Ho incontrato
casualmente - virtualmente - Claudio Sottocornola nel momento giusto,
nel periodo in cui mi sto interrogando, in buona compagnia, su cosa si possa
fare per diffondere la cultura musicale, su come si possa entrare nel mondo
della scuola per una buona semina, su quali siano i mezzi corretti per
“costringere” i nostri giovani a superare la barriera della superficialità per
lasciarsi trasportare in un mondo che non conoscono, che non dovrà
obbligatoriamente affascinarli, ma che potrebbe riservare loro delle sorprese
positive.
Nell’intervista a
seguire, le prime riflessioni di Claudio riportano ad un problema di cui
possiamo identificare l’inizio, ma non certo prevedere la fine, e probabilmente
non esiste una sola verità, ma variegate sfaccettature che permettono di
assumere posizioni differenti a seconda del momento. Mi riferisco a
quell’atteggiamento particolare che porta a giudicare e a decidere quale sia la
musica degna di essere chiamata con tal nome, e a denigrare/deridere/ non
considerare ciò che è ritenuto facile, commerciale, di presa immediata.
Io faccio parte del
gruppo degli intransigenti… moderati, anche se i ragionamenti come quelli di
Sottocornola mi fanno tirare il freno a mano, per una sosta prolungata nel
campo del dubbio: esiste la musica di seria A e quella di serie B?
Probabilmente non è
molto importante rispondere, in fondo non si potrebbe vivere senza la musica da
cui siamo circondati, e se ad assolvere il compito di arricchimento quotidiano
è un brano da tre minuti piuttosto che una suite di stampo classico, beh,
entrambi troveranno una giustificazione esistenziale e presenteranno la giusta
dignità.
Claudio
Sottocornola, intellettuale, filosofo e studioso della materia, porta in giro
le sue idee, la sua musica e il contesto in cui è nata e ha vissuto, e in
questo suo viaggio sul territorio l’elemento didattico si sposa con quello ludico e favorisce l’interattività.
Ogni occasione è
buona… una scuola, un circolo culturale, l’Università della 3° età, in una
dimensione personale che miscela la performance canora alle parole. Questo è la
traduzione pratica del “fare cultura musicale”, ed è un esempio da cui d’ora in
poi trarrò spunto.
Ma tanto lavoro sul
territorio ha trovato uno sbocco divulgativo importante, la rete, ed è nato il
progetto Working Class, una sorta di collage video dei sui eventi, visibile dal suo sito
ufficiale, diviso in cinque sezioni proposte con cadenza mensile.
Il quarto appuntamento, l’ultimo uscito, è
riservato ai Cantautori.
A fine post sono
riportati tutti i link utili per approfondire, e il video allegato chiarirà
meglio i concetti appena espressi.
Imperdibile per chi è
dotato di curiosità musicale e un po’ di onestà intellettuale.
L’INTERVISTA
Leggendo la tua storia,
la prima cosa a cui ho pensato è relativa al mio cambiamento nel corso degli
anni, partendo dall’adolescenza, quando certi nomi del mondo della musica
leggera risultavano innominabili, mentre ora sono ben disposto verso qualsiasi
prodotto “gradevole”. Esiste secondo te uno spartiacque tra buona musica e musica con … minor dignità?
Molto
spesso si tratta di una questione di affinità, che possono cambiare nel corso
degli anni e allargarsi ad includere esperienze sempre più vaste ed eterogenee,
al contrario di quanto accade nell’adolescenza, dove si è sollecitati ad
accettare esclusivamente ciò che conferma e rafforza la propria immagine
identitaria. Nella mia attività giornalistica ho incontrato due personaggi che
mi hanno illuminato su questo problema, entrambi identificabili col periodo
degli anni ’70. Georges Moustaki mi sottolineò nel corso di un’intervista che
ogni canzone, anche quella apparentemente più stupida, è frutto di un qualche
processo creativo che va rispettato e valorizzato, mentre Nicola di Bari, che
incontrai a Canale 5, quando la sua carriera si era già in gran parte
trasferita all’estero, insistette molto sul riconoscimento che merita qualsiasi
interprete che ha il coraggio di esibirsi su un palco, e quindi di affrontare
anche le critiche. Soprattutto, sono convinto che la qualità non vada mai
identificata con un genere, ma che all’interno dei diversi generi si può
individuare una gerarchia di intensità e valore. Attualmente comunque io
ascolto solo ciò che mi dà stimoli nuovi o, in alternativa, ciò che mi
corrobora nella mia identità e memoria profonde.
Che tipo di
soddisfazione ricavi dal contatto con il pubblico? Riesci a realizzare anche
una certa interattività?
La
comunicazione è sempre bidirezionale e interattiva. Lo vedo anche nelle mie
lezioni di filosofia, ove mi accorgo che il confronto con gli studenti, che
sollecitano con domande, obiezioni, riflessioni personali, mi obbliga a
chiarire, ridefinire, riformulare il mio
pensiero in rapporto con l’interlocutore, allargandone così lo spettro di
efficacia ed inclusione dei diversi punti di vista. Nelle lezioni-concerto, per
esempio, il contatto col pubblico, che interagisce sia con la sua
reattività fisica ed emotiva che con
domande e osservazioni, mi ha aiutato a sdrammatizzare maggiormente il momento
esecutivo, acquisendo un po’ più di “leggerezza” rispetto ai tempi in cui
conducevo le mie ricerche in studio e l’interpretazione, come si evince dalla
trilogia “L’appuntamento”, pubblicata qualche anno fa, è molto più drammatica
ed esistenzialistica, e nella sua versione video anche un po’ “claustrofobica”,
a differenza di quanto accade nei cinque live di “Working Class”, attualmente
in Rete.
Ho delle esperienze
negative legate al rapporto scuola/musica, laddove la materia musicale è intesa
solo in senso tradizionale, o esiste un indirizzo strumentale specifico, mentre
sono dell’idea che, ad esempio, un album potrebbe essere oggetto delle
riflessioni e del lavoro di gruppo da svolgere nelle ore di letteratura. Qual è
la tua esperienza specifica?
Condivido
le tue valutazioni. A scuola la musica è scarsamente insegnata e, quando lo è,
viene concepita come apprendistato tecnico (il solito corso di clarinetto o di
chitarra…) o, al più, come Storia istituzionale (la musica classica!). Io
stesso ho dovuto affrontare qualche scetticismo e ipercriticità nel proporre le
mie lezioni-concerto, perché relative alla musica pop, rock e d’autore
contemporanea, e basate sulla riesecuzione e interpretazione vocale dei brani
stessi ( è semmai più tollerata la semplice storicizzazione). I problemi coinvolti
sono di due tipi. Da un lato c’è una visione museale del sapere, per cui conta
solo ciò che è già “passato in giudicato” e può quindi essere conservato e
trasmesso, con una forte penalizzazione del contemporaneo. Dall’altro, ancor
più grave, c’è una didattica con finalità esclusivamente intellettualistiche,
che non si preoccupa di educare il “cuore”, la sensibilità – anche estetica –
degli studenti, e quindi non li coinvolge in esperienze di ascolto e
percezione, emotivamente forti e partecipative.
Vivo e lavoro (per
passione) nel web, e ho sperimentato la potenza del mezzo divulgativo e la
facilità dell’elemento organizzativo. Quanto è importante per te utilizzare
internet, e quali sono gli aspetti negativi per te più evidenti?
Credo che
ad ogni aumento di potenza corrisponda un aumento di opportunità ma anche di
pericoli, come vediamo dagli stessi sviluppi della tecnologia. Internet
rappresenta quindi una rivoluzione paragonabile a quella della Stampa di
Gutenberg, che conduce all’immane guadagno di una divulgazione scientifica,
artistica e culturale in genere aperta a tutti, in cui io stesso mi muovo e a
cui attingo, come si vede dalla scelta di pubblicare “Working Class” in Rete.
Ma presenta anche il limite di dare amplificazione a forme di comunicazione talvolta
banali, incontrollabili e deresponsabilizzanti. Spero quindi che il tempo
porterà ad un’autoregolamentazione etica sempre più efficace, limitando il
rischio che l’aumento della comunicazione in estensione porti ad un suo
radicale impoverimento, rischio peraltro già strutturale alla velocità del
mezzo, che comporta una evidente contrazione dei passaggi linguistici e
argomentativi.
La poesia, le parole,
le immagini, la musica... elementi essenziali che ci accompagnano nel nostro
percorso di vita. Eppure della cultura in senso lato si sente parlare - molto
- solo in determinati momenti, quando fa
più comodo. E’ una visione troppo pessimistica la mia?
Forse sì,
perché la “cultura” nel senso più profondo, e cioè antropologico, è
coessenziale all’umanità, che non ne potrà, né mai ha potuto, farne a meno. Mi
spiego meglio: se noi ipotizzassimo, per un attimo, la scomparsa di tutti i
mezzi espressivi attualmente a disposizione, e quindi immagini, suoni, colori,
gesti e parole, resterebbe che un essere umano in tali condizioni ancora
sentirebbe, penserebbe, gioirebbe o si rattristerebbe, e quindi ancora sarebbe
un soggetto “culturale” che, invece di suoni, colori o parole…, forse
genererebbe semplici vibrazioni… Insomma, come sottolineano gli anglosassoni,
la cultura è il modo in cui viviamo, mangiamo, preghiamo, ci divertiamo,
pensiamo la nostra condizione… E’ però vero che la qualità culturale del
presente è fortemente influenzata dalla visione che pone al vertice dei valori
quelli economici, e quindi risulta impoverita di molteplici altri aspetti (per
esempio ludici ed espressivi) essenziali alla nostra vita.
Come nasce il progetto
“Working Class”?
Come per
altre esperienze, mi piace cristallizzarle in un’”opera”, quando giungono ad un
certo compimento, utilizzando il materiale raccolto durante la loro
realizzazione. Così si può dire che il progetto “Working Class” abbia
accompagnato il mio tour di lezioni-concerto dal 2004 ad oggi. Nel corso di
questi live sul territorio infatti, a contatto col pubblico più vario delle
scuole, dei teatri, di Centri Culturali e Terza Università, ho sempre raccolto
la documentazione che amici, colleghi, fonici, video operatori (uno speciale
ringraziamento va a mia sorella Augusta che ha seguito e ripreso tutto il tour),
andavano realizzando, e alla fine ne ho ricavato un archivio cospicuo, da cui
ho selezionato gli estratti più significativi in relazione ai diversi temi
trattati. Alla fine si tratta di una ottantina di brani simbolo della canzone
italiana, reinterpretati a modo mio e, soprattutto, storicizzati e
contestualizzati a tracciare una storia sociale e del costume del Novecento in
Italia, con particolare attenzione al periodo che va dagli anni ’50 ad oggi. La
selezione e poi il montaggio delle immagini sono stati faticosissimi, perché le
riprese effettuate sono molto “on the road”, girate in presa diretta e a volte
casuali, ma è proprio questo che differenzia e caratterizza la mia proposta
rispetto al circuito del puro consumo musicale, il suo proporsi come ricerca e
momento di educazione anche estetica, testimoniando che musica non è solo
intrattenimento ma anche apprendimento, crescita, formazione. “Working Class”
documenta così l’interpretazione, l’interazione col pubblico, il discorso di
storicizzazione a partire dalla canzone. Il tutto è ora disponibile sui siti www.claudiosottocornola-claude.com e www.cld-claudeproductions.com
, nonché sul canale CLDclaudeproductions di Youtube , e lo sarà successivamente
anche in versione cofanetto dvd.
Attraverso i tuoi
lavori ripercorri la storia della musica e della gente attraverso un buon
numero di lustri. Esiste un fil rouge, una linea guida musicale che unisce
tutte le epoche che descrivi?
La
relazione fra tempo storico ed espressione artistica è una costante che io
tendo a mostrare nelle mie lezioni-concerto a tema (dai teen-agers di ieri e di
oggi all’immagine della donna nella canzone,
dagli anni ’60 ai cantautori), ove sono particolarmente attento agli
episodi musicali innovativi e di rottura (le influenze americane, il beat, la
canzone d’autore, le interpreti…) per mostrare, come voleva Heidegger, che la
grande arte, di cui la musica è parte, non solo è prodotta, ma produce Storia…
Questo è il fil rouge che mi spinge a guardare con ottimismo al divenire
storico… ma soprattutto, alla nostra capacità di influenzarlo e orientarlo nei
micro cambiamenti e nelle micro relazioni quotidiane, come attraverso la creazione
artistica.
Ho posto recentemente
una domanda, apparentemente retorica, ad
un famoso cantautore, relativa alla musica senza liriche, avendo letto di un
suo pianto adolescenziale per una trama di Mozart. E non posso dimenticare
dell’amore profondo per la musica d’oltremanica, quando non capivamo una parola
della lingua inglese. Qual è il tuo pensiero sul rapporto musica /testi?
Nel mio
ascolto e nella mia percezione sono olistico: sono quindi colpito
dall’atmosfera, dal gesto scenico, dalla maschera teatrale e, non ultimo, dalla
voce, che tuttavia avverto come suono, timbro, risonanza d’essere, e amo quindi
ascoltare abbastanza al livello della musica e non sovraesposta, come piace a
molti tecnici del suono italiani. Credo però che anche la comprensione delle
parole (il cui contenuto evoca concetti, sentimenti e immagini) aiuti a
realizzare l’atmosfera in cui ha luogo la
rivelazione… artistica.
Anche a me capita di
piangere - e ora non ho più nessun
pudore nel farlo - per una particolare musica che mi colpisce nell’intimo. Se
dovessi stilare una scala di valori che comprendesse tutto ciò che è in grado
di smuovere le anime, che ruolo attribuiresti alla melodia e alla possibile
poesia annessa? C’è qualcosa di mistico e metafisico nel rapporto che ognuno di
noi ha con il mondo dei suoni?
Da un
punto di vista istituzionale penso, con Hegel, che arte, religione e filosofia
siano gli ambiti di rivelazione e manifestazione dello Spirito al suo più alto
livello. Della prima fa parte la musica, che io colgo soprattutto nella sua
dimensione scenica, interpretativa, estetica e vocale, e quindi diventa
sinergica a tutte le altre arti. Il ruolo che le attribuisco è quindi
altissimo, incommensurabile, sublime, con degli esiti di tipo
mistico-spirituale. Immodestamente, è qualcosa che io vado cercando quando
canto – una rivelazione – che spero sempre possa a flash e bagliori arrivare a
me come al pubblico che partecipa o ascolta a casa. Ma, per lo più, la musica
del nostro tempo è edonisticamente avvitata su una modalità di esecuzione e
proposta banale e massificante, finalizzata alla vendita e al consumo, sempre
più in crisi e pertanto sempre più nevrotica.
Guardiamo un attimo al
futuro. Qual è il progetto a cui ambisci e che non hai ancora avuto il modo di
realizzare?
Mi
piacerebbe girare l’Europa, portando alla ribalta di un pubblico vario e
cosmopolita la Storia della canzone italiana nei suoi brani simbolo e nei suoi
snodi stilistici ed epocali, raccontando al contempo l’evoluzione sociale e del
costume nel nostro Paese, da “Nel blu dipinto di blu” a “Vita spericolata”, da
“Ma l’amore no” a “Meravigliosa creatura”. E poi vorrei finalmente pubblicare
un’antologia delle mie migliori interviste, realizzate soprattutto fra gli anni
’80 e ’90, ai grandi personaggi storici della canzone e dello spettacolo in
Italia, da Gianni Morandi a Rita Pavone, da Enzo Jannacci a Milva, da Carla
Fracci a Nino Manfredi, da Wanda Osiris ad Alberto Lattuada.
INFORMAZIONI
UFFICIALI Claudio Sottocornola:
Comunicato stampa Working Class: