Nel Regno dei Ciechi è il nuovo album della Periferia Del Mondo, band giunta al quarto album in studio, con oltre tre lustri
di attività alle spalle.
Circa un anno fa avevo raccontato di uno step del loro
percorso, e appare quindi evidente la voglia di presentare rapidamente l’evoluzione,
personale e di insieme.
Poco più di cinquanta minuti di musica, suddivisa su nove
tracce, forniscono la forma di una band difficilmente catalogabile.
E se su di una struttura ben delineata si decide di essere
espressivamente liberi, può accadere di trovarsi tra le mani un disco che per
certi versi spiazza - in positivo - dove le linee melodiche e ritmiche mutano da brano a brano, dove la
lingua scelta oscilla tra l’inglese e l’italiano - in funzione della necessità
contingente - dove gli stilemi prog (Suburban
Life) si miscelano ad atmosfere “sognanti”, e l’etnia (A
rutta u jelu) … a tanto
rock. Sì, è un album rock, di quello a volte tosto (Sakura zensen, I need U, Alibi), che istiga al movimento del corpo.
Un primo elemento di sintesi risulta quindi la varietà della
proposta, un contenitore free dentro il quale le influenze singole diventano
sound compatto.
Rilevo, come già fatto in passato, la capacità di queste
sonorità di incidere e condizionare lo stato d’animo, diventando una base di
partenza per le riflessioni personali: credo sia lo scopo della musica fornire
stimoli che permettano di intraprendere un viaggio intimo, e possibilmente
interagire e annusare influenze di tracce che fanno parte della nostra storia,
sarebbe strano il contrario; in questa ottica ho trovato toccante la
drammaticità “Hammilliana” di Purity, il tratto vocale di Derek Shulman
nella già citata Suburban Life e… l’ascolto
di The Bridge’s resilience mi ha
trascinato in una dimensione che avevo quasi dimenticato, quella sognante,
onirica, eterea di Angel’s Egg e
quindi dei Gong.
Queste sono emozioni! Ritrovare sfumature antiche in tanta
sostanza attuale è cosa che auguro a tutti di provare. Nel Regno dei Ciechi facilita e predispone la sintonia tra passato
e presente, creando un ponte, probabilmente involontario, che si cristallizza
nel concetto di originalità.
Art work di forte impatto, incentrato sulla metafora del
mondo secondo PDM.
Scivola via la mia coscienza, cerca segnali di demenza, e
carica informe una sentenza: “Siamo
frustrati dai ceti, vinti da aborti di fedi, salvi nel regno dei ciechi”.
La cecità è la salvezza del mondo? Forse la musica, questa
musica, potrà darci sostegno, o forse solo un po’ di serenità, e la
soddisfazione non potrà che essere unanime.
L’INTERVISTA
Esattamente un anno fa dal
mio blog raccontavo qualcosa sul vostro terzo album; qual è l’essenza del nuovo
“Nel regno dei ciechi”?
Alessandro
Papotto “Nel regno
dei ciechi” ha rappresentato in questi ultimi anni la nostra nuova sfida: tentare
percorsi espressivi più diretti, attraverso i quali descrivere la realtà che ci
circonda, senza però rinunciare alla libertà compositiva offerta dal Rock Progressive.
Sin dall'inizio ci siamo resi conto che quello che avevamo voglia di fare era
sostanzialmente un disco Rock, così abbiamo cercato di semplificare le
architetture musicali del materiale, senza risparmiare sulle idee, ma evitando
tutto ciò che ci sembrava superfluo. Dal punto di vista dei testi invece è
rimasto intatto quello stile ermetico nella sintassi, ma diretto nella forma,
che contraddistingue le nostre canzoni.
Giovanni Tommasi Siamo alla ricerca di essenzialità, e questa ricerca ci ha regalato
suoni più energici, più compatti. Questo è evidente in tutti i brani, alcuni
dei quali, rispecchiando l’intenzione che pervade il lavoro, sono decisamente
più duri che in passato, come I need U,
Alibi, o la stessa title-track.
Bruno Vegliante Trovo che questo disco rimanga comunque molto legato al Rock Progressive. Le idee musicali contenute nei vari brani sono veramente molte, quasi trasbordano dalla superficie del disco. Forse però il mio modo di intendere il Prog è un po’ differente dall’accezione che il termine ha nell'uso comune. Penso che i contenuti principali debbano essere un buon numero di idee, tante sonorità diverse e tanto rock, mentre penso che la miscela di forme musicali usate debba invece essere legata solo al gusto personale.
Esiste
una linea concettuale che unisce i due dischi?
Alessandro Papotto In questo disco abbiamo coscientemente applicato e sviluppato le
scelte espressive e stilistiche che tutto sommato erano già presenti nel disco
precedente: un sostanziale alleggerimento delle strutture dei brani,
essenzialità negli arrangiamenti, e maggiore cura nello scrivere testi ispirati
alla realtà che ci circonda. Ci sono alcuni trait-d’union che riguardano gli
stili dei brani, ad esempio A rutta u
jelu rimanda alle sonorità etniche di Suite
Mediterranea, ma anche a quelle atmosfere world che ci sono sempre state
care. Penso che la nostra sia una linea concettuale molto simile a quella dei
gruppi progressive degli anni ’70: come loro infatti non ci preoccupiamo affatto
che il nostro nuovo disco sia in qualche modo simile al precedente, piuttosto
ci preoccupiamo invece di mantenere intatto una sorta di marchio di fabbrica
che contraddistingua la band rendendola unica.
Giovanni Tommasi Anche in questo disco come nel precedente lavoro sono presenti
timbriche più moderne e suoni elettronici. Ad esempio in un brano come Purity potremmo in fondo trovare delle
affinità con Come un gabbiano, ma
l’aggiunta di quegli elementi tipici del rock d’autore che tanto ci ha ispirato
negli ultimi anni lo rendono unico e allo stesso tempo ideale per questo nuovo
disco. Ancora una volta l’esperienza del passato ci aiuta a vivere meglio il
presente.
Bruno Vegliante Suburban Life invece è una classica suite nella più tipica accezione del Rock
Progressive, e forse proprio per questo potremmo dire che più che al disco
precedente rimanda a brani del nostro primo disco, come The ghost in the shell. Ma anche questa nuova suite rimane
fortemente ancorata al presente grazie ai tratti duri e aggressivi che
pervadono tutto il nostro nuovo lavoro.
Tra i due esiste una
differenza di utilizzo della lingua inglese: quale il motivo della scelta?
Giovanni Tommasi Riprendo un concetto di cui abbiamo già parlato nella precedente
intervista e che vale sia per il nostro lavoro in generale, sia nello specifico
per questo nostro ultimo disco: la lingua inglese ci permette di utilizzare una
metrica che, secondo noi, risulta a volta più efficace dell’italiano a livello
musicale. Di solito per ogni nuovo brano scegliamo ad istinto la lingua che
pensiamo si adatti meglio al caso specifico. In particolare possiamo dire che a
nostro avviso la lingua inglese si adattava meglio alle sonorità energiche
della maggior parte dei brani di Nel
regno dei ciechi.
Dal punto di vista
strettamente musicale quali sono le novità più importanti?
Claudio Braico Una maggiore immediatezza delle idee, negli arrangiamenti e nei
suoni. Credo che questo sia dovuto alla nostra voglia di respirare aria un po'
diversa dal solito. Il risultato è un rock puro, sanguigno, duro, viscerale,
insomma per definirlo con una parola direi “impetuoso”. Ad esempio la canzone
che apre il disco, Sakura Zensen,
dedicata alle vittime e ai sopravvissuti dello tsunami del 2011 in Giappone,
nonostante le atmosfere decisamente floydiane, e quindi una certa eleganza, o
dolcezza timbrica di fondo, ha un incedere incisivo e trascinante. La stessa
cosa si avverte in un brano più progressive come The Bridge’s Resilience, che ha un’apertura scarna, nervosa, eppure
imperativa, per poi sciogliersi in atmosfere più rarefatte.
Tony Zito Inoltre il disco è stato registrato praticamente live
dall’intera band, con l’aggiunta di pochissime sovraincisioni, a differenza di
come avevamo lavorato in passato. Insomma abbiamo fatto un lavoro di squadra
anche in studio, abbiamo usato pochissimo l’editing, e abbiamo invece dedicato
molto tempo al mixaggio, alla ricerca del giusto equilibrio di volumi,
equalizzazione e ambiente, alla ricerca del
suono finale più adatto alle composizioni. Penso che tutto ciò
conferisca al prodotto finito un senso generale di naturalezza. Ringraziamo per
questo l’etichetta “Immaginifica-Aereostella” nelle persone di Iaia De Capitani
e Franz Di Cioccio che ci hanno dimostrato ancora una volta la loro fiducia
verso il nostro lavoro producendo interamente il disco, e poi anche gli amici
fonici dello studio di registrazione "Locomotore - LRS Factory" di
Roma, degli ottimi professionisti con cui è nata anche una bella amicizia.
Avete
previsto una promozione live dell’album?
Bruno Vegliante Tutti i brani del disco sono stati pensati per poter essere
eseguiti dal vivo con il massimo risultato. Questo è purtroppo un momento
storico in cui le opportunità di suonare dal vivo, per band del nostro target, sono
poche. Però voglio dare un consiglio a tutti gli amici che vogliono ascoltarci
dal vivo (e mi piace pensare che ce ne siano molti): fatevi sentire, gridate
forte, e noi risponderemo con tutti i decibel in nostro possesso.
Nella recensione precedente sottolineavo un senso generale di velata tristezza che mi provocava l’ascolto, e anche in questo caso le trame musicali mi spingono verso … la riflessione; sono questi stati d’animo che colpiscono anche chi crea, o è un fatto personale tra me e la vostra musica?
Alessandro Papotto Secondo me lo scopo principale di un artista è spingere chi
fruisce della sua opera verso la riflessione per cui possiamo dire di aver
centrato l’obiettivo. Le melodie, le armonie, i ritmi e le parole che scriviamo
cercano di esprimere i nostri sentimenti riguardo ad un argomento, per cui puoi
percepire una sensazione di disagio, un momento di felicità, della rabbia o
dell’euforia, la condivisione della gioia per una notte d’amore o del dolore
per una perdita. Insomma i sentimenti che pervadono ciascun essere umano e in
cui ognuno di noi può riconoscersi.
Giovanni Tommasi Per noi ogni brano esprime un mondo a se, frutto di esperienze o
riflessioni personali, un mondo che riflette uno o molti nostri stati d'animo.
Ma non possiamo sapere quali di questi stati d’animo riescono ad arrivare
intatti all'ascoltatore, ne quante e quali parti di questo mondo vengano
percepite o comunque percepite nella forma che noi volevamo cercare di
esprimere. Sicuramente nelle opportune differenze tra l’artista musicista e
l’ascoltatore che “accoglie” la sua opera entrano in gioco aspetti fortemente
legati all’inconscio individuale, che rendono l'intero processo insondabile.
Claudio Braico Credo che la tristezza di cui parli sia legata al nostro stato
d’animo odierno, parlo di sensazioni che sono la naturale conseguenza dei tempi
che stiamo vivendo. Però nelle nostre canzoni puoi trovare anche molto altro:
ad esempio tanta energia e tanta voglia di libertà. E poi naturalmente,
speriamo, tanti altri ingredienti sconosciuti al nostro Io conscio.
Mi riaggancio all’ultima
risposta della vecchia intervista, in quella che avete definito “la preghiera
del buon rockettaro”: avete ottenuto soddisfazioni di pubblico e seguito
nell’ultimo anno?
Tony Zito Oggi la situazione del mercato musicale rende tutto molto
difficile. Noi però ci crediamo ancora e pensiamo che il risultato finale del
nostro lavoro sia facilmente commerciabile in Italia come all’estero. Scrivere
una canzone immaginando un ipotetico ascoltatore dall'altra parte del mondo è
un piacere tutto nostro (d'altronde siamo la Periferia Del Mondo). Nell’ultimo
anno siamo stati molto impegnati con il lavoro per questo disco per cui anche i
riscontri sono stati pochi, a parte alcune occasioni con i concerti dal vivo.
Ora il lavoro è terminato e rimaniamo quindi in attesa di nuovi riscontri.
Bruno Vegliante Lavoriamo in maniera promozionale anche sulla rete anche se in
questo ambito è più difficile valutare. Penso però che, nella nostra
discografia, Nel regno dei ciechi sia
il più facilmente reperibile su Internet, in tutte le forme, fisiche, virtuali
ed eteree. Personalmente, avendone la possibilità, mi piacerebbe molto
togliermi la soddisfazione di andare a comprarne una copia a Tokio, dove mi
risulta essere reperibile in alcuni negozi (ad esempio http://www.gardenshedcd.com/). Nel frattempo abbiamo cominciato con una bella intervista a
Rai Stereonotte in compagnia di Duccio Pasqua che ringraziamo, cosi come
ringraziamo anche te Athos per aver realizzato (ancora una volta) questa bella
intervista dedicata al nuovo disco, che siamo sicuri porterà ottimi risultati
sul lungo termine. Speriamo e crediamo nel futuro…
info