Valerio Billeri presenta il suo nuovo album, “Gospel”, un lavoro acustico, minimalista, dove appare forte l’esigenza di dare sottolineatura alle storie, alle atmosfere, ad elementi trascendenti che diventano tali dopo aver esaminato la crudezza di personaggi veri, concreti, capaci di ispirare pensieri e sentimenti “superiori”.
Valerio Billeri è cantautore versatile, abile nel muoversi in
armonia con le diverse sfumature che la musica da sempre ci fornisce, ma questo
“Gospel” appare mirato, voluto con tutte le forze, probabilmente il più
rappresentativo possibile dell’attuale momento della sua vita.
E’ probabile che la mano del produttore Gian Luca Figus - definito come “architetto
del mio sapere musicale” - abbia favorito la svolta, ma resta in ogni caso
un quadro molto preciso, una serie di canzoni che ci trasportano in un mondo
fatto di uomini e natura, tradizioni e usi, stagioni fredde e avventurose.
Sono 10 in totale le tracce, all’interno delle quali troviamo due
rivisitazioni, “La mia morosa la va alla fonte”- di Jannacci e Fo - e “Boots
of spanish leather” - bonus track - rilasciato nel 1964 da Bob Dylan.
E’ lo stesso Billeri che, a seguire, ne spiega le motivazioni e
racconta i dettagli del progetto.
Il titolo del disco è emblematico dell’orientamento voluto, una
espressione spirituale - non necessariamente religiosa - proposta a bassa voce,
con toni soffusi e melanconici. Ed è con questo mood che si propongono i
ricordi, le feste popolari (“San Domenico delle serpi” ispirata alla
festa dei serpari che si svolge ogni anno nel giorno di San Domenico a
Cucullo, in Abruzzo), i quadretti agresti (il già citato brano di Jannacci), i
conflitti interni e i presagi funesti (“Le mille e una morte”, ispirata
dal racconto di Jack London), le radici profonde che niente come il blues può
rappresentare (“Blues del treno nero”).
Bastano poche note, a volte, per captare e afferrare l’essenza di
un disco. In questo caso il brano di apertura, la title track, mi ha riportato
immediatamente ad un mio ascolto legato alla giovinezza, un ricordo in bianco e
nero che non mi ha mai lasciato e che ho ritrovato al primo start. Improbabile,
per fattori anagrafici, che Billeri abbia avuto l’occasione di vedere e
ascoltare (in rete se ne trova traccia) la serie televisiva “Vidocq”, in
onda in Italia nei primi anni ’70, ispirata alle memorie di Eugéne-Francois Vidocq, un ex detenuto
diventato poliziotto a Parigi nel XIX secolo, ma
il profumo di quell’antico arpeggio di chitarra - legato alla tipicità del
personaggio - regala un’immagine perfettamente congruente con le storie che
racconta Valerio Billeri in “Gospel”, album che verrà presentato
ufficialmente tra pochi giorni:
Disco
senza fronzoli, da ascoltare con cura, pregno di tanto contenuto intrinseco:
musica basica e voce delicata per raccontare e raccontarsi, per delineare
storie che potrebbero essere di tutti, per regalare stati d’animo e fornire un
contributo alla ricerca di dimensioni che superano la materia.
L’INTERVISTA
Ti ho
lasciato con la nascita delle Ombre Elettriche: che ti è successo, musicalmente
parlando, da quel giugno 2015?
Abbiamo
pubblicato due dischi, (Lapis Niger, Giona) con tematiche
diverse: “Lapis Niger” incentrato sulla mia città, Roma, come si evince
dal titolo, l'altro su storie di mare e dintorni, ispirato dai grandi romanzi
come Moby Dick e su storie di migrazione, pirateria e lavoro;
ci siamo tolti anche parecchie soddisfazioni dal vivo portando il nostro suono
a raschiare la ruggine.
Di cosa
parla il tuo nuovo album, “Gospel”? Quale lo spirito?
Gospel è
un disco dello spirito e del silenzio, l'opposto degli ultimi due, suoni
prettamente acustici e folk; ho cercato di dar vita a personaggi che vengono
inghiottiti dalla natura, si muovono in paesaggi fatti di fiumi, monti e
foreste sotto cieli burrascosi, sospesi sulla linea di confine, che sia tra due
stati vicini, tra due mondi o tra la parte buona e cattiva che c'è in ognuno di
noi. Chiedono il consenso a qualcosa di superiore, forse Dio o forse la potenza
che sprigiona la natura stessa o la nostra natura. Questo senso è ben presente
nella nostra cultura millenaria: anche io oscillo tra l'essere ateo e
l'affidarmi agli dei dell'Olimpo.
Il disco
è registrato nella quasi totalità in presa diretta: da dove nasce la scelta?
La scelta
nasce dall'istintività, c'è troppa tecnologia nella musica moderna, click,
tagli, suoni perfettamente puliti, ma non era ciò che volevo. Robert Johnson
non penso abbia mai usato un click, cosi come Bob Dylan non ha registrato senza
sbavature le vecchie canzoni folk. Le registrazioni di Lomax per
esempio sono tra le cose più belle mai ascoltate, non potevo di certo
raccontare la storia del serparo del brano "San Domenico delle serpi"
adoperando una tecnologia troppo spinta, bastava cliccare sul rec e cantare.
Chi ti ha
aiutato nella realizzazione di “Gospel”?
Per
quanto riguarda la parte musicale, le "Ombre" Damiano Minucci alle
chitarre e banjo, Emanuele Carradori in qualche pezzo, Lucia Comnes al Violino,
Emanuele Luzi ha suonato il basso su un brano; il lavoro grosso lo ha fatto
Gian Luca Figus, il produttore artistico, suonando un pò tutto qua e la; per
quanto riguarda la parte letteraria… ho letto molti libri, tra cui "Sue
e Magia" di De Martino, e ascoltato parecchia vecchia vecchia musica
popolare e blues.
Cosa puoi dire della produzione di Gian Luca Figus e della sua etichetta
discografica, appena nata?
Lui è
l'architetto del mio sapere musicale, capisce subito cosa voglio, niente
fronzoli, ed è una vera enciclopedia musicale, conosce gruppi e suoni a me
ignoti... me li fa sentire, ha allargato i miei orizzonti senza creare un
distacco con il mondo da dove venivo e il mio pensiero, credo farà bene anche
con artisti più giovani di me e tecnicamente più preparati; mi ha anche
regalato un accordatore moderno che riesco ad usare senza vergogna!
Tra i
brani troviamo anche profumo di cantautorato milanese…
Da un
romano purosangue come me "La mia morosa la va alla fonte", di
Jannacci e Fo. E' la seconda volta che incido un brano di Jannacci, era già
successo con "Sfiorisci bel fiore", ma io lo adoravo, mia
madre mi faceva sempre ascoltare da piccolo i suoi Lp, molto più dei romani, e
sono cresciuto a forza di Jannacci e De Andrè; da notare che il brano in
questione poi non è altro che la madre e il padre di "Via del campo",
basta ascoltarla. E' un brano di una forza unica, semplice nella struttura e
magnifico nel testo, sembra non avere età, per me molto più bello della
versione del Faber perchè privo della ricerca della frase ad effetto.
… e una
sorpresa nella bonus track…
La
traduzione di “Boots of spanish leather”, del grande Dylan. Altro brano
perfetto, non posso dire altro, quando ascolto la potenza letteraria e musicale
di questo gigante dei nostri tempi rimango sospeso come quando vedo un dramma
di Shakespeare o un quadro del Caravaggio.
Chi ha
curato l’artwork? L’immagine di copertina riporta all’anima del gospel…
La foto è
della mia compagna Cristina Sbordoni: un giorno mi ha mandato questa foto e ne
sono rimasto colpito… ho detto: “… Devo scriverci un album..”, e
cosi è stato.
Tra pochi
giorni l’album sarà presentato ufficialmente: sono previsti altri eventi live
per portare a conoscenza del pubblico il tuo nuovo lavoro?
Non lo
so, è l'etichetta del dottor Figus che si occuperà di ciò, di certo non mi
voglio trovare a suonare in posti non mirati dove nessuno ha voglia di
ascoltare storie, perciò ci muoveremo con molta cautela a protezione mia e dei
miei musicisti, ormai ho 45 anni, vedo tanti sciommiottamenti in giro, da una
parte e dall'altra, un senso di fenomenite acuta che non mi si addice, ho altro
da fare... abbiamo una missione per conto di Dio, Blues Brothers!
Tracklist:
Gospel 3.35
Gospel 3.35
San Domenico
delle Serpi 3.25
La mia
morosa la va alla fonte 1,37
Canto del gallo 3.14
Sotto un
cielo di rame 2.41
Racconto di
inverno 3.23
Verso sud
3.15
Le mille e
una morte 3.20
Blues del
treno nero 2.17
Bonus:
Boots of
spanish leather 4.26