TERRE MUSICALI DI CONFINE
Di Ana Spasić e Francesco Paolo Paladino
Prima di ogni cosa c’era la poesia. La poesia di un gesto, di una entità vegetale, di un silenzio, di un suono o di una parola; George Wallace ha regalato un bouquet di sue poesie tratte dalla raccolta “Resurrection Song” ad Ana Spasic lasciandola libera di interpretarle secondo la sua sensibilità artistica. La Spasic, ha messo in discussione il suo ruolo di affermata e raffinata interprete di musica futurista per trovare la giusta via che potesse fare emergere la bellezza della poesia di Wallace. Per fare ciò si è rivolta alla figura poliedrica di Francesco Paolo Paladino. Dopo un rodaggio senza problemi di scadenze e di tempi ravvicinati la collaborazione tra un soprano non certo ortodosso e un compositore elettronico che ama definirsi “non musicista” ha dato i suoi frutti attraverso un'esplorazione fuori da ogni forma di classica catalogazione di generi. Attraversando le terre musicali di confine celebrate dal compianto Franco Bolelli, come un'aragosta che proprio nel cambiamento riacquista la propria longevità e abbandona il vecchio carapace, nasce un "tertium genus” e svanisce ogni concezione di conservatorismo. Se questo percorso è stato, nel passato, terra molto battuta da musicisti rock che hanno risalito la corrente del fiume sonoro verso lidi sperimentali e classici, questa volta il percorso è l’esatto contrario (e qui sta l’originalità della proposta) da una roccaforte “conservatrice” per antonomasia (il Conservatorio) si scende alla sperimentalità del mondo contemporaneo. Si abbandona così ogni intenzione formale e non si rivolge ad un pubblico con determinati gusti o aspettative, si sperimenta direttamente dall’interno toccando e talvolta tirando anche corde estreme. Nella sua liquidità si genera una musica che non è semplice carezza ma un nucleo pulsante che accoglie ed è generata dal contatto con i versi poetici di Wallace che richiamano il passato di un poeta della beat generation, dell’attualissimo realismo poetico americano ed il cubismo europeo, da lui ricercato oggi nelle parole. Seguendo questo iter la musica sembra suggerire di abbandonare ogni sorta di preconcetto mentale. È proprio in questo clima postmoderno di cambiamento e movimento fluido di trasformazione che nasce “THE PLAINS OF PO”. Un crossover musicale con un percorso originale che tra chiari e scuri intreccia musica acustica ed elettronica, in cui le melodie vocali giocano con scale modali, contrappunti, dissonanze, rumorismi; in cui i recitativi sono appoggiati e poi scivolano su strutture sonore ipnotiche di armonici ed echi melodici degli archi, chitarra e oboe, vibrazioni o rumori utilizzati come fossero un’amalgama strutturale. Tutto questo rifiutando una didattica e prevedibile soluzione di continuità ma aprendosi alla possibilità delle musiche esistenti siano esse classica, jazz o moderna. La distonia interiore della natura umana è espressa quasi simbolicamente nello scontro tra “ottimismo e pessimismo” in un prezioso gioco musicale e vocale di “effeuiller la marguerite” (nel brano Summer Daisies) che indaga da vicino l’incoerenza (e la vastità) dell’animo umano. I versi di Wallace dopo essere diventati materia (poetica) elettroacustica si spalmano nel tragitto finale con incredibile audacia sull’espressività di un riverbero pianistico che sgorga come un rivolo di montagna, grazie alla partecipazione al progetto del meraviglioso pianista Umberto Petrin, che con amore fa rivivere i fasti di un pianoforte Bechstein del 1826 accordato rigorosamente a 432Hz, quasi questa ulteriore tappa del viaggio sonoro fosse la prolusione per nuove avventure dove ricominciare a conciliare nel presente il passato e il futuro.
TRACKLIST
1. The Plans Of Po
2. The Horse That Never Was
3. The Kiss
4. Summer Daisies
5. In The Future II
6. California
7. Butterfly On A Grinding Wheel
8. 8 Resurrection Song