Mentre
sta per partire il primo tour dal 2007, i Genesis
pubblicheranno la raccolta "The Last Domino?"che uscirà nelle versioni doppio CD e quadruplo
vinile.
In
Gran Bretagna sarà disponibile a partire dal 17 settembre, mentre negli Stati
Uniti dal 19 novembre.
La
band comunica ufficialmente: “Quando Tony Banks, Phil Collins e Mike
Rutherford hanno annunciato l’evento, il tour si è trasformato in uno dei più
venduti dell'anno.
Avrà
inizio il 20 settembre con due serate alla Birmingham Utilita Arena e suoneranno
un totale di 16 spettacoli nelle arene del Regno Unito, seguiti da un tour
nelle arene del Nord America.
"The
Last Domino?" è il compagno perfetto per il tour. Include 27 brani
selezionati con la band e la maggior parte verranno eseguiti durante il tour; è
un pacchetto che rappresenta il loro incredibile viaggio dall'essere una delle
band pioniere del rock fino al successo globale che li ha visti suonare in stadi
sold-out in tutto il mondo per decenni.
Il
set presentato su quattro vinili è proposto in una confezione cartonata
apribile come un libro, che include immagini rare e inedite della band dal loro
archivio e immagini delle prove del 'The Last Domino? Tour'.
L'evoluzione
dei Genesis è unica; il loro suono si è sviluppato e progredito durante la loro
carriera con molteplici variazioni di formazione nei primi anni.
La
line-up formata da Tony Banks, Phil Collins e Mike Rutherford ha preso forma
nel 1976”.
Il batterista degli Iron
ButterflyRon Bushiè mancato all'età di 79 anni
Il gruppo ha confermato la
morte di Bush in un post su facebook il 29 agosto. Sebbene la causa della morte
non sia stata ancora determinata, pare che lottasse da tempo contro una
malattia incurabile.
"Il nostro amato
batterista Ron Bush è morto pacificamente, con al suo fianco la moglie Nancy,
al Santa Monica Hospital il 29 agosto alle 12:05 p.m" - comunica la
band -,tutte
e tre le figlie erano con lui. Era un vero guerriero.
Dal 1968 al
1975, la band pubblicò sei album, e Bushi fu l'unico membro del gruppo ad
apparire in tutti e sei.
Nel 1968 furono
pubblicati l’album di debutto degli Iron Butterfly, “Heavy”, e il famoso
“In-A-Gadda-Da-Vida”. La title track di quest'ultimo diventò un successo
mondiale e il disco raggiunse la quarta posizione nella classifica Billboard
200.
Imperdibile l’assolo
di batteria di Bush.
“In-A-Gadda-Da-Vida”
ha venduto più di otto milioni di copie nel suo primo anno negli Stati Uniti.
Bushi si era
ritirato dalla musica a tempo pieno nel 2010.
Quando ho appreso
della prematura dipartita di Alberto Gaviglionon sono rimasto sorpreso, sapevo della sua malattia,
ma a certe perdite non ci si riesce ad abituare, anche se, come nel nostro
caso, il rapporto personale era di relativa recente costruzione,
paradossalmente legato alla fine della Locanda delle fate e all'epilogo del 2017.
Da allora sono
rimasto in contatto con lui e ho seguito alcuni suoi passi, rivedendolo dal
vivo col fido Luciano Boero nel corso di una esibizione ligure nell’agosto del 2019.
Ma i ricordi personali non mi sembravano adeguati per una ricostruzione fedele dell’uomo e
dell’artista, qualcosa che gli rendesse il giusto merito, e nell’immediato la frase
sintetica più rappresentativa l’ho catturata dal suo stesso pensiero:
"Architetto
per necessità, Musicista & Autore per vocazione".
Ho quindi pensato
di lasciare il passo a chi con lui ha vissuto e mi sono rivolto all’amico - di
entrambi - Boero, che oltre ad essere un grande musicista è scrittore, ed è stato il collante che ha permesso di far nascere e
coltivare un progetto durato 40 anni.
Ma i rapporti
personali non vanno mai in pensione, a discapito dell’età che avanza e
dell’evoluzione della vita.
Luciano ha
accettato di buon grado il mio invito - come da sempre fa - e mi ha inviato il
suo toccante mood a caldo.
Non mi sono quindi
accontentato della dichiarazione ufficiale a seguire, ma ho cercato la
profondità che è frutto di un percorso fatto fianco a fianco, condividendo
gioie e dolori, sino alla fine:
“Dopo lunga malattia, ieri sera Alberto ci ha lasciati. Con lui se ne
va il musicista, ma soprattutto l’amico che ha contribuito a realizzare il
sogno di sette ragazzi: uno dei più apprezzati album prog dei ‘70. Sua l’invenzione
delle lucciole, suoi quasi tutti i testi. Che tu possa, Alberto, continuare a
inventare favole volando su quei prati della fantasia dove, grazie a te, le
lucciole vivranno per sempre".
Ecco come
Luciano si rivolge al suo amico Alberto…
MENTRE VOLI
IN ALTO
(lettera
all’amico Alberto Gaviglio)
“Mentre voli
in alto, in braccio a comete venute per te…”
Non son passate ventiquattr’ore
dall’ultimo saluto e già mi tormenti per le frasi che avrei potuto dirti e che invece
non ti ho detto. Ultimo saluto per modo di dire, tra l’altro, perché mentre
fissavo quello scrigno di legno che ti racchiudeva, già lo sentivo vuoto. La
tua presenza l’avvertivo ormai eterea e fluttuante oltre i bei coppi d’argilla
del quartiere romano della tua Acqui.
Ne hai fatto di casino. Hai
radunato tanta bella gente. Persino ex locandieri scomparsi da anni
dall’orizzonte ottico. Ne sono stato oltremodo felice.
Per non parlare poi dei social,
dove ancor ora ti starai stupendo di quanta popolarità godessi.
“Siamo due gemelli separati
alla nascita”. Me l’hai detto tu infinite volte quando scoprivamo per
l’ennesima volta che nelle questioni più disparate avevamo lo stesso punto di
vista, che entrambi avevamo avuto un trascorso giovanile impastato con gli stessi
tormenti, le stesse emozioni.
Anche l’aspetto religioso ci ha
sempre visto collimanti: entrambi agnostici. Non atei, giammai. Ateismo è presunzione,
assoluta certezza al pari della fede. Tutti e due col rammarico di non essere
riusciti a trovare il bandolo che portasse illuminazione alle domande senza
risposta.
Ti ho sempre detto che ti
invidiavo il testo di Molecole, che in punta di piedi muoveva un passo
nell’infinito alla ricerca di Dio.
“Molecole
di Dio
Nell’universo,
nell’eternità
Dai
nostri sogni sparsi in tutti gli angoli
Al
grande volo verso l’aldilà…
Molecole
di noi
Noi
che facciamo la Sua volontà
Noi
particelle micro-indispensabili
Del
gran disegno che Lui solo sa…”
Ne parlavamo sovente, di queste
cose ed altre, nella telefonata del lunedì pomeriggio, che per me coincideva
col momento in cui la lavasciuga sfornava il bucato. Col telefono nella tasca
posteriore, indossati gli auricolari, era un piacere stirare parlando con te del
più e del meno.
Sì, è vero, si partiva sempre con
l’acciacco del giorno, ma non durava tantissimo. Era facilissimo slittare su
altri argomenti. La musica in primo piano. Magari annunciavi la nascita
dell’ultima creatura, il brano “perfetto” - lo facevi spesso -, quello che
avrebbe scalato le classifiche di mezzo mondo. Mi leggevi la frase “clou”,
quello che in gergo chiamavamo slogan, quello che, se non c’è, il tuo testo rimane
anonimo e non “funziona”.
Eri facile agli entusiasmi. Forse
mi raccontavi le tue cose perché sapevi che io, altrettanto sognatore, godevo però
di un pizzico di pragmatismo in più che faceva da giusto contrappeso alla tua
maggior spregiudicatezza artistica. Come me, hai sempre preferito una critica
sincera a un falso complimento.
Sai cosa pensavo proprio ieri
mentre ascoltavo osservando lo scrigno di legno a centro navata? Che in
un’occasione così si tende a pensare al passato, a ciò che di buono la persona
appena scomparsa ha fatto nella vita.
E lì ci sono stati fiumi di parole:
Architetto, Musicista, Compositore… Alberto, eccellevi in tantissimi campi e un
libro non sarebbe bastato a descriverti in toto.
Nella mia testa, mi veniva però di
sovvertire lo scontato - ti ricordi, lo facevamo spesso per gioco durante le
nostre conversazioni telefoniche - prendere il microfono e parlare invece di
futuro.
Perché, se è vero che nessuno di
noi muore veramente finché rimane nei pensieri di chi resta, allora tu vivrai ancora
a lungo.
Sai Alberto, prima di ogni
insegnamento artistico - e tu mi hai insegnato come ci si destreggia con le
parole coniugando il bel suono con un buon significato - con te ho imparato il
valore della lealtà e dell’amicizia. Valori imprescindibili, se ci si trova
all’interno di un gruppo.
Sembra semplice, scontato, ma non
lo è affatto e tu lo sai bene.
Vabbè, in campo artistico succede
che le parole a volte scappino di bocca, magari persino per augurarsi la morte,
per poi finire abbracciati dieci minuti dopo con un pace-carote-patate.
L’importante è ciò che si intuisce esserci “dentro” all’altro. La bella gente
la si fiuta e la si riconosce. Se la si perde, prima o poi la si ritrova.
Ebbene, in futuro, son certo
continuerai ad ispirarmi questi valori. Son certo che sarà lo stesso anche per
le persone a cui hai voluto - e che ti hanno voluto - bene.
Sarà il tuo modo di continuare a vivere
con noi, di seguirci dalla stanza accanto.
Sempre parlando di futuro, dato
l’agnosticismo che ci accomuna - il che equivale a un “non si sa mai” - se per
caso ti capitasse il brano perfetto, che può scalare le classifiche di mezzo
mondo, i piedi tirali pure a me. Non stare lì a disturbare nessun altro.
Ciao. Ci vediamo.
Lucky
A conclusione ho preparato un
medley a lui dedicato, un estratto dei due concerti di fine 2017: sarà facile
afferrare l’atmosfera che avvolge i “Locandieri”, e sarà altrettanto naturale immaginare
l’attuale dolore legato ad un percorso materiale che si è interrotto, mentre il
legame affettivo proseguirà nel tempo, indissolubile, sentimento che solo le
persone virtuose e sensibili possono provare.
Ecco la mia ricostruzione, con l’intenzione
di ricordarlo sul palco, immaginando che ci resterà per un tempo infinito…
Dave Dee, I Dozy, Beaky, Mick &Tichfu un gruppo pop/rock britannico degli anni Sessanta.
Due dei loro singoli vendettero più di un milione di copie ciascuno, e raggiunsero
il numero uno nella UK Singles Chart con il secondo di loro, "The
Legend of Xanadu".
Un po' di storia…
Un giorno del 1961, cinque
amici di Wiltshire (contea inglese) - David John Harman (Dave Dee), Trevor
Leonard Ward-Davies (Dozy), John Dymond (Beaky), Michael Wilson (Mick) e Ian
Frederick Stephen Amey (Tich) -, decisero di formare un gruppo, originariamente
chiamato “Dave Dee and the Bostons”. Presto
rinunciarono al loro lavoro reale (ad esempio Dave Dee era un poliziotto) per provare
a guadagnarsi da vivere con la musica. Oltre ad esibirsi nel Regno Unito,
occasionalmente suonavano ad Amburgo (Star-Club, Top Ten Club) e a Colonia
(Storyville).
Nell'estate del 1964, i cantautori britannici Ken Howard e Alan Blaikley
si interessarono al loro lavoro, dopo che la band aveva iniziato a operare in
studio con con Joe Meek (produttore discografico, tecnico del suono e
compositore inglese), ma con scarsi risultati, e le sessioni di registrazione
non decollavano. Dave Dee raccontò un episodio significativo: “Meek aveva
tecniche di registrazione molto strane. Voleva che suonassimo la canzone a metà
velocità e poi incrementava e inseriva tutti i suoi trucchetti, e così non
riuscivamo a far quadrare le cose. Un giorno esplose, lanciò lontano il caffè
sporcando le pareti dello studio e se ne andò nella sua stanza. Il suo
assistente - Patrick Pink - entrò e disse che Meek non avrebbe più fatto registrazioni
per quel giorno. Finì così, prendemmo tutta la nostra attrezzatura e tornammo a
casa".
Il gruppo alla fine ottenne un contratto discografico con la Fontana
Records.
Ken Howard, iniziando a seguire il quintetto, dichiarò che: "Abbiamo
cambiato il loro nome in Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick e Tich perché erano
i veri soprannomi e perché volevamo sottolineare le loro personalità molto
distinte tra loro, in un clima che tendeva a considerare le band esistenti solo
come entità collettive”.
Il nuovo nome, unito alle canzoni ben prodotte e orecchiabili di Howard
e Blaikley, catturò rapidamente l'immaginazione del pubblico britannico, e i
loro dischi cominciarono a vendere in abbondanza. In effetti, tra il 1965 e il
1969, il gruppo trascorse più settimane nella UK Singles Chart rispetto alle
Beatles e fece un tour in Australia e In Nuova Zelanda, paesi dove avevano avuto
ottenuto un notevole successo di classifica.
Con "The Legend of Xanadu" superarono il milione di copie
vendute, ma realizzarono altre hits, come "Hideaway", "Hold
Tight!", "Bend It!", "Save Me!", "Touch Me, Touch
Me", "Okay!", "Abadak!" e "Last Night in
Soho".
La canzone "Bend It!" diventò un grande successo in Europa, numero
uno in Germania. La canzone fu ispirata dalla musica della colonna sonora del
film “Zorba il Greco”,e per ottenere un suono simile al bouzouki fu utilizzato
un mandolino elettrificato.
Le vendite combinate nel Regno Unito e in Europa furono notevoli, tuttavia,
nell'ottobre 1966, la rivista musicale britannica NME commentò che decine di
stazioni radio statunitensi avevano vietato il disco perché il testo era
considerato troppo… suggestivo. Il gruppo rispose registrando una nuova
versione, a Londra, con un diverso insieme di parole, e il disco fu rilasciato
negli Stati Uniti, poiché il singolo originale era stato ritirato dalla
vendita.
Negli Stati Uniti, il gruppo non riuscì a sfondare in modo uniforme,
anche se ebbero affermazioni regionali, in particolare nelle città
nord-orientali come Cleveland, Buffalo, Syracuse, Albany e Boston, dove sia
"Bend It" che "Hold Tight" ottennero un notevole ascolto ed
entrarono nella top 10 delle stazioni radio locali. Durante l'inverno 1967-68
incrementarono la loro presenza americana, ma non raggiunsero mai il consenso
di massa.
Nel settembre 1969 Dave Dee lasciò il gruppo per una breve carriera
solista, e il resto della band, rinominato D, B, M e T, continuò a pubblicare
dischi fino a quando non si sciolsero nel 1972.
Negli anni Ottanta il gruppo si riformò, sempre senza Dave Dee, che nel
frattempo era diventato produttore discografico per la Magnet Records.
Negli anni Novanta il gruppo si ripropone dal vivo, questa volta con
Dave Dee, che ha in ogni caso continuato le sue attività sino al 2008, nonostante
il precario stato di salute dovuto ad una brutta malattia diagnosticata nel
2001
Nel 2013, John Dymond (l'originale Beaky) è tornato nella band e nel
2014 Tich si è ritirato dopo 50 anni.
Con Ray Frost come nuovo "Tich", la band, che includeva ancora
due membri originali, si è impegnata a continuare, almeno sino alla morte di Trevor
Ward-Davies (Dozy), mancato il 13 gennaio 2015, all'età di 70 anni, dopo una
breve malattia.
Una storia che vale la pena ricordare!
Discografia:
Albums
Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich (1966) – UK #11
If Music Be the Food of Love ... Then Prepare for Indigestion
(1966) – UK #27
Golden Hits of Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich
(1967) (solo UK )
Greatest Hits (1967) (solo US) – US #155
What's in a Name (1967) (Netherlands release)
If No One Sang, Time to Take Off (US Title) (1968)
Mi trovo oggi a commentare “Ioanna Music Company”, di Carmine Ioanna.
Il mio incontro con la sua musica
avvenne in occasione del suo esordio discografico, quell’album “Solo”
di cui scrissi nel 2014.
Da allora il suo percorso
musicale si è evoluto, tra collaborazioni e impegni musicali personali, ma
quello che propone in questa estate del 2021 ha un sapore particolare, direttamente
collegato alla situazione che si è venuta a creare a causa dell’emergenza
sanitaria e non poteva essere diverso.
Sono molte le storie, alcune simili
tra loro, che hanno unito i musicisti del pianeta, ma le reazioni sono state -
e ancora sono - diversificate, perché ogni situazione/sensibilità/contesto
produce una risposta differente; l’incipit di questo nuovo disco è proposto dall’autore,
che mi ha raccontato:
“Dopo la mia esperienza con il Cirque du Soleil, che è
stata bruscamente interrotta dal covid nel marzo del 2020 in Texas - a El Paso
- e quasi otto mesi senza concerti, ho deciso di riunire alcuni tra i miei
musicisti preferiti all’”Adele Solimene”, un piccolo teatro in Irpinia, che
dopo oltre un anno ha riaperto le porte proprio con questa registrazione. Sono
stati tre giorni pieni di emozioni e speranza, cristallizzati in queste 11
tracce, suonate con il cuore.”
Al nome di Carmine Ioanna si
abbina in modo naturale uno degli strumenti tradizionalmente legati alla cultura
popolare, la fisarmonica.
Dal sito di riferimento,
segnalato a fine articolo, è possibile catturare la biografia e le info
fondamentali per scoprire il mondo del musicista avellinese, ma è in ogni caso utile
sottolineare la sua precocità e il suo affrontare la musica - studio e
proposizione - in modo molto aperto, atteggiamento che lo hanno portato ad
oltrepassare il rigore propositivo delle trame classiche a favore del jazz e
dell’improvvisazione che ne è parte fondante: alla fine tutto può convivere.
Sette anni fa, quando toccai con
mano la musica e lo spessore di Ioanna, evidenziai il suo stato di simbiosi con
il “suo accordion”, lo strumento della vita con cui condivide il proprio
sentiero, immagine suggestiva che si fortifica oggi con la nuova produzione.
Fisarmonica come apporto
fondamentale all’armonia, strumento spesso descritto nei particolari, nella
speranza che le parole possano essere esaustive e determinanti per poterne
comprendere l’efficacia, ma credo che l’apprezzamento vero possa arrivare soltanto
da chi ha la possibilità di utilizzarla; però… la capacità intrinseca della “fisa”
(termine in voga nelle feste di paese piemontesi) di infondere alla musica i
vari colori della gamma espressiva le permette di arrivare con immediatezza al
cuore dell’ascoltatore, perché è unica la sua capacità di reggere da sola la
scena oppure di fondersi in un ensemble gruppale, inserendosi in contesti
classici, leggeri, jazz, da ballo serioso (ovvio riferimento al Tango) o
popolare.
Tutto ciò è reperibile, a mio
giudizio, in “Ioanna Music Company”, paradigma del pensiero su scritto.
Sono undici le tracce di questo
progetto strumentale, per un totale di quarantotto minuti.
Proverò a snocciolare i vari
episodi, proposti da un team dalle competenze mostruose, indicato a fine
articolo.
Per l'ascolto cliccare sul singolo brano.
Si apre con “Sospeso”,
e iniziano le danze - popolari, balcaniche, gitane - mentre il ritmo tiene il
passo nervosamente, sino all’arrivo di una melodia da film. Dopo due minuti e
trenta, spunta in sordina il sax, che in modo deciso modifica la strada e mi
riporta a qualcosa di conosciuto, al profumo prog dei Van der Graaf Generator
degli esordi. Sono minuti di una libertà espressiva che sfocia in trama
distopica, prima che la melodia riprenda il sopravvento. Batteria protagonista
nell’ultima parte del brano.
“Courtain up” è una
delle pillole del disco, ma la breve durata è comunque sufficiente a rimarcare
la grande qualità e a riproporre il fil rouge del progetto, quella
perlustrazione totale del mondo musicale, abbattendo ogni barriera ideologica e
ogni etichetta che possa ricondurre all’ortodossia.
Intro moderata al pianoforte a
cui segue un ritmo jazzato su cui si innesta un ritornello di facile presa, un
passaggio andata e ritorno dalla fisarmonica alla chitarra, il cui gioco
solistico caratterizza l’intera traccia.
La seguente, lunga, “No border” (oltre sette minuti) propone un mood fatto di deciso spleen e
immagino che il titolo faccia riferimento alla necessità di abbattere le
differenze e i confini che caratterizzano l’umanità.
L’accordion divide il ruolo da
protagonista con il pianoforte, a cui viene lasciata piena libertà di azione,
tra modello classico e fuga verso il ritmo jazzato.
Un concentrato di situazioni - e
conseguenti emozioni - che si susseguono.
Virata verso il funky che deriva
nel free jazz, sax sugli scudi e sezione ritmica pazzesca: non è certo questa
una spinta al “ballo tradizionale” ma l’esplosione di dinamicità è contagiosa.
Un esempio di come la fisarmonica possa dare un apporto incondizionato in ogni
situazione e filosofia musicale.
“Postcard from dreamland”
è il brano più breve (1.56) e propone qualcosa di differente: andamento lento,
romantico, potenziale colonna sonora da film, sembra solo aspettare un testo
per potersi trasformare in “canzone”.
Magnifica!
Con “Momento” si
approda alla tradizione popolare spinta, quella che dalle nostre parti
significa balera, gioia della festa, unione degli spiriti e dei corpi.
Il clarinetto si inserisce in
modo innovativo nel percorso, perché partendo dal concetto di “ballo liscio”
disegna melodie variegate attraverso virtuosismi di primissimo piano, su tempi
e ritmi davvero complicati.
Con “Samu” si
arriva alla traccia più lunga (7.38).
Non mi è dato di sapere a chi è
rivolta la dedica, ovvero a chi si è ispirato Ioanna, ma è certo che la
malinconia pervade il pezzo, che vede ancora in primo piano l’armonica come
“driver”, con una separazione tra sezione intimistica e jazz.
L’atmosfera è quella che forse
più si addice al momento e la tipica reinterpretazione dell’ascoltatore,
soprattutto in assenza di liriche, potrà condurre in qualsiasi spazio e tempo,
riportando alla memoria immagini di vita vissuta, speranze, rimpianti e una
luce rivolta al futuro.
A seguire “Carioanna”,
una samba velocissima, un duetto tra piano e accordion, un pezzo di bravura in
cui dalla sezione ritmica - fondamentale in queste situazioni - si distacca il
basso per un assolo significativo. Musica, uguale gioia!
Il titolo “Etnies”
precede il concetto di “viaggio” che ritroviamo musicato, oltre cinque minuti
di sonorità dal tempo cadenzato e costante, un sapore orientaleggiante, un
incedere ombroso e faticoso, concetti che sembrerebbero difficili da
decodificare ma che traspaiono netti ad un attento ascolto.
Una carovana in viaggio, verso
l’ignoto, in fuga dal conosciuto, per nulla confortevole.
“Cafè da manha” presenta
uno scorcio di Sud America, bossanova e generico smell di trama “latina”, ritmo
abbordabile per la voglia di dare sfogo alla necessità di ballare senza troppo
impegno. E se su questo tappeto nobile lasciamo danzare una fisarmonica
“impazzita” l'appagamento da ascolto arriva incondizionato.
A conclusione troviamo “Ablò”,
l’unica traccia estranea a Ioanna e attribuita a Eric Capone, mani da tastiera
del quartetto.
Con questo attimo di nostalgia
Carmine Ioanna chiude il suo album, un saluto in attesa del prossimo impegno,
un chiudere gli occhi dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro, la fine di
un viaggio con l’incognita del risultato.
Per questa fermatura del cerchio
arriva la delicatezza propositiva, un cammino in pantofole, un parlare
sottovoce che intenerisce e lascia spazio a differenti interpretazioni.
Un lavoro sontuoso, una miscela
di arie musicali e di tempi che simboleggiano il percorso della vita,
l’incedere tortuoso e il sollievo derivante dalla creazione e dall’ascolto di
melodie sofisticate e al contempo alla portata di tutti, una descrizione del nostro cammino esaltata dal drammatico momento contingente, un contenitore sonoro figlio
di questo tempo e perciò irripetibile.
Ma senza tanti sforzi e voglie di
comprendere la genialità di questo team, sarà sufficiente lasciarsi andare ad
un ascolto libero e scevro da pregiudizi… il piacere arriverà incondizionato,
ripetibile ad ogni nuovo ascolto.
Hanno suonato: Carmine
Ioanna (fisarmonica); Gianpiero Franco (batteria); Eric Capone
(pianoforte e tastiere); Giovanni Montesano (basso e contrabbasso).
Guests: Sophie Martel
(sax soprano); Francesco Bearzatti (sax tenore e clarinetto); Gerardo
Pizza (alto sax); Daniele Castellano (chitarra).
La tracklist
1-Sospeso
2-Courtain up
3-No border
4-Ioanna Music Company
5-Postcard from dreamland
6-Momento
7-Samu
8-Carioanna
9-Etnies
10-Cafè da manha
11-Ablò
“Ioanna Music
Company” è stato composto da Carmine Ioanna, ad eccezione di “Ablò” di Eric
Capone.
Registrato al Teatro
Adele Solimene, Montella, (Avellino), da Sophie Martel. Masterizzato e mixato
al Capone Studio a Champ sur Drac, Grenoble, Francia.