In uno spazio
temporale ridottissimo il Museo Rosenbach rilascia un nuovo album, il
secondo, se si considera che il recente Zarathustra, Live in Studio, è di
fatto la riproposizione ammodernata del disco seminale creato quarant’anni fa.
Barbarica è un altro concept, nel pieno
rispetto dell’ideologia prog, con una lunga suite iniziale e quattro brani a
seguire, una quarantina di minuti utilizzati per lanciare un nuovo forte
messaggio.
Tracciare un bridge
tra le idee antiche e quelle attuali è d’obbligo, anche se la sintesi, il “tirare
le somme”, fa paura, e la scelleratezza delle nostre scelte di vita, dirette o
indotte, presenta ora il conto da pagare, e nessuno sa se se esista un
efficacie punto di svolta.
Con Zarathustra il ritorno alla semplicità è più che un consiglio: solo attraverso il
rispetto per noi stessi e per il mondo circostante si arriva alla serenità,
coltivando i rapporti umani e l’ambiente in cui le anime si muovono.
Ma quanto il profeta
auspicava non è avvenuto, e Barbarica
si trasforma nella fotografia del risultato che siamo stati capaci di ottenere:
degrado ambientale, morale, economico… umano. Visione pessimistica?
Apprezzabile raccontare la verità, senza filtri che possano addolcire l’amara
pillola.
Resta la speranza,
piccola, che possa arrivare una forte reazione… ma saremo ancora in tempo?
La provocazione
letterale contenuta nel titolo dell’album si affianca all’art work, un
capolavoro di immagini e significati: evidente il contrasto tra la gioiosità
della cover e la tristezza/durezza delle pictures che costituisco il booklet…
le due facce di un mondo che piace poco… una facciata da immortalare ed una
sostanza da condannare.
Museo Rosenbach presenta due poli temporali anche attraverso la line up: tre
elementi storici (Stefano “Lupo” Galifi,
Alberto Moreno, Giancarlo Golzi) sommati a forze nuove (Sandro
Libra, Max Borelli, Fabio Meggetto e Andy Senis), sono garanzia di continuità e rappresentatività.
Un anno di lavoro è
servito per fondere la band, per limare le asperità, per capirsi al volo, e l’ascolto
di Barbarica da la forte idea di continuos improvement.
Anche dal punto di
vista strettamente musicale non ci sono dubbi o fughe nell’approssimazione del
genere: in un periodo in cui tutti sfoderano sfumature variegate per descrivere
la musica che propongono, si può affermare che la proposta del M.R. non è cambiata, coerente col credo
iniziale, e Barbarica lo si può
considerare senza dubbio alcuno un album di musica progressiva, almeno secondo
le linee guida della definizione. Questo significa brani articolati, con
variazioni di tempi e temi sonori, con un rock che si fonde a momenti di
atmosfera, con una certa rigorosità di copione al cui interno c’è spazio per la
libertà espressiva.
Elemento
caratterizzante è la voce di “Lupo”, che pare non senta l’inesorabile passaggio
del tempo.
Un'altra perla, un
altro disco destinato a restare nella storia: la speranza è che ora, ritrovata
la strada della passione comune, il Museo
Rosenbach si presenti ai suoi sostenitori - e sono tanti - con una certa continuità.
L'INTERVISTA
Ci siamo lasciati da pochissimo con il commento del “Live in
studio”.
Nell’occasione mi raccontasti della genesi di un nuovo
concept di cui ora è noto il nome: che
sapore ha Barbarica rispetto alla
recente rivisitazione di Zarathustra?
Barbarica ha il sapore del presente quindi aspro e pungente; Zarathustra in studio richiama invece i
ricordi, le immagini, le sensazioni del passato. Abbiamo tentato di “piegare”
il linguaggio musicale a queste due diverse dimensioni del tempo cercando di
mantenere il nostro sound identificativo.
Di fatto Barbarica
è il secondo album del gruppo, che mi pare avete realizzato in un lampo: cosa significa ritrovarsi dopo tanti
anni e creare in piena comunione di intenti?
Proprio in un lampo… ma in quest’attimo abbiamo
condensato un lavoro di circa un anno durante il quale Giancarlo, Stefano ed io
abbiamo rafforzato la nostra amicizia con Fabio, Sandro, Max e Andy. E’
difficile formare una band così numerosa ed eterogenea per quanto riguarda
l’età e gli impegni. I buoni risultati ottenuti mi fanno capire che l’amalgama,
musicale ed umano, sia riuscito.
La nuova linfa - i
giovani introdotti - hanno avuto un ruolo determinante?
Il nuovo, se non ha cattive intenzioni,
arricchisce sempre il vecchio: gli fa sentire l’entusiasmo senza disillusioni,
lo spinge verso strade che il camminatore abituale non conosce; lo rimprovera
quando si attarda nella troppa riflessione. Il nuovo è slancio.
Veniamo al disco,
perché Barbarica? Qual è il tema
dominante?
Il tema dominante è il rapporto tra l’uomo e il
suo ambiente (Il respiro del pianeta) e
tra l’uomo e i suoi simili ( le altre quattro tracce); “Barbarica” si chiede se abbiamo un futuro in questo mondo inquinato
e acciaccato dalla nostra avidità di risorse; la risposta è una speranza: che
il pianeta sia talmente forte da non subire danni irreversibili. Si confida
nella sua dimensione astronomica che rende la distruzione ambientale una
malattia di stagione. La speranza si affievolisce quando ci si chiede se l’uomo
sarà capace di cancellare lo scandalo della guerra, la terribile ombra che
inquina dolorosamente i nostri cuori. Il titolo è una provocazione, sintetizza la condizione della nostra civiltà in cui il
progresso appare discutibile, ancora
prigioniero della mentalità di dominio sulla natura. Qualunque
intelligenza tecnologica è inutile se i popoli si considerano reciprocamente
pericolosi. Forse siamo preistorici!
Prova a tracciare un ponte concettuale tra i vostri due
lavori, separati da enorme spazio temporale.
Il ponte c’è: come se Zarathustra, dopo aver
lanciato il suo messaggio, tornasse per verificarne i risultati. E’ ovvio che
non sarebbe contento! “Ama la tua terra
…” diceva… e noi, sordi, la soffochiamo. Il profeta si augurava una liberazione
dai dogmi e dalle ipocrisie, e non sembra che ciò sia avvenuto. Ritrova
soltanto una sua frase: “ Come l’autunno
il mondo vuol sfiorire... cresce ed uccide nel tempo la sua umanità”.
Scuote la testa ma guarda sempre verso nuove aurore.
Trovo particolarmente convincente l’art work, ma mentre la
cover colpisce - anche - per il colore, le fotografie interne evocano
sentimenti angoscianti: mi racconti la scelta delle immagini?
Dalle risposte precedenti fluisce questa. La
cover, colorata e astrale, è serena; lo sfondo vuole trasmettere la meraviglia
del cosmo. La testa in primo piano è il profilo multicolore e variegato di una
sola umanità. Come dire… lo scrigno è la bellezza di ogni diversità che esiste.
Le fotografie interne sono il contenuto dello scrigno: i colori svaniscono, i
contorni sono aspri, il messaggio è venato di tristezza. Le due facce di
Barbarica.
E’ già pronta l’impalcatura live di Barbarica?
Per forza… perché l’abbiamo quasi inciso dal
vivo!