Fotografie di Fulvio Bava
Il mio quarto personale raduno a base di … anime ammalate della musica dei Jethro Tull,
ha coinciso con la XV Itullian’s Convention. In questo caso la sede
scelta è il CIVICO TEATRO CAGNONI, a
Vigevano, città in cui vive Andrea Bandi - uno degli assi portanti
di questa associazione così sana e particolare - che ha dovuto sobbarcarsi
molto del lavoro organizzativo che una manifestazione del genere richiede. Ma da
chi gioca in casa, si sa, si “pretende” sempre qualcosa in più!
Per chi non conoscesse
la tipologia di evento riassumo sinteticamente dicendo che da svariati anni
esiste un gruppo consistente di appassionati della musica dei Jethro Tull,
aggregato in una
associazione no profit, all’interno della quale si organizzano
raduni alla presenza di musicisti che fanno parte o hanno fatto parte della
band di Ian Anderson… il RE! E il meeting di cui mi
appresto a scrivere era il quindicesimo.
Difficile dare un
giudizio oggettivo di un pomeriggio che rimarrà in ogni caso tra i miei ricordi
musicali più belli. Naturalmente il mio pensiero è da mettere in relazione ad
altre esperienze molto significative, come quella di Novi Ligure nel 2006 o
di Alessandria nel 2008. Aldo Tagliaferro, il presidente, con l’aiuto di fidi collaboratori
inventa e pianifica come solo chi è mosso da passione può fare, ma i tempi
cambiano, noi cambiamo, il paese cambia e i paragoni col passato perdono di
significato… come se decidessimo di comparare Rivera con I baldi faticatori
degli attuali centrocampi calcistici! Irrrealistico.
Però posso
oggettivamente dire che l’atmosfera goliardica, festaiola, fatta anche di
giovani, non l’ho avvertita in questa occasione e tutti mi sono apparsi come -
solo - in attesa del concerto… ma che
concerto!
Ecco, la parte
musicale è stata davvero super - e forse è quello che più conta - perché
mettendo da parte i soliti chiacchiericci sulla voce di Ian e sulla validità
dei suoi compagni di avventura, ciò che Anderson ci ha regalato in questa
occasione (regalato sotto tutti i punti di vista dal momento che il compenso ha
preso una via nobile, vedremo quale) è ciò che probabilmente nessun altro
vedrà, dal momento che il tour è basato sul TAAB 1 & 2, e quindi
abbiamo assistito ad una chicca che ha richiesto prove di affiatamento estenuanti
- si vociferava 10 ore - necessarie per poter coordinare al meglio e in modo
professionale una formazione collaudata con un quartetto di archi del luogo, e
in questi casi la valenza tecnica non è l’elemento principe per la riuscita
dell’evento.
Abbiamo quindi goduto
di nuovo e antico allo stesso tempo, se è vero che già a metà anni ’70 i J.T.
si erano cimentati in un progetto simile, decisamente complicato da portare on
stage in un epoca in cui la tecnologia specifica era poco evoluta.
Ma andiamo con ordine cercando di rispettare la cronologia.
L’apertura è affidata
alla Beggar’s Farm, ovvero a Franco Taulino
- vocalist, leader e fiatista - e ai
suoi attuali musicisti che vale la pena elencare:
Kenny Valle alle tastiere, Daniele
Piglione al basso elettrico, Mauro
Mugiati alle tastiere e alla chitarra acustica, Brian Belloni alle chitarre, Andrea
Stofler alla batteria, Sandro Bellu
alla chitarra acustica, Vittoria Olgiati
presente nel ruolo di ballerina e Paola
Gemma, di solito vocalist e corista, in questo caso nei panni di lepre/coniglio.
Lepre Coniglio?
Ballerina?
Correva l’anno 1973 e i Jethro Tull sfornavano un
album controverso nei giudizi, ma comunque entrato nella storia, quell’A
Passion Play che è stato sintetizzato sul palco dalla Beggar’s per ricordare
un ragguardevole traguardo, i 40 anni di vita. Il pubblico ha apprezzato in
modo incondizionato, e tenendo conto delle difficoltà tecniche che si
accompagnano a quel concept non si può che fare i complimenti al “Maestro
Taulino”.
Ma non basta…
ovviamente. La prima parte di spettacolo continua con brani storici che
conducono a Wind Up e quindi favoriscono l’entrata del primo ospite, Clive Bunker,
incredibile esempio di longevità musicale e fisica.
Non arriva l’assolo
che spesso Clive propone in Dharma for
One, nell’occasione non in scaletta, ma zio Clivio riesce a ritagliarsi
spazio adeguato e a ricevere la giusta dose di applausi. Il mio amico Gian Piero Chiavini, casualmente
affianco a me, si lascierà andare commentando: “ … è come dire che una batteria… può cantare!”. Battute e
innamoramenti a parte, il dott. Chiavini potrebbe provare a spiegare da dove
arriva contanta energia… gli anni di Clive non mi sembrano un dettaglio!
La band di Taulino è in evoluzione, ma la forza di questo
infaticabile musicista è l’entusiasmo, che lo porta a contorniarsi di giovani
che non possono che crescere. E anche in questa occasione la Beggar’s raggiunge
l’obiettivo e gli amanti della musica live dovrebbero fare un monumento al buon
Franco, esempio di efficienza musicale e organizzativa.
La seconda parte di spettacolo è introdotta dal presidente
che racconta, tra le altre cose, la finalità benefica della serata, il cui
ricavato è stato devoluto all’Associazione
“LIFE”, il cui obiettivo è la prevenzione e la cura
dei tumori. Un teatro pieno significa in ogni caso un contributo rilevante, e
al successo musicale si associa quindi quello materiale. Aldo Tagliaferro ne
approfitta per ricordare un musicista prematuramente scomparso, Gianni Mocchetti, presente in altre
Convention, a cui io associo Marco Manfreddi, sempre in platea nelle
precedenti occasioni, anch’esso non più tra noi, anche se la continuità è stata
garantita dalla presenza del figlio Jacopo.
Ed entra in scena Ian Anderson
e non è solo… che banalità!
Partiamo dalla novità
locale, un egregio quartetto d’archi composto da:
Matteo Ferrario al Violino, Marco
Medicato al Violino, Alessandro
Sacco alla Viola e Raffaele
Ottonello al Violoncello.
L’integrazione c’è,
così come la fiducia di Anderson, che concede l’intero palco all’ensemble per una
performance a base di Songs
From The Wood… affascinante e
inaspettato (e visibile nel video a fine post).
Per i curiosi della “scaletta” ecco pronta la foto di Zia Ross, corsa in mio soccorso in zona
mixer.
Sul palco oltre a Ian
i suoi due devoti musicisti, John O’Hara alle tastiere e Florian Opahle alla chitarra. In un mondo
fatto di stereotipi e di frasi e luoghi comuni, si è stabilito che O’Hara è scarso
e Ophale l’enfant prodige, magari troppo rock per il genere. E si è stabilito
anche che a forza di stare vicino al genio sono entrambi progressivamente cambiati.
Certo, le comparazioni
con il passato non portano benefici agli attuali comprimari di Anderson, ma sono
dell’opinione che un fuoriclasse non carica mai sulla sua auto una squadra
mediocre che lo condurrebbe alla rovina, ma semmai dei soldatini obbedienti,
capaci, ma consci dello spazio concesso. Dice John nell’intervista inserita
nella brochure distribuita in teatro: “ Lavorare
con Anderson è un dialogo continuo”. Ecco, è sicuramente un dialogo la cui
conclusione potrebbe portare sempre in una direzione, ma non mi pare elemento fondamentale
per il pubblico, e cioè per chi è mero fruitore di una musica che giudico
ancora oggi fantastica. E poi occorrerebbe pensare a ciò che mediamente è
difficile valutare, ovvero la sezione “arrangiamenti” di cui non si può
occupare un musicista qualunque, e il buon John ha avuto grande responsabilità
musicale con un altro grande, Pete Townshend, mettendo le mano sulla sua
Quadrophenia, e questo mi pare più che sufficiente stabilire i giusti meriti.
Ritorno allo
specifico. O’Hara è fornito di qualche elemento percussivo mentre Opahle non si
schioda dalla sua Gibson, qualunque sia il brano da proporre, e la fusione tra
classico/acustico e rock elettrico è a mio giudizio il motivo vincente della
performance, il cuore del progetto di serata.
Florian ha anche modo
di lasciarsi andare e presentare un assolo alla Malmsteen, molto di effetto, ma
che non aggiunge poi molto in sede di valutazione perché sono quei casi in cui
ciò che si capta è superiore a ciò che realmente c’è in gioco.
Provo a sintetizzare …
ho percepito un lavoro corale, dove lo spazio per il singolo non viene mai a
mancare, ed è questa la mia definizione di lavoro di squadra.
E se potessi fornire
un‘altra angolazione della sintesi (purtroppo la mia video camera era ormai
scarica) proporrei una incredibile versione di Aqualung, che niente ha a che vedere con quelle
tradizionali, ma che mi pare il più grande esempio dell’unione delle menti di
Ian, John e Forian.
Grande, grandissima
serata di musica.
Sottotono la sezione “stand
disponibili”, con Wazza Kanazza in
front of Massimo Orlandini, ma difficoltà importanti di
ordine personale hanno limitato le idee di base, con rinuncia alla statuine
con flauto di Gian Piero Chiavi, sempre lui, e alle memorabilia
di Alessandro Gaglione, amico di cui
si è sentita la mancanza.
Molte le facce
conosciute, di quelle che si vedono una volta all’anno con estremo piacere,
”amici” con cui si potrebbe parlare per ore, almeno di musica.
E’ mancato il contatto
con gli artisti, elemento cardine di altre Convention, ma la serata è davvero
riuscita.
Bellissima Vigevano,
almeno a giudicare da ciò che abbiamo potuto gustare, e forse non è un caso che
i Jethro Tull abbiamo già sostato più volte in questa zona.
Come sempre un grazie immenso a tutti quelli che sono stati
decisivi in fase organizzativa ed ai tutti i partecipanti, in attesa di qualche
altro regalo sotto forma di musica.