potrà scegliere, interpretare, giudicare, e non sarà obbligatorio far parte dello zoccolo duro - quello dei fan irriducibili - per arrivare a graduatorie universali.

Battiato è seduto, quasi immobile, con le sole mani ad accompagnarsi, guidando un ensemble musicale di primo ordine, dove gli strumenti tradizionali si sommano ad un quartetto d’archi, e dove le tastiere interagiscono con gli ordinatori.

Il tappeto orientale su cui è seduto contribuisce a illuminare il dettaglio, un uomo saggio che entra in piena sintonia col pubblico e cerca di trasmettere i suoi valori, il suo credo, e qualche spiegazione a tutto ciò che trascende. È un lungo momento di intimità, e creare un magico e silenzioso attimo di estrema sintonia, di corrispondenza totale, appare fatto difficilmente spiegabile con le sole parole.

Sembra quasi inchiodato nella sua posizione meditativa mentre sullo sfondo scorrono immagini suggestive.

E poi arriva il cambio di passo, né meglio né peggio, solamente un’altra cosa. Battiato si alza e si avvicina al suo pubblico ballando e toccando ogni mano possibile, suscita entusiasmo, e l’austerità perde la razionalità, mentre passano uno dopo l’altro “Bandiera Bianca”, “Up Patriots to Arms”, “L’era del cinghiale bianco”, “Voglio vederti Danzare”, “Cuccurucucu”, dopo che anche “La Cura” e “La stagione dell’amore” hanno colpito mente e cuore.

Ma non basta, occorre tornare ancora più indietro, ed ecco che arriva il medley anni ’70, tanto desiderato dai fan più antichi, e quei suoni dichiarati un tempo ostici diventano ora largamente comprensibili.

Emerge così la figura di Franco Battiato, mistica e… terribilmente terrena, materia e spirito, preghiera e rivoluzione. 

Sono certo che Mario Bonanno non sarà dispiaciuto del piccolo video - ahimè, di scarsa qualità - che propongo a seguire, paradigma dell'opera di un artista unico e irripetibile. 





lunedì 27 dicembre 2021

The Trip - live @ 2DaysProg+1Festival 2021 (Revislate Veruno)

Questa è l'esibizione dell'intero show che si è svolto il 4 settembre 2021 al 2daysprog+1festival di Revislate, Veruno.

La band ha eseguito integralmente il nuovo album "Caronte 50 Years Later" ovvero lo storico album del ‘71 risuonato dall'attuale formazione.

Oltre a Pino Sinnone (storico batterista e leader della band), troviamo Andrea Ranfa (voce), Carmine Capasso (voce, chitarre, theremin), Tony Alemanno (basso e cori), Dave D'Avino (hammond, piano, cori), nei due brani di chiusura abbiamo Kri Sinnone (figlio di Pino) alla batteria come special guest.

La band ha aperto le tre giornate di festival nell'orario più caldo della giornata!

Mix e master dell'audio è stato effettuato da Carmine Capasso, così come l'editing del video, presso il CA Studio di Cusano Milanino (MI) mentre il montaggio video è stato gentilmente offerto dallo staff di Veruno is prog.

È stato questo l'ultimo show con Dave D'Avino alle tastiere. Oggi la formazione vede ricoprire questo ruolo da Sep Sarno (discepolo, tra l'altro, di Vittorio Nocenzi del Banco).



Setlist: 

00:00 Acheronte 

01:47 Caronte I

08:33 Two Brothers 

15:00 Little Janie 

19:50 L'Ultima ora e Ode a Jimi Hendrix 

31:00 Caronte II 

34:46 Presentazione della band 

40:12 Una Pietra Colorata 

44:03 Fantasia

47:42 Saluti finali




giovedì 23 dicembre 2021

Alisha Sufit, voce e chitarra dei Magic Carpet

 

Alisha Sufit, nata nel 1946 - ad Hampstead, Londra - è una cantautrice inglese che ha iniziato il suo percorso musicale nel 1970 come membro dei Magic Carpet, la cui storia ho sintetizzato in un precedente articolo, fruibile cliccando sul seguente link:

https://athosenrile.blogspot.com/2021/12/magic-carpet-il-tappeto-magico-vola.html

Alisha frequenta la Arts Educational School di Londra, dove studia danza e recitazione. Successivamente frequenta il corso di pittura e incisione al Chelsea College of Art di Londra e poi all'École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi, dopodiché inizia ad esibirsi in club e college in tutto il Regno Unito, cantando le sue composizioni in aggiunta a canzoni popolari tradizionali, accompagnandosi con la chitarra acustica e il dulcimer degli Appalachi. Sarà anche artista visiva, autrice e poetessa.

Ma come arriva nei Magic Carpet?

Nel 1971, Alisha si unisce all'ex compagno di studi della Chelsea School of Art Jim Moyes e a due amici musicisti e dà vita alla band che diventerà di culto nell’ambito della psichedelia folk.

La formazione era composta da Alisha Sufit (voce, chitarra), Clem Alford (sitar, esraj, tamboura), Jim Moyes (chitarra) e Keshav Sathe tabla, percussioni indiane.

Realizzarono un album, omonimo, pubblicato nel 1972 dall'etichetta UK Mushroom, descritto come uno dei primi album folk psichedelici dell’epoca influenzati dalla cultura indiana.

Dopo qualche live e alcuni importanti passaggi in radio, il gruppo si sciolse, nel 1972.

Durante tutti gli anni Settanta e Ottanta la Sufit si è esibita come solista ed è stata anche artista di supporto di numerosi musicisti, tra cui The Enid, Fairport Convention, Terry Reid, il chitarrista Davey Graham e The Incredible String Band.

Circa quindici anni dopo la sua uscita, l'album “Magic Carpet” iniziò a ricevere consensi, e l'LP originale è ora un pezzo da collezione ricercato sul mercato internazionale del vinile, anche se è stato ristampato su CD e vinile in edizione limitata dalla Magic Carpet Records.

Nel 1993, Alisha Sufit ha pubblicato l'album “Alisha Through the Looking Glass”, su CD e vinile audiofilo EMI. L'album include contributi di Ray Warleigh (sassofono), Bernard O'Neill (basso), il percussionista dei Magic Carpet Keshav Sathe (tabla), Mamadi Kamara (congas e percussioni), Chris Haigh (violino) e Alan Dunn (fisarmonica).

Nel 1994, esce il suo album “Love and the Maiden, registrato nel 1974, un CD autografato, in edizione limitata, con note di copertina del chitarrista britannico Davey Graham.

Nel 1996, il sitarista dei Magic Carpet Clem Alford e la Sufit collaborano nuovamente per registrare l'album “Once Moor”, sottotitolato “Magic Carpet II”. 

Nel 1999, ha contribuito con due tracce alla compilation “Women of Heart and Mind”, una unione di cantautrici donne, e nel 2005 è stata inclusa nella compilation in CD e vinile “Many Bright Things”, contribuendo con la sua composizione "Silver Witch", accompagnata al mandolino e al basso da Frank Defina.

Nel 2008 è stata invitata a unirsi dal vivo alla band The Amorphous Androgynous, in tour per il festival gratuito Creation of Peace a Kazan, in Tatarstan, e per una performance a Mosca, a cui sono seguite nell’anno successivo date a Kiev, al Green Man Festival, al The Electric Picnic e al HMV Forum di Londra.

Alisha è anche autrice del romanzo intitolato “Falling Upwards”, e di una raccolta di poesie intitolata “Moon Clippings”.

Nel 2015 ha contribuito al CD contro la guerra “Not In Our Name” con una canzone intitolata "Mr Blair" e una poesia intitolata "Bliar", quest'ultima letta da David Erdos.

 

Discografia

Album

Magic Carpet – 1972 and 1993

Love and the Maiden – 1974

Alisha Through The Looking Glass – 1993

Once Moor – Magic Carpet 2 – 1996

Not in Our Name CD – 2015

Compilations, contributions

Women of Heart and Mind

Many Bright Things – 2005

A Monstrous Psychedelic Bubble Exploding in Your Mind, Volume 1 – 2008

Falling Down (voce) Amorphous Androgynous remix commissionato dagli Oasis

Let It Be Revisited / Let It Be – 2010

https://www.youtube.com/user/SufitMusic

 

giovedì 16 dicembre 2021

Bobbie Watson, una vocalist per i COMUS

 


Nei giorni scorsi ho raccontato un po’ di vicende legate ad una band leggendaria, i COMUS:

https://athosenrile.blogspot.com/2021/11/comus-un-po-di-storia-di-una-band.html

Nel racconto emerge, ma non troppo, il nome di Bobbie Watson, che nei loro album, pochi, appare sempre come cantante e percussionista.

Sono andato alla ricerca di qualche informazione supplementare, trovata nel sito di riferimento della band.

Bobbie Watson lascia la scuola rapidamente, speranzosa di creare una vita piena di esperienze eccitanti.

Nello spazio di due mesi si trasferisce prima a Londra e, successivamente, in una casa a Beckenham, nel Kent, dove vivevano Roger, Glenn ed Edi, suoi futuri compagni nei COMUS.

La musica all’interno della casa è una costante - sia sul giradischi che attraverso gli strumenti presenti - poiché i Comus erano già una realtà.

Il contingente rastafariano era regolarmente in visita in quella casa, e tra gli incontri musicalmente interessanti si segnalano quello di Mike Rose - che poi si unirà al gruppo come flautista - e quello del leggendario trombonista Rico.

Viste attraverso una fitta nebbia di fumo "a base di erbe", queste scene risultavano strane, incredibili, soddisfacenti ed eccitanti per una ragazza che aveva appena compiuto sedici anni!

Per tre anni Bobbie vive con i Comus, fino alla scissione finale della band avvenuta nel 1972. Essendo giovane e ingenua, e non avendo una vera idea di come andare avanti nella musica, indirizza i suoi interessi altrove, coltivando la sua la capacità di disegnare e l'amore per la moda.

Inizia quindi il suo studio al Ravensbourne College of Art and Design, dove consegue una laurea in Moda e Tessuti, nel 1976. Rimane nel settore, lavorando prima come designer e poi come illustratrice freelance di moda, realizzando editoriali per riviste nazionali e per la pubblicità.

Intorno al 1978 lavora per un breve periodo in uno studio di animazione, prima che i computer prendessero il sopravvento. Lavora in alcuni film: "The Wall" dei Pink Floyd, dove si occupa di effetti speciali, e "Yellow Submarine Sandwich", di Terry Gilliam, una parodia di "Yellow Submarine" dei Beatles.

Nel 1981 si trasferisce da Londra all'Oxfordshire, dove trascorre del tempo a perfezionare le tecniche illustrative e a scattare fotografie, influenzata dal nuovo ambiente.

Ma il suo sogno ad occhi aperti è quello di far parte di un coro per i grandi musicisti del momento.


Decide di avviare una piccola impresa realizzando abiti da sposa e da palcoscenico e attraverso questa attività arriva l’incontro della sua rinascita musicale, quello con Gill Allcock, moglie di Maartin Allcock dei Fairport Convention.

Nel 1992 Bobbie e Gill fondano una band, le Nice Girls Don't Explode, esibendosi in club folk e festival, proponendo un po’ di folk tradizionale e arrangiamenti a cappella delle loro canzoni preferite scelte tra una vasta gamma di artisti.

Le Nice Girls attraversano diverse incarnazioni prima di separarsi nel 1998, ma l’esperienza serve alla Watson per farle tornare la voglia di cantare ed esibirsi.

Si dedica quindi a regalare a gruppi di amici le sue performance e inizia a frequentare il jazz club locale, dove impara ed esegue molti standard jazz, iniziando anche a suonare la chitarra.

Lavorando nel negozio di musica locale, nel gennaio 1999, re-incontra Jon Seagroatt, la cui band di allora, i pionieri dell'ambient B So Global, erano alla ricerca di una cantante donna.

Inizia così una vita totalmente nuova. Incoraggiata e gratificata da Jon, inizia a scrivere canzoni a quattro mani e, anche per questo motivo, i B So global si trasformano in Drift, che sono stati descritti come band "ambient electro funk".

Scrivere canzoni era qualcosa che Bobbie aveva sempre voluto fare, ma non pensava di averne la capacità, e la rivelazione inaspettata fornisce uno scatto alla sua vita creativa.

La Watson e Seagroatt si sposano nel 2003.

In questo periodo Bobbie inizia a tenere lezioni part-time sul corso di moda presso il college locale - ottenendo due abilitazioni all'insegnamento - e seguendo corsi specialistici al London College of Fashion.

Continua a insegnare localmente e, episodicamente, in altre Università (De Montfort University e più recentemente all'Università di Northampton).

Dopo alcuni anni di buona accoglienza, ma priva di tour, la motivazione dei Drift si esaurisce e viene reclutata una sezione ritmica (basso e batteria) che permette di formare i Colins of Paradise, con i quali Bobbie e Jon si propongono ancor oggi.

Bobbie ha ancora molte ambizioni, sia a livello “scolastico” (sogna un dottorato di ricerca) che musicale (cantare con un'orchestra di 50 elementi alla Frank Sinatra) e artistico (una mostra dei suoi disegni / dipinti e fotografie), ma il suo obiettivo principale è quello di… riportare indietro le lancette del tempo, magari avere un’altra vita per fare tutto quello che resta, figli compresi!


https://www.facebook.com/bobbiewatsonmusic/

https://comusmusic.co.uk/





martedì 14 dicembre 2021

Francesco Paolo Paladino-"BARENE & OTHER WORKS”

 

Puntualmente mi ritrovo tra le mani un nuovo lavoro di Francesco Paolo Paladino e … inizia il rito. Lo spacchettamento in genere rappresenta per me una importante anticipazione, i segnali di una potenziale gioia in arrivo, una contenuta eccitazione che nasce proprio con gli aspetti visivi e con il contatto fisico con ciò che di lì a breve potrebbe trasformarsi in piacere, conoscenza, abbandono, riflessione.

Il ragionamento va elevato all’ennesima potenza quando il mittente è Paladino, che mi regala sempre grandi soddisfazioni che superano l’elemento musicale e che allietò il mio primo lockdown con il suo “DE MUSICA ET IN FUNGORUM EFFECTS, un progetto che dovrebbe di diritto entrare nella storia delle creazioni artistiche.

Le sue opere fuggono dall’ortodossia e non si prestano al grande palco e al pubblico esteso. I collage che realizza nascono in “laboratorio” perché, come lui sottolinea, “… è un compositore e non un musicista. Il compositore di solito scrive la sua musica e un musicista la esegue. Quindi tutto avviene in differita, di solito”.

Anche in questo caso il contenitore è originale, minimalista e al contempo elegante e ricercato: questione di stile!

E arriviamo al nuovo che avanza, “BARENE & OTHER WORKS”, otto episodi musicali, otto immagini di Maria Assunta Karini… commenti sonori che chiudono una storia visual o semplicemente la affiancano.

Conosco bene l’argomento che ho affrontato in prima persona una decina di anni fa.

Ogni percorso ha una sua unicità e quando il risultato ci appare comparabile commettiamo un errore, quantomeno tiriamo conclusioni superficiali.

“Barene”, mi conduce ad un concetto apparentemente scontato che sintetizzo con la seguente chiosa: “da creazioni nascono creazioni, affermazione di per sé banale, ma non chiara a chi subisce i lavori artistici piuttosto che cercare di comprenderli, magari diventando protagonista attraverso l’interazione con l’autore.

Un'altra considerazione minima a cui mi spinge “Barene” è l’idealizzazione della fase creativa, che mi piace porre su di una linea retta ma che può avere verso opposto: esiste un sentiero che produce temi sonori incentivati dalle immagini, ma la stessa strada può essere percorsa al contrario, con la musica che stimola una qualsiasi arte visiva: il risultato potrebbe apparire uguale ma il punto di accensione cambia totalmente.

Mi sono chiesto se fosse corretto proporre al lettore soltanto il mio sentimento da ascolto/visione ma i lavori di Paladino & friends richiedono la versione oggettiva dei fatti e credo che l’intervista a seguire potrà essere utile per entrare nelle pieghe di un progetto come sempre innovativo.

Ho nella testa una citazione, anche se non ne ricordo la fonte, ma la voglio incollare al lavoro di Francesco Paolo Paladino: “Progressione, non perfezione…”.

La progressione professionale dell’autore porta quindi ad un abbinamento tra immagini e suoni che gira attorno al numero “otto”, cifra che, se ruotata di novanta gradi, produce il simbolo dell’infinito, concetto matematico e filosofico che riporta a ciò che non può avere una conclusione, proprio perché non ha una fine.

Tutto torna in modo ciclico, tutto si ripete mentre il nostro ruolo passa da quello di “protagonista” a quello di “spettatore” e viceversa, e Paladino cattura questo stato con episodi sonori che possono avere modalità di fruizione differenti: dal tradizionale ascolto della traccia al provare ad afferrare la connessione esistente tra la stessa e la fotografia, che è poi lo stesso soggetto ripreso da angolature differenti, ritagliato nei particolari che sono pronti per la libera interpretazione.

Io ho provato i due approcci, che sono entrambi soddisfacenti, ma che non possono prescindere dal luogo e dal momento, perché occorre avere a disposizione un ambiente che favorisca attenzione e concentrazione, uno status che permetta di aprire la mente e cercare di captare gli intenti autoriali, le sfumature, la voglia di sperimentare, di cercare strade espressive originali e alternative, il che non mi pare una forzatura da esercizio intellettuale, ma una rappresentazione del proprio concetto di arte.

Va da sé che non vedremo mai Paladino su di un grande palco - di quelli che scatenano i fan del rock, tanto per dire - ma sono da privilegiare i contesti protetti, un po’ di nicchia, adatti a chi non si accontenta dell’ovvio e cerca il bello delle avventure artistiche.

I tempi cambiano, e bisogna tenerne conto, sottolineando che il Battiato sperimentale che vidi nei primi seventies, incompreso e bistrattato, riusciva ad affrontare le situazioni più avverse senza considerare il contesto, complice probabilmente la giovane età.

L’accostamento col Battiato sperimentale nasce spontaneo, favorito in primis dalla conoscenza comune con un musicista molto spirituale che è Juri Camisasca, un tramite più o meno volontario tra Franco e Francesco; la sintesi di questa mia idea prende corpo nel drammatico loop dell’ultima traccia, “Covid Angels”, perfetta colonna sonora dell’angoscia tutt’ora caratterizzante delle nostre vite.

Ma ogni periodo diventa viaggio introspettivo, dalle due lunghe versioni di “Kids Fountain’s” (oltre trenta minuti il totale), al tributo quasi aulico “To Nico”, sino alla lettura delle diverse “Barene” (“Punta della salute”, “La subsidenza”, “Eustatismo” e “Il ghesi”).

I mari e la terra quasi contrapposti, uniti e antagonisti, amati e ripudiati.

Così l’elemento geografico avvolge la musica e le immagini di Francesco e Maria Assunta, con l'ausilio dei soli noti e fidati, nomi e situazioni che emergono nello scambio di battute nato con Paladino.

L'ascolto e la visione di “Barene” hanno rappresentato per me una catarsi, un rito magico, una purificazione che ha espulso le mie tante contaminazioni negative, almeno per un lungo momento, fortunatamente ripetibile, e invito il lettore/acquisitore a non perdere l'occasione di vivere al meglio, in toto, la bellezza estetica e materiale di un lavoro così raffinato.

Consigliabile vivamente, certamente, ma non certo per tutti.

Ma tutto questo, Francesco Paolo Paladino, lo sapeva già!


Mi sono ritrovato tra le mani il tuo nuovo progetto senza avere informazioni oggettive, iniziamo quindi dalla descrizione del tuo nuovo lavoro, partendo dagli aspetti visivi, ovvero le immagini di Maria Assunta Karini.

Maria Assunta Karini da anni si occupa d’illustrare attraverso la sua arte fotografica, ma forse sarebbe meglio dire la sua idea di immagine, la mia musica. Ed è meraviglioso vedere realizzarsi questa energetica simbiosi. Forse è davvero una magia che ogni volta puntualmente si ricrea. Questa volta però il procedimento è stato diverso dal solito. Maria Assunta aveva bisogno di musiche per le sue esposizioni e così sono nate le composizioni di questo cd. Ho lavorato libero, tuttavia, dai soliti vincoli tematici; non so come ma tutto è nato nella più completa libertà di espressione. A ben riflettere ciò è stato possibile perché ho lavorato su di un “concetto” di lavoro artistico e non su di un lavoro artistico fatto e finito. Secondo me questo è stato un bene: in questo modo sia le opere di Maria Assunta sia le mie musiche hanno assunto un’identità più precisa, una possibile indipendenza che fa bene a tutti e due.

Scindiamo il titolo: a cosa fa riferimento “Barene” e quali sono gli “Others Work”?

“Barene” sarà la prossima esposizione di Maria Assunta; insieme abbiamo più volte fantasticato sulle così dette “isole fluttuanti”. Io addirittura le ho viste sul lago Titicaca al confine tra la Bolivia e il Perù. Si trattava di isole costruite dalla popolazione Uros con una sorta di bambù locale che si chiama tòtora. Isole che nascevano e poi assumevano una loro identità precisa, vivevano per un certo tempo e poi si scioglievano. Le Barene si trovano invece nelle prossimità di Venezia e a seconda della marea emergono o vengono inghiottite dai flutti.  Sono entrambi non-luoghi dominati dalla natura. Abbiamo voluto evocare questi non-luoghi dove potrebbe risiedere la fantasia, la creatività che oggi, nella nostra civiltà, non ha più una sede dignitosa.

Gli “altri lavori” sono musiche per fontane di montagna, dove scorre l’acqua più fredda e più pura. Pensa che l’istallazione di Karini ricomprendeva anche un libro di foto antiche del locale collegio abbandonato. A pochi giorni dall’inaugurazione il libro scomparve per poi riapparire dopo mesi. Anche questi fatti sono utili a comprendere quanto possiamo noi guidare gli eventi e quanto siamo invece guidati da essi.

Come si snoda il commento musicale?

Il “commento musicale” come tu lo chiami (e come piace anche a me definirlo) si snoda con un andare ciclico, come se i fatti del mondo si ripetessero magari un poco variati, ma fossero simili a quelli avvenuti precedentemente; come se ci fosse concessa la possibilità di comprenderli ed eventualmente di mutarli. In questa ciclicità esistono momenti irripetibili, unici che si avvinghiano a noi e ai nostri ricordi. La musica di queste opere ha questa caratteristica. Non vuole spiegare nulla ma stimolare una spiegazione. Una comprensibilità.

Otto immagini e otto frazioni sonore: mi chiarisci il collegamento? Mi spiego meglio, la sollecitazione che arriva dalla visione delle immagini coinvolge solo te - che poi trasferisci e coinvolgi terzi - o il percorso creativo è in comune col tuo team?

Non ci avevo mai pensato! Ma probabilmente è proprio come tu hai intuito. La matematica regala armonia alle cose del mondo e probabilmente l’ha regalata inconsciamente anche al mio progetto. Tra l’altro otto è il numero dell’infinito… sono le spiegazioni subliminali che affiorano, come le barene, quando meno te l’aspetti… Pertanto, le otto immagini hanno una loro ragione ma non avevo pensato alla loro logica che tu hai invece fatto affiorare. In ogni caso non corrisponde l’immagine ad un brano preciso; tutte insieme emanano un “mood” che introduce o accompagna i suoni. E anche il contrario: musiche ed immagini compiono un percorso paritario, che non avrei forse mai affrontato da solo senza quelle incredibili visioni fotografiche.

Per quanto riguarda il “coinvolgimento” degli artisti che suonano nel cd, è un po’ un rito: ogni volta trascino i musicisti che credono in me in nuove avventure sonore; di solito una volta ricevuti i loro contributi (spesso delle texture pure e semplici) procedo al mio lavoro di costruzione di architetture sonore senza coinvolgerli più. Conosceranno il risultato alla fine. E molte volte restano stupiti di cosa è accaduto al loro supporto! È come se dalla musica facessi nascere altra musica che prima non esisteva. È un tipo di lavoro che mi piace tantissimo, anche se ultimamente nel periodo del lockdown ho lavorato spesso da solo al piano virtuale e ho iniziato a lavorare a dei nuovi progetti dove c’è anche la mia esecuzione musicale (e i testi di Luca Ferrari).

Chi partecipa al progetto e come hai scelto i vari “friends”?

Ho un nucleo di amici veri che mi apprezzano e mi stimano; magari mi viene in mente un nuovo lavoro e mi domando: “Chi potrebbe aiutarmi e al contempo trovare soddisfazione a partecipare a questo progetto?”. Come se stessi facendo il casting di un film. Altre volte mi trovo con texture che non avevo utilizzato prima e che magicamente si adattano al nuovo lavoro. La scelta, quindi, è tutto fuorché casuale; non saprei dirti come nasce “l’attrazione fatale”, ma a un certo punto mi rendo conto che serve proprio quella declinazione artistica e faccio di tutto perché si possa realizzare. Il Trio Cavalazzi, Riccardo Sinigaglia, Mauro Sambo, Paolo Tofani, Luca Ferrari ad esempio, ma è solo un esempio, sono tra le dinamiche musicali che più amo per le mie avventure. Ma certe volte per quel particolare momento musicale occorre l’aiuto di chi mai ha partecipato alla mia tavolozza. E allora ci provo a intessere nuovi contatti, molte volte ci riesco e la mia soddisfazione s’ingigantisce.

È questo un lavoro realizzato a distanza, sfruttando la tecnologia, o ci sono parti create in “presenza”, almeno di alcuni protagonisti?

Leggo tra le righe della tua domanda una certa diffidenza, peraltro assolutamente legittima, per le creazioni “in vitro”, che “sfruttano” la tecnologia etc. etc.  Ti chiedo però di porti in una prospettiva un poco diversa da quella tradizionale. Per rispondere secco alla tua domanda dovrei limitarmi a dire che la mia musica non è creata in presenza. Ma vado un poco oltre, scusandomi in anticipo se quanto segue fosse “ultra petita”, nel qual caso cancella pure quanto segue. Io sono un compositore e non un musicista. Il compositore di solito scrive la sua musica e un musicista la esegue. Quindi tutto avviene “in differita” di solito.  Il mio particolare modo di essere compositore parte dal lavorare texture, suoni e ritmi che mi mandano i miei amici musicisti. Quello che ricevo, io lo seleziono, lo taglio, ritaglio, ne faccio dei loop, insomma lo “lavoro”, fino a che non si crea qualcosa di nuovo. Ecco spiegato. Pertanto, posso aggiungere che lavorando così la composizione diventa addirittura “già suonata” quando è finita la sua composizione. Non saprei spiegarmi meglio. Ma ti rassicuro che nelle prossime avventure affronterò musica composta De eseguita da me.

Come si lega tutto questo con i tuoi lavori pregressi?

“Barene & other works” rappresenta -se me lo passi- la mia maturità compositiva; ciò non vuol dire che non mi diverto più, anzi mi diverto ancora più di prima perché sono molto più rilassato a realizzare questo tipo di proposte. Poi, in questa nuova avventura sono stato aiutato soprattutto da Giuliano Palmieri e Tiziano Popoli, due colossi che hanno rappresentato per me la via per esprimermi nel migliore dei modi. Pertanto, l’avventura nata con “Ariae” nel 2016 raggiunge oggi, sempre secondo il mio parere, la messa a fuoco definitiva. Ecco perché ho già impostato nuove avventure in nuove dimensioni compositive ben diverse da queste: tutta la mia vita artistica è stata impostata sull’osare. E non posso fermarmi ora. Non è presunzione: è maledizione. Non mi sono mai accontentato e probabilmente non mi accontenterò mai. C’è ancora un universo da scoprire e io, nel relativamente poco tempo che ho ancora a disposizione, provo a raggiungere qualche centimetro di qualche sconosciuto ambito…

Può essere questa una base per lavori futuri?

A scuola mi insegnavano: “la storia non si ripete”. Oppure “mai tornare indietro”. Non so se è veramente così. Di fatto io riparto sempre da dove sono arrivato per scalare nuove montagne. Non rinnego nulla della mia vita artistica. Anzi ho dei rimpianti per non aver realizzato tutte le idee che mi sono passate per la testa. A volte proprio non ci riesci a realizzarle tutte. A volte ci sono idee “maledette” che comunque ti attrezzi non si realizzeranno mai. La ripartenza per me non è mai stata un problema. Non ho mai avuto periodi di “vuoto” compositivo. Certe volte sono passato dalla telecamera, dai film alla musica o viceversa ma la vena creativa non si è mai seccata. E spero non mi abbandoni ora!

La tua musica è apparentemente complessa e difficilmente potrebbe incontrare i palchi tradizionali ma, a mio giudizio, dovrebbe trovare spazio in luoghi deputati alle performance di nicchia basate sulla qualità: fa parte dei tuoi desideri proporre dal vivo “Barene…”?

Sono perfettamente d’accordo con te. Ho fatto poche ma gratificanti interventi musicali dal vivo a livello di installazione in gallerie d’arte, con le immagini di Maria Assunta Karini. Pertanto, non mi interessa l’ambito del concerto live, non sarei capace! Mi interessa invece la dimensione più tranquillizzante di una esposizione musicale, di una sonorizzazione. È già avvenuto in passato e spero possa avvenire nuovamente nel futuro!

 



sabato 11 dicembre 2021

Gilli Smyth: un' intervista di Darrell Jónsson (del 2007) per scoprire il mondo della regina dei GONG

 


Quella che ho tradotto a seguire è una interessante intervista realizzata da Darrell Jónsson con Gilli Smyth, il cui nome è indissolubilmente legato alla “famiglia GONG”.

La Smith ci ha lasciato all’età di 83 anni, nel 2016, mentre la testimonianza di Jónsson è del 2007, comunque un buon momento per tracciare il bilancio di una vita.

Di lei ho delineato un po' di storia fruibile a questo link:

https://athosenrile.blogspot.com/2021/11/un-po-di-storia-e-musica-di-gilli-smith.html

 Il giornalista introduce così l’argomento…

Ascoltando “Mother Gong”, del 2006, si può ancora catturare la singolare magia che Gilli Smyth portò nei Gong oltre quarant'anni fa, con una voce femminile profonda, che a posteriori si potrebbe definire come quasi necessaria al rock progressivo. Nel corso dei decenni ha continuato a fare tour e registrare con varie incarnazioni dei Gong, Mother Gong e altri ensamble visionari e ha pubblicato diversi libri di poesie.

Nel 1994 Smyth mise da parte poesia e musica abbastanza a lungo, tanto da scrivere un saggio storico che portò ad un libro, “Gong; Politico Historico Spirito”.

Anche se alla fine del suo libro irrompe in una performance in rima, intitolata "We Who Were Raging in the late 60s and early 70s", l'effetto va ben oltre quello dello sproloquio.

Invece di rielaborare la nostalgia Smyth dettaglia le ispirazioni e gli effetti del modus operandi dei Gong, riflettendo attentamente sugli eventi e sulle realtà alternative di quei tempi. La sua storia essenziale del viaggio nei Gong è destinata a piacere a coloro che hanno cavalcato o stanno continuando a cavalcare mari spirituali, artistici e politici simili a quelli di Gilli.

Nell'intervista che segue, come avviene nella sua scrittura e nella musica, Gilli Smyth non si sforza di essere alla moda ma denota una ricerca continua, sincera e riflessiva. Attraverso i tumulti del 20° secolo e di quello attuale, racconta la sopravvivenza, la speranza e gli incantesimi della poesia, della psichedelia e del jazz dei Gong.

 


Nel tuo libro “Politico, Historico, Spirito” citi Daevid Allen dicendo che per te i Gong non fanno parte di un tempo passato, ma sono qualcosa creato originariamente come veicolo per nuove idee, che erano in anticipo sui tempi. Riesci a vedere alcune di queste idee riflesse nella musica e nella cultura attuali?

Per me l'aspetto interessante di tutto questo è politico. C'è stata una sorta di apertura nel cielo nel 1968 con la rivoluzione in Francia, ripresa dalle proteste contro il Vietnam negli Stati Uniti, dai diritti civili, ecc. E ora, dopo un paio di decenni di eccessivo consumismo, le persone stanno tornando alle idee di condivisione, di non consumismo per il bene del pianeta, alla convinzione che la musica, la poesia, l'arte, siano molto più appaganti, non solo per una nicchia di anime, ma per tutti. Questa è davvero "la grande condivisione". All’epoca vivevamo in comuni, questa era ed é l’idea comunitaria. Ora sto lavorando alla Parte 2 di "Historico Politico" che sarà la storia dell'Uncon di Amsterdam (Gong's 2006 'Unconventional Gathering' – Ndr) e di come si relaziona con le idee della controcultura negli anni '60 e '70. La ruota gira, il mondo è in continua evoluzione e ci saranno cambiamenti ben oltre ciò che avremmo potuto immaginare.

Quante di queste idee sono il frutto della tua collaborazione, conoscenza e amicizia con musicisti non rock, come Don Cherry e Julian Beck?

Don Cherry in particolare era una persona molto devota e ha trascorso i suoi ultimi anni suonando musica nelle scuole invece di fare la superstar. Ha suonato con noi nei primi Gong, nel 1968, e al Museum of Modern art di Stoccolma, dove ha vissuto. In occasione della “fuga” da Parigi, quando fummo cacciati e dichiarati “rivoluzionari”, dimenticai lì il mio vestito viola. Quando tornammo lo incontrai una sera a San Michel, in occasione di un concerto, e rimasi stupita quando vidi che mi aveva portato l’abito che avevo abbandonato. Questo era il tipo di cose semplici e incredibili che faceva, e il suo flauto era puro e magico, come Pan nel bosco. Non ricordo di aver scambiato tante idee con lui ma piuttosto di aver condiviso musica. In quei primi Gong del 1968 cantavo con Ziska e insieme abbiamo ideato il suono che ora si chiama "space whisper", ed è qui che suonare con Don Cherry ha raggiunto il suo apice. Poi dovetti lasciare anche Parigi, e quei Gong si sciolsero.

Come Sun Ra, Magma, La Monte Young e altri artisti musicali del 20 ° secolo, i Gong sembrano essere stati coinvolti nella creazione di un mondo poetico che è stato alla base di tutto il loro lavoro. Cosa ha ispirato i Gong per portare la loro arte a tali proporzioni cosmologiche?

La gente probabilmente ha dimenticato quali enormi cambiamenti nella cultura erano in atto - specialmente con la minaccia del caos nucleare - e come i musicisti come noi fossero in pericolo permanente, minacciati dall'establishment e dalle istituzioni "conservatrici". L'idea di mondi diversi è venuta naturalmente, ma ci ha fornito una tavolozza di possibilità enormi e meravigliose. Il miglior rimedio contro un establishment conservatore è stato l’utilizzo dell'assurdità e dell’immaginazione di vasta portata.

Parlando con te in passato e leggendo il tuo libro, ho avuto l'impressione che tu e i membri della band abbiate avuto un flusso di idee che vi ha impegnato a disegnare una sorta di "etica della creatività". In che modo le visioni e i rigori di tale creatività hanno plasmato la tua vita quotidiana?

Per un certo periodo abbiamo vissuto tutti insieme in una grande casa nella foresta (circa 15 persone); il ritmo della vita era orientato a suonare ogni giorno - e in ogni momento possibile - in questa strana grande stanza chiamata "la stanza della caccia", con tante teste di cinghiale appese. Noi, tutti vegetariani, quando entrammo la prima volta nella stanza rabbrividimmo e poi usammo le teste come appendini, ma c'era un flusso costante di creatività giorno e notte, e anche quando la band partiva per i concerti restavano sempre altre persone, in casa e nella foresta.

Come vedi il futuro della comunità estesa dei Gong nel passaggio tra il presente e il futuro prossimo?

Non ne ho idea. Tutto quello che posso dire è che l'Uncon di novembre ad Amsterdam è stata l'esperienza più straordinaria della mia vita. 1200 o più persone che si riuniscono, condividono sentimenti profondi sollevate nell’animo dalla musica. Si spera che in futuro ce ne saranno di più, ma che sforzo è stato per Jonny realizzarlo!

In che modo l'approccio di “Mother Gong” e degli altri tuoi progetti si è evoluto in modo diverso da quello dei “Gong” nel corso degli anni?

Vedo la band e la filosofia iniziale dei Gong come Yin Yan. Poi nel 1974 ho lasciato la band, desiderando un percorso più semplice basato sulla natura creativa al femminile, anche se sono sempre stata contraria al grande divario di genere, pensando invece ad un passo avanti fondamentale rivolto al livello fisico, quello intellettuale o spirituale, dove non c'è differenza tra maschio e femmina: tutti abbiamo la piena consapevolezza dell'esperienza umana, emozioni umane, paure e desideri umani.

Il "Gong Unconvention" al Melkweg di Amsterdam nel novembre 2006 ha segnato una nuova era o soglia per le molte attività correlate di Gong?

I musicisti dei Gong saranno in ogni caso impegnati pienamente nella musica, in tutti i modi possibili, e abbiamo trovato una grande gioia nel suonare insieme in questa modalità, quindi, speriamo che accada sempre di più, ma così come gira il mondo oggi non si ha mai idea di cosa potrà accadere.

Quali sono i progetti attuali e futuri che tu o Mother Gong avete in testa?

I nostri progetti includono l'imminente uscita del set “Mother Gong” di Uncon (a breve con Voiceprint) e sto anche scrivendo un libro politico che potrà rispondere compiutamente al tipo di domande che mi stai ponendo oggi.

Il ruolo delle donne nella musica è cambiato nel corso dei decenni, da quando hai iniziato ad occuparti di musica? Se è così, dove vedi e senti le differenze rispetto a quanto avveniva negli anni ’50 e ’60?

Sai, il mondo è cambiato radicalmente… quando guardi i vecchi film, per esempio, ti chiedi come le donne non abbiamo mai potuto far parte a pieno titolo dei ruoli societari che contano, mai Primo Ministro, o piloti di linea aerea, o ministri della Difesa (non per combattere, ma per negoziare).

L'influenza degli Hippy e dei Beatnik è ben documentata in questo periodo, eppure sembra che gran parte di ciò che è accaduto nelle diaspore europee del secondo dopoguerra abbia avuto risonanza con movimenti e concetti che si stavano evolvendo già all'inizio del 20 ° secolo e prima. Ci sono influenze letterarie o musicali del 17°, 18°, 19° o inizio 20° secolo che preannunciavano concetti o idee che hai trovato confermati negli anni '60?

È vero, ci sono stati enormi movimenti sociali, dalla Rivoluzione francese alla Rivolta dei contadini, il primo movimento femminista con l'incontro alle cascate di Seneca, i Diggers e i Livellatori... gli hippy sono solo un altro nella lunga fila di “figure” idealiste che hanno cercato di realizzare un cambiamento sociale in meglio - di solito sotto governi di destra molto autoritari, che reprimevano tutte le persone che non rientravano nella "linea del partito"-, che volevano l'uguaglianza, così come la libertà e la fratellanza (e la sorellanza). Ci sono tante idee sbagliate sugli hippy, come il sesso, la droga e il rock and roll. Quelli non erano davvero importanti, ma parte della ricerca era rivolta alla libertà, ed era la libertà politica che rappresentava il motore del movimento, la libertà di vivere in modo pacifico e non di unirsi all'esercito, la libertà di staccarsi dal materialismo imperante, che prevedeva che le persone dovessero avere "un lavoro fisso", qualsiasi lavoro, invece di imparare solo a sostentarsi e pensare che la vita è una sola, preziosa e va vissuta.

http://www.gillismyth.com/gillismyth/index.html

https://www.planetgong.co.uk/


 I GONG NEL 1971