L'INTERVISTA
Non posso che partire da
Volpedo, ricordando un concerto emozionante, in un contesto che, come anche tu
sottolineasti, è risultato affascinante, oltre le più rosee aspettative.
Pensavo che la forte emozione provata fosse riservata soprattutto a noi
spettatori, ma parlando con Bernardo Lanzetti, pochi giorni dopo, ho capito che
il momento magico aveva coinvolto anche gli artisti. Che cosa ha contato di più
per te … la festa in onore di Rodolfo Maltese … la reunion on
stage con tuo fratello Gianni, dopo molti anni … il luogo, l’amicizia, il
pubblico?
Le componenti di un
concerto sono scritte con un linguaggio diverso da quello verbale, è un
linguaggio subliminale fatto di percezioni mentali, fisiche,spesso irrazionali,
attinenti ad una sfera “parallela” a quella conscia, reale e concreta. Per
cui c'era sicuramente tutto quello che hai indicato ed altro ancora, ma
strutturato “dentro” secondo parametri diversi da quelli usuali.
Ho commentato con un amico
presente “750.000 anni fa, l’amore” e concordavamo sul fatto che le prime
note di piano provocano intensi brividi che percorrono la spina dorsale. Tipico
della musica … di certa musica. Il potere gratifica molti, anche nelle
situazioni più aberranti, ma avere la capacità (e quindi il potere) di creare
qualcosa che provoca sensazioni positive negli esseri umani deve essere una
delle maggiori soddisfazioni che si possano provare. Sei conscio di questo tuo
“ dono del Signore” e sei d’accordo sul fatto che possa essere considerato come
una terapia per alleviare dolori dell’anima, spesso più forti di quelli fisici?
Più
che “potere” io definirei quello di cui parli “privilegio”, un privilegio
di cui non bisogna mai dimenticarsi. Di sicuro la musica è qualcosa che
sta contemporaneamente dentro e fuori la realtà, che coinvolge matericamente e
spiritualmente, che racconta storie già note eppure ogni volta può alludere a
storie nuove, inaspettate. In genere tutta l'arte ha questa capacità di essere
alchemicamente costituita da ragione e istinto, da tecnica e pulsione inconscia,
ma forse la musica ha il vantaggio di essere al primo impatto più coinvolgente,
come se consentisse un accesso più immediato, forse più “facile”, almeno in
molti dei suoi generi e stili (per la musica dodecafonica, ad
es., dovremmo parlare ovviamente di altri processi). Letteratura,
scultura, architettura, ad es. hanno bisogno subito dell'intervento del
pensiero per essere recepite, coinvolgono in maniera più ampia la nostra parte
razionale, richiedono per essere “SENTITE” emotivamente la conoscenza di linguaggi
e tecniche più complesse. Con questo non intendo affatto dire che la musica sia
più semplice, dico solo che al primo impatto risuona in modo più immediato,
mettendo subito in moto una possibile percezione emotiva, lasciando poi agli
ascolti successivi il piacere di approfondirne la conoscenza per scendere più
in profondità. Credo che questa sua prerogativa la renda più incisiva degli
altri linguaggi artistici e quindi ad esempio anche come terapia abbia una
maggiore incisività di altre tecniche.
Vedendovi a Volpedo mi è
venuto da pensare che avete moltissimo da dare … insieme. Vi avevo
ascoltato un paio di anni fa, a Savona e, al di là della buona performance da
professionisti, la sensazione che avevo provato era di un concerto un po’
“forzato”, come se ci fosse un contratto da rispettare, ma con una gran
voglia di finire presto. L’atteggiamento di Francesco Di Giacomo ,
apparentemente svogliato (ma credo faccia parte del personaggio) aveva
accentuato questa sensazione. Forse mi sono sbagliato, ma la mia curiosità
resta: è davvero difficile suonare assieme dopo tanti anni? Si possono trovare
nuovi stimoli e fresche motivazioni per continuare a far felici i sostenitori?
Un concerto non è
in nessun caso fatto solo da quello che accade sul palco, anzi è molto più
importante quello che accade fuori del palco, parlo della qualità del
“pubblico”. Soprattutto dopo tanti anni, è l'attenzione, la qualità di chi si
mette in ascolto di un concerto che lo rende interessante, emozionante,
travolgente, perché è questo che ispira maggiormente un artista: chi c'è ad
ascoltare la tua performance, perché questo apparente “destinatario” è invece
non solo “committente” del concerto ma ne è assolutamente “cointerprete”. Ogni
volta il gioco è soprattutto questo: se l'esecuzione di chi ascolta è forte,
quella di chi suona non può essere mai inferiore: è un boomerang, è un rimbalzo
incredibile che non potrà mai accadere in modo scontato e uguale ad un altro,
almeno questo è quello che mi capita sempre con il Banco.
Cosa ha significato per te
ritrovarti sul palco con Gianni, sia dal punto di vista tecnico (lo hai
presentato come uno dei più grandi in Italia) che da quello affettivo?
Quando Gianni
lasciò la formazione, fu un momento molto particolare, e oggi a distanza di
tanto tempo possono dire che per me fu sicuramente doloroso, fui subito
consapevole delle occasioni preziose che avremmo sottratto a noi stessi e agli
altri... ma le scelte vanno ovviamente sempre rispettate. Il potenziale del nostro
binomio, provando a parlarne in maniera onestamente distaccata ed obiettiva,
credo che si sia espresso direi al massimo al 30 - 40 % di quello che avrebbe
potuto dare, e bada bene questa è la prima ed ultima volta che lo dico
pubblicamente (le autocelebrazioni, anche se mi ci tiri per i capelli, sono
sempre imbarazzanti e di poco gusto!). Sul livello tecnico-artistico di
Gianni credo che la mia affermazione sia assolutamente oggettiva, distante anni
luce dal fatto di essere fratelli: è una mia convinzione ed in quanto tale
certamente condivisibile oppure no.
Dando una lettura ai tuoi
moltissimi impegni ufficiali, emerge la tua attenzione verso i giovani talenti
e verso la cultura in generale, non solo musicale quindi. So che è
facile cadere nella retorica, ma esiste tutto un mondo di “ultimi”,
cronologicamente parlando, che rischia di restare pericolosamente senza
obiettivi, o comunque senza comprendere quale tipo di impegno serva per
raggiungerli. E non credo che “Amici” sia un buon esempio. Che cosa,
concretamente, può fare un artista per far capire a un giovane che l’oasi si
raggiunge dopo chilometri di deserto?
Non c'è niente che
un artista possa fare per indicare le scorciatoie verso l'oasi... perché se sei
un vero artista, hai già sofferto tu quell'inferno, le illusioni, le delusioni,
le ipocrisie, l'ignoranza crassa e arrogante... per cui puoi solo essere dalla
parte dei giovani e dire loro di resistere e di credere a sé stessi fin dove
possono e oltre.
”Estremo occidente” è una
questione tra te e il tuo piano. Potresti scegliere tra la bellezza di una
lirica musicata e le immagini fornite dalla sola musica? Cosa prevale, se
prevale, tra testo e suoni?
Ancora una volta è
un fatto di linguaggi: il suono non ricorre ai concetti logici del pensiero e
delle parole, quindi ha il vantaggio di raccontate tante storie parallele
quanti sono gli ascoltatori. Nel momento in cui metti insieme parole e musica,
sicuramente in qualche modo restringi un po' l'immaginario evocato dalla sola
musica, come se le immagini suggerite dalle parole possano imbrigliare quelle
più ampie della musica strumentale. Però, come spesso accade, in qualche modo
c'è una specie di compensazione: il testo da una forza più penetrante, da
ulteriore efficacia alla musica e quindi le consente di arrivare prima agli
altri, le suggestioni sono già in parte decodificate. Inoltre se è vero che
suggerisce delle immagini obbligate (cioè quelle legate alle parole) è
altrettanto vero che, come accade per un libro, io posso comunque dare, in modo
personale e diverso da quello degli altri, fisionomia ad un viso, emozioni ad
un racconto, insomma fare di una lettura una specie di film individuale.
“Movimenti” proponeva le poesie che Alda Merini aveva scritto per i miei brani
come lettura parallela all'ascolto, proprio per scardinare l'obbligarietà delle
parole della canzone fissate e “inchiavate” sulle note della melodia: proponevo
di leggere le poesie di Alda Merini contemporaneamente all'ascolto dei brani,
liberamente... con una scansione temporale più larga di quella delle canzoni,
che consentisse di gustare le immagini evocate dalle parole in modo ampio,
amplificandole con l'ascolto della musica. I versi della Merini potevano essere
letti più volte, durante l'ascolto della mia musica, con una scansione ampia e
reiterata, come sorseggiare un grande bicchiere d'acqua e scoprirne la bontà
mentre ti leva la sete.
Credo di avere grossi esempi
di “classico “ che soccorre il rock. Ma c’è qualcosa di rock nella musica
classica?
Posso rispondere
meglio se mi consenti di rifarmi all'ABC della musica: i tre elementi
fondamentali che la costituiscono sono melodia, armonia e ritmo (oltre
naturalmente al suono, al timbro). Quando la pulsazione ritmica viene esaltata
dalla scrittura e dall'esecuzione, allora la musica classica è più vicina al
rock. La “Sacre du printemps” di Stravinskji, con i suoi accentati insistenti
ed esplosivi, può essere un buon esempio di quello che intendo. Ho sentito
eseguire, ad es., da Nigel Kennedy “Le quattro stagioni “di Vivaldi con
una forza ritmica così prorompente da far diventare l'intera composizione
assolutamente rock!! Eppure la partitura non aveva subito nessuna variazione,
anzi era stata eseguita in modo filologico e assolutamente rigoroso. Nello
stesso concerto ho sentito eseguire anche Hendrix dallo stesso ensamble di
archi di Kennedy: era un regalo del rock al mondo sinfonico.
Mi ha affascinato il concetto
di “mutamento” alla base dell‘ “I CHING “, filosofia che hai applicato nella
realizzazione del tuo disco. Quando riproponi i vecchi brani del
BMS li “senti” differenti , per significato o presentazione, rispetto al
passato?
E' sempre la stessa
storia: la musica è un miracoloso paradosso, è matematica eppure allo stesso
tempo esprime irrazionalità, è tecnica, è precisione ed allo stesso tempo è
istinto, è realtà concreta che si porge all'ascolto per spostarti in altre
parallele dimensioni, è il contatto con il trascendente, il divino... come la
follia che veniva rispettata dalle culture popolari proprio per la sua
illogicità come interfaccia metafisico. Il tempo, il passato, il presente, sono
categorie mentali così relative!
Mi porto dietro sin
dall’adolescenza un concetto di Voltaire che definiva l’amicizia “… un
tacito accordo tra persone sensibili e virtuose … “. Quanto
erano “sensibili e virtuosi “ gli uomini on stage a Volpedo.
Sono convinto che
sul palco c'era molto di quel tacito accordo volteriano.
Sei felice, musicalmente
parlando?
No, mi manca il
tempo necessario per scrivere di più, mi manca l'opportunità di poter credere
ancora alla forza della cultura e dell'emozione... vedo invece intorno un
cinismo stupido e miope che non ha nulla a che fare con quella dimensione
spirituale di cui la musica e le altre arti dell'uomo hanno sempre bisogno per
potersi trasformare in idee nuove, emozioni, visioni future, sentimenti
condivisi e privati allo stesso tempo, insomma nel miracolo di poter sognare ad
occhi aperti.