martedì 28 luglio 2015

VOODOO – THE HUMAN EATER TURBINE


I VODOO, musicisti piemontesi, rilasciano il primo album dal titolo The Human Eater Turbine, che segue l’EP del 2013, Everybody Has To Go Someday.
Nove brani che si dipanano in oltre 30 minuti di sound davvero godibile.
Come sempre mi accade inizio l’incontro con un nuovo disco partendo dai crediti, a maggior ragione utili in questo caso, dal momento che non conoscevo la band.
La lettura della line up non lascia spazio all’immaginazione, perché emerge immediata la ricerca dell’energia che ci si aspetta sempre da un power trio.
“Power Trio” è termine impegnativo, ed evoca magie d’altri tempi che riportano alla mente la Jimi Hendrix Experience, i Cream, gli ZZ TOP o i Police, tanto per citarne alcuni famosi.
Senza voler fare accostamenti pericolosi, e cercando di accantonare i poco interessanti paragoni, gli ensemble citati -e molti altri ancora- hanno aperto una strada, un modo espressivo che, con le opportune variazioni, si mantiene vivo nel tempo, soprattutto nelle situazioni live.
I VODOO amano evidentemente il genere, e probabilmente sono cresciuti assimilando la lezione storica dei miti di più generazioni, e propongono quindi il loro rock blues che, a giudicare dal lavoro in studio, appare solido ed equilibrato, nel senso che non sente la necessità del virtuosismo fine a se stesso -probabilmente in evidenza nelle situazioni live, quando è richiesta una quota di improvvisazione e di esibizionismo- ma tende a privilegiare l’amalgama.
Ciò che a mio giudizio emerge, come fatto spontaneo e non studiato a tavolino, è un bridge tra l’energia degli archetipi del genere e il modello evoluto, quello proposto verso la fine degli anni ’90, e il contenere la diversità di “semi” provoca una certa originalità, che spesso non è nemmeno richiesta in casi del genere, ma che un ascolto attento può far emergere, e tutto questo va a vantaggio dei ragazzi di Casale.
Riff accattivanti, sprazzi di costa ovest americana, vocalità significativa e appropriata… sono questi elementi che producono soddisfazione da post ascolto, inducendo una grande curiosità legata alla performance live.

Ma leggiamo il pensiero della band… l’ascolto dell’album sarà possibile cliccando sul link appropriato, a fine post.


L’INTERVISTA

Dove e come nascono i VOODOO? Possibile sintetizzare la vostra storia?

La band si è formata nel 2006, ma con la formazione attuale è attiva dal 2009. Dopo vari cambi di formazione sono rimasti coloro i quali credevano effettivamente in questo progetto.

Come siete arrivati alla composizione della band… progetto preciso o legato a rapporti di amicizia?

Abbiamo scelto assieme di formare un gruppo quando eravamo ragazzini, semplicemente per suonare le canzoni che ci piacevano e per puro divertimento. Siamo amici fin da prima che iniziasse la nostra storia come band e andiamo tutti verso la stessa direzione.

Chi ha influenzato il vostro modo di essere musicisti? Esistono linee guida che vi accomunano?

È difficile definire delle linee che racchiudano tutto ciò che ci unisce. È una miscellanea davvero organica fatta di diversi studi musicali. Io ad esempio, da ragazzetto, ascoltavo rap, poi mi sono avvicinato alla chitarra blues, poi al jazz, poi al metal. Teto, il tastierista, ha avuto uno studio molto più classico e progressive rock e suonava l’organo in chiesa, mentre il batterista ha un’impronta più selvaggia e rock anni ’90. Tutto ciò unito alle nostre teste crea più o meno il genere.

Come definireste a parole la vostra musica?

Non credo abbiamo inventato nulla di nuovo. Cerchiamo di creare sempre nuove canzoni che siano diverse dalle precedenti, per noi questo è l’importante. La nostra è una musica rivolta ad un pubblico che ascolta rock, ma non amiamo l’etichetta di un solo genere. Siamo in continua evoluzione.

E’ da poco uscito l’album The Human Eater Turbine": qual è l’anima di tutto il lavoro?

L’album è stato scritto in un anno circa e registrato mentre ancora era in azione il processo di stesura dei brani. Dentro ci sono molte sensazioni e storie, ma il fattore comune che lega tutto il lavoro è certamente l’amore. L’amore inteso come fattore inesorabile della natura umana.

Esiste per voi diversa importanza tra liriche e musica?
Sono importanti in egual misura.

Cosa accade ai live dei VOODOO?

Tutto ciò che potete vedere ed ascoltare non è nient’altro che… noi. Niente basi, niente sovraincisioni, niente effetti pirotecnici. Solo noi e i nostri strumenti. A volte ci piace anche lasciarci andare all’improvvisazione.

Quanto apprezzate le tecnologia, applicata alla musica e al modo di pubblicizzarla?

La tecnologia in ambito di registrazione sonora e strumentazione si evolve in continuazione e se può facilitare o meglio accelerare il processo creativo, ben venga. Per il discorso social network e web, è uno strumento molto potente e stratificato, si possono raggiungere moltissime persone semplicemente da un pc ed è bellissimo pensare che appena si mette on-line della musica, qualcuno, dall’altra parte del mondo, ti possa ascoltare un secondo dopo. Le possibilità sono infinite. La logica del management è sempre la stessa, sono cambiati i mezzi e la velocità di propagazione dei contenuti. È una cosa bella, ma tremenda al tempo stesso.

Che giudizio potete dare dell’attuale stato della musica, tra businnes e talenti?

Purtroppo non abbiamo un buona opinione in merito. La musica si fa in televisione, il mercato è saturo, sta vincendo l’estetica sul contenuto e ci sono sempre meno soldi per tutti. Ma noi siamo fiduciosi in un qualche tipo di cambiamento, e continuiamo dritti per la nostra strada.

Quale vorreste fosse il futuro prossimo dei VOODOO?

Continuare a suonare e farlo sempre di più. Vorremmo diventasse il nostro impiego a tempo pieno e, perché no, toglierci qualche sfizio in terra straniera.


Tracklist:
1 The Human Eater Turbine 2:48
2 When You Were a Kid 3:22
3 His Sorrow 4:18
4 Hurt Ourselves Inside 3:11
5 The Invisible Boy 3:50
6 Over the Red Fields 4:34
7 Moonlight 4:20
8 The Place 3:05
9 Cannibals 3:51
 
Members: 
Vittorio "Vike" Giorcelli : vocals and guitar
Stefano "Teto" Cavaliere : bass and organ
Stefano Bollo : drums

BIOGRAFIA

Power-trio alternative rock formatosi nel 2009.
Nel 2012 iniziano a macinare concerti proponendo i loro inediti. Il 24 Novembre aprono per i conclamati torinesi Farmer Sea all'Indiscutibile Night a Vercelli, riscuotendo pieno encomio del pubblico. Il 29 Novembre esce il videoclip del brano singolo "Standin' Tall" http://youtu.be/tRfSSXygNi0.
Nel 2013 terminano la produzione del loro primo EP in studio avvalendosi della co-produzione artistica di Davide Ghione, già al lavoro con Artemista. Il disco "Everybody Has To Go Someday" è uscito il 28 Febbraio 2013 in digital release (distribuzione Zimbalam) e copia fisica. Il 21 Marzo vanno in onda sulla rete nazionale RAI5 per il programma COOLTOUR - AFTERMIDNITE con il loro primo showcase personale http://youtu.be/407NdMhxOz0
Nel 2014 inizia la collaborazione con Habanero Agency, la quale trova grande affinità artistica con la band.



sabato 25 luglio 2015

Prog Fest di Pegli-Delirium e ORME: il resoconto

Hammond (Leslie nascosto) e Moog: protagonisti

La due giorni dedicata ai Beatles e organizzata nell’occasione della Festa del Mare a Pegli, Genova, parte dal Prog Fest, il 24 luglio, un evento apparentemente fuori contesto, ma il luogo in cui è nato ufficialmente il fenomeno prog è l’Inghilterra, e i gruppi che arrivarono nel nostro paese ad inizio seventies operarono quella “British Invasion” che pochissimi anni prima avevano visto protagonisti dai nomi altisonanti, Beatles e Stones, ma non solo loro.
E’ forse questo il pensiero che ha mosso i direttori artistici Mauro Sposito e Alfio Vitanza, possessori del progetto The Beatbox (in scena il giorno successivo), ma con i piedi saldi all’interno del mondo progressivo.
Le band coinvolte nell’occasione sono due pezzi di storia della musica italiana, tuttora in attività: Delirium e ORME, un’accoppiata capace di stimolare ricordi e fantasie dei tanti presenti, che spesso hanno accompagnato vocalmente i brani più conosciuti e non hanno fatto mancare l’affetto agli attori sul palco.
Iniziano i Delirium, band che gioca in casa, e che presenta un vero “British Man”, quel Martin Grice che ha vissuto in prima persona i fasti della Swinging London, e idealmente può essere considerato il bridge e il collante tra gli stili ed i generi proposti in questa kermesse.
Come ho più volte segnalato nell’ultimo anno, i Delirium I.P.G. (International Progressive Group) hanno voltato decisamente pagina, trovando nuovi stimoli e traendo vantaggio dalla nuova linfa (Alfredo Vandresi alla batteria, Michele Cusato alla chitarra e Alessandro Corvaglia alla voce /acustica e tastiere) che si è aggiunta al già citato Martin Grice (fiatista), al bassista Fabio Chighini e al più originale dei membri, Ettore Vigo, tastierista da sempre della band.
Questo nuovo entusiasmo ha avuto come logica conseguenza un nuovo parto musicale, “L’era della Menzogna”:
Segnale preciso… la voglia di guardare avanti, senza rinnegare il passato e provando a percorrere nuove strade che, pur mantenendo il brand indelebile, siano in grado di coniugare storia, cultura e rock.
La novità è rappresentata da una sostituzione forzata, quella di Michele Cusato, assente per impegni presi precedentemente, e sostituito da un suo allievo poco più che ventenne, Alessio Grasso, capace di studiare intensamente e con profitto la parte, integrandosi alla perfezione con il gruppo, dando dimostrazione di talento e personalità.
Circa un ora di musica, tempo durante il quale i Delirium propongono cinque pezzi del disco appena sfornato (L’inganno del Potere, Il Nodo, La voce dell’Anima, L’era della Menzogna, Il castello di Mago Merlino) con l’aggiunta di pillole incancellabili, dall’iniziale Theme One, ormai loro cavallo di battaglia e rivisitazione del celebre brano dei VdGG, sino alla leggendaria Dolce Acqua, con l’epilogo che tutti solitamente aspettano, Jesahel, cantata in collaborazione con l’audience.
Il video a seguire riassume “vecchio e nuovo” dei Delirium, che confermano il loro momento felice.


Le ORME sono precedute dalla notizia di una presenza importante, quella di Tony Pagliuca.
A lui il pubblico e Michi Dei Rossi concedono spazio e tributo ma, ovviamente, l’entusiasmo supera ogni tipo di valutazione tecnica ed è smosso dalle rimembranze, riflessioni che trovano sbocchi alternativi perché è immediata la proiezione verso il futuro, che si vorrebbe fosse fatto, forse, di reunion, di ORME della prima ora che, senza togliere niente alle varie evoluzioni e al presente, sono quelle che hanno dato il via ad una certa musica, capace di illuminare generazioni future. L’entusiasmo che ho visto nel coccolare Pagliuca, dai colleghi e dal pubblico, ha a che fare quindi col rendere onore al valore storico e al contempo è il segno della speranza, quel desiderio di rivedere una serenità di rapporti che potrebbe voler dire risentire Collage da chi originariamente lo ha inventato.
Ed è proprio l’album Collage (1971) il contenitore da cui si estraggono tracce a man bassa (6 su 7), dando l’opportunità a Tony Pagliuca di riproporsi come tastierista seminale delle ORME.
Gli altri membri sono musicisti collaudati nel “mondo Orme”: il “maestro” e tastierista Michele Bon, il bassista e cantante Fabio Trentini e il chitarrista William Dotto, musicisti con cui nasce il disco La via della seta (2011), anche questo oggetto della performance di serata.
Non poteva mancare la sintesi di Felona e Sorona che conclude ufficialmente il concerto, che avrà come naturale prologo il bis che presento a seguire, Sguardo verso il cielo /Collage.


La difficoltà nel raccontare in modo oggettivo ciò che può rappresentare un simile concerto risiede nel fatto che le emozioni prendono il sopravvento e, dando per scontato che le competenze non si sono affievolite con il passare degli anni, e che il feeling corretto è facilmente raggiungibile, in una serata come questa il cuore ha maggior peso rispetto alla razionalità.
Il cuore è anche quello che si intenerisce davanti ad un hammond e ad un leslie che pare arrivino da 1000 battaglie, o al cospetto del moog che, come sempre accaduto, perde la taratura per effetto dell’umidità… cose d’altri tempi… cose ancora attuali.
Ma pensare con la mente rivolta a ciò che è stato non è corretto, e occorre guardare fiduciosi le evoluzioni future, in attesa di tanta buona musica che è quella di cui ha bisogno il pubblico presente all’Arena del Mare, pronto e concentrato, e considerato come rappresentativo di un’intera popolazione di amanti del genere: i buoni musicisti certamente non latitano.
Un segnalazione climatica… positiva, perché dieci minuti dopo la fine dell’evento è arrivata improvvisa e copiosa la pioggia, condita da tuoni e fulmini: e se anche ZEUS avesse amato il Prog?

venerdì 24 luglio 2015

Periplo: presentazione nuovo album al Van der Graaf Pub


Ogni concerto a cui assisto è accompagnato da un commento che condivido col mondo.
Quasi tutti gli album che ascolto sono proposti con un pensiero personale.
E’ forse la prima volta che mi capita di unire le due situazioni e lo faccio per sottolineare il progetto Periplo, che presenta l’album “Diario di un malessere passeggero”.
L’occasione è arrivata il 22 luglio, quando l’ensemble genovese sceglie Savona per mettere in mostra il neonato disco, e lo fa in una location particolarmente indovinata, seppur di dimensioni ridotte, il Van der Graaf Pub di Fabrizio Cruciani, ex musicista -fu il cantante dei Knife Edge in cui ha militato Joe Vescovi-, locale intriso di storia, dalle pareti suggestive per effetto dei numerosi album che ripercorrono 40 anni di rock, un pub che ha visto la presenza, nel recente passato, di mostri sacri della musica straniera e italiana, come David Jackson -e chi meglio di lui poteva trovarsi a proprio agio in quel locale?-, Maartin Allcock, Jerry Cutillo, Richard Sinclair, Aldo Tagliapietra, gli Osanna, Bernardo Lanzetti e Fabio Zuffanti… i primi che mi vengono in mente.
Un luogo del genere ha limiti di spazio, di acustica, di gestione del momento inusuale, ma ha il grande pregio della dimensione familiare, del contatto diretto con il pubblico che, in questo caso, è risultato largamente partecipativo.
Quindi, la sinossi della serata potrebbe essere… un grande momento di musica acustica.
Nello scambio di battute a seguire propongo il pensiero oggettivo dei fondatori, Luca Scherani e Fausto Sidri, che permette di scalfire la superficie e disegnare la filosofia di “lavoro” di un sestetto da camera, nell’occasione in cinque.
Conosco da molto tempo Luca Scherani, tastierista, compositore e protagonista di numerosi progetti, professionali e benefici, ma sono arrivato a lui attraverso le collaborazioni con Zuffanti e al suo ruolo all’interno de La Coscienza di Zeno; non avevo però idea dell’esistenza di “Periplo”, il cui aspetto embrionale ha preso forma molto tempo fa, nel 2006, e con il passare degli anni si è evoluto sino ad arrivare alla fantastica line up attuale, composta appunto da Luca -per semplificare… tastierista-, Fausto -autore in toto delle liriche-, Joanne Roanne al flauto, Sylvia Trabucco al violino, Nicola Peirano al violino e Chiara Alberti al violoncello.
Prendendo in mano “Diario di un…” e analizzando i crediti -cosa che personalmente faccio normalmente prima dell’ascolto- si potrebbe ricevere un input errato, perché la lettura della “classicità” testimoniata dalla strumentazione parrebbe condurre verso una buona dose di seriosità musicale, forse vincolante per un accesso totale, insomma, una produzione un po’ di nicchia. Niente di tutto questo. Devo onestamente dire che non mi è parso un album da amore a prima vista, perché l’apprezzamento arriva dopo un minimo di metabolizzazione, ma è questo fatto soggettivo e non certo utile e interessante per un giudizio assoluto; mi piace invece sottolineare la varietà delle influenze, la complessità delle creazioni, la ricercatezza delle liriche e la fusione di estrazioni cultural musicali differenti che trovano finalità nella semplicità di una canzone. Non mi pare sia il frutto di una pianificazione a tavolino, ma piuttosto uno spontaneo punto di raccolta di idee ed esperienze, che alla fine si traducono in fruibilità assoluta e trasversale.
Nel corso del concerto è nata l’occasione per mischiare musica e parole e quando Sylvia Trabucco si è dichiarata una mera esecutrice -ruolo in cui, immagino, si identifichino anche gli altri “maestri”- mi è venuto da pensare che quel tipo di vestito sia un po’ stretto, perché il rapporto osmotico che si viene a creare all’interno di un ensemble musicale, quando esiste piena comunione di intenti, conduce ad un perenne dare e avere che porta automaticamente al continuous improvement, e tutto questo mi è apparso evidente al Van der Graaf Pub.
Tredici sono i brani contenuti nel disco, con la rigida suddivisione dei compiti, tra musica e testi, ma con l’introduzione di un paio di omaggi rivisitati, Fantasmi di Città di Enrico Ruggeri e Carry On My Wayward Son dei Kansas.
Il resto è poesia musicata, impegno sociale, riflessioni ad alta voce, ma con il commento musicale che non ti aspetti, e alla fine ci si ritrova con dei motivetti nella testa, qualcosa che ti accompagna nel quotidiano e che, in alcuni casi, si ricollega a trame del passato, tanto da poter dire: “… ecco, questa atmosfera l’ho già vissuta ascoltando …”. E’ il caso del brano “Lucy e il cibo dell’amore”, che ripropongo nel video a seguire, di scarsa qualità, ma utile a ricordare la serata live.


Gran parte dei brani dell’album sono stati presentati nell’occasione, con l’aggiunta di pillole di Fabio Zuffanti, presente fisicamente e musicalmente (Se c’è lei, da La foce del Ladrone e Glares of Light da Summereve, di HOSTSONATEN).
Particolarmente emozionate il momento dell’ospite, che ha visto come protagonista Nicolò Pagliettini che ha proposto Dividiamo un Brivido, la canzone testimonial dell’Associazione Genitori Ragazzi Non Vedenti, performata in origine con Aleandro Baldi ma ripresa da Luca Scherani in un suo disco.
Il gruppo si dichiara a proprio agio nel “ridotto”, e va sottolineato come in via del tutto ipotetica questa occasione live avrebbe potuto presentare qualche difficoltà, legata soprattutto alla necessità di ascolto concentrato contrapposta alle esigenze di un bar al lavoro, ma tutto sommato la magia musicale creata dai Periplo ha permesso di superare le barriere tipiche della situazione.
Sono comunque convinto che il grande palco potrebbe riservare buone soddisfazioni.
Un album da ascoltare, le sorprese non mancheranno e, forse, qualche luogo comune potrà essere superato dalla semplicità di una buona musica.



Qualche chiacchiera con Luca Scherani e Fausto Sidri…

Non conoscevo il progetto PERIPLO: come è nato?

Fausto-Periplo nasce nel 2006: Luca e Fausto iniziano a scrivere brani pianoforte e voce. Viene adottata la forma canzone, anche se dalle composizioni trapela l'amore di Luca per il jazz e per il prog.

Mi parlate dei componenti del gruppo?

Fausto-Nato come duo Luca/Fausto, i Periplo diventano trio nel 2007, con l'arrivo di Nicola Peirano al violino. Nicola rappresenta "l'inizio di tante cose" per Luca: il bagaglio musicale attuale con cui Luca realizza arrangiamenti orchestrali per molti progetti deriva da studi iniziati proprio dopo la folgorazione avvenuta in seguito alle prime collaborazioni con Nicola (presente anche negli album da solista di Luca). Nel 2008 poi, grazie al lavoro al fianco della Associazione Genitori Ragazzi Non Vedenti, Luca incontra Joanne Roan (flauto) e Sylvia Trabucco (violino). Sylvia è… la seconda folgorazione, quella del salto di qualità. La sua bravura e professionalità sono fuori discussione, fra tutti i collaboratori (non solo nei Periplo) è forse la musicista col curriculum più ricco di collaborazioni illustri e con più anni di professionismo di altissimo livello alle spalle; è lei che dona a Luca i consigli più preziosi e lo spinge ad approfondire l'argomento dell'orchestrazione in maniera più determinata.
L'ultima arrivata è Chiara Alberti al violoncello. Sylvia, Joanne e Chiara sono presenti in moltissimi lavori di Luca, fra cui i dischi da solista e i dischi con Hostsonaten e con La Coscienza di Zeno.

Luca, In cosa si differenzia Periplo dagli altri tuoi progetti paralleli?

Luca-Innanzitutto Periplo nasce dalla profondissima amicizia con Fausto, che è anche mio testimone di nozze. Il rapporto di fiducia totale fra noi ha portato a dividere il lavoro in maniera quasi estrema: io mi occupo di tutte le note (dalla composizione alla stesura delle parti di tutti i componenti), Fausto di tutte le parole. Ma tutte tutte, compreso il titolo dell'album, il nome del gruppo, la forma verbale nei ringraziamenti del CD. L'approccio, come già detto, vuole restare ancorato alla forma canzone. Questo è in qualche modo anche un omaggio alla grande tradizione genovese cui sentiamo di appartenere. Un'altra caratteristica, nei Periplo l'approccio è acustico, quasi cameristico. Nell'album (a parte in un brano un po' outsider) anche io suono solo strumenti acustici.

Che tipo di resa potrebbe avere dal vivo “Diario di…”? Esistono location che ritieni più idonee?

Luca-Pur essendo tutti musicisti impegnatissimi su numerosi fronti, il progetto Periplo ha una storia live molto ridotta. Lo stesso proporci dal vivo per le presentazioni dell’album è per noi una sorpresa. Abbiamo avuto molte soddisfazioni nelle poche uscite: una è stata sicuramente la finale del Festival di Ghedi nel 2008, dove abbiamo eseguito "Nel Mezzo" accompagnati da un'orchestra sinfonica entusiasta del nostro brano e dei nostri arrangiamenti! Però si trattava di un brano solo. Ora con l'uscita del disco vogliamo prendere coraggio e proporre questi brani anche al di fuori delle "casse dello stereo"! La dimensione "piccola" che abbiamo assaporato finora (un pub, una libreria, una biblioteca, un centro culturale) ci piace molto. Per questo per il momento stiamo puntando su questo tipo di approccio.

Come lo pubblicizzerete?

Fausto-Bella domanda. Al momento ci divertiamo a tenere i brani sotto le dita (non sono esecuzioni semplicissime, almeno per noi…). Portare l'album in giro è l'occasione per noi per passare dei bei momenti insieme, e di metterci alla prova tenendoci stretta la soddisfazione ogni volta che sentiamo questi brani crescere, migliorare di passo dopo passo. Il primo scopo del gruppo Periplo è di fare una musica che ci piaccia e che ci faccia stare bene. Ancor prima di incontrare eventuali ulteriori consensi. Poi ci mancherebbe, stiamo anche lavorando per pubblicizzarlo: in particolare sto contattando librerie, biblioteche, centri culturali, ma anche radio sul territorio.



domenica 19 luglio 2015

YES a Voghera: era il 2 luglio 2004

Fotografia di Angelo De Negri

Ogni tanto riesplode la voglia di YES, solitamente dopo un avvenimento importante.
In questo caso la recente scomparsa di Chris Squire funge da detonatore per una nuova immersione del passato. E la casualità, fatta di incontri inaspettati sembra alimentare il fuoco dei ricordi.
Voghera, 2 luglio 2004, a distanza di un anno rivedo gli YES, in un contesto particolare, la prima edizione del Voghera Rock Festival, pianificata all’interno dell’ex Caserma di Cavalleria, con tanti protagonisti importanti, e qualche polemica di troppo.
La serata prevedeva una prima esibizione dei  Malaavia con Tony Pagliuca, in un palco decentrato. Il clou era ovviamente la band britannica, in tour per festeggiare il 35° anniversario dalla sua nascita, preceduti dalla PFM, in una suggestiva accoppiata che rappresentava il 2° atto di un concerto che vide le due band suonare assieme nel Teatro Lirico di Milano, nel 1971.
Qualcosa non ha funzionato nei rapporti tra le band e ricordo qualche critica alla scenografia da parte di Franz Di Cioccio e un po’ di lamentele sulla suddivisione dei tempi, ma ciò che mi preme è la testimonianza, il ricordo e il documento.
Grazie all’incontro con Lorenzo Rapetti, il film-maker di serata, posso mostrare a seguire l’unico video che parla di quella serata, il bis “Roundabout”.
Propongo anche un resoconto della serata che ho trovato nei miei archivi, che risale proprio al post concerto, e che è il frutto di un anno intero di ascolto della band, dopo averli visti il 12 luglio 2003 a Vado Ligure. Non un commento al concerto ma il mero profumo captato, ingenuo, semplice, e da fan incallito, ma furono quelli i giorni in cui quella musica, quella band, cambiarono la mia vita.
Scrivevo d’istinto in quel lontano luglio del 2004, dopo il concerto di Voghera…


Sono andato a Voghera solo, assolutamente da solo, dopo aver a lungo pensato di andarci “full family”.
In questo anno ho sentito solo YES e ho ripetutamente visto il loro DVD di Natale.
Mi sono fatto acquistare il biglietto dando la seguente specifica: ”… deve essere un posto vicino al palco”.
Ciò ha avuto come corrispondenza… il parterre, in piedi.
Ci ho riflettuto sopra e sono partito con l’idea di cambiare il biglietto in loco, a favore di una comoda poltroncina, magari lontana, ma la musica non cambia.
Fortunatamente non è stato possibile.
Entro e vedo che sono stato baciato dalla sorte.
Ci sarebbe stato lo spazio fisico per ripetere la situazione di Vado, per me ottimale.
Mi sembra più logico che chi paga di più veda meglio e sia più comodo! E qui è il contrario.
Mi aggiro tra facce sconosciute mentre suonano i  Malaavia.
Certo, fa effetto vedere Tony Pagliuca così defilato, così decentrato. E per smuovere le anime occorre “Sguardo verso il cielo” …


Trovo qualcuno che conosco, addirittura un compagno delle medie. Mi coinvolgono ma … non mi lascio coinvolgere e ricerco la solitudine per un momento tutto mio.
Mi guardo attorno, ancora, e vedo una massa inqualificabile che dovrebbe essere il servizio d’ordine… sembra il team di Clint Eastwood che protegge il presidente …veramente ridicoli.
A proposito, all’entrata mi sono fatto prendere per i fondelli: mi è stato chiesto se nella borsa avevo bottigliette e alla mia risposta affermativa mi è stato intimato di togliere il tappo. Ho lasciato lì la bottiglia imprecando e senza chiedere spiegazioni (non è da me!) anche se il motivo era facile da capire.
Il tutto non mi pace .
Compro una maglietta che mai metterò, con tutte le date del tour  e mi appresto a sentire la PFM.


Scopro con piacere che c’è un musicista di Savona a coadiuvare Di Cioccio  alle percussioni, Roberto Gualdi.
Non apprezzo le cose dette da Di Cioccio, sulla scenografia, ad esempio.
Chissenefrega dei preservativi sul palco, è la musica che deve entrare in noi…
Mussida chiama gli Yes “nostri colleghi”, tutto vero,  ma il marchio YES ha ben pochi rivali e io aspetto solo loro.
Di Cioccio è un trascinatore ed è carino ascoltarli, ma io sono lì solo per gli YES.
Non capisco i fischi di attesa... ma la gente si rende conto di che tipo di miracolo serva per  salire su di un palco occupato sino a poco prima da altri ed iniziare a suonare così velocemente?
Il posto non mi piace  e non mi pare adeguato all’evento. Se patisco io figuriamoci gli YES.
In effetti lo stato d’animo traspare e sembra quasi che abbiano fretta di finire.
La scaletta dei pezzi è un po’ cambiata rispetto al DVD, ma le variazioni sono apprezzabili.
Non ci sono gli a solo pubblicizzati e  c’è un solo bis, “Roundabout”.
Il concerto è finito ma sono ugualmente contento.
Riesco finalmente a mangiare la piadina mentre guardo sfollare la gente.
So che salirò in macchina e metterò il volume al massimo, per questo viaggio di ritorno solitario.
Il mio sogno di un anno non è terminato, continua… continua mentre rifletto sulla possibilità di andare a Brescia per rivederli ancora.
Vorrei rafforzarlo il mio sogno, ancora una volta da solo, non c’è spazio per niente in questo momento, solo per… YES.

Ripresa video di Lorenzo Rapetti


mercoledì 15 luglio 2015

Leptons-"Between Myth And Absence"


Il mio primo incontro, virtuale, con Lorenzo Monni, avvenne circa cinque anni fa, quando arrivai alla sua musica su segnalazione di Lorenzo Furlan della Lizard Records.
Molto giovane ma con le idee chiare, mi colpì a tal punto da richiedere un suo aiuto per un mio progetto successivo, quando gli chiesi di creare un brano inedito stimolato da un’immagine precisa. Mi fermo qui, per il momento, sull’argomento.
Lo intervistai, e mi sembrò evidente una certa insoddisfazione legata al momento musicale che era in corso, come se Lorenzo fosse intrappolato in un meccanismo difficile da dominare, con un contorno fatto di anime rivolte alla via più facile e non disposte a scavare un po’ più a fondo per cercare l’essenza della musica, o semplicemente un altro mondo, dove la ricerca era finalizzata alla scoperta del nuovo. Ma forse ho captato ciò che ho voluto. Resta il fatto che trovo oggi un artista nuovo, che non lavora più isolato ma cerca il gruppo, che non ha più paura di perdere la concentrazione, una volta sul palco, anzi, si contorna di musicisti proprio per ricercare la performance live. E nascono i Leptons.
Ci sono voluti molti anni per mettere a punto il primo album cantato - dal 2011 al 2014- e finalmente a giugno è uscito Between Myth And Absence, quindici tracce spaccate idealmente in due sezioni, come è lo stesso Monni a raccontare: “E’ un album che presenta due tipi di brani, da una parte i "miti" e dall'altra le "assenze". Il riferimento dei miti alla mitologia non sta tanto nel tipo di racconto quanto piuttosto nella differenza sostanziale rispetto all'altra tipologia di brani per il modo in cui sono stati "lavorati".
E a conforto di quanto accennato prima continua: “Ho formato i Leptons, costituiti da Carlo Tardivo, Alberto Placidi, Luca VisentinDavide Dorettoe Alessandro Grasso e Paolo Gravante come collaboratori in studio, che si occuperanno di portare insieme a me i miei brani dal vivo. Anche il progetto non sarà più a mio nome, ma a nome Leptons, sia per questo nuovo album che per i prossimi”.


Tutto questo costituisce un vero cambio di marcia, la fine di un percorso e l’inizio di uno nuovo e, a mio giudizio, il segnale di un Lorenzo Monni che trova la sua strada, convivendo con i difetti del sistema, ma provando a contrastarli con un progetto nuovo e a mio giudizio sorprendente.
Quarantadue minuti di musica a cui trovare una definizione, una catalogazione, appare impresa ardua, e tutto ciò suona come positivo.
L’ascolto ripetuto mi ha riportato al genio zappiano fuso con la melodia della nostra terra e con una sorta di tocco british caratteristico di epoche passate; ma quando credi che l’opinione sia consolidata arriva l’angolo, girato il quale trovi la sorpresa, il cambio di direzione, la sonorità che non ti aspetti.
Anche io ho trovato ciò che non potevo aspettare, e ritorno alle righe iniziali e al coinvolgimento di Lorenzo Monni nella mia vecchia idea: in quell’occasione nacque un brano strumentale, The King Inside of Me, che ho ritrovato nel nuovo album con l’aggiunta di un testo e con una bellissima voce che spero diventerà una costante nella musica dei Leptons; la resa raggiunta dal brano con questo nuovo volto mi appare elevatissima, nonostante la difficoltà di aggiungere un testo ad una struttura nata per essere meramente strumentale.
L’esempio che ho scelto per rappresentare l’album si intitola In My Hutch, otto minuti di sensazioni forti, otto minuti sufficienti per innamorarsi della musica dei Leptons.
Album da ascoltare senza indugio.


Qualche informazione:
Scritto e prodotto da Lorenzo Monni.
Registrato e missato  negli Artisound Studio tra il 2011 e il 2014.
Masterizzato negli Four Walls Studio nel 2014.
Etichetta Dodicilune, con Distribuzione IRD.


martedì 14 luglio 2015

Martin Barre, Bernardo Lanzetti e la Beggar's Farm a Savignone


Quando meno te lo aspetti arriva la giornata perfetta.
L’occasione che mi ha portato a Savignone è legata ad un concerto -di artisti che ho ripetutamente visto ed ascoltato- unitamente alla voglia di vedere degli amici con cui condivido le mie passioni: a conti fatti, staccarmi dal mare in cui ero immerso sino a poche ore prima mi ha giovato, perché… non avrei pensato ad un flusso positivo così evidente, una concatenazioni di piccole cose che vale la pena provare a raccontare, col rischio di allargarsi troppo senza essere efficaci. Non è questa quindi la recensione di un concerto, ma la descrizione di stati d’animo e elementi oggettivi che, ne sono certo, ricorderò sempre con estremo piacere.
Ogni bella storia ha un inizio incerto ed un lieto fine, e voglio provare ad inventare il filo conduttore del pomeriggio del 12 luglio 2015, vissuto nell’entroterra genovese.
Arrivo a Busalla nel primo pomeriggio e trovo subito l’Albergo Birra, luogo in cui mi incontrerò con Bernardo Lanzetti. Eh sì, è lui uno dei protagonisti di giornata, l’altro è un certo… Martin Barre.
Nella Hall dell’Hotel la musica dei Jethro Tull accompagna chi sta lavorando, e tutto ciò stimola la mia curiosità che ricade sul gestore, forse mio coetaneo: ma non è lui il fan. Scopro con piacere che l’appassionato è un giovane che, probabilmente, non riuscirà ad assistere al concerto: “Fammi capire… ami i Jethro, hai un pezzo di storia in casa e non lo vai a vedere?”. Mi fa intendere che le ore di lavoro hanno lasciato il segno mentre io, emozionato per aver trovato la “mia” musica dove mai l’avrei cercata, recupero una versione live di Thick as a Brick che ho in auto e gliela regalo, come misero tentativo di compensazione.
Per ora con l’Albergo Birra mi fermo qui.
Savignone è quella che non ti aspetti e il suo status di luogo turistico colpisce immediatamente.
La dimensione è a misura d’uomo, carica di storia, natura e cultura che si sposano alla musica, per effetto di persone sensibili che amano collegare le peculiarità locali ai risvolti artistici che troppo spesso sono solo dedicati alle differenti nicchie.
Certo è che avere sindaco e vicesindaco appassionati di musica progressiva significa tracciare un percorso preciso che, da quanto ho potuto vedere, è apprezzato e condiviso.
Lo spazio dedicato al concerto è all’interno di un parco e il soundcheck fa presagire la performance che sta per arrivare. Ma lo step intermedio prevede una sorta di conferenza stampa all’interno di un palazzo antico, del 1600, e l’assetto quasi familiare che si riesce a raggiungere porterà beneficio allo scambio di interessantissime battute… davanti a noi autentiche memorie storiche che si raccontano in pieno relax, per la gioia dei tanti fan con t-shirt variegate -spesso frutto di un vecchio concerto- con in mano qualche cimelio da presentare alla firma che impreziosirà il CD o il vinile.
Ecco uno stralcio di quanto accaduto:


Dopo una breve sosta di qualità in una stanza adiacente al giardino, con assaggi a base di “rosa”, la cena preconcerto unisce i musicisti agli amici, e la convivialità di persone e luogo spingerebbero ad una sosta ai box molto più lunga.
Non posso non segnalare che una cena con affianco Lanzetti e con di fronte Barre ha dell’inusuale e appaga gli ammalati di musica, come me, o come Antonio Bigotti, il Sindaco di Savignone.
Ma è stata anche l’occasione per rivedere lo zoccolo duro del fan club dei Jethro Tull, ITULLIANS, con in testa al gruppo il presidente Aldo Tagliaferro, il punto di collegamento tra Ian Anderson e i sostenitori italiani, l’unico portatore sano di notizie vere dell’attuale mondo “Jethro Tull”.
Il mio maggior piacere personale ha riguardato l’incontro con Franco Taulino, leader e fondatore della Beggar’s Farm, da qualche tempo impegnato in altre situazioni più importanti, e il rivederlo immerso attivamente nel suo amore primario fornisce la misura dell’importanza della musica e, al contempo, la speranza che esistano soluzioni anche per i casi più complicati: la sua presenza sul palco mi ha dato l’impressione della liberazione dopo un lungo contenimento delle emozioni.
La Beggar’s, sempre lei, la band che realizza i sogni dei tanti musicisti di passaggio, il gruppo che anche questa volta tira fuori dal cilindro il jolly, un giovanissimo chitarrista chiamato a sostituire l’altrettanto giovane Brian Belloni, impegnato a Umbria Jazz; il suo nome è Eric Zanoni (Eric come Clapton, e non è un caso!), che mi confessa come si sia appena avvicinato al prog; sta di fatto che ha appreso la lezione e non sfigura al fianco dei suoi compagni navigati, e non sembra patire l’emozione delle vicinanze illustri.
Un’altra faccia vecchia/nuova è quella di Massimo Faletti, cofondatore della band, ma presente ormai solo nei casi di emergenza, e a giudicare dal “suo” solo in My God l’esercizio sul flauto traverso non è mai venuto a mancare.
E poi un Mauro Mugiati, che nell’occasione si dedica prevalentemente al canto, dando il senso di una squadra al lavoro, fatta di elementi che chiudono i buchi laddove si formano, e mettono a disposizione del gruppo il talento personale. Kenny Valle alle tastiere e Sergio Ponti alla batteria rappresentano le fondamenta e la sicurezza, mentre il basso di Daniele Piglione si defila, ma solo nella posizione on stage, perché il suo tratto ritmico è diventato ormai caratterizzante. Non si è invece defilata Paola Gemma, una vocalist dalle doti canore sorprendenti che ha fatto sentire la sua presenza nonostante sul palco ci fosse, a tratti, il vocalist per eccellenza. Taulino guarda il suo giocattolo da una posizione privilegiata e, al momento giusto, guadagna il posto che gli compete.
Il copione prevede l’intervento massiccio di Martin Barre, con l’intermezzo di Bernardo Lanzetti nel punto centrale, momento in cui entrambi vengono omaggiati con un premio alla carriera, il “Fieschi International Award” e “La Voce Oltre…”.
La scaletta che propongo a seguire evidenzia una discreta trasversalità di epoche e album, ma il focus è Aqualung, da cui vengono estratti 5 pezzi che culminano con la title track, da tutti aspettata. E’ un Barre molto più rock blues del passato “Tull”, ma la libertà rispetto agli schemi antichi gli permette, forse, di dimostrare oggi il suo volto più reale. I suoi assoli infiammano il pubblico e per una paio di ore il tempo pare si sia fermato a epoche musicali davvero felici.
Quando Lanzetti sale sul palco si sente nell’aria l’attesa, la voglia di ascoltare una delle voci più belle mai esistite e lui regala un archetipo del prog, quel A Salty Dog dei Procol Harum che esalta le sue doti canore, la sua estensione vocale, il suo timbro. Come è noto agli addetti ai lavori Bernardo sa tenere il palco come nessun altro, e quando passa al repertorio PFM e propone Chocolate Kings i brividi percorrono i corpi più sensibili.
Ma è con Maestro della Voce, dedicata a Demetrio Stratos, che arriva il coinvolgimento massimo dell’audience, che batte le mani e canta in modo partecipativo.
Il momento della totale comunione arriva nei due bis, quando l’atmosfera diventa rarefatta a seguito di un’Impressioni di Settembre magica, e a seguire la conclusiva Locomotive Breath, che chiude simbolicamente la serata “tulliana”, con tutti  i protagonisti sul palco.
Difficile far capire a parole cosa si prova in queste occasioni, impossibile, forse, decodificare la mia chiosa legata alla giornata perfetta, ma sono certo che i presenti all’evento si ritroveranno, almeno in parte in parte, nella mia descrizione.
Il filmato a seguire potrà forse chiarire cosa è accaduto sul palco di un parco fantastico, a Savignone, il 12 luglio 2015.


Ed ora quello che io spero sia stato il lieto fine per l’amico conosciuto poche ore prima all’Albergo Birra, probabilmente ignaro che Martin Barre avrebbe pernottato proprio in quel luogo.
E’ ormai la una del mattino quando accompagniamo i due premiati in hotel, e mentre varcano la soglia non posso fare a meno di pensare alla sorpresa che qualcuno troverà la mattina successiva, quando forse porterà un cappuccino ad uno dei suoi miti, che, almeno per una notte ha condiviso con lui lo stesso tetto.
Piccole soddisfazioni che colorano la vita! A me piace pensarla così.