giovedì 29 aprile 2021

ANDREA CERVETTO-"HORIZON"


ANDREA CERVETTO-"HORIZON"

 

(Videoradio e Videoradio Channel edizioni musicali)

 

L’inattività forzata, quella live intendo, è stata messa a frutto da molti artisti per produrre “materiale” che riassume i sentimenti e le riflessioni derivanti da un momento drammatico e senza precedenti.




Possiamo dire che, tecnicamente, il lavoro a distanza per i musicisti è diventato la normalità e gli spazi fatti di oceani e migliaia di chilometri sono ormai annullati dalla tecnologia.

Ma il DNA di chi da sempre si esprime attraverso la musica porta alla ricerca costante della socializzazione e della presenza fisica, sia in fase di creazione che di successiva proposizione.

Andrea Cervetto presenta il risultato del suo momento di assenza da palco e sforna “Horizon”, un album che propone 10 tracce suddivise su 37 minuti di sonorità variegate, ovviamente incentrate sul suo strumento di riferimento, la chitarra.

Un po' di tempo fa, ad una mia domanda specifica atta a stabilire il rapporto con la sei corde Andrea rispose: “La chitarra rappresenta una parte fisica del mio corpo, mi sento fisicamente unito allo strumento ed è uno dei mezzi attraverso il quale esterno le mie emozioni.

Ecco, le emozioni, quelle che Cervetto ci regala, in questo caso, attraverso tracce strumentali, con l’eccezione di due brani cantati - in italiano - che hanno il compito di aprire e chiudere l’album.

Andrea può vantare una lunga e nobile esperienza, tra Italia e States, e collaborazioni stellari, ma realizzare un disco in proprio significa aumentare il grado di rischio e la responsabilità delle scelte; però, penso che un lavoro come “Horizon” possa mettere d’accordo un pubblico vario, purché amante del rock, perché gli ingredienti ci sono tutti.

E poi quel tocco in più che contraddistingue l’espressione italiana, qualunque sia il genere in cui ci si riconosce e si agisce… la capacità di utilizzo dell’elemento melodico - peculiarità di cui vantarsi - che il chitarrista genovese mette in campo, anche, nelle sole parti strumentali.

In apertura troviamo “Uno di questi giorni”, uscito anche come anticipazione in video e che propongo a seguire. 

Traccia struggente dove il cantato è accompagnato da una ritmica sostenuta e dalla “slide” che colora e riempie una tela adatta alla facilità di ascolto, un pezzo che, usato in rotazione radio, arriverebbe facilmente al pubblico.

Con “Missing” si parte nel viaggio strumentale e provare a collegare i titoli alla musica permette di cercare la sintonia con l’autore.

Andamento lento con conduzione chitarristica che riporta ai maestri sacri dello strumento, almeno alcuni, quelli che solitamente Andrea cita come punti di riferimento e che lascio scoprire all'ascoltatore.

Nonostante il virtuosismo solistico e la divagazione, la linea melodica colpisce e non svanisce.

Rock n roll will never die” ci ricorda cosa sia il rock, quello che, appunto, non morirà mai, e l’omaggio finale a Hendrix - un frammento di pochi secondi di “Hey Joe” - è un segnale preciso.

Con “Guitar Or Not Guitar” ci si sposta sul versante funk, con una bella dimostrazione di team work, dove la sezione ritmica formata da Alex e Paolo Polifrone - caratterizzante dell’intero lavoro - dà il meglio di sé.

Metropolitan blues” fornisce nel titolo l’idea basica e rispolvera il concetto di “blues”, che nella sua origine rappresenta un mezzo per urlare e denunciare il disagio, e al contempo la cura per alleviare le sofferenze… di questi tempi avremmo tutti bisogno di blues…

Ecletticità e probabili ricordi di trascorsi musicali lontani e felici.

E si arriva alla title track, “Horizon”, un brano che appare come descrizione gioiosa, molto veloce e capace di fornire immagini e positività di ascolto.

Ma cosa rappresenterà quell’orizzonte… una meta irraggiungibile o la visibilità dopo che la nebbia è scomparsa? A ciascuno la propria interpretazione.

Con “Water flux” va in scena la musica immaginifica e Cervetto & friends riescono a fornire il senso del fluire, dell’incedere inarrestabile dell’acqua, un movimento non sempre “amico” ma in questo caso confortante.

Irish Storm” vede la presenza di Francesco Moneti, violinista dei Modena City Ramblers, che lascia impronta indelebile e caratterizza un “tempesta” che sintetizza il rock tradizionale unito al folk irlandese; dalla miscela scaturisce una traccia godibile che, oltre a mettere in risalto le skills di Moneti, permette di realizzare un piccolo paradigma musicale, quello che vede accostare strumenti e generi differenti con la piena soddisfazione di tutte le “parti in causa”.

Stay” è l’ultimo strumentale, dal mood decisamente melanconico, con la chitarra di Andrea che parla, canta, urla, conduce la danza ricordandoci che anche la sola musica può esprimere icasticamente sentimenti e pensieri.

La conclusiva e acustica “Un Amore Da Vivere”, come anticipato, è la seconda canzone in cui Cervetto usa la voce e ancora una volta gli aspetti sentimentali emergono e suggellano la fine delle riflessioni. Dice Andrea a proposito dei due pezzi: “Sono in netta contrapposizione, sono le due facce della stessa medaglia…”.

Si segnala in questo caso la presenza di Dario Tanghetti alle percussioni.

Un album davvero piacevole, adatto a tutti, non solo agli appassionati della chitarra; una sorta di viaggio concettuale che mette in rilevo le grandi competenze di Cervetto e della sua squadra ma, soprattutto, la capacità di “nascondere” il virtuosismo a favore del racconto di una trama che può essere messa in comune, per essere assimilata, certamente, ma anche reinterpretata a piacimento.


TRACKLIST:

 

1-Uno Dio Questi Giorni (4:40) 

2-Missing (4:02) 

3-Rock n roll will never die (3:20)

4-Guitar Or Not Guitar (4:03) 

5-Metropolitan blues (3:45) 

6-Horizon (3:41) 

7-Water Flux (3:18) 

8-Irish Storm (3:40) 

9-Stay  (3:13)

10-Un Amore Da Vivere (4:30) 



Un po’ di storia di Andrea Cervetto


Chitarrista/Cantante/Corista/Produttore/Arrangiatore, fa parte ufficialmente della band Il Mito NEW TROLLS dal 2005.

Scelto personalmente da Brian May dei Queen per prendere parte al musical “We will rock you” per un tour lungo due anni, ha collaborato inoltre con Ronnie Jones, Alberto Radius, Bernardo Lanzetti, Luisa Corna, Phil Palmer, Enzo Iachetti (nel CD“Acqua di Natale” che vede come ospiti grandi artisti italiani tra i quali Mina, Vecchioni, Baglioni, Ruggeri, Dalla, solo per citarne alcuni).

Ha scritto insieme a Giancarlo Berardi (fumettista, scrittore e regista) uno spettacolo teatrale su Jimi Hendrix del quale esegue i brani insieme a Alex Polifrone (batteria) e Fausto Ciapica (basso); presente sul palco oltre a Berardi nel ruolo di narratore e regista anche Franco Ori (pittore di fama), che in tempo reale dipinge tele di notevoli dimensioni con varie tecniche pittoriche raffiguranti il genio della chitarra di Seattle.

Collabora con Jack Sonni (ex Dire Straits) per un progetto che vedrà i due artisti protagonisti di un tour.


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martedì 27 aprile 2021

Quella volta che la Regina incontrò la nobiltà del rock: il video

Jeff Beck, Eric Clapton, Jimmy Page e Brian May

Parlare dei reali di Inghilterra è di piena attualità, visti i recenti avvenimenti funesti. In particolare la Regina Elisabetta provoca all’osservatore esterno una simpatia incondizionata, una sorta di rispetto che prescinde da ogni altro tipo di giudizio che potrebbe portare a criticare un mondo che appare poco legato alla realtà attuale; eppure, è proprio la sacralità di quell’ambiente irraggiungibile e bazzicato da una precisa e limitata cerchia di persone che ne incrementa il profumo aulico e immaginare che la porta del castello possa aprirsi per lasciar spazio a persone, certamente importanti nei rispettivi settori, ma di un sangue blu divenuto tale nel tempo per meriti acquisiti, spinge alla curiosità.

E se parliamo di rock... che ci azzecca la Regina?

Il Principe Carlo sì che se ne intende e il suo amore per certa musica è pieno di testimonianze, ma … “Lilibeth”?

Ho scovato un video interessante, in cui alcune delle più influenti e iconiche personalità del rock incontrano Sua Altezza Reale.

Il fatto risale al 2005, quando Buckingham Palace fu teatro di un evento davvero eccezionale, il momento in cui la vera nobiltà incontrò le divinità del rock.

In quella occasione la Regina Elisabetta II accolse quattro miti mondiali della chitarra: Brian May dei Queen, Jimmy Page dei Led Zeppelin, Eric Clapton e Jeff Beck.

I primi tre si presentarono a sua Altezza seguiti da Jeff Beck che, come Page e Clapton, aveva suonato nei The Yardbirds.

Al grande evento erano presenti oltre 500 persone.

Brian May - rappresentante dei Queen e quindi il più… vicino alla regina - poté finalmente incontrare Elisabetta II e ricorda: “Vale la pena notare che è considerato improprio parlare alla Regina prima che lei parli con te, ma in assenza di una vera e propria introduzione e di fronte ad un potenziale momento di imbarazzante silenzio, sono stato spinto a prendere in mano la situazione e a dire qualcosa per rompere il ghiaccio…”

Qualche gaffe? Non certo da parte dei chitarristi!

L’occasione dell’evento era il conferimento di un’onorificenza alla leggenda della chitarra Eric Clapton, appunto, un nome che poche persone nel mondo non conoscono. Eppure, la Regina, al momento di presentarsi con il musicista gli chiese: “E’ molto che suoni la chitarra?

Poco prima invece, a Brian May che le aveva detto quale onore fosse stato suonare l’inno nazionale in occasione del “Golden Jubilee Weekend” che si svolse nel giugno del 2002 a Londra, aveva risposto: “Ah perché eri tu?”.

L’ultima stoccata infine è toccata a Jimmy Page, che ha dovuto rispondere alla domanda: “Anche tu sei un chitarrista?”.

Ah… poter essere presente!





lunedì 26 aprile 2021

Franco Giaffreda-“Apologia di un destino comune”


Sono passati due anni dall’uscita di "Glistrani giorni di NOInessUNO”, secondo album di Franco Giaffreda, ed ecco il suo ritorno all’atto discografico, in un momento certamente tra i più difficile per chi ha un ruolo in ambito musicale, qualunque sia la sua dimensione.

Il nuovo progetto si intitola “Apologia di un destino comune” e trae spunto dal drammatico momento in cui stiamo vivendo, fatto di rinunce, preoccupazioni, limitazioni e precarietà di ogni tipo di socializzazione.

Ma i momenti difficili forniscono stimoli alla creatività, o almeno alla riflessione spinta, e se si vive lo status di artista il passo successivo sarà quello di fissare per sempre i sentimenti che conducono alla creazione.

Nello specifico, Giaffreda elabora e racconta il disagio personale attraverso la storia di tre persone comuni, analizzando la loro vita prima e dopo l’avvento del Covid-19.

Recentemente mi è stato chiesto cosa mi stesse maggiormente pesando dell’attuale proposta musicale, nella mia veste di commentatore e ascoltatore: in primis la musica suonata a distanza, quegli pseudo concerti che prevedono che ognuno se ne stia sul proprio divano, musicisti e fruitori della musica. La seconda è l’impegno su di una produzione legata al singolo brano. Elementi probabilmente necessari alla sopravvivenza ma di cui farei a meno, conscio però del mio ruolo privilegiato.

Franco Giaffreda esce dalla logica su scritta e mi stupisce nuovamente, come avvenuto nella precedente occasione.

Abituato a vederlo in equilibrio tra il lavoro chitarristico nel Biglietto per l’Inferno e quello di frontman e flautista dei genesisiani Get'em out, ero rimasto spiazzato dalla genuinità e dalla varietà della sua proposta del 2019 e mi pare che sia proprio questo il fil rouge che permette di legare gli ultimi due suoi lavori.

Apologia di un destino comune” è un album di rock puro, tradizionale, con tanto di ballad annesse. Esistono le sfumature prog - un DNA che non si può cancellare - ma l’immagine prevalente è quella del pop rock fatto, anche, di virtuosismo strumentale.

La cura delle liriche e del messaggio da veicolare supera la dimensione dello sfogo e della denuncia personale e descrive la perfetta situazione in cui identificarsi, perché a differenza di altre occasioni le esperienze che stimolano la creazione del musicista sono in comune con chi svolge il solo ruolo di “spettatore” e appare quindi più facile la comprensione e l’immedesimazione.

Tredici tracce suddivise su quasi 42 minuti di musica, con attimi strumentali - “2020”, durissimo rock che apre l’album e il frammento chitarristico (48 secondi) “Re-legati - e una serie di episodi che seguono la durata della forma canzone, eccezion fatta per la lunga “Sospeso fra le stelle” (7:39), viaggio onirico dal ritmo contenuto, dosaggio di atmosfera musicale, melodia e conduzione chitarrista “dolorosa” nei toni.

Difficile estrapolare un brano perché trattasi di album concettuale e ogni tessera del puzzle appare funzionale al progetto.

Si segnala un guest importante in “Incredibile realtà”, Michael Manring, che con il suo hyperbass impreziosisce brano e album.

In sintesi, un album che va goduto nel suo insieme, cercando di entrare in sintonia con musica e parole, seguendo l’iter evolutivo e trovando punti di contatto con le storie proposte.

E poi esiste la fruizione più libera e spontanea, quella che prevede la mera gioia di ascolto, quella piacevolezza che caratterizza l’intero disco.

Franco Giaffreda è artista poliedrico, polistrumentista, compositore e ha una bella voce: il suo “Apologia di un destino comune” attende solo la prova del live… perché prima o poi la nebbia sparirà!



DOVE ASCOLTARE IL DISCO: 


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giovedì 22 aprile 2021

The Samurai Of Prog - “The Lady And The Lyon” (And Other Grimm Tales-I)


The Samurai Of Prog

 “The Lady And The Lyon” (And Other Grimm Tales-I)

 

Non mi sovvengono band o musicisti come i The Samurai Of Prog, capaci di sfornare musica a getto continuo, una prolificità inusuale, simbolo di passione sconfinata e capacità organizzativa.

Attenzione, non parlo di “costruzioni” semplici e lineari ma di un’architettura elaborata, che richiede tempo, cura dei dettagli e un utilizzo spinto della tecnologia, non perdendo mai di vista l’idea del team work e la fusione tra gli antichi stilemi del prog e la modernità richiesta oggigiorno, all’interno di un contesto dove il tempo sembra scorrere a velocità incontrollabile.

In questo spazio ho scritto a ripetizione dei TSOP, commentando ogni loro lavoro ma vale la pena ricordare che la band ruota attorno ad un nucleo fisso formato da Marco Bernard (italiano trapiantato in Finlandia, bassista), Kimmo Pörsti (finlandese, batterista) e l’americano Steve Unruh (violino, flauto e voce).

Per questo nuovo capitolo musicale appare come sempre nutrito il numero di collaboratori sparsi per il mondo: Ton Scherpenzeel, Bart Schwertmann (Kayak), Octavio Stampalía (Jinetes Negros), Cam Blokland (Southern Empire), Valerie Gracious (Phideaux), Alessandro Di Benedetti (Mad Crayon), Rafael Pacha (Last Knight), Jaime Rosas (Entrance), Kari Riihimäki, Carmine Capasso, Marc Papeghin, Marcelo Ezcurra, e David Myers.

Nel loro continuo gioco, in bilico tra passato e attualità, tra sonorità classiche e melodie tradizionali, i TSOP propongono questa volta una rilettura di una fiaba dei fratelli Grimm, “The Lady And The Lyon”, una prima parte a cui seguirà a breve un seguito, tanto per non smentire il concetto di prolificità!

Non ho ancora avuto la possibilità di toccare con mano involucro e contenuto ma so che gli aspetti che riguardano artwork e packaging sono solitamente il top, valore aggiunto al prodotto musicale che riesce a mitigare la nostalgia da vinile.

Però, mi sono fatto un’idea scorrendo il booklet digitale e penso che sia questo il modo corretto per poter usufruire al meglio “The Lady And The Lyon”: un ascolto combinato alla lettura, con tutte le didascalie, i riassunti e i credits del singolo brano.

I fratelli Grimm - e il titolo di una delle loro fiabe più famose - vengono utilizzati per molteplici storie, una sorta di “libro musicale” che unisce differenti arti, come vedremo a seguire.

Una quarantina di minuti di musica suddivisa su sei episodi, una produzione quantitativamente ridotta rispetto allo standard TSOP, che solitamente supera l’ora di ascolto, ma se consideriamo questo come “primo atto” tutto si spiega.

Apre l’album “Into the Woods” (3:06) che vede i Samurai affiancati da Alessandro Di Benedetti alle tastiere (autore) e Raphael Pacha alle chitarre.

Traccia strumentale che prepara la strada agli avvenimenti da raccontare e termina col recitato “Once upon a time”, preludio all’apertura del “book sonoro”.

Atmosfere magiche create dal mix tra strumentazione classica ed una “elettrica” lancinante.

Pianoforte e violino disegnano una natura protettiva e l’oscurità caratteristica di “certe storie”. L’inizio di molteplici fiabe… dentro al bosco!

The Three Snake-Leaves” (9:43) è musicata da Jaime Rosas con il contributo lirico di Unruh.

Una strana storia fatta di amore, dolore e giustizia, dove il concetto di rinascita passa attraverso la simbologia fornita dal serpente, fatto a pezzi ma poi tornato alla vita dopo … la cura delle foglie, le stesse che salveranno il principe naufrago, dopo il tradimento della sua principessa, che pagherà per la sua azione.

I TSOP sono coadiuvati nell’occasione dal già citato Rosas alle tastiere e da Cam Blokland alla chitarra elettrica.

La sezione ritmica appare decisiva per lo sviluppo del brano così come la conduzione vocale di Unruh, un colore timbrico unico, anche nel recitato.

Prog allo stato puro con cambio continuo di ritmo e mood, con riferimenti al passato che diventano spontanei; sottolineo una rara dote della band - che metto in relazione alla traccia - che è quella di far rivivere il racconto attraverso la proposta sonora ovvero, la lirica e la musica potrebbero raccontare la stessa storia senza mai incontrarsi.

A seguire lo strumentale “Iron John” (5:57) del tastierista Ton Scherpenzeel, ospite assieme al chitarrista Carmine Capasso.

La lettura del booklet ci aiuta a comprendere il pensiero creativo, basato su una storia di amicizia e fiducia, e sul concetto che gli errori commessi hanno un prezzo e che esiste la possibilità di rimediare per poi perseguire la rotta migliore.

Marcette e trame ariose fanno da sottofondo ad una melodia particolarmente coinvolgente, tanto da proporsi come colonna sonora da film. Una tensione positiva pervade l’ascoltatore mentre si sviluppa in via naturale il connubio tra rock sinfonico e racconto fiabesco.

Con “A Queen's Wish” (11:36) si rivive la favola di “Biancaneve e i sette nani”.

Musica di Alessandro Di Benedetti (che partecipa come tastierista) e liriche di Unruh; a coadiuvare il gruppo Rafael Pacha (chitarra acustica e altri strumenti “popolari” discendenti dalla cetra), Kari Riihimäki all’elettrica e Valerie Gracious alla voce.

Ed è proprio il duetto tra Valerie e Steve la variante, il dialogo continuo tra il recitato e il cantato, necessario per racchiudere in una mini suite una delle fiabe più conosciute nel mondo.

Traccia molto articolata, con modulazione continua di stati d’animo, come richiede la variazione tematica.

Musicalmente parlando perfetta per l’ascoltatore prog esigente, una sintesi di ortodossia e tradizione.

Una menzione particolare a Valerie Gracious, la cui voce mi ha riportato alla “nostrana” Silvana Aliotta ai tempi dei Circus 2000.

The Lady and the Lion” (3:58) propone all’interno del booklet il sunto della storia, ma essendo uno strumentale il suggerimento è quello di lasciarsi andare e reinventare il contenuto. È quello che immagino abbia fatto David Myers, l’autore del pezzo, che si propone in piena autonomia con il suo pianoforte a coda e disegna un “solo” che si assimila in un lampo e alimenta la voglia di viaggiare nel tempo e sognare

Magnifico!

A concludere la prima parte di questo progetto troviamo “The Blue Light” (6:48), musica di Octavio Stampalia (tastiere) e testo di Marcelo Ezcurra (backing vocals); gioco vocale fondamentale, in bilico tra Unruh, Gracious e il lead vocals Bart Schwertmann.

Team completato con Kari Riihimäki (chitarra elettrica), Rafael Pacha (chitarra acustica) e Marc Papeghin (corno francese e tromba).

Un’altra storia a lieto fine, in cui si mischiano situazioni e sentimenti e dove metafora e didascalia condiscono messaggi a cui ci si abitua già in tenera età, ma che solo la maturità aiuta a comprendere appieno.

Un altro frammento di prog complesso (nella costruzione, non nella fruizione), dove la voce dei differenti personaggi diventa protagonista, mentre il puzzle si completa con ritmi di puro rock alternati a godibilissimi attimi onirici.

I The Samurai Of Prog intraprendono una strada che mi piace immaginare didattica, ovvero una proposta che nei contenuti lirici è solitamente dedicata, anche, ai bambini, ma che unita ad una musica immaginifica fortifica la storia e modella i differenti stati d’animo.

Marco Bernard, Kimmo Pörsti e Steve Unruh appaiono mostruosi, carichi di idee (molto chiare…) e con enormi capacità realizzative.

Anche questo progetto mi pare vincente e adatto ad un pubblico sempre più vasto.

Non resta che ascoltare e aspettare il prossimo step che, sicuramente, ci aspetta dietro l’angolo!

 




domenica 11 aprile 2021

Noisy Diners-The Princess of the allen keys

Noisy Diners-The Princess of the allen keys

Videoradio


La versione delle origini di Mantova, fondata per opera di Ocno figlio di Manto trova sostegno in Virgilio, il sommo poeta mantovano di origine che nell’Eneide, canto X, recita:

“Anche lui, Ocno, chiama una truppa dalle patrie terre, figlio della fatidica Manto e del fiume Tosco, che diede a te, Mantova, le mura ed il nome della madre Virgilio Eneide"

 

Rubo questa citazione per evidenziare che “The Princess of the allen keys” è un racconto, tra storico e mitologico, alla ricerca delle radici, un omaggio alla città di adozione di Fabrizio Dossena, musicista di lungo corso, amante del prog, genere a cui ha guardato per molto tempo con devozione e rispetto, sino a quando, trovata la giusta motivazione/maturazione e i corretti compagni di viaggio, si è messo in proprio e oggi ci regala questo splendido paradigma del prog.

In realtà il progetto ha avuto lenta maturazione e mi pare siano passati un paio di anni da quando ascoltai la prima versione.

Le difficoltà che Dossena ha trovato sulla sua strada sono tante e legate al momento difficile che relega certa musica allo status di “prodotto poco vendibile”, perché la maggior parte dei giovani sceglie percorsi più “dentro al nostro tempo” e diventa quasi impossibile trovare chi decide di avventurarsi in produzioni così articolate.

Ma proprio nel momento più complicato, quello in cui la musica di cui maggiormente usufruisce la massa si concentra su di un solo singolo alla volta, ecco che Fabrizio vede premiata la sua tenacia e la “fede” nel proprio progetto.

L’incontro risolutivo è quello con Beppe Aleo, patron di Videoradio, etichetta non certo focalizzata sul prog, anche se il vecchio amore di Beppe - storico batterista degli anni ’70 - potrebbe essere stato decisivo per raggiungere un rapido accordo. Oppure potrebbe trattarsi solo di solidarietà tra ex savonesi!

Ma ciò che più importa è il risultato, una sorta di “Rock Opera” che non può lasciare indifferenti.

La lunga intervista a seguire realizzata con Dossena permette di fornire spiegazioni e dettagli utili alla comprensione di un album concettuale che propone la storia di Mantova e il mito della sua fondazione, collegato alle vicende della profetessa Manto che la tradizione greca vuole figlia dell'indovino tebano Tiresia.

La musica diventa quindi il mezzo per tracciare la leggenda, uno scenario in cui entrano in gioco i vari personaggi: Tiresia, Manto, Virgilio, Charon, La principessa delle chiavi a brugola.

Lunga la lista dei musicisti, così come quella degli ospiti, anche se si sottolinea la nobile presenza del genesisiano Nad Sylvan ma, soprattutto, quella di Cristiano Roversi, a cui Dossena attribuisce i massimi meriti per la riuscita del progetto.

The Princess of the allen keys” - che uscirà in formato CD il 21 maggio e successivamente in vinile - va ascoltato senza soluzione di continuità, anche se è proposto come una suddivisione in sette tracce, per un totale di cinquantacinque minuti.

Ovunque profumo di Genesis, ma è questo un DNA dichiarato da Dossena e a me appare un gran pregio.

Per chi è sempre alla ricerca della novità all’interno di un “mondo prog” in cui difficilmente si potrà ancora “inventare”, catturare un disco che presenta tutti gli stilemi del genere significa rinforzare dei paletti che ogni tanto vacillano, e ricordare quale sia stato il punto di partenza appare al contempo saggio e difficile.

C’è una storia che lega i vari brani, tra immagini oniriche e concrete; esiste la lunga suite, quella che si dovrebbe ascoltare tra amici conniventi in un modus agiografico, seduti con complicità su di un comodo divano; ci sono poi tutti gli strumenti “magici”, quelli che la tecnologia ha semplificato ma che danno lo stesso risultato sonoro di un tempo glorioso, contribuendo a realizzare arrangiamenti maestosi e trame ad ampio respiro, e l’atmosfera che viene a crearsi inventa una certa sacralità musicale che soddisfa a pieno pancia e mente, almeno per i nostalgici - come me - che hanno potuto vivere il bello e il meglio della rivoluzione musicale di fine anni ’70. 

La conseguenza è che credo sia impossibile rimanere insensibili al cospetto di questo lavoro, giovani e meno giovani, purché open mind e pronti nel lasciarsi contaminare.

Musicisti fantastici dicevo, ma vorrei sottolineare il risalto vocale prodotto da Donata Luani (Manto), spesso in duetto con Silvan (Virgilio).

L’effetto che mi ha provocato l’album dei Noisy Diners va oltre il piacere d’ascolto - peraltro elevatissimo -, la bellezza estetica, l’apprezzamento per le idee e per i musicisti, e mi ha permesso di verificare ancora una volta il ruolo fondamentale della musica, una sorta di unità di misura del tempo in movimento, concetto antico, ma che fa piacere rimarcare quando si riesce a verificare sulla propria pelle la veridicità delle citazioni dei saggi del passato: “The Princess of the allen keys” è rappresentativa del mio concetto di musica di qualità e il suo ascolto mi ha condotto verso un felice viaggio nel tempo, trip che nulla ha a che fare con l’elemento nostalgico, ma reca in sé un rammarico, quello che oltrepassare certi confini e arrivare al neofita sarà impresa titanica.

Eppure… che tipo di variazione didattica sarebbe la proposizione di "The Princess of the allen keys” per qualche docente “aperto”?!

I tempi sono difficili, l’incertezza non vede una fine, ma conoscendo un po’ la determinazione di movimento di Fabrizio Dossena, immagino che non sarà impossibile delineare un prossimo futuro fatto di live, magari in uno o più teatri!

A fine articolo propongo un esempio musicale, anticipato dalle quattro chiacchiere fatte con Fabrizio… 


Partiamo dalla tua storia e risaliamo ai giorni nostri: come si è sviluppata la vita musicale di Fabrizio Dossena, in buona sintesi?

La mia vita musicale ha avuto tre inizi:

-in quel di Finale Ligure nel 1973 quando mi è stata regalata la mia prima chitarra.

-quando qualche anno dopo ho scoperto i Beatles.

-quando dopo essermi trasferito a Spotorno ho iniziato a conoscere persone che la musica l'avevano dentro davvero e che non ringrazierò mai abbastanza: in ordine di apparizione Daniele De Bernardi, Ezio Secomandi con i Total Crash e poi Insieme a Riccardo Giudice con i Black Out, Fabrizio Cruciani e Joe Vescovi periodo Knife Edge. Grazie a loro decisi di studiare musica arrivando a preparare e non dare l'esame per il 5° anno di chitarra classica.

Dopo un lunghissimo periodo di pausa, ed essendo passato alla scrittura teatrale decidendo di mettere in scena Storia di un Impiegato di Fabrizio De André, ho ripreso a suonare (grazie al Maestro Guido Rizzo di Alassio) e così sono nati i Clan Destino fondati insieme a Guido Dellapietra e che quest'ultimo sta egregiamente portando a risultati e traguardi davvero eccellenti.

Trasferitomi a Roma nel 2008 ho proseguito la mia "educazione artistica" collaborando in svariate situazioni per rientrare in Liguria dopo tre anni.

Nel 2012 la chiave di volta, il mio trasferimento a Mantova.

Dopo aver annusato un po’ l'aria, nel 2017 l'incontro con Cristiano Roversi, il resto è il presente e soprattutto il futuro.

Mi pare di capire che la musica progressiva, quella su cui è basato il tuo nuovo lavoro, sia per te una novità: come sei arrivato a costituire i Noisy Diners e conseguentemente l’opera rock “THE PRINCESS OF THE ALLEN KEYS”?

La musica progressive è sempre stata una mia grande passione, che però mi ha sempre intimorito dal punto di vista tecnico e per una forma di rispetto ho cercato di non offenderla sino a che non mi sono sentito in grado di approcciarmi a questo mondo nella maniera che merita.

Per quanto riguarda i Noisy Diners, dopo aver fatto leggere a Cristiano Roversi il testo della "Principessa delle chiavi a brugola" è stato tutto succedersi di idee che in un tempo ragionevole ci hanno portato sino qui.

L’album è di tipo concettuale, come è tipico del prog, e certamente l’idea di “opera” racchiude in sé il concetto di “storia”, con un inizio e una fine: come mai hai pensato alla leggenda di Manto e alla nascita della città di Mantova, quella in cui tu vivi? Gesto di riconoscimento o qualcosa di più articolato?

È iniziato dalla fine, The Princess esiste (è la mia compagna) e leggendo di Manto e nata tutta la storia: "The Princess of the Allen keys" è la prima uscita di una trilogia, inizia con la fuga di Tiresia (padre di Manto) da Tebe e termina con la comparsa della Principessa, che poi è una giovane Gattara diretta discendente di Manto. Sicuramente anche una forma di riconoscimento alla città che mi ha accolto.

So che per realizzarlo hai pensato a collaboratori del luogo, quasi a rafforzare l’idea di gruppo locale al lavoro: chi sono i tuoi compagni di viaggio?

Lo zoccolo duro dei Noisy Diners, oltre a me, sono Cristiano Roversi, Ezio Secomandi, Donata Luani e Davide Jori, ma credo che la magia ed il grande merito di questo progetto vada a Cristiano, bravissimo come era nella mia immaginazione a coniugare tre modi di sentire la propria musica completamente diversi, un batterista hard rock, un chitarrista (Davide Jori) con chiare influenze acide alla Sid Barret, un progger puro come Cristiano Roversi ed un fanatico della chitarra folk 12 corde come il sottoscritto. A questo si sono aggiunti musicisti straordinari come Mirko Tagliasacchi (basso), Erik Montanari (chitarra) e le voci di Stefano Boccafoglia (Tiresias), Beatrice Cotifava (The Princess), Aran Bertetto (Caronte), Antonio De Sarno (voce narrante, traduzioni, e linee melodiche) e soprattutto Nad Sylvan nei panni di Virgilio.

In due brani tanto per non farci mancare nulla abbiamo anche Mauro Negri al Sax.

Tra tanta italianità - musicisti e storia - spicca il contrasto delle liriche in lingua inglese: da dove arriva la scelta?

La scelta della lingua inglese deriva dal semplice fatto che la nostra intenzione è quella di rivolgerci da subito anche al mercato estero.

Quali sono le peculiarità delle trame musicali?

Che profumano di Genesis!

Quali sono le difficoltà tecniche che vi hanno maggiormente impegnato?

Legare gli stili diversi dei vari musicisti e l'attenzione maniacale alla pronuncia inglese.

Mi racconti qualcosa a proposito dell’artwork?

La copertina è un'opera di un artista argentino, Daniel E. Dank; l'idea era un'altra, ma dopo aver visto il dipinto raffigurato sulla copertina ho deciso immediatamente di contattare Daniel. La cosa divertente è che il dipinto originale è in casa di un collezionista di Las Vegas; per la cronaca Daniel nel novembre del 2019 ha esposto in piccolo museo di Parigi che viene chiamato… Louvre.

Vorrei saperne di più degli aspetti realizzativi e distributivi: a quale etichetta vi siete affidati e chi curerà la diffusione dell’album?

Diciamo che siamo stati fortunati, grazie a Ezio (il batterista) sono entrato in contatto con Giuseppe Aleo di Videoradio Channel e Videoradio Edizioni Musicali; prima solo tante parole, con lui ci siamo sentiti il lunedì pomeriggio e il giorno dopo eravamo già al contratto. Cose d'altri tempi.

Per quanto riguarda la distribuzione siamo presenti già da qualche settimana su tutte le piattaforme digitali, mentre tramite Self Distribuzione il CD uscirà il 21 maggio e sarà possibile acquistarlo in tutto il mondo anche tramite IBS e Amazon, ma saremo presenti anche nei cataloghi di Feltrinelli ed altri.

In quali formati è prevista l’uscita del disco?

Uscirà prima in cd, ma è chiaramente previsto anche il vinile. Visti i tempi abbiamo dovuto temporeggiare e credo che verso il prossimo autunno potrebbe esserci il vinile.

Sono programmati momenti di promulgazione (concerti o incontri)?

Sì, ma di sicuro non nel 2021, perché non è facile proporre dal vivo una vera e propria Rock Opera, tanto per usare le parole di Nad Sylvan!





mercoledì 7 aprile 2021

ALIAS - “The Second Sun”



ALIAS - “The Second Sun”

già pubblicato su MAT2020 di febbraio

 

ALIAS è un progetto che prende vita a Napoli e la collocazione geografica appare necessaria per inquadrare la tipicità della loro musica, autodefinita World-Prog, il che porta immediatamente a pensare ad un amore per il mondo sonoro progressivo che va ad unirsi al DNA mediterraneo: non è un caso che tre dei componenti la band siano fondatori dell’Orchestra Multietnica Mediterranea.

Ciò che riescono a realizzare in questo album è incredibilmente coinvolgente e risulta motivante realizzare che in mezzo a tanta mediocrità musicale possano nascere idee così fresche e godibili.

La novità di cui parlo risiede nella sintesi tra l’istituzionalità del prog e le radici tipicizzanti di un territorio specifico, esperimenti non certo nuovi, ma in questo caso il paradigma che emerge non riguarda un episodio singolo od un accenno tra le righe, ma tutto l’album è votato alla saldatura di esperienze formative e amori di una vita, come specificato dalla band:

Il progetto nasce da una passione comune per la musica di gruppi come King Crimson, Gentle Giant, Pink Floyd, Led Zeppelin, Tangerine Dream, fino al minimalismo di Terry Riley, che sfociano in composizioni originali nelle quali si amalgamano elementi di musica rock e ritmi del sud del mondo.”


Vediamo i componenti della squadra:

Romilda Bocchetti - voce, pianoforte e tastiere, darbuka;

Giovanni Guarrera - chitarra classica e cori;

Ezio Felaco - basso;

Fredy Malfi - batteria



Parto per una volta dalla copertina, perché di forte impatto.

Realizzata da Raffaele Bocchetti - pittore, scrittore e poeta -, interpreta in modus psichedelico la Torre di Tesla, una delle prime torri aeree per la trasmissione senza fili, progettata da Nikola Tesla, il controverso scienziato serbo vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900 a cui il disco è dedicato.

Un brano in particolare - la title track - ripercorre i momenti topici della ricerca e dello studio di Tesla - messi spesso in discussione -, le cui conclusioni furono considerate a tratti visionarie e non scientificamente provate. Eppure… senza di lui, non potremmo alimentare le nostre case di energia elettrica!

Sono sette i brani che compongono “The Second Sun” spalmati su quarantatré minuti di qualità formale e sostanziale.

Si apre con “Red Six” che vede la presenza di un ospite, Max Fuschetto all’oboe, che detta la melodia in accoppiata all’esercizio corale della Bocchetti.

Tempi composti e moto di basso che “parla”, un’iniezione di prog in un giro di blues.

L’approccio di “Pitch Black” fonde ere diverse e, partendo da una base anni ’60, approda ad una vena elettronica molto più recente, mettendo in luce l’ecletticità della vocalist. Ma il cambiamento è repentino e conduce nei sentieri del minimalismo e della sperimentazione, per poi ritornare nel tratto iniziale. Magnifico!

Seguendo le indicazioni della band, sottolineo che il testo evoca l’angoscia delle traversate nei viaggi della speranza. 

Mediterraneo Prog” appare come manifesto e propone la qualità solistica basata, in questo caso, su pianoforte e chitarra classica, ma l’intermezzo jazzato è un saggio di bravura e libertà espressiva che permette di idealizzare il tema del viaggio - non importa in quali dimensioni - liberando la fantasia e la necessità onirica.

Con “Around The Universe” si continua a sognare e ad accorciare le coordinate spaziali e temporali. Il testo è tratto dalla poesia “Tra i Pianeti” di Raffaele Bocchetti.

Andamento brillante e leggero, una voce soave e swing, un quasi pop da rotazione radiofonica.

Ma i cambi di umore sono dietro l’angolo… il ritmo dispari, la ripetitività rileyana, l’elemento classico e un successivo ritorno al punto di partenza: una perfetta trasposizione in musica del concetto di viaggio!

Danza Dei Due Mondi” è traccia completamente strumentale che, nell’intento degli autori, descrive una storia autobiografica e racconta di un’emigrazione all’incontrario che “dal Brasile, Asa Branca, incontra le sonorità mediterranee”.

Primi tre minuti condotti dalla “classica” di Guarrera su di una base ritmica atipica per l’ambientazione sudamericana a cui fa riferimento. E poi si sfocia in una gioiosa tarantella che ricorda un episodio noto della PFM.

The Second Sun” è dedicato, come già sottolineato, alle visioni di Nikola Tesla.

Il tema conduttore è rappresentato da una ballad dal mood triste in cui Romilda Bocchetti fornisce uno dei suoi tanti colori espressivi, ma esiste una sezione cospicua dedicata all’aumento dell’entropia musicale, una rappresentazione efficace del caos, dell’immersione tecnica, della ricerca frenetica, tanto materiale per alimentare l’immaginazione e disegnare scenari sconfinati.

Conclude l’album “Samsara”, la descrizione del flusso in divenire, il mutamento, l’illusione e il miraggio, il velo di Maya, ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non si può dire né che esista, né che non esista… forse un sogno.

Una perfetta fermatura del cerchio che musicalmente viene descritta attraverso un brano strumentale condito da variegate vocalizzazioni, un senso di fine del percorso e la certificazione della concettualità del progetto.

Disco superbo e consigliabile ad un pubblico trasversale, caratterizzato da luoghi sonori inaspettati, da continui cambi di passo, con una totale padronanza della materia e chiarezza di idee.

Mi spingerei nel dire che siamo di fronte ad una discreta novità in un campo in cui molti dicono si sia già detto quasi tutto, ma il concetto di libertà assoluta abbinato alla musica progressiva permette di esplorare strade e oltrepassare limiti che non sarebbero concessi dall’ortodossia musicale.

“Don’t be a square” suggerirebbe Tarantino, e certamente questo fantastico ensemble non si cura di schemi preconfezionati.

Mi piacerebbe tanto assistere ad una loro performance live!

 

Con la partecipazione di Max Fuschetto all’oboe in Red Six

Interamente registrato, missato e masterizzato a Bagnoli a "La Saletta Sound" di Guido Cusano


https://www.facebook.com/AliasBGF