(Mark Paytress-“Io c’ero”)
venerdì 31 maggio 2024
Rick Wakeman: Empire Pool, Wembley, Londra, 30-31 maggio 1975
(Mark Paytress-“Io c’ero”)
giovedì 30 maggio 2024
“Wight Is Wight”-"L'isola di Wight", tra Michel Delpech e Dik Dik
“Wight Is Wight” è una canzone di Michel Delpech uscita nel 1969. La canzone evoca i Festival dell'Isola di Wight che si sono svolti nell'isola dal 1968 al 1970.
In Francia riscosse un notevole successo e raggiunse la prima posizione della hit parade. Anche in Italia sfiorò la vetta, raggiungendo la seconda posizione.
In totale ha venduto oltre un milione
di copie ed è stata premiata con il disco d'oro.
Nella canzone, influenzata dalla cultura hippy, l'autore menziona Bob Dylan e Donovan in segno di tributo.
Nel 1970 i DIK DIK realizzarono la loro versione in italiano, con i testi di Claudio Daiano e Alberto Salerno, intitolata “L'isola di Wight”, e pubblicata nel singolo L'isola di Wight/Innamorato”.
I Dik Dik avevano da poco interrotto la collaborazione con Mogol-Battisti. Pietruccio Montalbetti voleva dedicare una canzone al fenomeno dei raduni pop (cominciati con il Festival di Monterey, a cui successe Woodstock e, appunto il Festival dell'Isola di Wight) e avendo casualmente sentito il pezzo di Delpech, pensò di farne una versione in italiano. I Dik Dik la incisero "in fretta e furia" ottenendo anch’essi un grande successo.
Una bella canzone - e tanti ricordi - in tutte le
versioni…
mercoledì 29 maggio 2024
Ricordando Ollie Halsall, immenso chitarrista che ci lasciava il 29 maggio del 1992
Il 29 maggio del 1992, all’età di 43
anni, ci lasciava Ollie Halsall, a causa di un'overdose di eroina.
Chitarrista inglese, è conosciuto per il suo lavoro con i Rutles, con i Patto, con i Timebox, con i Tempest e con i Boxer e per la sua collaborazione con Kevin Ayers. È stato uno dei pochi suonatori di vibrafono nel rock.
Halsall è stato un musicista estremamente talentuoso e versatile, in grado di suonare una vasta gamma di strumenti, tra cui chitarra, basso, pianoforte, tastiere, percussioni e fiati. La sua tecnica era caratterizzata da una grande abilità tecnica e da una creatività eclettica. Era noto per la sua capacità di passare senza sforzo tra generi musicali diversi, includendo rock, jazz, funk, soul e altri.
Nonostante il suo talento, Halsall non ha raggiunto la stessa notorietà di alcuni dei suoi contemporanei. Tuttavia, è tuttora considerato un musicista molto rispettato nella cerchia degli appassionati di musica e tra i suoi colleghi.
Rivediamolo nei PATTO, alle prese con due differenti strumenti…
Nel ricordo di Jeff Buckley
martedì 28 maggio 2024
Le origini di "Quadrophenia"
Nell’inverno del 1960, Jack Lyons, il più noto fan degli Who e colui che è considerato il primo mod londinese, entrato definitivamente nel mito per aver ispirato in larga parte il personaggio di Jimmy in Quadrophenia, e familiare ai più col nome di Irish Jack, abbandona Cork e si trasferisce a Londra. E’ un giovane alto, snello e timidissimo, ma si trova subito bene come cittadino della capitale britannica, dove frequenta una scuola nel quartiere di Shepherd’s Bush. Nonostante la pronuncia di Jack somigli più a quella inglese, ormai senza alcuna inflessione irlandese, e il suo look sia naturalmente “cool”, i suoi coetanei “rocker” (quelli vestiti col giubbotto di pelle alla Elvis Presley) non lo sopportano e gliene combinano di tutti i colori. Dopo una zuffa, Jack sanguina. Ciò nonostante, o forse per questo motivo, quella sera si ripulisce e decide, con rabbia, di varcare la soglia di un locale denominato Goldhawk Club. E’ il 1964.
lunedì 27 maggio 2024
Resoconto presentazione del libro "Woodstock..." a Stella San Martino, il 25 maggio 2024
Sabato 25 maggio è andato in scena un nuovo capitolo legato alla divulgazione del libro “Woodstock, Ricordi, aneddoti, sentimenti diffusi”, di Pintelli/Enrile/De Negri.
Evento speciale, perché realizzato in un teatro, un luogo solitamente dedito ad altro tipo di rappresentazioni, in un paese dell’entroterra savonese, Stella San Martino, immerso nel verde e dall’atmosfera sicuramente adatta all’argomento trattato.
In pieno accordo con l’assessore alla cultura Arianna
Oggero, e con l’ausilio indispensabile del factotum Simone Ruscino,
si è dato largo spazio alla musica, maggiore rispetto alle precedenti occasioni,
e di fatto, oltre ai brani tradizionali legati alla presentazione, è nata una
seconda parte di spettacolo dedicata esclusivamente alla musica suonata che,
occorre dirlo, i BECS proponevano per la
prima volta in modus elettrificato, utilizzando un impianto nuovissimo e di
fatto sperimentando un diverso modello propositivo.
Ma chi sono i BECS?
BECS è l’acronimo dei cognomi dei componenti l’ensemble: Briano (Marco), Enrile (Athos), Cruciani (Fabrizio) e Storace (Roberto).
Il format, sempre lo stesso, è diventato per l’occasione
evento musicale, con le parole che si sono miscelate alle immagini didascaliche
e ai differenti brani.
Il tutto per un paio di ore di spettacolo che è stato
possibile grazie al gradimento del pubblico, che ha favorito il proseguimento
oltre i tempi canonici.
Un palco, una platea, uno schermo - e proiettore - e quattro
ex ragazzi con una chitarra in mano.
A metà evento si sono unite al gruppo due girls, Raffaella
Bergonzi e Maura Genta, per far parte del coro della mitica “With
a little help from my friends” e di un successivo medley californiano (“California
dreamin”, “San Francisco” e “Stay”). Insomma, uno spirito di
gruppo che il pubblico pare abbia apprezzato.
Vediamo una sintesi di questa prima parte targata “CSN&Y”….
La seconda parte si è basata solo sulla musica, permettendo
di spaziare su altri repertori, come quello degli Eagles, dei Lynyrd
Skynyrd, per terminare con i Pink Floyd.
Anche di questa sezione propongo una sintesi…
Alla fine, bicchierata in piena comunione con il pubblico e
attimi di socializzazione e serenità.
Una bella organizzazione ha permesso di superare le difficoltà legate a tutte “le prime volte”, con la guida sapiente di Roberto Storace, il driver musicale del gruppo.
Un ringraziamento particolare ai rappresentanti del Comune, all’ANSPI e al proprietario/gestore dello spazio parrocchiale.
E speriamo sia solo un arrivederci!
Ricordando Gregg Allman nel giorno della sua dipartita.
The Allman Brothers Band: tra musica e dolore
Il 27 maggio del 2017 ci
lasciava Gregg Allman, e almeno il
nome dovrebbe essere famigliare a tutti quelli che bazzicano il mondo del rock, seppur
episodicamente.
Chi conosce un po’ della sua
vita non si sarà meravigliato più di tanto, perché i percorsi carichi di
eccessi hanno una conseguenza logica, e poi di Keith Richards ce n’è uno solo
al mondo!
Vale la pena tracciare un minimo
di storia, un iter che ha accomunato nella disgrazia numerosi membri della The Allman Brothers Band.
Pare che la fiammella si sia
accesa nel garage del batterista Butch
Trucks - era il 1969 - organizzatore di una jam session che prevedeva la
presenza di Duane Allman (voce
chitarra), Berry Oakley (basso), Dickey Betts (chitarra) e Jai Johanson (batteria/percussioni).
L’entusiasmante performance fece sì che i musicisti si trasformassero
repentinamente in band. Il tassello mancante, Gregg, fratello di Duane, si unì subito dopo, con il ruolo di
cantante e tastierista.
E nasce la leggenda, una delle
band più influenti del rock americano, capace di scavalcare l’approccio al
blues dei chitarristi inglesi (Page, Clapton, Beck…), favorendo una strategia
jazzistica basata sull’improvvisazione e su una rivoluzionaria sezione ritmica.
Definire la Allman Brothers Band una semplice band southern rock appare riduttivo, perchè la loro risonanza nella
musica rock è pari a quella esercitata dai Cream, da Jimi Hendrix e dai
Grateful Dead, miti che si mantengono freschi nel tempo.
Occorre dire che il “rock
sudista” americano prese corpo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, caratterizzato
da un colore locale molto radicato, accompagnato spesso da pennellate di
tragedia. Gli Allman furono i primi a delineare i contorni di quell’ideologia,
tra musica e comportamenti: l’attaccamento ai valori della propria terra, il
gusto per le lunghe improvvisazioni e la vita da hippie. Un’intera armata di southern rockers prese d’assalto il rock
americano sventolando orgogliosamente la bandiera della Confederazione e conquistando
l’attenzione generale del Paese, tanto da indurre un politico potente come
Jimmy Carter a interessarsi di loro e a cercarne in qualche modo l’appoggio
quando tentò la scalata alla Casa Bianca.
Ma la vita degli Allman fu
travagliata e funestata da disgrazie rilevanti, e a poco più di due anni
dall’incontro decisivo Duane perse la vita, a soli 24 anni: è il 29 ottobre del
1971 quando il chitarrista di Nasville muore in sella alla sua Harley Davidson,
davanti agli occhi della fidanzata che lo segue in auto, sulla via di casa.
E la maledizione che pende sui
musicisti della TABB colpisce ancora un anno dopo, quando Berry Oakley trova la
stessa sorte e con modalità molto simili: anche lui in moto, a pochi isolati di
distanza dall’incidente precedente, e alla stessa età!
Arriviamo ai giorni nostri,
l’anno 2017, che ha visto la dipartita di Butch Trucks - a gennaio -, suicida al
cospetto della moglie, mentre per Gregg si parla di attacco di cuore, summa di
una serie infinita di problemi di salute accumulati nel tempo: avevano entrambi
sessantanove anni.
A tenere duro Dickey
Betts e Jai Johanson.
Nel corso di cinquant’anni si
sono succedute reunion e modifiche alla line up, ma ciò che resta è il marchio
indelebile di una formazione che ha disegnato una strada musicale precisa, un
blues rock dalle venature psichedeliche che poteva contare su di un formidabile
tandem chitarristico e sulla possenza della doppia sezione ritmica, mentre Greg
Allman, con la sua caldissima voce da soul man nero e il suo Hammond, sapeva
colorare il tutto con intese tinte gospel.
E in quei giorni Macon, la città
della Georgia in cui andarono tutti a stabilirsi in una specie di comune
artistica, diventò il centro di una nuova scena rock dall’incredibile vitalità
e creatività, superando nel ruolo perfino San Francisco.
Il funghetto magico della
psylocibe, scelto come logo della band, divenne il simbolo di uno stile di vita
comunitario e hippie, pieno di utopie e di “esplorazioni” ad ampio raggio.
Tanti tra i protagonisti di quel
movimento se ne sono andati, come logica di vita vuole, ma resta ciò che molti
di loro hanno creato, incancellabile, godibile, una musica di cui rimangono pregne
quelle terre, arrivata a noi in tempi lontani, quella che i più oculati e
attenti hanno afferrato… senza lasciarla più.
domenica 26 maggio 2024
Doug Ingle: è morto l'ultimo membro originale dei rocker psichedelici americani Iron Butterfly
Il fondatore di Iron Butterfly, Doug
Ingle, è morto a 78 anni
Il cantante, organista e principale compositore degli Iron Butterfly Doug Ingle è morto circondato dalla famiglia il 24 maggio.
Suo figlio, Doug Ingle Jr, ha dichiarato: "È con il cuore pesante e con grande tristezza che annuncio la scomparsa di mio padre Doug Ingle. Papà è morto serenamente questa sera alla presenza della famiglia. Grazie papà per essere un padre, un insegnante e un amico. Cari ricordi d'amore porterò con me il resto dei miei giorni andando avanti in questo viaggio della vita. Ti voglio bene papà".
Ingle aveva 78 anni. La sua morte arriva tre anni dopo la dipartita del batterista Ron Bushy, membro fondatore, morto a 79 anni di cancro all'esofago.
Ingle era nato a Omaha, nel Nebraska, e si trsferì in California da bambino in tenera età. Il suo interesse per la musica proveniva da suo padre, che era un organista di chiesa.
Ha fondato gli Iron Butterfly nel 1966 e il loro album di debutto, “Heavy”, è stato pubblicato due anni dopo.
La band di San Diego ha avuto un'enorme influenza ed è classificata tra i gruppi fondatori dell'heavy rock americano. Erano soprattutto conosciuti per il loro classico di 17 minuti, “In-A-Gadda-Da-Vida”, la title track del loro secondo album, che ha raggiunto lo status di quadruplo disco di platino negli Stati Uniti. Ingle ha cantato e co-scritto il brano.
La canzone “In-A-Gadda-Da-Vida” è nata da un soundcheck in studio in cui la band ha in gran parte improvvisato, in attesa che il loro produttore ritardatario si presentasse.
Per caso, l'ingegnere stava registrando come test.
È stato modificato e pubblicato come singolo, ma la versione dell'album è diventata un classico, essendo stata reinterpretata dagli Slayer e facendo la sua famosa apparizione nello show televisivo animato I Simpson.
Ma questa a mio giudizio è
insuperabile!!!
Ricordando Alan White che ci ha lasciato due anni fa
Il 26 maggio del 2022 ci lasciava Alan White all'età di 72 anni
Alan nacque a Pelton, nella contea di Durham, in Inghilterra, il 14 giugno 1949. Prese lezioni di pianoforte all'età di sei anni mentre iniziò a suonare la batteria a dodici anni, esibendosi in pubblico a partire dai tredici anni.
Nel corso degli anni ’60 affinò il suo “mestiere” suonando con molteplici band, tra cui The Downbeats, The Gamblers, Billy Fury, Alan Price Big Band, Bell and Arc, Terry Reid, Happy Magazine (in seguito chiamato Griffin) e Balls con Trevor Burton (The Move) e Denny Laine (Wings).
Nel 1968, Alan si unì ai Ginger Baker's Airforce, un nuovo gruppo che fu messo insieme dall'ex batterista dei Cream e da altri noti musicisti della scena musicale inglese, tra cui Steve Winwood, ex Traffic.
Nel 1969 ricevette una richiesta che inizialmente pensò potesse essere uno scherzo, perché John Lennon gli chiese di unirsi alla Plastic Ono Band. Il giorno dopo Alan si ritrovò a imparare canzoni nel retro di un aereo di linea diretto a Toronto con Lennon, Yoko Ono, Eric Clapton e Klaus Voormann. L'album che seguì, “Live Peace In Toronto”, vendette milioni di copie, raggiungendo la posizione numero 10 nelle classifiche.
La collaborazione di Alan con Lennon continuò e assieme registrarono singoli come “Instant Karma” e il successivo album di riferimento “Imagine”, con Alan che suonava la batteria in “Jealous Guy” e “How Do You Sleep at Night”. Il lavoro con Lennon diventò per Alan il passepartout per arrivare a George Harrison, che gli chiese di esibirsi nell'album “All Things Must Pass”, incluso il singolo, “My Sweet Lord” pubblicato nel 1970. Successivamente lavorò con molti artisti per l'etichetta Apple, tra cui Billy Preston, Rosetta Hightower e Doris Troy.
Il 27 luglio
1972 si unì agli Yes, avendo a disposizione tre soli giorni per imparare il
loro repertorio e partì per un tour negli Stati Uniti dove suonò davanti a
15.000 fan a Dallas, il 30 luglio.
Non si separò più dagli YES, e con la scomparsa del membro fondatore Chris Squire, nel giugno 2015, Alan diventò il membro della band più longevo.
La band ha dedicato ad Alan il 50th Anniversary Close to the Edge UK Tour dello scorso giugno.
Tra le tante testimonianze disponibili
in rete scelgo uno stralcio del concerto che vidi il 12 luglio del 2003, evento
che cambiò significativamente la mia vita… ma questa è un’altra storia!
sabato 25 maggio 2024
Paul McCartney nella Piazza Rossa, 24 Maggio 2003
giovedì 23 maggio 2024
Quando i The Doors incontrarono... la musica italiana!
Nonostante il mio lungo viaggio nel mondo della musica sia iniziato
nella tenera età, ogni giorno mi accorgo di essermi perso per strada delle
chicche.
Facciamo un passo indietro, di almeno undici lustri, quando,
probabilmente, portavo ancora i pantaloni corti, ma conosceva già i Beatles.
In quei giorni, era la normalità ascoltare brani magnifici proposti dai gruppi più in voga, come i Camaleonti, i Nomadi, l’Equipe 84, i DiK Dik, i
Quelli e molti altri.
Ciò che proponevano erano soprattutto canzoni “rubate” oltreoceano e oltremanica, con un nuovo testo che potesse ricondurre alla lingua italiana e che non necessariamente traeva spunto dalla lirica originale: pare che a quei tempi non esistessero problemi di "proprietà del pezzo".
La lista delle band di riferimento è infinita, dai Procol Harum ai The Hollies passando per i The Animals… scontato pescare nel mondo Beatles e Stones.
Ciò che mi mancava era la coverizzazione dei The Doors che, lasciando
perdere la lunghissima e poco adatta alla “riduzione a 3 minuti” -
necessaria all’epoca - di “The End”, qualche brano utile alla causa lo
avevano pure costruito!
E poi tutto potevo pensare tranne che immaginare un loro
brano proposto da un principe italiano della melodia, Nicola di Bari.
Di lui non aggiungerò nulla, tutti sanno chi è, ma presento
la sua versione di “Light My Fire”, che fu trasformata all’occorrenza
di “DAMMI FUOCO” (1970), che qualcuno ha commentato così: “Molto
simile musicalmente alla versione di Jose Feliciano, un buon arrangiamento con
i flauti e gli archi… la copertina psichedelica è veramente bella…”.
Concordo sulla copertina!
Possiamo sentire la stessa canzone attraverso la registrazione di un altro gruppo di cui non ricordavo l’esistenza e che si chiamava Gli Innnominati. Il titolo è “Prendi un fiammifero” (1967)
Qualche nota su di loro trovata in rete.
Gli Innominati erano un gruppo di Milano la cui notorietà è
legata soprattutto a questa ardita cover del primo grande successo dei Doors,
n.1 in USA per tre settimane nel luglio del 1967 e canzone guida del loro primo
album pubblicato in USA nel gennaio dello stesso anno. Scritto in larga parte
dal chitarrista del gruppo Robby Krieger, era accreditato a tutta la band. La
versione italiana è "zavorrata" dal titolo e dal refrain che, con
umorismo involontario, introducendo un domestico fiammifero (neanche un cerino,
che può evocare forse l'accensione di una sigaretta) fanno pensare, più che al
fuoco della passione, alla pentola del minestrone per la cena.
Nel resto del testo, a parte che a forza viene introdotto (come in tutte o quasi le canzoni degli anni '60, un mistero mai chiarito) il tema di un amore in crisi, che nell'originale non sembra esserci proprio, non stravolge il senso, pur se ha molta meno forza. La esecuzione degli Innominati è invece piuttosto valida, sia come interpretazione vocale sia soprattutto nella parte per organo, molto in evidenza in questo pezzo, dove il tastierista, che si chiamava probabilmente Filippo (ma il cognome non è noto) non sfigura troppo nel confronto con Ray Manzarek, che era, come noto, un virtuoso dello strumento, in grado di gestire contemporaneamente anche la parte di basso (che nella formazione dei Doors non c'era).
Non ricordavo neppure Katty Line,
che ci regalò la sua versione di “Touch Me”, che in italiano
diventò “Tu Vinci Sempre” (1970).
Katty Line, pseudonimo di Catherine Denise Frédérique Boloban,
è una cantante francese che ha da poco compiuto 77 anni.
Inizia la sua carriera in Francia a metà degli anni Sessanta,
riscuotendo subito un buon successo, esibendosi poi anche in Belgio ed in
Svizzera.
In Italia diventa famosa dopo la partecipazione al programma televisivo “Stasera con Adriano Celentano”, dove si mette in luce per la sua bellezza e per le mini-minigonne che indossa: proprio il Molleggiato pubblica i suoi dischi con la sua casa discografica; inoltre, a seguito del successo televisivo, Katty Line viene ingaggiata dalla Dufour per Carosello. Partecipa al Festivalbar (1969), e risale a quell’anno il tributo ai Doors (con il testo scritto da Luciano Beretta e Cristiano Minellono).
E termino con una chicca assoluta, quella di Gene Guglielmi, che con il suo “Il Ditone” (1970), fornisce volto italico al brano “You Make Me Real”.
Al di là delle mie mancanze si può evidenziare come Gene Guglielmi sia considerato un pioniere del beat italiano...
Cantautore,
architetto, docente e poeta, nato a San Salvatore Monferrato il 17 aprile 1947,
figura chiave del panorama musicale italiano, Guglielmi si è distinto come uno
dei principali esponenti del beat italiano durante gli anni '60. La sua musica,
caratterizzata da sonorità innovative e testi poetici, ha saputo catturare
l'animo di un'intera generazione, incarnando i fermenti di cambiamento e la
voglia di rottura con gli schemi tradizionali di quel periodo.
La sua carriera musicale ha avuto inizio con la partecipazione al concorso televisivo "Giochi in famiglia", condotto da Mike Bongiorno. Notato dal produttore Carlo Alberto Rossi, Guglielmi venne subito lanciato nel mondo discografico, diventando uno dei volti più rappresentativi del beat italiano.
Oltre alla musica, Guglielmi ha portato avanti una brillante
carriera come architetto, docente universitario e poeta.
Ancora oggi, nonostante la sua età, rimane attivo nel
panorama musicale italiano. Continua ad esibirsi dal vivo e a dedicarsi alla
scrittura di nuove canzoni, portando avanti con passione e dedizione il suo
lascito artistico.
Non si finisce mai di imparare!
mercoledì 22 maggio 2024
Il folk psichedelico dei FOREST
Forest è stato un trio psichedelico-folk/acid-folk formatosi
nel 1966 a Grimsby, nel Lincolnshire, in Inghilterra.
Il gruppo era
composto dai fratelli Martin Welham, Adrian Welham e dal loro compagno
di scuola Dez Allenby, e in questo assetto iniziarono a suonare musica
folk tradizionale, sulle orme di ensemble contemporanei, come The Watersons
e The Young Tradition.
La band fu
pioniera della nascente scena acustica-psichedelica/acid-folk underground del
1960, scrivendo canzoni artigianali non convenzionali che evocavano gli antichi
boschetti della Gran Bretagna, usando una varietà di strumenti acustici.
Dando il via all’attività
sotto il nome di The Foresters of Walesby, il gruppo iniziò a cantare canzoni
popolari a base di armonia vocale nei club folk del Lincolnshire. Dopo essersi
trasferiti a Birmingham nel 1968, accorciarono il loro nome in “Forest”
e presto progredirono nella scrittura all'interno del fiorente movimento folk
psichedelico/acido di metà anni ‘60, sulla scia dell'emergere dell'Incredible
String Band.
Poterono godere dell’appoggio di DJ John Peel - una delle voci storiche della radio britannica - e si esibirono in diverse sessioni per la BBC Radio 1.
Nel 1969 firmarono un contratto con la Blackhill Enterprises e furono tra i primi a siglare un accordo per la nuova etichetta progressive Harvest Records della EMI.
Il singolo "Searchingfor Shadows" fu pubblicato nel 1969, seguito dall'album di debutto omonimo che presentava una serie di strumenti acustici dal suono medievale, armonie, aggeggi e immagini liriche pastorali.
“Full Circle” fu pubblicato un anno dopo, un eclettico set di canzoni con
temi scuri che videro stili più disparati incorporati nel loro marchio di folk
pagano, tra cui il pezzo neoclassico "Graveyard" e il
cupamente barocco "Midnight Hanging of a Runaway Serf".
La traccia di
apertura, "Hawk The Hawker", propone un accenno country
per via dell'inclusione della steel guitar (suonata dal musicista Gordon
Huntley) e il pezzo folk tradizionale "Famine Song" vede
la band tornare alle radici di armonia in tre parti non accompagnate.
Entrambe le copertine apribili degli album presentavano opere d'arte straordinariamente inquietanti dell'artista Joan Melville.
Dez Allenby
lasciò la band nel 1971 e i Welhams furono arruolati da Dave Panton (viola, oboe
e sassofono) e Dave Stubbs (basso) per il loro lavoro dal vivo.
L'ultima apparizione dei Forest risale al Festival Pinkpop del 1971 a Geleen, nei Paesi Bassi, che li vide registrare le loro ultime sessioni di BBC Radio 1 prima di sciogliersi verso la fine di quell’anno.
La canzone
dei Forest "A Glade Somewhere" è apparsa nel
campionatore della Harvest Records Picnic - A Breath of Fresh Air nel 1970.
"Graveyard" è stata inclusa nella compilation acid-folk del 2004 della Castle Records Gather in the Mushrooms e nella raccolta Strange Folk della Albion Records pubblicata nel 2006, inclusa la traccia dell'album Forest "Fading Light".
Eredità
Il secondo album di Forest, “Full Circle”, è stato uno dei 1000 album indicati dal Guardian come “da ascoltare prima di morire”.
Martin Welham è ora la metà del duo psych-folk, The Story, con suo figlio Tom.
Dez Allenby è
attivo suonando musica nell'East Yorkshire e oltre.
Discografia
Album
Forest
(1969)
Full Circle (1970)
Singoli
"Searching
for Shadows"/"Mirror of Life" (1969)