La Fiera Internazionale delle Musica, da un paio di anni realizzata al
LARIO FIERE di Erba, regala una chicca agli appassionati di musica rock, una
presenza che, a differenza di quanto accade a molti altri artisti coevi, non si
può certo definire inflazionata. L’artista in questione è il mitico Arthur Brown,
musicista unico nel panorama mondiale musicale, per storia, tipologia di
proposta e capacità di diventare l’archetipo di un certo genere che, da quanto
visto il 26 maggio, riesce ancora a colpire.
Lo avevo perso di vista e non ho
mai approfondito la sua storia, prima con i The Crazy World e successivamente
con Kingdome Come, con un ritorno alle origini, quei Crazy World che sono tutt’oggi
la sua band, seppur estremamente ringiovanita.
Di sicuro non ho mai dimenticato
il suo “tormentone” e cavallo di battaglia, “Fire”, coverizzato negli
anni ’70 anche in Italia.
E’ il 1967 l’anno in cui l’inglese
Brown, assieme a colleghi illustri come Vincent Crane e Carl Palmer forma i
Crazy World, e tutti i successivi passaggi saranno caratterizzati da un elemento comune,
una decisa tendenza alla trasgressione e una propensione alla provocazione, elementi che gli hanno
sempre procurato guai con la legge, soprattutto in tempi in cui la censura e il
falso moralismo imperversavano.
E’ considerato che l’inventore del
“trucco cadaverico” in bianco e nero (corpse
paint), fonte di ispirazione per artisti come Alice Cooper e i Kiss.
Dalle nostre parti si erano un po’
perse le tracce, ma il suo nome è qualcosa che aleggia nell’aria ogni volta che
ci si rifà alla storia del rock.
Ed proprio Arthur Brown il primo
musicista che incontro appena arrivato al FIM: si allontana per la cena con il
codazzo dei curiosi, altissimo, magrissimo, allampanato, super colorato, un
personaggio che non ha perso il fascino nonostante i suoi 75 anni.
Mi raccontano della sua disponibilità
e gentilezza, del suo assecondare un nugolo di scolaretti “toccati” da tale
presenza, insomma, un bell’esempio di umiltà, fatto non certo scontato in
questi casi.
Nasce la curiosità di vederlo sul
palco, e lui arriva puntuale alle 23, a chiudere la prima serata del Lario Prog, sezione organizzata dalla Black Widow:
il suo set supererà l’ora, non moltissimo ma è ciò che passa il convento, nel
rispetto delle regole che tengono conto delle performance dei gruppi
precedenti.
Come accennato la sua band è molto
giovane e coloratissima: basso, batteria, tastiere, chitarra e una danzatrice.
Lui, Arthur, è il vocalist, il leader, il capo attore, il comico e istrione,
quello che, of course, conduce il gioco.
Due sono le cose che mi hanno
colpito… l’energia innaturale che lo porta a saltellare come un giovincello, e
la sua voce, che pare intatta rispetto ai fasti del passato, pulita, con
capacità di estensione e di colore formidabile.
Non conoscevo il repertorio e
quindi ho potuto godere di un sound inaspettato, dove l’impatto sonoro non può
prescindere dagli aspetti scenici (memorabile la scenetta creata col tastierista,
in parte inserita nel video a seguire), una sorta di rock con venature blues
che ha entusiasmato i presenti.
A pochi metri da me la storia, l’uomo
dalle mille esperienze, musicista unico nel suo genere.
E quando arriva il momento che
tutti aspettano - la proposizione di “Fire”
-, si sblocca ogni tipo di freno e i presenti si accalcano davanti al palco,
partecipando attivamente alla riuscita del brano.
Il medley a seguire è un sunto di
quanto accaduto, sufficiente per farsi un’opinione dell’attuale Arthur Brown.
Non so se ci saranno altre
occasioni per vederlo in Italia, ma se così fosse consiglio di non perdere i
suoi concerti, concentrato di musica e spettacolo.
A distanza di un anno dal
rilascio di quel gioiello che è “Lost
& Found”, i prolifici The
Samurai Of Prog ritornano con un altro lavoro di grande spessore: “On We
Sail”.
Il mio commento accompagna il
pensiero del gruppo, sintetizzato nell’intervista a seguire, ma penso
basterebbe la visione/ascolto del video allegato per avere un’idea precisa di
cosa contenga l’album, così come l’artwork di Ed Unitsky riesce ad aprire le porte a tutti i contenuti.
Parto proprio da Unitsky per
dire che credo sia attualmente il più talentuoso ed efficace artista grafico
applicato alla musica, un perfetto traduttore dei pensieri altrui, immagini che
diventano storie di vita, come è verificabile nel filmato a cui accennavo.
Il contenitore TSOP è per me perfetto se parliamo di
musica progressiva, e racchiude tutto ciò che rappresenta un’epoca
irripetibile, con un giusto profumo di antico e una modernità dettata dal ruolo
classico assunto dal genere.
Se volessimo trovare un
difetto al progetto… beh, è facile, l’impossibilità di vedere la band dal vivo,
per difficoltà legate alla lontananza dei tre componenti (Marco
Bernard, Kimmo Pörsti e Steve
Unruh) e per il fatto che i collaboratori sono sempre molti, e sparsi per il mondo: complicato riunirli per condividere il palco.
Anche
“On We Sail” non sfugge a questa
regola, e a fine articolo è fruibile la lista intera degli “ospiti”.
Ma i
guest, contrariamente a quanto accade normalmente, hanno in questo caso anche
uno spazio creativo e compaiono come autori, una sorta di collettivo aperto
dove si può contribuire in modo totale, basta avere idee e qualità.
E le idee e la qualità abbondano in questo nuovo lavoro, sessantacinque
minuti di musica suddivisi su nove fantastiche tracce.
Come
si evince dallo scambio di battute con Steve e Kimmo, l’album si può
considerare un concept, anche se nulla è stato pianificato in tal senso, ma è
il feeling conclusivo che suggerisce una certa affinità tra gli episodi, il
tutto disegnando un percorso che è quello della vita, fatto di enormi
difficoltà attraverso le quali ci si fortifica e si prosegue, avendo ben chiaro
quali sono i limiti umani e la posizione da mantenere rispetto al momento
finale.
Questo concetto permette di partire dall’ultimo
atto, il lungo brano “Tiger”, scritto
totalmente dal “vecchio” collaboratore Stefan Renström, la cui prematura dipartita non ha impedito che anche lui fosse
presente nel disco: “Non importa dove
inizia il tuo viaggio, il grembo materno sarà la tua tomba finale…”.
Toccante, di effetto… oltre all’autore (alle tastiere) e ai tre TSOP, troviamo Brett Kull
alla chitarra elettrica, Daniel Fäldt
alla voce e Roberto Vitelli (e non è
l’unico italiano!) al Moog Taurus.
Apre l’album la title track, un viaggio a ritroso nel tempo, che
vede in evidenza Kerry Shacklett - tastierista degli americani Presto Ballet - e il
chitarrista serbo Srdjan
Brankovic. Un inizio dalle atmosfere marcatamente seventies, con la voce di
Steve Unruh
molto vicina al colore vocale di Lanzetti dell’era “Acqua Fragile”.
Segue “Elements of Life”, liriche di Unruh e musica del tastierista argentino Octavio
Stampalía - Jinetes Negros -, un brano dove si evidenzia la commistione tra
classico e rock e dove l’elettrica du Ruben
Alvarez si intreccia con gli elementi più acustici, dando vita a quasi otto
minuti di altro gradimento.
Con “Theodora” entra in campo un altro volto
conosciuto ai progger italiani, il tastierista Luca Scherani (Coscienza di Zeno,Höstsonaten…),
che realizza le musiche del brano (in cui suona) che permettono alla vocalist Michelle Young (Glass Hammer)
di caratterizzare in modo indelebile l’atmosfera musicale proposta.
“Ascension” è scritto e suonato dal tastierista
David Myers; cinque minuti in cui il
funky disegnato dal drummer Kimmo Pörsti e dal bassita Marco Bernard diventano la base per le ouverture di flauto e
violino di Unruh e per i viaggi
chitarristi genesisiani del chitarrista Jacques
Friedmann.
La
lunga “Ghost Written” - quasi dieci
minuti - vede la presenza degli australiani Sean Timms - tastiere, creatore delle musiche -
e del vocalist Mark Trueack, che
ricordiamo negli Unitopia.
Una
melodia mediterranea applicata agli stilemi del prog permette di realizzare una
sorta di quadro rock didattico, dove la parte solistica del già citato Alvarez
trova ausilio nell’altro chitarrista, Jacob
Holm Lupo.
Ancora
un brano “lungo”, “The Perfect Black”,
introduce un altro tastierista seminale italiano, che compone e propone la
traccia: Oliviero Lacagnina (Latte
& Miele). Segnalo anche il chitarrista classico Flavio Cucchi che va a completare la band in questo spicchio di
rara bellezza, in cui l’anima classicheggiante di Lacagnina emerge prepotente e
riporta ai primi ELP, a cui flauto e violino conferiscono maggior originalità.
Con
“Growing Up” ritorna Kerry
Shacklett, autore di musica e
liriche, e la stanza si impregna di odore di tulliana memoria… cinque minuti e
mezzo di folk inglese misto a rock tradizionale.
Ad anticipare l'altamente simbolica “Tiger” un pezzo di bravura di David
Myers, un "solo" al pianoforte di quattro minuti, emozionante e coinvolgente
che va a calmierare la forte tensione emotiva creatasi nel corso dell’ascolto
dell’album, dall’inizio alla fine, come dovrebbe essere.
Che altro aggiungere… un album che non mi
stancherei mai di ascoltare e che consiglio caldamente a tutti gli amanti del
genere!
L’INTERVISTA
Partiamo dai contenuti: che cosa avete inserito nel nuovo album,
“On We Sail”? Esiste un messaggio che volete condividere con il mondo?
Steve: “On We Sail” contiene composizioni
originali, totalmente nuove. Questa volta le collaborazioni sono diverse, con
più di uno “scrittore”. Il messaggio si focalizza sul concetto del perseverare
il nostro cammino attraverso le difficoltà e celebrare la vita di fronte alla
mortalità.
Pensiamo
che l’artwork di Ed Unitsky sia riuscito a trasmettere molto bene questo
pensiero, e forse la sola visione della copertina riesce a mettere in evidenza
questi temi e a fornire gli elementi per un primo giudizio.
Possiamo
parlare di concept album?
Steve: In realtà l’album
non era stato progettato in questo modo, ma esiste una somiglianza tematica,
una coesione tra molti brani, per cui alla fine il feeling è quello del lavoro
le cui tracce sono legate concettualmente. Ma soprattutto è destinato ad essere
un disco di canzoni ambiziose, suonate e registrate con passione, che si
percepiscono entusiasmanti ed emozionanti quando si ascoltano in sequenza,
dall’inizio alla fine.
Possiamo
considerare “On We Sail” un’evoluzione dell’album precedentemente pubblicato?
Kimmo:
Penso di sì. E’ diverso dai nostri precedenti album, e questo credo sia una
buona cosa! Direi che siamo riusciti a evidenziare maggiormente il nostro lato
strumentale anche se, ovviamente, non manca la voce di Steve. Soprattutto, ci
pare che le composizioni siano “forti”, e che quindi sia difficile sbagliare con
un materiale di tale qualità. Anche se le canzoni provengono da diversi
compositori sicuramente suonerà come un album dal brand TSOP, poiché in tutti
gli episodi abbiamo attaccato il nostro "marchio" e "samurizzato"
i brani!
Ancora
una volta avete coinvolto molti musicisti: con quel criterio sono stati scelti
gli “ospiti”?
Kimmo: Non è stato
adottato un particolare criterio nella scelta dei guest… è accaduto e basta!
Magari siamo stati impressionati da musicisti/cantanti che abbiamo ascoltato e
li abbiamo invitati ad unirsi a noi per l’occasione! Occorre dire che Marco ha
un’enorme conoscenza di artisti dediti al prog, e ha un grande talento nel
trovare e proporre i candidati a me e Steve.
Ma a
volte accade il contrario, e veniamo contattati da qualcuno che vorrebbe
registrare con noi, e se tutto va bene…
Leggendo le note ufficiali ho visto che
alcuni di loro sono anche coinvolti come autori, e quindi sembrano qualcosa di
più che semplici ospiti!
Kimmo: Sì, siamo stati
fortunati ad avere tutti questi artisti estremamente talentuosi, sia come
musicisti che come compositori. Avevamo già lavorato molte volte con Octavio
Stampalia e David Myers, e quindi eravamo consci dell'alta qualità del loro
lavoro. David ha composto e suonato un brano di pianoforte acustico in tutti i
nostri album, ma questa volta ha anche contribuito ad un pezzo completo, “Ascension”. Avevamo anche suonato con
Oliviero Lacagnina, coinvolto nell'album “Decameron
III”, e quindi siamo stati molto contenti di ricevere la sua eccitante “Perfect Black”, per questo album di
TSOP.
E’
invece stata la prima volta che abbiamo coinvolto Sean Timms (Unitopia,
Southern Empire), Luca Scherani (La Coscienza di Zeno, Hostsonaten) e Kerry
Shacklett (Presto Ballet), che ha fornito due tracce.
Per
ultimo, ma non meno importante, devo ricordare un nuovo apporto di Stefan
Renström, il cui contributo in “Lost and
Found” è stato enorme. La canzone di Stefan, "Tigers", chiude l'album, e spero che tu capirai il perché,
quando lo sentirai... Siamo riusciti ad avere i file originali di Stefan e quindi
abbiamo avuto modo di suonare con lui anche questa volta, l’ultima.
Riprovo
con una domanda già fatta in passato, ma… i tempi cambiano! TSOP è un progetto
tipicamente “studio”, per ovvie ragioni, ma… esiste una possibilità di vedere
una vostra performance live, magari in Italia?
Kimmo: Sia io che Steve
facciamo concerti con le nostre band. Sarebbe molto divertente farlo anche con
i TSOP, ma non è molto semplice, tenuto conto delle distanze che ci dividono.
Chissà, potrebbe accadere un giorno… vedremo!
“0n We Sail” sarà
rilasciato tra poco: sono previste presentazioni ufficiali?
Kimmo: Temo di no,
poiché Steve è impegnato con i suoi progetti con Mark Trueack e Sean Timms e io
e Marco stiamo già lavorando a un nuovo album.
Steve: Ma sicuramente
promuoveremo l’album, perché siamo molto soddisfatti del risultato finale,
anzi, pensiamo che potrebbe essere il miglior realizzato dai TSOP sino ad oggi,
e la band sembra abbia davanti un buon futuro!
Tracklist
1. On We Sail (6:21) 2. Elements of Life (7:54) 3. Theodora (5:55) 4. Ascension (5:19) 5. Ghost Written (9:40) 6. The Perfect Black (9:30) 7.Growing Up
(5:42) 8. Over Again (4:06) 9. Tigers (10:34)
Total Time 65:01
The band Marco Bernard / Rickenbacker bass Kimmo Pörsti / drums and percussion Steve Unruh / vocals, violin, flute, guitar
Guest
musicians Octavio Stampalía / keyboards Rubén Álvarez / electric & acoustic guitars Kerry Shacklett / keyboards, vocals, acoustic
guitar Srdjan Brankovic / electric guitars David Myers / keyboards, grand piano Jacques Friedmann / electric guitars Luca Scherani / keyboards Michelle Young / vocals Sean Timms / keyboards Mark Trueack / vocals Jacob Holm Lupo / electric guitars Oliviero Lacagnina / keyboards Flavio Cucchi / classical guitar Brett Kull / electric guitar Daniel Fält / vocals Roberto Vitelli / Moog Taurus pedals Stefan Renström / keyboards, vocoder
Il venerdì sera è solitamente un
buon momento per dedicarsi alla musica dal vivo che più si ama, ma certe situazioni
vanno evidenziate, anche, per il loro valore simbolico, attimi che superano l’evento
contingente rispolverando storie, momenti di vita, immagini che riprendono
colore dopo aver patito il fisiologico sbiadimento temporale.
Il 12 maggio il Teatro La
Claque, nel cuore antico di Genova,
è diventato il luogo di ritrovo di musicisti di vecchia data, legati da
amicizia consolidata, e aventi in comune l’amore per la musica progressiva, ma
non solo quella: Finsterre e Ancient Veil.
I Finisterre nascono nel lontano 1993, e di quella formazione
presentano ancora parte degli elementi originali: il pluridecorato Fabio Zuffanti (basso e voce), Stefano Marelli (chitarra e voce) e Boris Valle (piano e tastiere). Dell’attuale
line up fanno parte il batterista Andrea
Orlando (entrato a metà anni ’90) e
il tastierista Agostino Macor
(annesso nel ’98).
Molte le apparizioni live in giro
per il mondo, ma la band - la cui storia ha avuto interruzioni e riprese nel
tempo - mancava da Genova dal 2004, e quindi l’episodio di due giorni fa appare
davvero carico di significati.
Gli Ancient Veil hanno un punto di origine antico, quell’anno 1985 in
cui prende corpo il progetto Eris Pluvia, fondato da Alessandro Serri (voce e chitarre) e Edmondo Romano (sax soprano, clarinetti e flauti), musicisti che a inizio anni ’90 creano
una nuova situazione musicale esordendo con l’album omonimo, “Ancient Veil”, a cui seguirà una pausa
lunghissima, venti anni, tempo durante il quale le strade musicali di Romano e
Serri si separeranno. E’ quindi nel 2017 che, a sorpresa, rifiorisce l’ensamble,
e nasce l’album “I’m changing”,
presentato ufficialmente a La Claque. A completamento della band il bassista Massimo Palermo e il batterista Marco Fuliano.
Se è vero che la “latitanza live genovese” dei Finisterre è lunghissima,
quella degli Ancient Veil è… totale, essendo stata la loro attività passata
esclusivamente “studio”.
La nota positiva iniziale è legata
all’affluenza, dato sempre incerto quando si tratta di eventi così particolari: locale è gremito ed è un piacere per tutti, non solo per gli artisti sul
palco.
Iniziano i Finisterre, l’unico progetto di cui fa parte Zuffanti che non
avevo mai avuto occasione di ascoltare dal vivo.
E’ l’occasione giusta per
ripercorrere un po’ di storia, come dimostrato dalla tracking list che dirà
molto ai fan della band:
Che dire… un tiro pazzesco! Non
credo ci sia stato il tempo per lunghe sessioni di prove e non esiste una folta
storia da palco ravvicinata, ma ciò che riescono a creare, probabile frutto di
un amalgama antico, investe l’audience, magari non preparata ad un “avvolgimento
sonoro” di tale portata.
Il viaggio a ritroso permette di
afferrare le varie sfaccettature e inclinazioni di genere di artisti di grande
qualità, con una sezione ritmica potentissima (Orlando e Zuffanti), un
tappeto tastieristico in perfetto amalgama (Valle e Macor), e i
percorsi solistici ed effettistici di Marelli,
che divide la parte vocale con Zuffanti.
Sono un po’ in difficoltà nel
delineare a parole i contorni della loro musica a vantaggio di chi ancora non
la conoscesse, ma, rimanendo nel campo della totale libertà regalata dalla
musica progressiva, l’immagine che mi viene naturale è l’aspettativa che prende
al termine di un brano, in attesa di quello successivo: “… e adesso cosa accadrà?”.
Momento toccante quello che
presento nel video a seguire, relativo al brano “Macinaacqua, Macinaluna”, dall'album di esordio, il cui “proprietario
originale”, in qualità di vocalist, era Davide
Laricchia, che lasciò subito il gruppo; ed è proprio Laricchia, presente
per la reunion, a riprendersi il posto da titolare dopo ventitré anni.
E’ questa la parte che mi pare
rappresentativa dell’ecletticità della proposta Finisterre: rock e poesia, istanze
sociali e atmosfere sonore originali e variabili.
E chiudere una performance super
convincente, rilasciando profumo di King Crimson e Genesis, stabilisce chiaramente
un luogo di partenza che, a distanza di lustri, resta ancora il fondamento di
un credo incancellabile.
Grande concerto, che scema nella speranza che i tanti
progetti di Zuffanti and friends possano lasciare spazio al proseguimento di
nuovi lavori targati Finisterre, con l'aggiunta di live che, da quanto visto, sanno
rappresentare un modello unico, fuggendo dalla copia dei tanti “fratelli maggiori”.
E arriva il momento di Ancient Viel, di cui conosco
perfettamente il nuovo album.
Primo live ed emozione palese: l’intento
è anche quello di produrre materiale per un futuro disco dal vivo, il che
presuppone settaggi tecnici in corsa, tra un episodio musicale e un altro.
Parto dalla fine, da un giudizio un pò critico di Edmondo Romano che mette in evidenza alcune imprecisioni legate
alla "ruggine da palco" di una band priva di storia live, e ad alcuni inconvenienti
tecnici. Il musicista, come ogni professionista, in qualsiasi campo lavorativo,
tende al suo modello di perfezione, che nel caso del concerto, però, non trova
quasi mai coincidenza con le aspettative del pubblico che, in quelle occasioni, non
va mai a caccia della perizia tecnica; esemplifico: uno degli eventi più
esaltanti a cui ho partecipato nel nuovo millennio è stato funestato da mille
guai atmosferici e dalla perdita quasi totale della voce del frontman!
In questo caso non ci sono catastrofi
da descrivere, ma piuttosto una performance che ha piano piano preso consistenza,
passando dal rodaggio alla scioltezza totale, e posso dire di aver trovato piena
soddisfazione personale - e il resto del pubblico ha manifestato lo stesso
palese sentimento - nell’ascoltare le atmosfere comprese tra il rock e il folk
di una band che potrebbe dare grosse soddisfazioni agli amanti del genere.
Vista l’occasione, così come
accaduto con i Finisterre, c’è spazio anche per le parole e per il racconto di
uno spicchio di storia, che trova evidenza quando l’ospite, Valeria Caucino,
presta la sua voce nel brano “Chime of the time“, presente
originariamente nel primo demotape degli Eris Pluvia risalente al 1990. O
quando, proponendo “Pushing togheter“, la bacchetta del driver passa nelle nani di Fabio Serri, all’epoca della creazione del brano... un bambino.
Una bella storia anche quella
che vede sul palco una miscela dei due gruppi, in occasione di “In the
rising mist“, quando le chitarre di Zuffanti e Marelli si
uniscono a quelle di Alessandro Serri e di Marco Fuliano (che cambia ruolo nell’occasione),
e ai fiati e alle tastiere di Romano e Fabio Serri.
L’ultima parte di spettacolo ha previsto
quindi la presentazione di parte di “I’m
changing”, quello che spero sia un nuovo punto di partenza, perché apprezzo
particolarmente la mistura tra classico, rock e una sorta di folk anglosassone,
genere composto in cui gli Ancient Veil dimostrano di essere particolarmente ferrati. e convincenti.
La scaletta...
Mi sono divertito e ho realmente apprezzato
ciò che ho visto sul palco, e credo che il video seguente, che sintetizza un
paio di tracce del nuovo disco, permetta di farsi un’idea precisa di quanto
accaduto… un live riuscito, da tutti i punti di vista!
“Adventures in the upside down”è il nuovo
album deiDa Captain Trips.
Raramente mi è capitato di avere risposte così esaurienti dai
componenti di una band, e credo che l’intervista a seguire possa soddisfare
tutte le curiosità che ruotano attorno ad un nuovo disco, o ad un nuovo gruppo.
Dalle parole si estrapola la loro vita musicale, il loro credo, i
loro intenti, le idee che sono alla base del nuovo lavoro - come ci
spiegano, un concpet album -, e va da sé che comprendere il legame tra i vari brani in un
lavoro strumentale non è per niente semplice.
L’aiuto può arrivare dall’osservazione dell’interno booklet,
realizzato daRoberto Bonadimani(“La copertina esterna del vinile
raffigura un'onda gigantesca sottosopra, nella quale troviamo il capitano
naufrago in preda ad una trasformazione in una manta che lo porterà alle avventure
in un mondo parallelo, mentre all'interno ci sono nove tavole in cui Roberto
illustra il viaggio del capitano dal naufragio al ritorno alla madre terra),ma essendo io solo in possesso
delle tracce audio, non avevo la possibilità di chiedere ausilio al visual. E
mi sono fatto aiutare!
I Da Captain
Trips propongono il loro genere che di questi tempi potremmo
definire di nicchia, anche se sono molti, nel mondo, i propositori di una musica
nata una cinquantina di anni fa, in un contesto storico preciso e in paesi di
riferimento come Stati Uniti e Gran Bretagna: parlo della musica psichedelica,
legata all’espansione della dimensione interna, con l’utilizzo - mi riferisco
alle origini - di sostanze ritenute liberatrici delle coscienze e utili per
nuove esperienze di vita e musicali.
Di quel pensiero e di quello
stile di vita è rimasta solo una traccia storica, ma pensare all’evoluzione e
all’influenza musicale originata dalla San Francisco del 1965, con la creazione
successiva di band e musiche immortali, porta a pensare che il mantenimento di
certi standard - tecniche di registrazione, strumentazione, sperimentazione e
completa libertà espressiva - sia ormai parte della nostra cultura, e chi ama
questa musica - l’ascoltatore e il musicista - non sia da considerare nostalgico, così come non lo è chi ama la musica classica.
Un album come “Adventures in the upside down”, amio giudizio, non può
essere solo ascoltato. Se così fosse si sarebbe investiti da 44 minuti di
musica, suddivisa su 7 tracce che colpiscono per le sonorità, per il modus
acido, per la ripetitività alla Riley, per il viaggio dei singoli strumenti,
che si fanno strada e poi si uniscono.
E questa è una modalità di
ascolto, sicuramente appagante, ma probabilmente limitante, perchè... in questo caso il contenuto
non basta, ma è necessario approfondire il valore della cornice, ricercare l’importanza
di ciò che è invisibile ad occhio nudo, provare a soddisfare l’intelletto e non
solo la pancia.
Ciò significa scoprire
qualcosa in più, e dare vero significato alla chiosa "album concettuale".
Il “viaggio del Capitano”
parte da un tempesta e, attraverso una trasformazione, porta a visitare
paesaggi fantastici, ritrovando affetti, tornando poi alle origine - alle
cose semplici che compongono la nostra vita e che spesso dimentichiamo -, concludendo
con il volto rivolto al futuro.
Una splendida metafora della vita che non può prescindere da una
fruizione completa dell’album… non solo musica, ma uno spicchio di arte che va
raccontata e a cui va messa qualche didascalia.
Il disco “prende”, coinvolge, e riporta indietro la lancetta del
tempo, a quei giorni in cui tutto nacque.
Ma più delle mie parole è la musica che racconta il mondo dei Da Captain Trips…
L’INTERVISTA
Partiamo dal
racconto della vostra storia: dove nascono e come si evolvono nel
tempo i DA CAPTAIN TRIPS?
Io (Cavitos), Fabio e Peppo ci conoscevamo da anni pur
essendo di tre città diverse (rispettivamente Piacenza, Busto Arsizio e Lecco),
e tutti e tre provenivamo da band del panorama underground italiano. Ci
trovavamo ai concerti, andavamo ai festival all'estero insieme, ci scambiavamo
musica e consigli sui vari gruppi, insomma, condividevamo questa grande
passione che è la musica.
Siccome suonavamo i tre strumenti fondamentali per
formare una band, nel 2009 abbiamo deciso di trovarci un sabato pomeriggio per
divertirci, senza sapere di preciso cosa sarebbe successo. La cosa che ricordo
di quel giorno sono le lunghe jam, in una sala prove caldissima, vicino a
Lecco. Abbiamo cominciato ad improvvisare senza discutere di niente a priori, e
siamo andati avanti così per qualche ora, ed è nata la band.
C'era un feeling particolare, come se avessimo suonato
insieme da sempre, e uscivano naturali cose che nessuno di noi aveva mai fatto…
da quella prima prova penso che siano nati praticamente tutti i riff per i
pezzi che sono finiti sul primo Ep “Alljamed” (poi ristampato da
Vincebus Eruptum nel 2014 in vinile con tre bonus track).
Dopo alcuni concerti abbiamo deciso di fare una
session di registrazione all'Elfo studio di Piacenza, dove abbiamo registrato e
mixato il nostro primo Ep in presa diretta in un giorno. Dopodiché abbiamo
cominciato a suonare ovunque, dividendo il palco con band del calibro di
Samsara Blues Experiment, White Hills, Yawning Man, Fatso Jetson, Vibravoid.
Dal vivo i pezzi si allungavano in jam spaziali e
avvolgenti a seconda dell'atmosfera che si creava… era molto divertente,
stimolante e grezzo.
Nel 2012 abbiamo sentito l'esigenza di aggiungere un
sintetizzatore, perché volevamo esplorare territori più psichedelici, e così è
entrato nella band l'amico sintetico Ema.
Il nostro primo disco, “Anechoic Chamber Outcomes I”,
del 2013, uscito in CD per Phonosphera e in vinile per Vincebus Eruptum, è
stato composto principalmente dal trio dell’Ep, e il sintetizzatore è stato aggiunto
da Ema in un secondo tempo nel suo studio.
Il disco ha cominciato a girare molto per i blog e le
webzine e ha venduto molto bene, tanto da essere stato ristampato due volte in
vinile.
Siamo stati invitati a suonare allo Psychedelic
Network Festival di Wurzburg e allo Stoned Karma Festival di Dusseldorf
quell'anno, con band del calibro di My Sleeping Karma, Monkey 3, Space
Invaders, Nick Turner(Hawkwind), Oresund Space Collective e Vibravoid.
Ema poco dopo ci lascia per continuare i suoi progetti
di musica drone e al suo posto entra Bachis. Registriamo tre tracce per lo
split “Psychedelic Battles” con il gruppo gallese Sendelica.
Qui si può cominciare a sentire un lieve cambiamento,
i pezzi sono sempre abbastanza liberi come arrangiamento e struttura, ma sanno
dove andare a toccare, il sintetizzatore è più presente è acquista maggiore
importanza.
Questa collaborazione ci ha portato nell'estate 2015 a
suonare in Inghilterra e Galles con i compagni di squadra Sendelica.
Alla fine del 2015 Fabio abbandona la band e al suo
posto entra alla batteria Tommi (già presente nel progetto parallelo di Peppo “Electrospoon”).
Con il suo ingresso il gruppo cambia, di conseguenza e si sposta su territori più
sperimentali dando molta più cura alle sfumature dell'arrangiamento.
Spesso il nome che si assume è frutto di casualità e a
volte è parte completa del progetto: come nasce il vostro?
Il nostro nome deriva da un romanzo di Stephen King
del quale io sono un assiduo lettore. “Captain Trips” è un influenza che
stermina il genere umano nel romanzo “L’Ombra dello scorpione”. Appena
ho letto quel nome mi ha colpito molto e ho pensato: ”… che nome figo
sarebbe per una band!”; poco dopo abbiamo cominciato questa avventura ed è
stato naturale chiamarci così! L'aggiunta del "Da" significa
che, con la nostra musica, l'ascoltatore entra nella nostra osteria
psichedelica a degustare la nostra musica!
La vostra musica si rifà a modelli di cui non siete
stati testimoni diretti per motivi anagrafici: da dove nasce questa passione
per una musica sperimentale, psichedelica, avvolgente?
Anche non essendone stati testimoni siamo grandi
consumatori di dischi e grandi amanti dell'improvvisazione, che in qualche modo
ti porta a suonare musica psichedelica, avvolgente e ripetitiva. L'improvvisazione
ti insegna ad ascoltare gli altri e a valorizzarli istintivamente. La
musica che amiamo è il blues, il krautrock, la
psichedelia e il rock degli anni ’60 e ’70, senza tralasciare alcune cose degli
anni ’80 e ‘90, tipo Loop, Spaceman 3, Brian Jonestown Massacre o Bevis Frond,
tanto per citarne alcuni.
Personalmente la musica che reputo più stimolante è
senza dubbio il Krautrock: band come Neu!, Can, Ash Ra Temple, Tangerine Dream,
Faust, Popol Vuh e Cosmic Jokers guardano la musica in modo molto libero e
totalmente diverso rispetto alla scena psych inglese per esempio.
Esistono possibilità che ciò che proponete, in futuro
possa essere accompagnato da liriche?
Se capiterà l'occasione perchè no! Siamo sempre aperti
a collaborazioni e sperimentazioni.
Il vostro nuovo album, “Adventures In The Upside
Down!”, esce a distanza di quattro anni dal precedente full lenght “Anechoic Chamber Outcomes”: esiste un filo conduttore
o delle analogie tra i due lavori?
Il nuovo disco, a differenza di
quello precedente, si basa su un concept. Abbiamo voluto provare questo nuovo approccio, ogni
brano è connesso all'altro ed il disco si sviluppa in un racconto che ha come
protagonista il nostro Capitano.
Rispetto al disco precedente le parti
sono più strutturate e l'arrangiamento è stato curato nei minimi particolari,
inserendo il sintetizzatore come strumento fondamentale rispetto al precedente
disco.
Sicuramente la nostra musica è sempre
visionaria, cerchiamo di immaginare avventure fantastiche del nostro capitano
senza tempo che solca i mari di dimensioni dimenticate.
Mi raccontate i contenuti musicali
del nuovo disco e il messaggio che attraverso la musica volete rilasciare?
Il nuovo disco è formato da sette brani in cui abbiamo
cercato di scavare all'interno di noi stessi, per portare all'ascoltatore le
nostre emozioni tramutate in paesaggi fantastici che il Capitano visita in
questo suo trip. Partiamo da un intro molto calmo e avvolgente di synth e
chitarra molto effettata che prepara alla tempesta (the calm and the storm)
in cui il capitano naufraga per poi trasformasi in manta (Manta) e
visitare paesaggi fantastici (Revelation), ricordando la cara amata (Dear
Zahdia) fino a ritrovare la strada per tornare alla vita (Trepasses Bay,
Peaceful Place) e alla madre terra (Mother Earth). In "Mother
Earth", il lungo pezzo che chiude il disco e simboleggia il ritorno
del capitano alla vita e alla madre terra, abbiamo come sottofondo delle
riprese ambientali della natura, registrate e rilavorate da Ema (ex membro dei
Captain), che unendosi ad un arrangiamento in chiave acustica riportano ad una
sensazione di pace ottenuta da un uomo che riscopre la vita partendo dalle cose
fondamentali che esistono da sempre, ma che spesso vengono dimenticate.
L'ultima parte del pezzo è tutta improvvisata in
studio ed anticipa la prossima avventura del nostro capitano.
Chi sono gli ospiti del disco e come
è avvenuta la scelta?
Lee Relfe dei Sendelica suona il
sassofono in “Revelation”. Conosciamo Lee da qualche anno ed è capitato
di fare qualche jam dal vivo con lui; riascoltando la registrazione delle
prove, mi è sembrato naturale l'aggiunta di un sax in quel pezzo che ha melodie
molto arabeggianti.
Il riff di chitarra di “Mother
Earth”è nato di fronte all'oceano in Bretagna, nel Finistère
.
Ho delle registrazioni fatte con il
mio zoom in cui si sentono onde del mare e grilli in sottofondo. Sapendo che
Ema (ex membro) ha una banca dati di registrazioni ambientali fatte da lui, gli
abbiamo chiesto di lavorarci su. Ema suona anche il synth Bucla in una sequenza
di “Peaceful Place”.
L'altro ospite del disco è l'amico
Basalle, che ha suonato una parte di sintetizzatore inThe Calm and the Storm.
Ho visto un’immagine della copertina
attraverso lo schermo e mi è sembrata di forte impatto: mi raccontate qualcosa
sull’artwork?
La copertina è opera del
disegnatore/sceneggiatore di fumetti di fantascienza Roberto Bonadimani. Ho
conosciuto Roberto ad una esposizione di fumetti sci-fi nella mia città,
Piacenza. Sono rimasto incantato dalla bellezza dei suoi disegni e gli ho
subito proposto una collaborazione. Siamo andati a trovarlo a casa e gli abbiamo
proposto il concept per questo disco: la sua fantasia eccezionale ha fatto
tutto il resto.
La copertina esterna del vinile raffigura un'onda
gigantesca sottosopra, nella quale troviamo il capitano naufrago in preda ad
una trasformazione in una manta che lo porterà alle avventure in un mondo
parallelo, mentre all'interno ci sono nove tavole in cui Roberto illustra il
viaggio del capitano dal naufragio al ritorno alla madre terra.
In che formato/i uscirà l’album?
L'album uscirà in vinile colorato
(150 copie) e nero (200 copie) per Vincebus Eruptum, e in CD per Phonosphera.
Cosa mettono in mostra i DA CAPTAIN
TRIPS nei loro live?
Non essendo dei sex simbol puntiamo
sulla musica!Sicuramente il palco è il luogo dove ci sentiamo più a casa. I nostri live
possono essere molto differenti l'uno dall'altro, improvvisando molto anche dal
vivo, dipende tutto dal nostro stato psicofisico e dall'atmosfera che si crea
all'interno del locale, le canzoni possono mutare ed espandersi o semplicemente
essere quelle del disco. Quindi una cosa che potete sentire e percepire nei
nostri live e lo specchio di chi ci sta davanti riflesso nelle nostre canzoni.
Che tipo di strumentazione
utilizzate? Larga fedeltà all’analogico dei seventies?
Io sono un amante della
strumentazione vintage ma vado più verso i sixties!La chitarra che ho usato nel disco dei Captain è una Mosrite del '67
completamente originale, suonata in Binson Hi Fi 40, un Echorec 2 e un Echo a
nastro Dynacord.Mi piace
pensare che comprando uno strumento vintage in qualche modo si assimili la sua
storia, i posti dove ha suonato, i musicisti che l'hanno suonata.
Gli altri della band non sono fanatici come me, ma
usiamo comunque strumentazione di ottima qualità, come nuovi sintetizzatori
Moog e Morpho, Fender Precision.
Siamo comunque sempre alla ricerca di nuovi suoni… è
una malattia.
La vostra discografia non si ferma ai due album che ho
citato: che cosa avete realizzato dal 2013 ad oggi?
Prima del 2013 abbiamo registrato un
l'Ep, “Alljamed” nel 2010 (venduto ai concerti come CDr) con 4 tracce,
ristampato da Vincebus Eruptum in vinile nel 2014 con tre bonus track col nome
di “In the Beginning”.
Nel 2015 “Psychedelic Battles”,
split con il gruppo gallese Sendelica per Vincebus Eruptum.
Nel 2016 “Live at
Immerhin-Wurzburg”, registrato a Wurzburg a maggio 2015, uscito per la
tedesca Sunhair Records .
Che cosa vorreste vi accadesse nell’immediato futuro
musicale?
Ci piacerebbe molto implementare i
nostri concerti con dei visual per aumentare l'intensità della nostra
musica.
Elenco
brani prima parte:
A1 - The Calm and The Storm
A2 - Manta
A3 - Revelation
A4 - Dear Zahdia
Elenco
brani seconda parte:
B1 - Trepasses Bay, The Peaceful Place
B2 - Mother Earth
Rilasciato
il 30th of April 2017
Formazione:
Cavitos
- chitarra
Peppo - basso
Tommy
– batteria e percussioni
Bachis –Sintetizzatore e tastiere + basso in “Mother Earth”