sabato 21 agosto 2021

Uvarovite & The Thermal Breaks - “Bubblers in Balikesir”


 

Uvarovite & The Thermal Breaks - “Bubblers in Balikesir”

Fibermech Records

(11 tracce-56 minuti)

 

Accade di entrare in una libreria e di essere ammaliati dalla copertina, dall’involucro, dall’elemento estetico, tanto da trovarsi sulla via di casa con un nuovo book tra le mani, un libro di cui non si conosce nulla, né contenuto né autore, ma oramai sentiamo che ci appartiene, e alla fine scopriremo, magari, che l’acquisto è stato indovinato.

Nel campo musicale può accadere la stessa cosa… l’amore scocca a volte per una copertina suggestiva, per un titolo, per un’idea che sgorga spontanea.

È quanto è avvenuto quando casualmente ho adocchiato Bubblers in Balkesir”, di Uvarovite & The Thermal Breaks.

Cosa si cela dietro a denominazioni così inusuali?

Qualche chiacchiera con i protagonisti, riportata nel corso dell’articolo, risulterà alla fine icastica.

Il progetto si presenta come multietnico, con musicisti provenienti da posizioni geografiche diverse, che trovano la sintesi in un luogo di lavoro in terra straniera.

Appare chiaro quindi come la musica sia la grande passione, ma attività collaterale, situazione normale in questo ambito.

Partiamo dai componenti la band e proseguiamo con qualche etichettatura atta a chiarire la tipologia della proposta.

Leader della band è Marko Mounier, un francese che vive per un quarto del tempo nel suo paese, per un altro quarto in Italia e poi… in giro per il mondo.

Trombettista, pianista e tastierista, viene denominato “Il Professore” (oltre che Uvarovite Man”)”, per effetto della sua posizione all’Università del Vetro di Parigi.

L’anima e il motore, rigoroso e fantasioso.

La sezione ritmica è formata dal batterista e percussionista Henry Mex - scuola messicana, ritmo pazzesco e sempre sul pezzo - e dal bassista Daniele Tagliabue, direttamente da Cantù, entrambi con una lunga esperienza come session man in studio e su navi da crociera.

Chiudono la line up due musicisti interscambiabili - Andrea Colombi e Alberto Fabbri - entrambi vocalist e chitarristi, molto conosciuti nel circuito lombardo.

Gruppo che appare affiatato e che presenta un rock contaminato dal blues e dal folk, con particolare attenzione ai testi, mai banali, seppur a volte criptici.

L’album, rilasciato da poco, ha caratteristiche ben precise, essendo un concept ma formato da episodi - undici - ognuno dei quali può brillare di luce propria. Il cantato è rigorosamente in lingua inglese.

Il fil rouge, il comune denominatore, riporta ai diversi sentimenti che legano gli esseri pensanti, delineati ad uno ad uno mentre storie apparentemente separate sbocciano e si uniscono tra loro.

 

Questa la Setlist 

Viscosity

Why does the pull change?

I must ask

Gulin's nails

The dumper zone

Platinum or Rhodium?

The boosting is not enough

Ramada Hotel

Ten microns

Efficiency is our priority

Raki

 

Apre il disco “Viscosity” e appare subito chiara la necessità di metafora.

Il termine, che può prestarsi a differenti definizioni, parte dall’elemento tecnico per estrapolare il concetto di amicizia, di legame consistente di cui spesso si ha bisogno, capace però di trasformarsi in prigione se fuori dai limiti; e allora, quale sarà la giusta “viscosità” in una relazione in cui domina l’affetto?

Lo start musicale è grintoso, cinque minuti di energia pura che prevedono una discreta dicotomia tra una prima parte sognante - e qui il corno francese utilizzato da Mounier calza a pennello - ed una seconda molto “ruvida”, dove i giochi solistici di Colombi e Fabbri riportano alla migliore tradizione del rock.

Segue “Why does the pull change?”, il brano più lungo con i suoi suoi sette minuti e mezzo.

Nasce una sorta di dilemma che appare senza soluzione.

Perché cambiamo? Perché non esiste una valida motivazione nonostante la nostra voglia - e applicazione - di una continua analisi? Si tira e si spinge, si elidono le forze e ci si ritrova al punto di partenza.

Testo scritto da Tagliabue all’apice del suo esistenzialismo.

Anche in questo caso esiste un cambio di movimento, e dopo un iniziale momento acustico si mette in luce la ritmica di Mex, capace di sciorinare i tempi composti tipici del prog all’interno di trame decisamente tradizionali.

Il terzo pezzo, “I must ask”, fa riferimento al periodo della conoscenza e della nascita della band, quando un incontro lavorativo quasi fortuito a Balikesir, città della Turchia, li portò a legare e a pianificare un futuro musicale comune.

In quella occasione vennero in contatto con Sirtacchio, potenziale manager della band, che qui diventa simbolo di ignavia, di incapacità di prender posizione, di pigrizia di azione, indolenza e viltà eletta a norma di vita, o forse solo paura delle conseguenze. Il “devo chiedere” rappresenta il perenne prendere tempo, sempre e comunque, delegando ad altri l’azione e la responsabilità. Sirtacchio diventa quindi la rappresentazione di un comportamento umano da evitare.

Inizio acustico e quadretto idilliaco, con il piano di Mounier che incanta e disegna a mano libera paesaggi orientali e atmosfere sognanti. Gli arpeggi chitarristi di Colombi introducono il blues finale, utilizzato per rinforzare il messaggio di dolore e delusione.

Con “Gulin’s neals” si entra nel sociale.

L’antefatto riporta ad una giovane donna, amica comune, dedita per professione a lavori manuali, quelle che nell’immaginario comune richiedono abbigliamento adeguato, sicuramente poco femminile. Ma lei non riesce a rinunciare alla raffinatezza dei particolari, non può essere un’altra e così mantiene le sue unghie colorate e ben curate in ogni situazione, anche in quei momenti in cui le mani richiederebbero ben altra protezione.

La donna sempre al centro, senza condizionamenti e confini, la donna come fulcro del mondo, la vera opera d’arte!

L’anima italiana diventa preponderante e la melodia prende il sopravvento. Il lungo gioco di chitarre e tromba si trasforma in dialogo, quello tra la protagonista e chi non riesce ad accettare il suo coraggio.

Altro brano dai forti connotati sociali è “The dumper zone”.

L’immagine che fa riferimento al termine “Dumper” rappresenta una sorta di ostacolo al normale corso delle cose, una barriera che si frammezza allo scorrere dei flussi, un muro che tende ad incrostarsi e spesso si trova in balia del vento.

Ma forse una piccola ed elementare protezione potrebbe creare un riparo sicuro, un luogo in cui poter sostare per riflettere, godendo della più alta visione possibile.

Emozioni continue, un sample di cosa possa rappresentare un brano che contiene messaggio, competenza strumentale e bellezza estetica, un fiume in piena che diventa docile torrente, un salire e scendere un difficile pendio con facilità, un’agitazione smisurata che diventa quiete positiva.

Platinum or Rhodium?”. Dilemma che riporta a Shakespeare!

In realtà la lirica di Fabbri prende in considerazione il valore delle cose materiali, elementi apparentemente irrinunciabili, ma evanescenti e “di passaggio”.

Cosa scegliere tra l’oro e… l’oro? Esistono altri criteri di valutazione? Possiamo immaginare una diversa lega tra “metalli”, non risulterà vincente cercare un bilanciamento con aspetti più eterei e trascendenti ma fondanti?

La voce di Colombi conduce un dramma che si snocciola in momenti differenziati. Una marcetta riporta alla classicità pura, mentre le lancinanti svisature dell’elettrica penetrano nell’anima e realizzano un’andatura in pieno stile seventies, quando queste sonorità erano il nutrimento quotidiano.

Altro brano è “The boosting is not enough”.

Ci sono quei giorni, quei momenti, in cui l’energia non appare sufficiente, gli sforzi sono enormi e tutto appare inutile. La piattezza regna sovrana e non si intravedono all’orizzonte cambi di rotta, nonostante l’impegno constante.

“L’energia non è abbastanza”, chiediamo aiuto ma non sempre arriva, e l’indifferenza fa scendere quella nebbia che solo il tempo farà sparire, sperando che il tutto avvenga in un tempo accettabile.

Un pezzo di bravura di Mounier, che utilizza il suo piano chiudendo gli occhi e lasciando andare mani e mente, solo così si può raccontare musicalmente il parallelo tra infinita tristezza e speranza di luce infinita.

Ramada Hotel”, fa immediatamente pensare al rock settantiano degli Eagles, ma c’è molto di più in sottofondo.

Il Ramada di Balikesir è il luogo in cui tutto è nato, punto di incontro casuale ma fondamentale: un piccolo palco, strumenti folkloristici, voglia di musica dopo una giornata piena di lavoro. E la band prende forma, le anime si fondono e si ravvivano sentimenti, quelli a cui solo l’unione di intenti può garantire solidità.

Una traccia molto dura, metallica, con un sottofondo drammatico e un ritmo incalzante che toglie il fiato e preannuncia la novità ad ogni svoltar d’angolo… sonoro.

Con “Ten microns” il topic si sposta sul tema del desiderio e dell’obiettivo apparentemente inarrivabile; puntare in alto, sempre più in alto, appare legittimo, sognare ad occhi aperti un esercizio quotidiano, ma quanto siamo disposti a mettere in gioco per toccare il cielo con un dito?

Unico strumentale, un brano tutto atmosfera ed effetti, molto ambient, riflessivo e pitturato nel sonoro, una misura melodica che non lascia indifferenti, un aiuto nel sottolineare il virtuosismo di questi musicisti!

Efficiency is our priority” fa riferimento ad una frase che il gruppo era solito formulare nelle occasioni più svariate, irridendo tutti quelli che mettevano da parte i sentimenti e la voglia di relazione a vantaggio del profitto a tutti i costi.

Ma esiste qualcosa oltre alla perfezione di comportamento e l’ortodossia nei principi?

Un crescendo di effetti in stile floydiano, un ritmo cadenzato e controllato, una marcia verso l’ignoto, due chitarre elettriche laceranti il cui prodotto si lega indissolubilmente alla lirica.

Chiude l’album una ballad, quella che non può mai mancare in un album rock.

Raki, apparentemente leggera e divertente, nasce ripensando a due episodi particolari.

Precisiamo che il “Raki” è una bevanda all'anice turca, ottenuta da un distillato a base di mais, o patate, aromatizzato con anice e menta, con una gradazione alcolica minima del 40%. Conosciuto anche come "latte di leone", è considerata la bevanda nazionale.

Il primo episodio riporta agli incontri serali del Ramada, quando la ricerca del lavoro era assoluta priorità. In quel contesto nacque l’opportunità per Tagliabue di approfondire l’arte della preparazione del Raki, una sorta di “mestiere” che lo porterà a creare tutorial dedicati e divenuti di grande successo, fonte di futuro e sicuro reddito. Perché anche quando tutto sembra perduto l’intraprendenza e l’inventiva possono venire in nostro aiuto.

La seconda motivazione mette al centro Andrea Colombi e il suo abuso episodico di Raki. In questo caso la mancanza di consapevolezza, il senso di sfida, l’incoscienza e l’idea di immortalità, portano al disagio e al malessere fisico: niente di preoccupante se l’errore si trasforma in apprendimento e indicazione del corretto modello di vita.

Chitarre acustiche e cori vacanzieri per il finale di album, un motivo lineare e un ritornello che si trasforma in tormentone, ti si appiccica e non ti molla più!

Che altro dire… una sorpresa, un disco inaspettato, un gruppo di musicisti preparati e capaci di proporre nuove idee, in un momento in cui la buona musica latita.

Ho raggiunto telefonicamente “Il Professore” a cui ho chiesto lumi sul nome della band e sul titolo dell’album…

Dimmi Marko, cosa significaUvarovite & The Thermal Breaks”?

I termini sono stati estrapolati dalla mia professione e dai miei studi.

“Uvarovite” è un minerale che si trova generalmente in forma di piccoli cristalli ben disposti. Il suo colore è un verde smeraldo e presenta forme spesso molto complesse. La sua bellezza è ciò che ci ha colpito.

Ma accanto a tanto splendore che si vede in natura si cela talvolta una nascita non controllata - e non voluta -, non sempre spiegabile. E quando l’uvarovite appare all’improvviso emerge il contrasto tra perfezione estetica e danno che ne deriva, una sorta di virus a cui non sempre si trovano le contromisure.

Le “rotture termiche” sono invece qualcosa che in senso tecnico sono più comprensibili, a cui è più facile porre rimedio.

Anche noi sul palco mettiamo in evidenza le nostre contraddizioni e differenze.

Un’ultima cosa, mi spieghi il titolo dell’album, “Bubblers in Balikesir”?

Anche qui esiste una miscela tra elemento tecnico - e quindi vicino al nostro lavoro - e il luogo in cui nasce il progetto, Balikesir appunto.

I “bubblers” permetto di introdurre dell’aria in una massa vetrosa e hanno il compito di creare movimento, omogeneità, aggregazione, affinaggio. In questo senso li abbiamo considerati il simbolo della nostra unione di intenti, almeno in questo particolare momento della vita, ciò che verrà di conseguenza sarà ben accetto!


Non ci resta che ascoltare “Bubblers in Balikesir”, senza pregiudizi e aperti al nuovo, le sorprese non mancheranno.

Come e dove?

Su tutti gli store digitali, in attesa dell’uscita del CD, 100 copie numerate e firmate.

Fantastico l’artwork e il booklet annesso, con una meravigliosa copertina firmata dall’astro nascente dell’Art Design, Semih Orale.