martedì 31 agosto 2021

Le ultime dal "mondo Genesis"


Mentre sta per partire il primo tour dal 2007, i Genesis pubblicheranno la raccolta "The Last Domino?" che uscirà nelle versioni doppio CD e quadruplo vinile.

In Gran Bretagna sarà disponibile a partire dal 17 settembre, mentre negli Stati Uniti dal 19 novembre.

La band comunica ufficialmente: “Quando Tony Banks, Phil Collins e Mike Rutherford hanno annunciato l’evento, il tour si è trasformato in uno dei più venduti dell'anno.

Avrà inizio il 20 settembre con due serate alla Birmingham Utilita Arena e suoneranno un totale di 16 spettacoli nelle arene del Regno Unito, seguiti da un tour nelle arene del Nord America.

"The Last Domino?" è il compagno perfetto per il tour. Include 27 brani selezionati con la band e la maggior parte verranno eseguiti durante il tour; è un pacchetto che rappresenta il loro incredibile viaggio dall'essere una delle band pioniere del rock fino al successo globale che li ha visti suonare in stadi sold-out in tutto il mondo per decenni.

Il set presentato su quattro vinili è proposto in una confezione cartonata apribile come un libro, che include immagini rare e inedite della band dal loro archivio e immagini delle prove del 'The Last Domino? Tour'.

L'evoluzione dei Genesis è unica; il loro suono si è sviluppato e progredito durante la loro carriera con molteplici variazioni di formazione nei primi anni.

La line-up formata da Tony Banks, Phil Collins e Mike Rutherford ha preso forma nel 1976”.

 

Tracklist: 

CD1 

1. Dukes End 

2. Turn It On Again 

3. Mama 

4. Land Of Confusion 

5. Home By The Sea 

6. Second Home By The Sea 

7. Fading Lights

8. The Cinema Show

9. Afterglow

10. Hold On My Heart 

11. Jesus He Knows Me

12. That’s All

13. The Lamb Lies Down On Broadway

14. In Too Deep 

15. Follow You Follow Me 

CD2 

1. Duchess

2. No Son Of Mine

3. Firth Of Fifth

4. I Know What I Like 

5. Domino Medley 

6. Throwing It All Away 

7. Tonight, Tonight, Tonight 

8. Invisible Touch 

9. I Can’t Dance 

10. Dancing With The Moonlight Knight 

11. Carpet Crawlers 

12. Abacab 

LP1 

1.Dukes End 

2.Turn It On Again 

3.Mama 

4.Land Of Confusion 

5.Home By The Sea 

6.Second Home By The Sea 

7.Fading Lights 

LP2 

1.The Cinema Show 

2.Afterglow 

3.Hold On My Heart 

4.Jesus He Knows Me 

5.That's All 

6.The Lamb Lies Down On Broadway 

7.In Too Deep 

8.Follow You Follow Me 

LP3 

1.Duchess 

2.No Son Of Mine 

3.Firth Of Fifth 

4.I Know What I Like 

5.Domino Medley 

6.Throwing It All Away 

LP4 

1.Tonight, Tonight, Tonight 

2.Invisible Touch 

3.I Can’t Dance 

4.Dancing With The Moonlight Knight 

5.Carpet Crawlers 

6.Abacab







lunedì 30 agosto 2021

Il batterista degli Iron Butterfly Ron Bushi ci ha lasciato all'età di 79 anni.


 Il batterista degli Iron Butterfly Ron Bushi è mancato all'età di 79 anni

 

Il gruppo ha confermato la morte di Bush in un post su facebook il 29 agosto. Sebbene la causa della morte non sia stata ancora determinata, pare che lottasse da tempo contro una malattia incurabile.

"Il nostro amato batterista Ron Bush è morto pacificamente, con al suo fianco la moglie Nancy, al Santa Monica Hospital il 29 agosto alle 12:05 p.m" - comunica la band -, tutte e tre le figlie erano con lui. Era un vero guerriero.

Dal 1968 al 1975, la band pubblicò sei album, e Bushi fu l'unico membro del gruppo ad apparire in tutti e sei.

Nel 1968 furono pubblicati l’album di debutto degli Iron Butterfly, “Heavy”, e il famoso “In-A-Gadda-Da-Vida”. La title track di quest'ultimo diventò un successo mondiale e il disco raggiunse la quarta posizione nella classifica Billboard 200.

Imperdibile l’assolo di batteria di Bush.

“In-A-Gadda-Da-Vida” ha venduto più di otto milioni di copie nel suo primo anno negli Stati Uniti.

Bushi si era ritirato dalla musica a tempo pieno nel 2010.







domenica 29 agosto 2021

Luciano Boero ricorda Alberto Gaviglio

Quando ho appreso della prematura dipartita di Alberto Gaviglio non sono rimasto sorpreso, sapevo della sua malattia, ma a certe perdite non ci si riesce ad abituare, anche se, come nel nostro caso, il rapporto personale era di relativa recente costruzione, paradossalmente legato alla fine della Locanda delle fate e all'epilogo del 2017.

Da allora sono rimasto in contatto con lui e ho seguito alcuni suoi passi, rivedendolo dal vivo col fido Luciano Boero nel corso di una esibizione ligure nell’agosto del 2019.

Ma i ricordi personali non mi sembravano adeguati per una ricostruzione fedele dell’uomo e dell’artista, qualcosa che gli rendesse il giusto merito, e nell’immediato la frase sintetica più rappresentativa l’ho catturata dal suo stesso pensiero: 


"Architetto per necessità, Musicista & Autore per vocazione".


Ho quindi pensato di lasciare il passo a chi con lui ha vissuto e mi sono rivolto all’amico - di entrambi - Boero, che oltre ad essere un grande musicista è scrittore, ed è stato il collante che ha permesso di far nascere e coltivare un progetto durato 40 anni.


Ma i rapporti personali non vanno mai in pensione, a discapito dell’età che avanza e dell’evoluzione della vita.

Luciano ha accettato di buon grado il mio invito - come da sempre fa - e mi ha inviato il suo toccante mood a caldo.

Non mi sono quindi accontentato della dichiarazione ufficiale a seguire, ma ho cercato la profondità che è frutto di un percorso fatto fianco a fianco, condividendo gioie e dolori, sino alla fine:

 

Dopo lunga malattia, ieri sera Alberto ci ha lasciati. Con lui se ne va il musicista, ma soprattutto l’amico che ha contribuito a realizzare il sogno di sette ragazzi: uno dei più apprezzati album prog dei ‘70. Sua l’invenzione delle lucciole, suoi quasi tutti i testi. Che tu possa, Alberto, continuare a inventare favole volando su quei prati della fantasia dove, grazie a te, le lucciole vivranno per sempre".

 

Ecco come Luciano si rivolge al suo amico Alberto…

 


MENTRE VOLI IN ALTO

(lettera all’amico Alberto Gaviglio)

 

“Mentre voli in alto, in braccio a comete venute per te…”

 

Non son passate ventiquattr’ore dall’ultimo saluto e già mi tormenti per le frasi che avrei potuto dirti e che invece non ti ho detto. Ultimo saluto per modo di dire, tra l’altro, perché mentre fissavo quello scrigno di legno che ti racchiudeva, già lo sentivo vuoto. La tua presenza l’avvertivo ormai eterea e fluttuante oltre i bei coppi d’argilla del quartiere romano della tua Acqui.

Ne hai fatto di casino. Hai radunato tanta bella gente. Persino ex locandieri scomparsi da anni dall’orizzonte ottico. Ne sono stato oltremodo felice.

Per non parlare poi dei social, dove ancor ora ti starai stupendo di quanta popolarità godessi.


Siamo due gemelli separati alla nascita”. Me l’hai detto tu infinite volte quando scoprivamo per l’ennesima volta che nelle questioni più disparate avevamo lo stesso punto di vista, che entrambi avevamo avuto un trascorso giovanile impastato con gli stessi tormenti, le stesse emozioni.

Anche l’aspetto religioso ci ha sempre visto collimanti: entrambi agnostici. Non atei, giammai. Ateismo è presunzione, assoluta certezza al pari della fede. Tutti e due col rammarico di non essere riusciti a trovare il bandolo che portasse illuminazione alle domande senza risposta.

Ti ho sempre detto che ti invidiavo il testo di Molecole, che in punta di piedi muoveva un passo nell’infinito alla ricerca di Dio.

 

“Molecole di Dio

Nell’universo, nell’eternità

Dai nostri sogni sparsi in tutti gli angoli

Al grande volo verso l’aldilà…

Molecole di noi

Noi che facciamo la Sua volontà

Noi particelle micro-indispensabili

Del gran disegno che Lui solo sa…”

 

Ne parlavamo sovente, di queste cose ed altre, nella telefonata del lunedì pomeriggio, che per me coincideva col momento in cui la lavasciuga sfornava il bucato. Col telefono nella tasca posteriore, indossati gli auricolari, era un piacere stirare parlando con te del più e del meno.

Sì, è vero, si partiva sempre con l’acciacco del giorno, ma non durava tantissimo. Era facilissimo slittare su altri argomenti. La musica in primo piano. Magari annunciavi la nascita dell’ultima creatura, il brano “perfetto” - lo facevi spesso -, quello che avrebbe scalato le classifiche di mezzo mondo. Mi leggevi la frase “clou”, quello che in gergo chiamavamo slogan, quello che, se non c’è, il tuo testo rimane anonimo e non “funziona”.


Eri facile agli entusiasmi. Forse mi raccontavi le tue cose perché sapevi che io, altrettanto sognatore, godevo però di un pizzico di pragmatismo in più che faceva da giusto contrappeso alla tua maggior spregiudicatezza artistica. Come me, hai sempre preferito una critica sincera a un falso complimento.

Sai cosa pensavo proprio ieri mentre ascoltavo osservando lo scrigno di legno a centro navata? Che in un’occasione così si tende a pensare al passato, a ciò che di buono la persona appena scomparsa ha fatto nella vita.

E lì ci sono stati fiumi di parole: Architetto, Musicista, Compositore… Alberto, eccellevi in tantissimi campi e un libro non sarebbe bastato a descriverti in toto.

Nella mia testa, mi veniva però di sovvertire lo scontato - ti ricordi, lo facevamo spesso per gioco durante le nostre conversazioni telefoniche - prendere il microfono e parlare invece di futuro.

Perché, se è vero che nessuno di noi muore veramente finché rimane nei pensieri di chi resta, allora tu vivrai ancora a lungo.


Sai Alberto, prima di ogni insegnamento artistico - e tu mi hai insegnato come ci si destreggia con le parole coniugando il bel suono con un buon significato - con te ho imparato il valore della lealtà e dell’amicizia. Valori imprescindibili, se ci si trova all’interno di un gruppo.

Sembra semplice, scontato, ma non lo è affatto e tu lo sai bene.

Vabbè, in campo artistico succede che le parole a volte scappino di bocca, magari persino per augurarsi la morte, per poi finire abbracciati dieci minuti dopo con un pace-carote-patate. L’importante è ciò che si intuisce esserci “dentro” all’altro. La bella gente la si fiuta e la si riconosce. Se la si perde, prima o poi la si ritrova.

Ebbene, in futuro, son certo continuerai ad ispirarmi questi valori. Son certo che sarà lo stesso anche per le persone a cui hai voluto - e che ti hanno voluto - bene.

Sarà il tuo modo di continuare a vivere con noi, di seguirci dalla stanza accanto.


Sempre parlando di futuro, dato l’agnosticismo che ci accomuna - il che equivale a un “non si sa mai” - se per caso ti capitasse il brano perfetto, che può scalare le classifiche di mezzo mondo, i piedi tirali pure a me. Non stare lì a disturbare nessun altro.

Ciao. Ci vediamo.

Lucky

 

A conclusione ho preparato un medley a lui dedicato, un estratto dei due concerti di fine 2017: sarà facile afferrare l’atmosfera che avvolge i “Locandieri”, e sarà altrettanto naturale immaginare l’attuale dolore legato ad un percorso materiale che si è interrotto, mentre il legame affettivo proseguirà nel tempo, indissolubile, sentimento che solo le persone virtuose e sensibili possono provare.

 

Ecco la mia ricostruzione, con l’intenzione di ricordarlo sul palco, immaginando che ci resterà per un tempo infinito…

 






martedì 24 agosto 2021

Dave Dee, I Dozy, Beaky, Mick &Tich-Il pop/rock britannico degli anni Sessanta


Dave Dee, I Dozy, Beaky, Mick &Tich fu un gruppo pop/rock britannico degli anni Sessanta. Due dei loro singoli vendettero più di un milione di copie ciascuno, e raggiunsero il numero uno nella UK Singles Chart con il secondo di loro, "The Legend of Xanadu".


Un po' di storia…

Un giorno del 1961, cinque amici di Wiltshire (contea inglese) - David John Harman (Dave Dee), Trevor Leonard Ward-Davies (Dozy), John Dymond (Beaky), Michael Wilson (Mick) e Ian Frederick Stephen Amey (Tich) -, decisero di formare un gruppo, originariamente chiamato “Dave Dee and the Bostons”.  Presto rinunciarono al loro lavoro reale (ad esempio Dave Dee era un poliziotto) per provare a guadagnarsi da vivere con la musica. Oltre ad esibirsi nel Regno Unito, occasionalmente suonavano ad Amburgo (Star-Club, Top Ten Club) e a Colonia (Storyville).

Nell'estate del 1964, i cantautori britannici Ken Howard e Alan Blaikley si interessarono al loro lavoro, dopo che la band aveva iniziato a operare in studio con con Joe Meek (produttore discografico, tecnico del suono e compositore inglese), ma con scarsi risultati, e le sessioni di registrazione non decollavano. Dave Dee raccontò un episodio significativo: “Meek aveva tecniche di registrazione molto strane. Voleva che suonassimo la canzone a metà velocità e poi incrementava e inseriva tutti i suoi trucchetti, e così non riuscivamo a far quadrare le cose. Un giorno esplose, lanciò lontano il caffè sporcando le pareti dello studio e se ne andò nella sua stanza. Il suo assistente - Patrick Pink - entrò e disse che Meek non avrebbe più fatto registrazioni per quel giorno. Finì così, prendemmo tutta la nostra attrezzatura e tornammo a casa".

Il gruppo alla fine ottenne un contratto discografico con la Fontana Records.

Ken Howard, iniziando a seguire il quintetto, dichiarò che: "Abbiamo cambiato il loro nome in Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick e Tich perché erano i veri soprannomi e perché volevamo sottolineare le loro personalità molto distinte tra loro, in un clima che tendeva a considerare le band esistenti solo come entità collettive”.

Il nuovo nome, unito alle canzoni ben prodotte e orecchiabili di Howard e Blaikley, catturò rapidamente l'immaginazione del pubblico britannico, e i loro dischi cominciarono a vendere in abbondanza. In effetti, tra il 1965 e il 1969, il gruppo trascorse più settimane nella UK Singles Chart rispetto alle Beatles e fece un tour in Australia e In Nuova Zelanda, paesi dove avevano avuto ottenuto un notevole successo di classifica.

Con "The Legend of Xanadu" superarono il milione di copie vendute, ma realizzarono altre hits, come "Hideaway", "Hold Tight!", "Bend It!", "Save Me!", "Touch Me, Touch Me", "Okay!", "Abadak!" e "Last Night in Soho".

La canzone "Bend It!" diventò un grande successo in Europa, numero uno in Germania. La canzone fu ispirata dalla musica della colonna sonora del film “Zorba il Greco”, e per ottenere un suono simile al bouzouki fu utilizzato un mandolino elettrificato.


Le vendite combinate nel Regno Unito e in Europa furono notevoli, tuttavia, nell'ottobre 1966, la rivista musicale britannica NME commentò che decine di stazioni radio statunitensi avevano vietato il disco perché il testo era considerato troppo… suggestivo. Il gruppo rispose registrando una nuova versione, a Londra, con un diverso insieme di parole, e il disco fu rilasciato negli Stati Uniti, poiché il singolo originale era stato ritirato dalla vendita.

Negli Stati Uniti, il gruppo non riuscì a sfondare in modo uniforme, anche se ebbero affermazioni regionali, in particolare nelle città nord-orientali come Cleveland, Buffalo, Syracuse, Albany e Boston, dove sia "Bend It" che "Hold Tight" ottennero un notevole ascolto ed entrarono nella top 10 delle stazioni radio locali. Durante l'inverno 1967-68 incrementarono la loro presenza americana, ma non raggiunsero mai il consenso di massa.


Nel settembre 1969 Dave Dee lasciò il gruppo per una breve carriera solista, e il resto della band, rinominato D, B, M e T, continuò a pubblicare dischi fino a quando non si sciolsero nel 1972.
Negli anni Ottanta il gruppo si riformò, sempre senza Dave Dee, che nel frattempo era diventato produttore discografico per la Magnet Records.

Negli anni Novanta il gruppo si ripropone dal vivo, questa volta con Dave Dee, che ha in ogni caso continuato le sue attività sino al 2008, nonostante il precario stato di salute dovuto ad una brutta malattia diagnosticata nel 2001

Nel 2013, John Dymond (l'originale Beaky) è tornato nella band e nel 2014 Tich si è ritirato dopo 50 anni.

Con Ray Frost come nuovo "Tich", la band, che includeva ancora due membri originali, si è impegnata a continuare, almeno sino alla morte di Trevor Ward-Davies (Dozy), mancato il 13 gennaio 2015, all'età di 70 anni, dopo una breve malattia.

Una storia che vale la pena ricordare!


Discografia:

Albums
Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich (1966) – UK #11
If Music Be the Food of Love ... Then Prepare for Indigestion (1966) – UK #27
Golden Hits of Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich (1967) (solo UK )
Greatest Hits (1967) (solo US) – US #155
What's in a Name (1967) (Netherlands release)
If No One Sang, Time to Take Off (US Title) (1968)
Together (1969)
Attention (1971)
The BBC Sessions (live) (2008)

giovedì 12 agosto 2021

Carmine Ioanna-“Ioanna Music Company”



Mi trovo oggi a commentare “Ioanna Music Company”, di Carmine Ioanna.


Il mio incontro con la sua musica avvenne in occasione del suo esordio discografico, quell’album “Solo” di cui scrissi nel 2014.


Da allora il suo percorso musicale si è evoluto, tra collaborazioni e impegni musicali personali, ma quello che propone in questa estate del 2021 ha un sapore particolare, direttamente collegato alla situazione che si è venuta a creare a causa dell’emergenza sanitaria e non poteva essere diverso.

Sono molte le storie, alcune simili tra loro, che hanno unito i musicisti del pianeta, ma le reazioni sono state - e ancora sono - diversificate, perché ogni situazione/sensibilità/contesto produce una risposta differente; l’incipit di questo nuovo disco è proposto dall’autore, che mi ha raccontato:

Dopo la mia esperienza con il Cirque du Soleil, che è stata bruscamente interrotta dal covid nel marzo del 2020 in Texas - a El Paso - e quasi otto mesi senza concerti, ho deciso di riunire alcuni tra i miei musicisti preferiti all’”Adele Solimene”, un piccolo teatro in Irpinia, che dopo oltre un anno ha riaperto le porte proprio con questa registrazione. Sono stati tre giorni pieni di emozioni e speranza, cristallizzati in queste 11 tracce, suonate con il cuore.”

Al nome di Carmine Ioanna si abbina in modo naturale uno degli strumenti tradizionalmente legati alla cultura popolare, la fisarmonica.

Dal sito di riferimento, segnalato a fine articolo, è possibile catturare la biografia e le info fondamentali per scoprire il mondo del musicista avellinese, ma è in ogni caso utile sottolineare la sua precocità e il suo affrontare la musica - studio e proposizione - in modo molto aperto, atteggiamento che lo hanno portato ad oltrepassare il rigore propositivo delle trame classiche a favore del jazz e dell’improvvisazione che ne è parte fondante: alla fine tutto può convivere.

Sette anni fa, quando toccai con mano la musica e lo spessore di Ioanna, evidenziai il suo stato di simbiosi con il “suo accordion”, lo strumento della vita con cui condivide il proprio sentiero, immagine suggestiva che si fortifica oggi con la nuova produzione.

Fisarmonica come apporto fondamentale all’armonia, strumento spesso descritto nei particolari, nella speranza che le parole possano essere esaustive e determinanti per poterne comprendere l’efficacia, ma credo che l’apprezzamento vero possa arrivare soltanto da chi ha la possibilità di utilizzarla; però… la capacità intrinseca della “fisa” (termine in voga nelle feste di paese piemontesi) di infondere alla musica i vari colori della gamma espressiva le permette di arrivare con immediatezza al cuore dell’ascoltatore, perché è unica la sua capacità di reggere da sola la scena oppure di fondersi in un ensemble gruppale, inserendosi in contesti classici, leggeri, jazz, da ballo serioso (ovvio riferimento al Tango) o popolare.

Tutto ciò è reperibile, a mio giudizio, in “Ioanna Music Company”, paradigma del pensiero su scritto.

Sono undici le tracce di questo progetto strumentale, per un totale di quarantotto minuti.

Proverò a snocciolare i vari episodi, proposti da un team dalle competenze mostruose, indicato a fine articolo.

Per l'ascolto cliccare sul singolo brano.

Si apre con “Sospeso”, e iniziano le danze - popolari, balcaniche, gitane - mentre il ritmo tiene il passo nervosamente, sino all’arrivo di una melodia da film. Dopo due minuti e trenta, spunta in sordina il sax, che in modo deciso modifica la strada e mi riporta a qualcosa di conosciuto, al profumo prog dei Van der Graaf Generator degli esordi. Sono minuti di una libertà espressiva che sfocia in trama distopica, prima che la melodia riprenda il sopravvento. Batteria protagonista nell’ultima parte del brano.

Courtain up” è una delle pillole del disco, ma la breve durata è comunque sufficiente a rimarcare la grande qualità e a riproporre il fil rouge del progetto, quella perlustrazione totale del mondo musicale, abbattendo ogni barriera ideologica e ogni etichetta che possa ricondurre all’ortodossia.

Intro moderata al pianoforte a cui segue un ritmo jazzato su cui si innesta un ritornello di facile presa, un passaggio andata e ritorno dalla fisarmonica alla chitarra, il cui gioco solistico caratterizza l’intera traccia.

La seguente, lunga, “No border” (oltre sette minuti) propone un mood fatto di deciso spleen e immagino che il titolo faccia riferimento alla necessità di abbattere le differenze e i confini che caratterizzano l’umanità.

L’accordion divide il ruolo da protagonista con il pianoforte, a cui viene lasciata piena libertà di azione, tra modello classico e fuga verso il ritmo jazzato.

Un concentrato di situazioni - e conseguenti emozioni - che si susseguono.

Ioanna Music Company” è un altro lungo episodio (7.23).

Virata verso il funky che deriva nel free jazz, sax sugli scudi e sezione ritmica pazzesca: non è certo questa una spinta al “ballo tradizionale” ma l’esplosione di dinamicità è contagiosa. Un esempio di come la fisarmonica possa dare un apporto incondizionato in ogni situazione e filosofia musicale.

Postcard from dreamland” è il brano più breve (1.56) e propone qualcosa di differente: andamento lento, romantico, potenziale colonna sonora da film, sembra solo aspettare un testo per potersi trasformare in “canzone”.

Magnifica!

Con “Momento” si approda alla tradizione popolare spinta, quella che dalle nostre parti significa balera, gioia della festa, unione degli spiriti e dei corpi.

Il clarinetto si inserisce in modo innovativo nel percorso, perché partendo dal concetto di “ballo liscio” disegna melodie variegate attraverso virtuosismi di primissimo piano, su tempi e ritmi davvero complicati.

Con “Samu” si arriva alla traccia più lunga (7.38).

Non mi è dato di sapere a chi è rivolta la dedica, ovvero a chi si è ispirato Ioanna, ma è certo che la malinconia pervade il pezzo, che vede ancora in primo piano l’armonica come “driver”, con una separazione tra sezione intimistica e jazz.

L’atmosfera è quella che forse più si addice al momento e la tipica reinterpretazione dell’ascoltatore, soprattutto in assenza di liriche, potrà condurre in qualsiasi spazio e tempo, riportando alla memoria immagini di vita vissuta, speranze, rimpianti e una luce rivolta al futuro.

A seguire “Carioanna”, una samba velocissima, un duetto tra piano e accordion, un pezzo di bravura in cui dalla sezione ritmica - fondamentale in queste situazioni - si distacca il basso per un assolo significativo. Musica, uguale gioia!

Il titolo “Etnies” precede il concetto di “viaggio” che ritroviamo musicato, oltre cinque minuti di sonorità dal tempo cadenzato e costante, un sapore orientaleggiante, un incedere ombroso e faticoso, concetti che sembrerebbero difficili da decodificare ma che traspaiono netti ad un attento ascolto.

Una carovana in viaggio, verso l’ignoto, in fuga dal conosciuto, per nulla confortevole.

Cafè da manha” presenta uno scorcio di Sud America, bossanova e generico smell di trama “latina”, ritmo abbordabile per la voglia di dare sfogo alla necessità di ballare senza troppo impegno. E se su questo tappeto nobile lasciamo danzare una fisarmonica “impazzita” l'appagamento da ascolto arriva incondizionato.

A conclusione troviamo “Ablò”, l’unica traccia estranea a Ioanna e attribuita a Eric Capone, mani da tastiera del quartetto.

Con questo attimo di nostalgia Carmine Ioanna chiude il suo album, un saluto in attesa del prossimo impegno, un chiudere gli occhi dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro, la fine di un viaggio con l’incognita del risultato.

Per questa fermatura del cerchio arriva la delicatezza propositiva, un cammino in pantofole, un parlare sottovoce che intenerisce e lascia spazio a differenti interpretazioni.

Un lavoro sontuoso, una miscela di arie musicali e di tempi che simboleggiano il percorso della vita, l’incedere tortuoso e il sollievo derivante dalla creazione e dall’ascolto di melodie sofisticate e al contempo alla portata di tutti, una descrizione del nostro cammino esaltata dal drammatico momento contingente, un contenitore sonoro figlio di questo tempo e perciò irripetibile.

Ma senza tanti sforzi e voglie di comprendere la genialità di questo team, sarà sufficiente lasciarsi andare ad un ascolto libero e scevro da pregiudizi… il piacere arriverà incondizionato, ripetibile ad ogni nuovo ascolto.

Hanno suonato: Carmine Ioanna (fisarmonica); Gianpiero Franco (batteria); Eric Capone (pianoforte e tastiere); Giovanni Montesano (basso e contrabbasso).

Guests: Sophie Martel (sax soprano); Francesco Bearzatti (sax tenore e clarinetto); Gerardo Pizza (alto sax); Daniele Castellano (chitarra).


La tracklist

1-Sospeso

2-Courtain up

3-No border

4-Ioanna Music Company

5-Postcard from dreamland

6-Momento

7-Samu

8-Carioanna

9-Etnies

10-Cafè da manha

11-Ablò


“Ioanna Music Company” è stato composto da Carmine Ioanna, ad eccezione di “Ablò” di Eric Capone.

Registrato al Teatro Adele Solimene, Montella, (Avellino), da Sophie Martel. Masterizzato e mixato al Capone Studio a Champ sur Drac, Grenoble, Francia.

Foto: Roberto Flammia.

Cover painting: Romero Pasin. Grafica: Marina Barbensi.

Prodotto da I.M.C. per Abeat Records.

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