Gianni Leone mi ha regalato un
suo scritto di una decina di anni fa che propongo integralmente.
I Beatles? Perchè no!
La proposta all’inizio mi lasciò
alquanto perplesso: si trattava di scegliere alcuni brani dei Beatles e
riproporli dal vivo sul palco del Centrale del Tennis al Foro Italico di Roma
nell’ambito del “Beatlesmania Festival” organizzato dall’Official Fan Club
Pepperland. Le ragioni del mio tentennare erano molteplici. Innanzitutto, i
Beatles –pur col dovuto rispetto e ammirazione- non sono e non sono mai stati
il gruppo al primo posto tra le mie preferenze, poi perché con il Balletto di
Bronzo non avevo mai eseguito brani di altri artisti, ma forse più che altro mi
preoccupava il rischio che si corre quando si decide di reinterpretare dei
brani tratti dal repertorio più saccheggiato al mondo e cioè quello di
ritrovarsi di colpo catapultati in una dimensione astratta in cui ci si sente
assediati da un campo minato a Nord, un fitto ginepraio a Sud, le sabbie mobili
a Est e un giungla intricata e insidiosa a Ovest. Negli ultimi decenni abbiamo
assistito a un continuo proliferare di cover dei brani dei Beatles realizzate
dai più sublimi e ineguagliabili interpreti ma anche –ahimè!- dai più
sgangherati scalzacani da balera estiva tra gli ombrelloni-oni-oni o da scialbe
orchestrine nei quiz televisivi. Come minimo si rischiava di fare una magra
figura o addirittura scadere nel famigerato e da me tanto aborrito “effetto
piano bar”!... Ciononostante una vocina dentro la testa mi ripeteva che quella
sfida era tanto, tanto allettante. Alla fine ho ceduto. Ho passato in rassegna
un po’ di vecchi album dei Beatles ed ecco che, eliminando a priori e senza
pietà tutti i brani più melodici e sfruttati, piano piano sono arrivato a una
rosa di pezzi davvero stimolanti, che ho voluto riarrangiare senza stravolgerli
(magari solo per il gusto di renderli irriconoscibili: squallido trucchetto!...),
ma rispettandone la struttura di base, dandogli con la mia “zampata” un colore
inedito e decisamente personale, in realtà più vicino allo spirito di Gianni
Leone/LeoNero che a quello del Balletto, direi. Infatti li ho interpretati con
tanta gioia, li ho “sentiti” come fossero stati composti da me, e questa è
stata un’emozione davvero esaltante.
Naturalmente non posso non citare
i miei compagni e cioè il batterista-fiammeggiante Riccardo Spilli e il
bassista-prodigio Alessandro Corsi, i quali hanno dato un valido e
indispensabile apporto alla felice riuscita del concerto. A proposito: il
repertorio della serata era composta dai brani “I Want You”, “Dear Prudence”,
“Jealous Guy” (trasformata in una ballata rollingstoniana, inserita nel cd “Beatlesmania”
edito dall’Official Beatles Fan Club Pepperland), “Working Class Hero”, “Sexy
Sadie”, trasformata incredibilmente in un…charleston, inserita nel cd
“Beatlesmania 2” del 2004 (proposta a fine pagina) e “Yer Blues”. Niente male,
vero? Solo in un secondo momento l’amico Luigi Luppola, presidente
dell’Official Beatles Fan Club Pepperland, mi ha rivelato che anche i brani
firmati Lennon-McCartney, come per esempio “Dear Prudence” o “Yer Blues” o
“Working Class Hero”, furono composti in realtà dal solo Lennon. Questo mi
conferma ciò che ho sempre pensato e cioè che l’anima più profonda ed eversiva
dei Beatles era John e non Paul, un po’ troppo zuccheroso e bamboleggiante sia
come artista che come persona, ma questo è un mio parere personale. A McCartney
devo però indubbiamente riconoscere un grande talento come bassista. Infatti
fin dai primi dischi si sentono un suono, una tecnica raffinata e grintosa,
rarissimamente riscontrabili in altri gruppi. All’epoca, nell’ambito del Pop, i
bassisti si limitavano a suonare basandosi sulle note fondamentali degli
accordi, senza impegnarsi più di tanto per elaborare linee armoniche e
melodiche sul loro strumento. Paul, invece, era dotato di ben altra concezione
bassistica. Basti pensare al giro di basso di “Come Together”, per esempio, per
rendersi conto del grande impatto che può avere questo strumento quando è
suonato in modo tale da renderlo portante e non di mero accompagnamento.
Andando a riascoltare i vecchi
dischi dei Beatles, si resta folgorati dalla quantità di anticipazioni e
presagi musicali che hanno disseminato qua e là nella loro intera produzione.
Appaiono evidenti e riconoscibili i prodromi, i germi di innumerevoli correnti
e generi musicali come la Psichedelìa, il Progressive, lo Sperimentalismo, il Demenziale
e persino il Glam Rock: provate a riascoltare “Sexy Sadie” (Album Bianco, 1968)
e vi accorgerete che potrebbe benissimo essere un brano di David Bowie nel
periodo Ziggy Stardust (1972-1973); sembra addirittura di sentire Mick Ronson
alla chitarra nell’arpeggio in si minore all’inizio della strofa (…”What have
you done”…)!
Quest’avventura musicale mi ha
galvanizzato e non vedo l’ora di riproporre il concerto -che, peraltro, è
davvero piaciuto a tutti- al più presto. Magari potrei arricchirlo con brani se
possibile ancor più coinvolgenti e… solleticanti. Di certo la materia prima da
cui attingere non manca. Ne riparleremo. Un saluto a tutti gli amici della
musica.
Gianni Leone, agosto 1999
Testo riveduto nell’agosto 2010.