lunedì 28 settembre 2015

Biglietto per l'Inferno: incontro con Mauro Gnecchi prima del rilascio dell'LP "Vivi. Lotta. Pensa."



Domenica 4 ottobre il Biglietto Per L'Inferno presenterà l'uscita del vinile del nuovo album, Vivi. Lotta. Pensa.
Santeria Paladini 8
Via privata Ettore Paladini, 8, 20133 Milano
Ore 17,30
Ingresso gratuito


Sarà possibile trovare per la prima volta l'edizione in vinile rosso del disco, stampato in sole 300 copie, con cinque cartoline esclusive accluse ad ogni copia.



Ho colto l’occcasione per fare il punto con uno dei fondatori del Biglietto, Mauro Gnecchi.

L’INTERVISTA

Tu sei uno dei fondatori del gruppo che prese avvio nel 1972: potresti sintetizzare la vostra storia attraverso gli elementi più significativi che vi hanno condotto sino all’attuale momento?

La storia del Biglietto parte dall’incontro di due gruppi musicali del territorio lecchese nel 1972.L’amicizia e la convinzione di riuscire a fare musica nostra ha creato l’amalgama, che io definisco magico, del Biglietto. La forza, ancora attuale, dei testi di Claudio ha poi fatto la differenza, l’energia esplosiva che si sprigionava nelle performance dal vivo ha lasciato vivi ricordi nei nostri fans. Ma la cosa incredibile è che noi, in quegli anni, non ci siamo accorti di nulla. Solo dopo, con l’avvento di Internet, abbiamo capito cosa avevamo creato con la musica, ma soprattutto con i testi. Oggi, con i nuovi arrangiamenti, l’esperienza e il bagaglio musicale di tutti noi, siamo riusciti a rivitalizzare il lavoro degli anni ‘70

Conosco bene l’atmosfera di quei giorni dal punto di vista della partecipazione, ma mi piacerebbe avere il tuo parere su cosa volesse dire essere il musicista di una band rock ad inizio anni ’70.

Negli anni ‘70 anche noi eravamo agli inizi, quindi la consapevolezza di essere un musicista rock era in secondo piano. Per noi era importante suonare, girare l’Italia, conoscere altri musicisti, scambiare le nostre esperienze, vivere la libertà che la giovane età e la musica ci metteva a disposizione. L’emozione di suonare davanti ad un pubblico non ha età, oggi, è la stessa di quegli anni. Sono 46 anni che batto il tamburo, ma ogni volta che salgo su un palco il mio bambino si riempie di gioia, che condivido sempre con i miei compagni.

Mi racconti un aneddoto, un incontro che giudichi importante per l’evoluzione del Biglietto?

Il Biglietto nasce al Be-In di Napoli nel giugno del ‘73. Per noi è stato il battesimo musicale. Il primo festival importante davanti a migliaia di persone, il muro di ampli Cabotron mai visti prima, il palco enorme, ma soprattutto l’urlo di gioia del pubblico alla fine di Confessione. E’ impossibile descrivere l’emozione di quel momento. Poi i due mini-tour con gli Area, Rocchi e Madrugada. Toccavamo il cielo con un dito. Mi ricordo di Giulio Capiozzo, con il cappello del prete sul rullante ad esercitarsi e contemporaneamente a raccontare barzellette, ed io lì a cercare di capire e imparare, a “rubare” quello che potevo.

Che cosa è accaduto, professionalmente parlando, ai fondatori della band, dal momento dello scioglimento sino alla reunion del 2007?

Pilly Cossa ha insegnato da subito musica nelle scuole medie, ha diretto un coro per parecchi anni, poi è entrato con me a far parte del gruppo di musica popolare Bandalpina.
Claudio Canali ha continuato a livello cantautorale per un anno poi, piano piano, si è avvicinato alla vita monastica.
Marco Mainetti, finiti gli studi universitari e il servizio militare, ha abbandonato musicalmente il contatto con il pubblico e suona solamente in privato con amici. Oggi è titolare di una ditta di componenti elettronici
Fausto Branchini, dopo il servizio militare, oltre al suo lavoro di assicuratore prima e commerciante poi, ha scritto diverse canzoni rimaste comunque nel cassetto.
Baffo Banfi ha pubblicato due LP di musica elettronica, poi ha iniziato a lavorare come fonico.
Io, con Pilly, sono tornato per due anni a suonare in sala da ballo. Nell’ 82 mi sono avvicinato al Jazz tradizionale. Nell’ 85, con altri 4 percussionisti, abbiamo formato il Percussion Staff, tuttora attivo ( abbiamo suonato il 17 settembre al MiTo). Nell’ ‘89 inizia (e continua) la mia avventura folk con la Bandalpina e nel ‘90 con il quartetto europeo Bakamutz. Nel 2005 ritorna il Biglietto in una prima versione folk ( Destabanda) poi con l’attuale progetto.

Le liriche da voi proposte non erano un banale riempitivo, ma erano presenti forti messaggi tendenti al provocatorio: c’era in voi la convinzione di poter cambiare il mondo con una canzone, caratteristica dell’utopia giovanile di quei giorni?

Non ci siamo mai confrontati sull’argomento: ognuno ha vissuto quei momenti a modo suo e secondo la propria sensibilità. Non avevamo grandi aspettative, ma forse il fatto stesso di essere impegnati a dar vita e senso a quei testi era il modo di sentirci partecipi di un movimento che era nell’aria e che ti dava l’illusione di far parte di qualcosa di più grande e collettivo.

A chi vi ispiravate dal punto di vista prettamente musicale?

I nostri ascolti erano diversi, ma non ci siamo ispirati a nessuno. Provavamo 6/7 ore al giorno e il risultato finale era il lavoro collettivo. Si partiva da un’idea di base, normalmente proposta da Claudio, poi si sviluppava con l’intervento di tutti fino alla conclusione del brano. La cosa bella, che tra l’altro rappresenta molto bene la forza e la coesione del gruppo, è che non ricordo una sola litigata, si lavorava in perfetta armonia.

Il vostro ricongiungimento porta ad una implementazione del nome, con l’aggiunta del “punto folk”, con l’intento di rivedere il vecchio repertorio sotto una nuova ottica: da dove parte questa esigenza?

Nel 2005 abbiamo pubblicato il cofanetto con i due LP, una registrazione dal vivo (unico documento del Biglietto di allora) in tour con gli UFO, un video per presentare il progetto e un libro dove abbiamo raccontato la nostra breve storia, con aneddoti e ricordi vari.
Per presentare il lavoro nelle varie librerie, FNAC ecc., Pilly ha pensato di utilizzare la nostra esperienza nell’ambito della musica popolare e prendere due brani del Biglietto e vestirli in chiave acustica folk (genialata!!!). “ Il Nevare” del primo album trasformato in mazurka e “ L’arte sublime di un giusto regnare” del secondo in un ballo bretone (andro). Da lì nasce la prima formazione “Destabanda”. Poi lo stallo musicale che ci porta a cambiare formazione, nostro malgrado, con l’inserimento di musicisti provenienti da varie esperienze musicali, con i quali pubblichiamo nel 2010 “ Tra l’assurdo e la ragione”.
Quest’anno abbiamo pubblicato “ Vivi lotta pensa” e abbiamo tolto il “ punto folk”, in primo luogo perché l’album ha un impronta molto prog/rock e poi perché non aveva più senso quell’appellativo.

Come è nato il coinvolgimento di Frate Isaia/Claudio Canali nel CD “Tra l’assurdo e la ragione”?

Molto semplice: il titolo del CD è un a sua canzone del ‘77 che noi abbiamo arrangiato, e poi si è chiuso il cerchio religioso: dopo 40 anni Frate Isaia è stato interpretato da Fra Claudio nell’introduzione di “Confessione”. Meraviglioso. Siamo andati all’Eremo con registratori e microfoni e abbiamo inserito voce e alcune note di flauto del fraticello.

Quali sono le grandi differenze in fase live tra la vecchia formazione e quella attuale?

La vecchia formazione aveva due tastiere, Baffo e Pilly, la nuova ha sostituito la parte elettronica di Baffo con il trio acustico di flauti, ocarine, pifferi, cornamuse, violino e mandolino. La difficoltà live sta nel trovare il giusto bilanciamento tra la parte elettrica e quella acustica. Abbiamo un fonico superlativo che è il nono elemento del gruppo che deve gestire qualcosa come 26 canali, tanti sono gli strumenti che utilizziamo nei nostri concerti live.

Mi dai un tuo giudizio sullo stato attuale della musica, quella prog in particolare?

Purtroppo la cultura musicale rock in Italia è rappresentata dai soliti nomi. Mi fa molto piacere che il prog, piano piano, si stia facendo largo. La nascita di nuovi festival e la passione di alcuni promoter fa ben sperare, ma la strada è veramente dura.

Cosa c’è nel futuro prossimo del Biglietto?

Finito il progetto con “ Vivi lotta pensa”, pensiamo di continuare con un album di inediti. Stiamo valutando alcuni testi sul disagio mentale, argomento che ci interessa molto. 





giovedì 24 settembre 2015

La musica dei Syncage

Fotografie di Francesco Monti

La giornata di apertura del 2Days Prog + 1, Festival Prog organizzato da anni a Veruno, e diventato ormai tra i più importanti del genere, mi ha permesso di scoprire alcune nuove entità musicali davvero interessanti.
Non conoscevo, ad esempio, i Syncage, giovanissima band vicentina che ha avuto l’importante compito di aprire la kermesse, il 4 settembre.
Inutile sottolineare le influenze e fare opera di comparazione con il passato, molto meglio evidenziare una buona originalità, una efficacie presenza scenica e una voluta contaminazione che permette di miscelare gli elementi classici al rock, tra il sinfonico e l’hard, con una decisa tendenza alla teatralità, che in questo caso significa realizzare uno spettacolo con più ingredienti, per la musica, oltre la musica.
Molto meglio delle mie parole risulterà il video a seguire, che ripropone il brano di apertura di Veruno.
La discografia è al momento ridotta e riconduce all’EP “ITALIOTA”, ma è in cantiere la realizzazione di un album completo.
Ho chiacchierato con loro e questo è il risultato…



L'INTERVISTA

Come, dove e con che motivazione nascono i Syncage?

Proveniamo tutti da Vicenza e dintorni; come band nasciamo tra i banchi del liceo e tra le fila di un’orchestra giovanile. Siamo prima di tutto un gruppo di amici, personalmente credo che questa sia la condizione senza la quale l’esistenza di una band non avrebbe alcun senso. Nonostante gli anni siano passati e le responsabilità aumentate, penso che siano tutt’ora la voglia di stare assieme, divertirsi e intrattenere, le ragioni per cui i Syncage esistono. Sono sicuro quando affermo che quanto più un gruppo è affiatato, tanto più il suo sound sarà efficace e veritiero.

E’ abbastanza anomalo vedere musicisti così giovani impegnati in un genere musicale abbastanza trasversale, ma di certo non easy listening: c’è qualcuno in famiglia che ha la… responsabilità di aver gettato il seme?

Questa domanda dev’essere risposta caso per caso: io e Riccardo siamo fratelli, veniamo da una famiglia dove la musica è un accompagnamento alla vita quotidiana, nulla più. Lo stesso caso vale, più o meno, per Daniele. Matteo Graziani è invece figlio di musicisti classici professionisti, suona violino dalla tenera età di 7 anni. Ciononostante, è stato proprio Daniele che, un giorno, mi diede Metropolis pt.2 Scenes from a Memory, dei Dream Theater, introducendo me e tutti gli altri al mondo del Progressive.

Vi ho appena visto al Festival di Veruno e mi ha colpito il vostro “tenere la scena”, aggiunto ad una certa disinvoltura che non è scontata quando si ha il compito di aprire un evento così importante: da dove arriva tale padronanza della situazione?

Dall’amore che proviamo per quello che suoniamo e dalla connessione che è possibile instaurare con il pubblico. C’è da dire che non è stato sempre così: talvolta ci è capitato di suonare di fronte a degli spettatori non entusiasti della nostra musica e in quei momenti non saremmo apparsi tanto disinvolti quanto hai visto tu. Adesso probabilmente gestiremmo meglio la situazione, visto che da qualche tempo cerchiamo gli espedienti più effettivi per intrattenere il pubblico: vorremmo che la nostra proposta live non fosse un semplice concerto, ma piuttosto un viaggio sonoro, uno show vero e proprio dove l’ascoltatore/osservatore possa avventurarsi totalmente.

Rock, metal, prog, ma leggendo il tipo di strumentazione da voi usata -tromba, flauto e violino- mi pare che esista una buona fusione con un lato musicale più classico e serioso: è fatto voluto o casuale, legato magari a rapporti di amicizia che sfociano nel professionale?

Strumentazione: è la parola giusta, da cui possiamo partire. Si tratta infatti di mezzi espressivi. Il fatto che il violino e il flauto siano strumenti utilizzati prevalentemente in ambito classico non ne preclude la presenza in contesti musicali diversi da quest’ultimo.

Mi pare che sino ad oggi abbiate pubblicato un solo EP, “Italiota”: me ne parlate?

È corretto, se non consideriamo il singolo Hellhound, rilasciato qualche mese prima di “Italiota”. È costituito da 3 tracce, che offrono una panoramica eterogenea ma unitaria del sound Syncage. Si parte con Leash and Necks, un blues d’acciaio e ironia, considerabile come il divertissement dell’opera. Segue Anxiety  pezzo che rivela il nostro lato più introspettivo e meno sguaiato: hai presente un caleidoscopio? Ecco, questa traccia per me è la traslazione sonora di un caleidoscopio. Conclude la suite Italiota’s Journey no2 , pezzo a sfondo politico (rimando al testo della canzone per chi ne volesse sapere di più) dai toni teatrali e grotteschi. Forse è la traccia più difficile dell’EP, ma anche quella che può dare di più all’ascoltatore, quella di cui non ci si stanca attraverso gli anni.

Che tipo di soddisfazioni potete registrare sino ad oggi, sia per i giudizi sui live che per quelli derivanti dall’ascolto dell’EP?

La critica si è espressa positivamente riguardo il nostro EP e i nostri concerti: ovviamente ciò ci ha fatto piacere. La soddisfazione più grande rimane sempre e comunque vedere il pubblico che si entusiasma.

I vostri testi sono rivolti al sociale: che ruolo pensate possa avere la musica, in questi giorni, per favorire il cambiamento in positivo?

Questa non è del tutto giusta: in effetti, della nostra produzione ad oggi, solo Italiota (la traccia) è a sfondo sociale. Tuttavia anticipo che il nostro prossimo LP lo sarà interamente, per quanto in chiave favolistica. Il cambiamento è un processo estremamente articolato e lungo, certo qualsiasi mezzo d’espressione può concorrere a ispirare e istigare una rivoluzione. Ciò che fa la Musica e che manca alle altre arti è il toccare l’emotività cruda dell’ascoltatore, scavalcando barriere concettuali e logiche. Pelle d’oca, lacrime, esaltazione, tristezza, ilarità e quant’altro possono essere innescate senza il consenso dell’individuo nello stesso, attraverso la Musica. È uno strumento meraviglioso, allucinante, quasi magico.

Perché nel vostro repertorio esiste alternanza dal cantato inglese e quello in italiano?

Si è trattato di un singolo caso: sono stato spronato dal resto della band a traslare (non tradurre) i contenuti di Italiota’s Journey no2 in italiano visto il soggetto trattato. Non penso che ciò si ripeterà in futuro. La ragione per cui scrivo in inglese non è commerciale o comunicativa. Io scrivo in questa lingua per il suo suono, che si adatta perfettamente al contesto sonoro generato dai Syncage.

Mi date un giudizio su quanto pesi sul vostro “lavoro”, nel bene e nel male, l’evoluzione tecnologica?

La tecnologia ci ha sempre dato una grande mano. Se fossimo nati qualche anno prima, non sarebbe stato possibile registrarci per conto nostro, per esempio. L’idea musicale e compositiva, tuttavia, deve essere libera e nasce prima dei marchingegni tecnologici, non grazie e questi.

Cosa dobbiamo aspettarci dai vostri prossimi progetti?

Da ormai un anno lavoriamo a quello che sarà il nostro prossimo LP. Posso anticipare che si tratta di un concept: nell’epoca della velocità, dell’internet ancora più veloce, vogliamo proporre un’alternativa apprezzabile su una scala temporale più vasta. Un concept permette di incidere molto di più di qualsiasi altro lavoro musicale, grazie a espedienti come la narrazione e la ricorrenza degli elementi. Posso essere onesto e dirti che con Italiota ci siamo appoggiati ad elementi musicali di comprovata efficacia, mentre ora stiamo esplorando la nostra identità, alla ricerca di nuovi canali espressivi. Siamo consapevoli del fatto che il progetto sia ambizioso, ma vogliamo che l’ascoltatore si senta cambiato, una volta ascoltata l’opera. Non vedo l’ora di condividere ciò che bolle nella nostra pentola! Ultima anticipazione a riguardo, non ci limiteremo alla musica. Per quanto riguarda la musica dal vivo, la prossima stagione di concerti ci sposteremo all’estero.

Un ultima curiosità legata ad un fatto che mi ha molto colpito, positivamente, appena vi ho visto sul palco, mi riferisco all’utilizzo di earplugs da parte di Daniele Tarabini, particolare che ho cercato di immortalare per usare come esempio (prossimamente sarò più chiaro): da dove nasce tanta saggezza?

Nasce dalla consapevolezza dei danni che un sistema di amplificazione tradizionale causa alle orecchie, che altro non sono che i nostri principali strumenti di lavoro. Non è sempre possibile lavorare live con i costosissimi inear systems, che limitano e riducono drasticamente il pericolo di lesioni al timpano, per cui Daniele (e Riccardo), hanno intelligentemente adottato questo metodo alternativo.


Line up:
Matteo Nicolin: voce, chitarre, live electronics
Daniele Tarabini: basso, cori, flauto
Matteo Graziani: tastiere, cori, violino
Riccardo Nicolin: batteria, cori, percussioni




mercoledì 23 settembre 2015

CBE Bros.


E’ recentemente uscito l’album di esordio -omonimo- dei CBE Bros., lavoro strumentale di una band italiana costituita da… singoli musicisti importanti.
Il team nasce casualmente a seguito di una fortunata alchimia, quell'empatia che nasce spontaneamente quando esiste identità di vedute e stesso spirito musicale.
Da questa situazione fortunata arriva una raccolta di brani -sei- logica conseguenza del totale accordo da palco, che ha prodotto il desiderio di racchiudere per sempre il momento in un contenitore, per ora solo digitale, ma con buone possibilità di un ulteriore step, quello della trasposizione su supporto fisico.
Di tutto questo ci parla Cristiano Parato, bassista del gruppo, nello scambio di battute a seguire.
Formazione a quattro -oltre a Parato, sono presenti i chitarristi Riccardo Cherubini e Maurizio Vercon e il batterista Massimiliano Di Fraia- (a fine post è presente una scheda informativa per ognuno di loro) che propone la qualità tecnica che ci si poteva aspettare, vista la valenza dei singoli, ma come è noto, il risultato di gruppo è ben altra cosa. E così i virtuosismi arrivano in modo soffuso, con una certa misura, privilegiando il gusto del particolare e la miscela del sound.
La loro musica è un insieme di influenze personali, of course, ma l’internazionalità si mischia a caratteristiche prettamente “di casa nostra”, e la tendenza alla melodia è sempre presente, con le trame solistiche che sostituiscono alla grande il cantato.
Un album rock, ma non “duro”, piacevole già dal primo ascolto.
Immagino che la fase live possa diventare un concentrato di potenza ed energia esplosiva, per la gioia dei followers e di tutti gli amanti del genere: questo supergruppo va seguito e supportato!


Ecco cosa mi ha raccontato Cristiano Parato…

Mi dici qualcosa di questo nuovo progetto, i  CBE Bros.?

Questo progetto è nato quasi per caso 3 anni fa, quando Riccardo Cherubini mi ha chiesto di suonare con lui al CBE di Genova. Lì ho conosciuto Massimiliano e Maurizio. Da subito mi sono piaciuti e quando l'anno seguente siamo tornati a Genova, abbiamo deciso di fare un CD con brani scritti da tutti noi, e il nome è nato proprio in onore del posto in cui ci siamo conosciuti.

Dall’esterno appare come un gruppo costituito da importanti solisti ma… come funziona la squadra?

È vero siamo tutti ottimi solisti, ma anche musicisti intelligenti e con grande esperienza. Questo ha reso possibile la formazione di una squadra, dove ognuno ha il suo spazio e dove nessuno vuole sembrare più bravo.

L’album è strumentale: come definiresti la proposta musicale? A chi è rivolto?

Ormai da parecchio tempo io propongo musica strumentale, così come Maurizio e Riccardo, quindi non avevo dubbi su cosa fare. Credo che la musicale strumentale, quando è fatta con gusto ed equilibrio, possa essere fruita da chiunque.

Mi pare che il disco sia fruibile solo online: come mai questa scelta? E’ solo il contenimento dei costi o pensate che sia il modo più consono per proporre musica in questo momento?

Oggi stampare un disco non ha quasi più senso. I negozi non investono più, le distribuzioni fanno fatica a inserire prodotti di nicchia, quindi abbiamo pensato che fosse più giusto proporlo online, anche se la nostra idea è quella di stamparlo a breve, anche perché ci è stato richiesto da parecchi fans.

Pensi che potrà esserci un seguito, sia dal punto di vista dei live che in studio?

La nostra intenzione è quella di continuare, anche perché veniamo sovente invitati a suonare, quindi sarà un enorme piacere per me proporre bella musica con Riccardo, Maurizio e Massimiliano. Oltre tutto con loro suono un genere più vicino al rock rispetto alla mia consuetudine, quindi è un esperienza molto utile per la mia crescita personale.


Qualche notizia…

CBE Bros. (Riccardo Cherubini, Massimiliano Di Fraia, Cristiano Parato, Maurizio Vercon) sono un gruppo nato sul palco della fiera chitarristica "CBE" di Genova. Ognuno di loro vanta una importante carriera solista, con pubblicazioni discografiche e collaborazioni con noti artisti del panorama nazionale e internazionale. Hanno unito gli sforzi per creare sei brani strumentali di grande impatto, dove ognuno ha riversato la propria esperienza creando un mondo musicale variegato e affascinante.




RICCARDO CHERUBINI - Chitarrista e produttore molto attivo nella discografia, nei concerti e nella didattica, collabora regolarmente con importanti istituzioni e artisti di chiara fama: Sanremo Festival Orchestra, Marco Masini, Luisa Corna, Marian Gold (Alphaville) ecc. Ha al suo attivo numerose uscite discografiche e alcuni suoi brani sono utilizzati in svariati spot e programmi televisivi. Ha inoltre partecipato a numerose trasmissioni televisive sia Rai che Mediaset.

MASSIMILIANO DI FRAIA - Batterista titolare del CBE di Genova, ha all’attivo una grande esperienza didattica e fa parte de La Rosa Tatuata, la nota band genovese con la quale ha pubblicato diversi lavori discografici e collezionato importanti collaborazioni: Paolo Bonfanti, Massimo Bubola, Yo Yo Mundi ecc. La band è stata anche insignita di numerosi premi, fra cui il Premio Mei come miglior autoproduzione, il premio Ciampi Città di Livorno, il premio Augusto Daolio come miglior testo e la Targa Argento S.I.A.E.

CRISTIANO PARATO - Bassista dalle molteplici esperienze musicali, ha cominciato la carriera discografica come cantautore. In seguito ha scoperto il fascino della musica strumentale, che lo ha portato a collaborare nei suoi album, pubblicati da Videoradio - Rai trade, con molti musicisti di fama internazionale: Scott Henderson, Mike Stern, Dave Weckl, Dennis Chambers, Lele Melotti ecc. Il suo ultimo lavoro è Still, in uscita il 28 Aprile 2015 e prodotto, come suo solito, fra l’Italia e gli Stati Uniti.

MAURIZIO VERCON - Chitarrista con all’attivo due album chitarristici per Videoradio - Rai Trade, ha collaborato con musicisti di chiara fama come Frank Gambale, Maurizio Solieri, Andrea Innesto, ecc. Alcuni suoi brani hanno fatto da colonna sonora per numerosi DVD di genere sportivo distribuiti in tutte le edicole; inoltre, il suo brano “Too much easy but no easy”, è stato colonna sonora del programma “Speciale mondiali” su Rai 2, in onda durante
i Mondiali di calcio del 2006.





martedì 22 settembre 2015

Not a Good Sign- From a Distance


Scrivere di musica in questo nuovo mondo, dove non esistono filtri e censure, dove chiunque può andare alla ricerca della visibilità, con l’alibi di darne ad altri, pone qualche problema di coscienza. Proprio un paio di giorni fa ho captato in rete un commento che riassumo: “Gli scrittori, oggi, non sono più quelli di un tempo, artefici o maestri di cultura, gli scrittori di oggi sono comunicatori di sé stessi, aggrappati al proprio inconscio, alla propria esperienza di vita”.
Perché parto da qui per commentare “From a Distance”, il secondo album di Not a Good Sign, band milanese nata nel 2011?
Sono molto lontano dal pensiero appena descritto, tanto che ho atteso qualche mese prima di affrontare l’argomento -fatto inusuale per me-, e pur avendo il CD vicino al computer, in bella evidenza, ho aspettato il momento giusto per ascoltarlo, e il tanto lavoro arretrato è diventato una perfetta giustificazione all’accantonamento momentaneo.
Nondimeno non riesco a trovare assoluta obiettività, lasciandomi spesso coinvolgere con aneddoti personali, che mi aiutano a marcare il pensiero, e in questo caso trovo conforto parziale nelle parole del tastierista e fondatore Paolo «Ske» Botta, che racconta: “Quando si parla di musica di commistione troviamo sia molto limitante ancorarci ad un genere, preferiamo lasciare una libera interpretazione a chi ci ascolta. Se creiamo magia, se generiamo emozioni, l’obiettivo è raggiunto, l’etichetta è meno importante”.
Quindi l’interazione è uno dei punti focali della proposta musicale, e il raccontare ciò che un album del genere può provocare, dal mero punto di vista emozionale, magari sorpassando l’aspetto tecnicistico -che col passare del tempo mi interessa sempre di meno- è forse quello che può essere più utile a chi si avvicina ad una musica nuova… il curioso di turno.
Quando i NAGS debuttarono dal vivo, un amico musicista, molto competente e solitamente equilibrato, presente appositamente in quell’occasione, mi riportò le sue idee, basate su una straordinaria perizia tecnica e su un amalgama sorprendente in rapporto alla poca vita di gruppo, ma mi parlò anche di una sua difficoltà nell’entrare in sintonia con qualcosa di… estremamente complesso.
Questo giudizio mi ha un po’ condizionato, e non sono poi riuscito a sfruttare la loro performance al FIM 2014, per il mio “lavoro” in qualità di conduttore da palco,  impegno che mi ha precluso un ascolto attento.
Tutto da cancellare. I Not a Good Sign sono tutt’altro, almeno a giudicare da questo fantastico “From a Distance”, oltre cinquanta minuti di musica suddivisi su dieci tracce, di cui una strumentale.
E parto proprio da questo, dalla centralità della voce di Alessio Calandriello, che ho più volte visto impegnato con l’altro nucleo di cui fa parte, La Coscienza di Zeno, ma la cui vocalità mi pare modellata sul progetto, che nel caso dei NAGS richiede un bilanciamento tra atmosfere soffuse e tinte dark, con testi che contrappongonola narrazione a una visione distopica del mondo, presentando una certa dinamicità di situazioni”.
L’abilità e le idee “progressive” della band producono un sound in cui ci si possono ritrovare le tinte dell’originalità dei seventies, e trovo che in “From a Distance” ci sia una buona cura dell’aspetto melodico, forse non sempre richiesta da chi tende a radicalizzare il genere, ma ritengo che una delle caratteristiche più importanti del movimento prog sia proprio quella di fuggire da regole e codificazioni.
Sintetizzo: non so se possa far piacere o meno ai NAGS, ma l’album è a mio giudizio … semplice, facile nell’ascolto intendo, mentre dal punto di vista costruttivo è un grattacielo, e stupisce la rapidità realizzativa e il poco spazio intercorso tra i due dischi rilasciati; credo anche che questa convivenza tra  situazioni oggettivamente contrastanti -o apparentemente distanti- sia uno dei segreti della musica di qualità.
Leggendo le note biografiche dei NAGS appare chiaro l’obiettivo di fotografare la realtà, traducendo in musica la crisi globale, ma utilizzando l’energia che li contraddistingue per superare il negativismo e guardare oltre in modo propositivo.
Vitalità estrema? Spinta propulsiva?
Sto facendo jogging e nelle cuffie ho messo tutto l’album dei NAGS: ho un’ora per me, per sentirlo in solitudine. La musica gira, partendo da un punto casuale. Mancano cinquecento metri alla fine della meta, ma … non ho più benzina in corpo e sto pensando di rallentare. Sul lettore arriva al momento giusto “Pleasure of Drowning” e io… trovo la forza per accelerare! Disegno metaforico e di effetto? Quando la musica ti da di più di quello che ti aspetti ogni possibile descrizione va nel senso giusto.

Tra i migliori album ascoltati in questo 2015!

Not a Good Sign- From a Distance


Not a Good Sign
From a Distance
(51.33 - 10 brani)
Fading Records/AltrOck
Distribuzione Marquee, BTF, Just For Kicks, Pick Up



Line up
Paolo «Ske» Botta, keyboards
Alessio Calandriello, vocals
Alessandro Cassani, bass
Martino Malacrida, drums
Francesco Zago, guitars

Guests:
Maurizio Fasoli (Yugen), grandpiano
Eleonora Grampa, corno inglese/oboe
Jacopo Costa, vibrafono/glockenspiel

Live 2015 line-up:
Paolo «Ske» Botta, keyboards
Alessio Calandriello, vocals
Alessandro Cassani, bass
Martino Malacrida, drums
Gian Marco Trevisan, guitars

Info:

Not a Good Sign:

Fading Records/AltrOck:

Ufficio Stampa Synpress44: