“Vieni che andiamo a sentire Pennavaria”… “E
chi è?”… “Ma dai… è molto conosciuto!”.
Mi occupo di musica quotidianamente, qualsiasi musica,
purché di qualità, secondo i miei canoni. Eppure non sapevo chi fosse Sergio Pennavaria,
un cantautore siciliano da anni residente a Savona. Questa è una prima nota che
dovrebbe fare riflettere sulla difficoltà che tutti i musicisti “nuovi” hanno,
alla ricerca continua di visibilità, che non significa ossessione del successo, ma voglia/necessità di
vivere una vita secondo le proprie passioni e il proprio talento.
Ho ascoltato un paio di pezzi, in uno spazio grazioso
ma ristretto, e sono rimasto colpito da molte cose: il personaggio, il suo modo
di esprimersi, i suoi messaggi e … i suoi musicisti.
Esattamente una settimana dopo ci siamo trovati per un
caffè e sono nati i presupposti per l’intervista a seguire.
E’ stata anche l’occasione per entrare in contatto
pieno col mondo di Sergio, attraverso il suo album “Senza Lume a Casaccio nell’Oscurità”,
contenitore musicale che prevede la partecipazione di ospiti illustri, come Carlo Aonzo o Claudio Bellato, per citarne un paio che conosco personalmente.
L’impatto con la musica di Sergio mi ha portato ad
immediato paragone con “il cantautore” del passato, figura di forte impatto
simbolico, punto di riferimento, vate da seguire dal punto di vista politico o
spirituale. Una definizione, quella del cantautore, sempre molto più ricca del
semplice “musicista che scrive e interpreta le proprie canzoni”.
Sergio Pennavaria è tutt’altra cosa, e credo che, come
Zibba, faccia parte di un filone musicale innovativo e trascinate, che ha il
pregio di non essere costruito a tavolino, ma al contrario pieno di
spontaneità.
Sergio racconta la sua vita- e di cose da dire ne ha-,
momenti di sofferenza e gioia contrassegnati e contaminati dalle arti più varie
e dal coraggio della vita di strada, quando necessario.
E nel suo racconto musicale, Jakyll diventa Hide, e
Sergio cade in trance da performance, interpretando fisicamente la lirica in
atto in quel momento.
Una metrica
costruita solo per lui, probabilmente difficile per qualsiasi altro
interprete che non abbia vissuto sulla
propria pelle le stesse esperienze di vita, si mischia a musica di prim’ordine,
tra jazz, blues e colorite spruzzate etniche. Giova a Sergio la vicinanza di
grandi musicisti, come Loris Lombardo,
Alessandro Graziano, Boris Vitrano, Federico Fugassa e Mirco
Rebaudo, ovvero il gruppo base che lo accompagna dal vivo, e che già da
solo sarebbe uno spettacolo, ma è proprio questa una delle chiavi di lettura di
questo artista e del suo album… avere idee e talento supportati dalla tecnica e dal gusto di una vera band.
Gli “episodi” di Pennavaria fanno sorridere, fanno
piangere, fanno riflettere, portano a differenti stati d’animo che sono quelli che Sergio ha provato, ad esempio, nel
suo periodo di “lavoro da metropolitana”, quando dalla mattina alla sera, con
chitarra e voce in perenne utilizzo, la durezza della strada veniva compensata
dalle formative esperienze quotidiane. I giorni duri non sono finiti, anzi,
eppure occorre trovare un senso e qualche tipo di motivazione che spinga a
provarci sempre, senza abbattersi ne esaltarsi.
E ora, un passo successivo mi sembra d’obbligo…
L’INTERVISTA
Ti ho
“incontrato” casualmente, nel corso della presentazione del tuo album, alla
Ubik. Mi sono bastati dieci minuti per capire che avrei dovuto approfondire e
dopo una settimana ho avuto l’opportunità di conoscerti, a Savona, la mia…
nostra città. Sei siciliano, hai vissuto in Calabria, a Roma, in Inghilterra, ma…
cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto questo mondo ligure, così diffidente, così
chiuso, soprattutto per chi è abituato alla solarità del meridione?
Credo che
la nostra interiorità resti sempre e comunque il viaggio più sorprendente ed
appagante che intraprendiamo giornalmente, il luogo, il contesto per me sono
stati sempre dettagli, scatole da regalo dove potermi intrufolare per scoprire
la sorpresa. Poi vorrei sfatare questo falso mito del ligure chiuso, il ligure
è come una porta che lascia uno spiraglio, credo che anche lì conti molto
quanto curiosi e pronti siamo per l’effetto
sorpresa!
Ho trovato
un positivo contrasto tra te e gli elementi che ti accompagnano: tu capace di
inventare e di esprimerti con tutto il corpo, istrione, comico, improvvisatore,
e loro molto più “nella parte”, artisti che potrebbero condurre un concerto con
uno spartito davanti. Eppure la miscela mi è sembrata esplosiva. Come
giudicheresti questo mix?
Premetto
che ognuno dei musicisti con cui ho la fortuna di suonare è caratterialmente
molto diverso dall’altro, con storie di vita alle spalle differenti e, come è
giusto che sia, con un approccio alla musica e al palcoscenico emotivamente
diverso. Sicuramente sono entrati nel rischioso gioco dell’improvvisazione, del
colpo di scena, momenti che durante un concerto personalmente mi aiutano a non
prendermi troppo sul serio, e loro hanno dato sempre dimostrazione di stare
piacevolmente al gioco. Credo che prima di mandare grandi messaggi, nella
musica ci si dovrebbe saper divertire, legati sempre ad una coerenza riguardo i
contenuti e mantenendo un’onestà artistica.
La tua
biografia suggerisce numerosi spunti e curiosità. Mi spieghi quanto ti senti a
tuo agio nella definizione di “Cantattore”?
Per
rispondere a questa domanda sono costretto a ricollegarmi al concetto
precedentemente espresso riguardo la coerenza artistica. Da sempre, sin da
bambino, ho utilizzato i linguaggi dell’arte (disegno, musica, scrittura
successivamente pittura, scultura e teatro) come tramite per potermi raccontare,
e dato che trovo l’arte un terreno fertile per poter coltivare la verità, vivo
la mia esibizione come un qualsiasi lavoro in cui bisogna adoperare la forza
fisica e avere quindi una discreta resistenza; io quando canto e suono, soffro
e fatico e la mia faccia non cela questa sanguinante condizione, ed ecco la
smorfia che inevitabilmente verrà ricondotta al teatro, che sì ho frequentato,
ma lungi da me l’ attribuirmi la nobile qualifica d’attore.
Esistono
figure di artisti dove la capacità di esprimersi attraverso arti differenti non
presenta confini, e sono frequenti i casi di pittori-cantanti o musicisti-poeti
e così via. Avverti nel tuo caso una linea di demarcazione tra il tuo essere
poeta e il tuo agire da cantautore?
Non credo
d’essere un poeta e ti ringrazio per l’istante fugace trascorso in cui mi hai
fatto anche solo immaginare di poter esserlo. Credo d’essere più un cantautore,
ma per il mero fatto di scrivere, musicare e cantare le parole che poi
nell’insieme danno vita ad una canzone. Comunque credo che l’uno possa
assolutamente coesistere con l’altro, vedi De Andrè, Ferrè, De Gregori, Fossati
ed altri.
Ho
ascoltato con interesse il tuo racconto sul tuo passato da “musicista di metropolitana”, che tu mi ha spiegato sia stato un lavoro a tempo
pieno, quasi come timbrare un cartellino. Come ti ha formato un’esperienza del
genere?
Mi ha dato
la possibilità di non dover ergere, tra me e chi mi ascolta, barriere, dislivelli, un punto di vista
sicuramente più a misura d’uomo, una prospettiva ad un unico livello, niente
palchi, pedane, troni, solo occhi negli occhi con la gente e tanti artisti
(veri artisti) conosciuti percorrendo le varie stazioni della metropolitana Rebibbia
di Roma. Esperienza che mi ha fatto capire la differenza che esiste tra uno che
crede d’essere ed uno che è! Purtroppo
capita spesso di assistere alla miseria del divismo che purtroppo si
manifesta spesso tramite stratificazioni culturali o meglio,
di bassa cultura. Questi artisti conosciuti in strada e in metrò mi hanno
insegnato senza dirmi nulla, ma semplicemente con le loro azioni, quanto possa
valere una persona umile, e nel loro caso un artista umile che si esprime con
gioia allo stesso modo davanti ad una, dieci, cento persone, e non aspetta un applauso
come risposta a ciò che ha fatto, ma solo vedere una faccia contenta!
Se dovessi
indicare “il colpevole”… quello che ti ha portato realmente sulla via della
musica, con chi dovresti prendertela?
Nessun
colpevole o meglio, tanti, visto che
sono il quarto di cinque figli, tutti,
chi più chi meno cantiamo, ed in tre scriviamo canzoni. I miei genitori
cantavano, quindi facendo un breve calcolo…
Che cosa
non funziona, secondo te, in questo mondo musicale? Perché musicisti come te,
che probabilmente qualche anno fa avrebbero “sofferto il giusto” per avere
visibilità, rischiano oggi di soffrire tutta la vita?
Troppa
gara, ci fanno concepire la musica come strumento, o meglio arma, da utilizzare
per competizioni che in realtà servono ad allontanare, rendere antagonisti chi
si serve del veicolo di maggior aggregazione del mondo culturale, appunto la
musica. Credo che sia un fatto prettamente di educazione mediatica e che in
diverse amministrazioni comunali si tende spesso a spendere e spandere per la
stella del momento e contrariamente si polemizzi troppo per pagare un rimborso
spese a chi ancora sogna guardando le stelle, quelle vere però, quelle che stanno in cielo. Comunque credo che ormai
tutti sappiano che l’Italia non sia il massimo esempio per ciò che concerne la
meritocrazia. Si è troppo abituati a comprendere (quando si comprende) con i
tempi del web; ormai non interessano, e questo credo in tutto il mondo, analisi,
riflessione e contemplazione, si dedicherebbe a queste forse troppo tempo prima
di procedere e passare al giudizio e quindi alla scelta personale. Tanti,
troppi venditori di fumo e tanti creduloni che comprano questo fumo credendo di
trattenerlo in un pugno in eterno… prima o poi gli scapperà uno starnuto no?
Mi hai
detto come alla fine di una performance tu sia quasi stravolto, persino
irriconoscibile mentre canti e suoni. Che cosa significa per te esibirsi dal
vivo?
Per me
esibirmi significa alzare il volume ai miei pensieri, alle mie tensioni, ai
miei entusiasmi. Significa come ti dicevo prima sanguinare, irrigidirmi per poi
lasciarmi andare quasi in caduta libera. Per me significa semplicemente
confessarmi!
Quando
leggo la parola “cantautore”, la mia mente corre in automatico alle figure
carismatiche degli anni ’70, a volte incomprensibili nel loro esercizio intellettuale
quotidiano. Esistono però figure nuove- per restare in ambito cittadino, oltre
a te apprezzo molto Zibba- che stanno disegnando un ruolo nuovo, dove esiste un
personaggio, un messaggio esposto in modo originale e grande musica. Non pensi
che questa sia un po’ l’evoluzione di quell’uomo solitario che si poneva di
fronte al pubblico con la sola chitarra?
Credo che
gli uomini solitari siano stati protagonisti di tutte le epoche e non solo
degli anni ’70, e qualcuno capita di vederlo ancora oggi in giro. Non penso
esistano differenze tra cantautori per quanto riguarda l’atto creativo, poiché
il fine resterà sempre per tutti la necessità di raccontare. La differenza sarà
solo stilistica e di quanto si voglia fare subentrare la politica nella musica.
I cantautori degli anni ‘70 l’hanno fatto sicuramente più di noi o forse il
loro messaggio è stato più esplicito.
Mi racconti
un aneddoto, un incontro davvero significativo, magari anche negativo, che ha
caratterizzato il tuo percorso di vita?
Credo che l’aneddoto
più significativo che mi è capitato nella mia vita risalga ad un anno fa ed è
stata la morte di mio padre. Credo abbia caratterizzato e segnato profondamente
su diversi fronti la mia vita.
Sei giovane
ma hai già percorso una bella fetta di strada. Esiste qualche rammarico per
un’azione che non hai intrapreso per eccesso di cautela?
Per abitudine
o per eredità vivo il rammarico come stimolo a far si che la qualità della mia
vita possa seguire una corrente diversa, essendo assolutamente impreparato a
cosa potrei andare in contro; sono un impulsivo e tutto quello che ho fatto o
che non ho fatto è stato sempre elaborato nell’attimo, e passionalmente sentito, voluto o non voluto, nel medesimo
attimo.
E ora
sogna- almeno i sogni nessuno può rubarceli-. Cosa vorresti ti capitasse,
musicalmente parlando, da oggi al 2015?
Suonare
tanto da Nord a Sud e promuovere “Senza
Lume A Casaccio Nell’Oscurità”,
mio ultimo lavoro discografico, per farlo conoscere un po’ in giro e nel
frattempo lavorare sul prossimo che sarà un progetto strettamente legato alla
mia isola, la Sicilia. Avrò nel 2015 quarant’anni e forse avrò l’età giusta per
essere sufficientemente credibile e confessare alla mia terra che in fondo non
l’ho mai dimenticata.
Un po’ di
storia…
Sergio Pennavaria nasce a
Siracusa il 21 febbraio del 1975. Cantautore e pittore consegue il diploma di
laurea in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria ottenendo
la valutazione di 110 e la lode discutendo una tesi in storia dell’arte dal titolo
“La maschera del volto”, focalizzando la propria attenzione sull’utilizzo della
maschera in senso antropologico, pittorico, cinematografico e teatrale. Per
l’occasione scrive una commedia brillante: “ Ring ” curandone regia, trucco,
scenografia e partecipando come attore. Grazie ai genitori, entrambi cantanti,
ancora bambino, i suoi ascolti musicali variano dalla musica italiana d’autore,
passando da Elvis, Polanka sino ad i Beatles band amata dal padre. L’approccio
alla musica, alla scrittura e quindi alla canzone avviene prestissimo, quando a
12 anni orienta il suo interesse all’ascolto dei cantautori degli anni 70.
Infatti è proprio a questa età che inizia a strimpellare la chitarra della
sorella e a 13 anni la prima canzone, ed un patto intimo e fedele con lo
strumento di cui ancora oggi si serve per la composizione e la rappresentazione
dei suoi brani. Nel 1993 in Sicilia con il brano Francesco, partecipa alle
selezioni per il festival della canzone italiana di Sanremo, è il cantautore
più giovane in gara e supera la fase regionale, ma non ha etichetta
discografica e decide di abbandonare le selezioni. Le prime registrazioni
risalgono allo stesso periodo, infatti registra quattro brani nello studio
discografico “Le Ciminiere” di Catania. Dopo una serie di concerti con band
locali, nel 1996 lascia la Sicilia trasferendosi a Reggio Calabria. Qui
frequenta l’ambiente universitario della città, in particolar modo instaura dei
rapporti artistici con alcuni studenti della facoltà di Architettura che gli
danno la possibilità di inserirsi subito in certi contesti culturali. Dopo due
anni decide di andare via e di dirigersi questa volta a Roma, dove per un
intero anno farà l’artista di strada o meglio di “ metropolitana ”. Infatti
vivrà questa esperienza giornalmente sulla linea Rebibbia. In questo periodo si
esibirà pure in alcuni Pub della capitale. Alla fine dello stesso anno decide
di andare a Londra, dove vivrà per quasi un anno. La metropoli inglese allarga
gli orizzonti al giovane musicista che qui ha la possibilità di assistere a
numerosi concerti e conoscere musicisti arrivati da ogni parte del mondo. Nel
frattempo in lui inizia a fermentare la passione per il cinema ed il teatro.
Ama in maniera particolare lo sceneggiatore, regista e musicista serbo Emir Kusturica.
Grazie all’ opera cinematografica del regista ha modo di ascoltare per la prima
volta il bosniaco Goran Bregovic il quale compone le colonne sonore di alcuni
film del regista. Pennavaria si appassiona ai temi zigani e slavi meridionali,
alla musica polifonica popolare dei Balcani.
Nel 1999 ritorna a Reggio, dove conosce il crotonese Giovanni Squillacioti, raffinato percussionista con cui un anno dopo daranno vita al progetto musicale dei Calìa. La band, con l’aggiunta della presenza scenica di Pennavaria, propone un connubio musicale che spazia dalla musica balcanica, a quella araba e del mediterraneo in genere. I Calìa hanno partecipato ad alcune rassegne musicali, a concerti in pub e piazze di alcuni comuni sparsi sul territorio calabrese e siciliano e, grazie ad una grande passione per il teatro di strada, nei vicoli di alcuni centri storici. Nel 2001 Pennavaria ritorna in Sicilia, a Catania, dove vivrà per due anni dedicandosi alla pittura. In questo periodo partecipa ad una serie di esposizioni pittoriche e scrive due racconti: “Il bosco incantato” ed “Il caso Giuly Anderson”. Questo è l’anno che lo vede pure presenziare in una mostra collettiva di design dal titolo “PROGETTO SEDIA”, tenutasi in uno spazio commerciale della città. L’artista presenta un’ opera ricavata con oggetti di riciclo. Un’ istallazione che mostra una colonna vertebrale sospesa su di una sedia senza fondo dal titolo “to be or not to be” che spiega il rapporto uomo-tecnologia ed un’ ipotetica mutazione genetica dell’uomo come conseguenza. Nello stesso periodo con i Calìa partecipa ad una serie di concerti e ad una rassegna musicale sul tema letteratura –musica. Frequenta un laboratorio teatrale curato da Gioacchino Palumbo, suo docente di storia dello spettacolo, ma soprattutto noto attore/regista teatrale catanese. Inizia quindi, la sua esperienza da attore soprattutto in alcuni cortometraggi : Sogno di un feticista(2003) di Valerio Conforti, Le avventure di pinocchio (2004) di Sergio Pennavaria e Valerio Conforti. Di questo corto scriverà la sceneggiatura, ne curerà la regia, il trucco e la colonna sonora. Franke Love (2004) di Orazio Sturniolo con cui si piazzeranno al secondo posto del festival nazionale del cinema Trash a Roma. Senza sguardo (2006) di Valerio Conforti, Ulisse ha avuto solo fortuna (2007) di Valerio Conforti di cui Pennavaria oltre a sdoppiarsi in due personaggi, il vecchio protagonista ed il giovane nazista, scrive di questo corto la colonna sonora che poi eseguirà in collaborazione con il chitarrista Filippo Postorino. Springtime (2007) di Giacomo Triglia che partecipa al Film Festival di Torino. Poi il teatro: Ring(2004) con Sergio Pennavaria, Valerio Conforti, Christian Schirripa di Sergio Pennavaria, piece teatrale presentata in occasione della rassegna artistica “ Una Casa per l’Arte” svoltasi nel comune di San.Giovanni in Fiore (Cs). Titolo non pervenuto(2005) di Orazio Sturniolo, piece teatrale presentata in occasione di una conferenza per l’università di Messina sul tema “ La letteratura nel teatro”, di Antonin Artuad. Gente di Aspromonte(2004/06) tratto da un racconto di Corrado Alvaro con Americo Melchionda e Maria Milasi. Per quest’ultima commedia compone pure la colonna sonora. Nel 2004 ritorna a Reggio Calabria ed è in questo periodo che partecipa alle selezioni Premio Recanati per la canzone d’autore, ricevendo parole d’elogio da parte della giuria di qualità per il brano Alì Babà. Nel 2005 le collaborazioni con il chitarrista Filippo Postorino e la registrazione di un demo con sei tracce prodotto dall’amico Joe Mannarino che ne curerà pure la grafica della copertina. Conclude il percorso universitario. Nel 2007 si trasferisce in Liguria, a Savona. Tra i comuni di Varazze ed Andora insegnerà per circa due anni educazione artistica. Recitazione a Savona, per poi la sera svolgere l’attività di barman in un locale della città. Apre i concerti di alcune band liguri come A Brigà ed Il ponte di Zan, per il cantautore Zibba. Nell’estate del 2008 partecipa al festival M&T (Musica e Teatro)svoltosi nel comune di San Bartolomeo a mare (Im). Nel 2009 nasce un nuovo progetto, Senza Lume A Casaccio Nell'Oscurità, titolo di un recital scritto dall'artista contenente monologhi che man mano che lo spettacolo sui evolve fanno da premessa alle canzoni. Lo stesso titolo darà il nome all'album in uscito nel Novembre 2011. Vincitore del Su La Testa Contest 2011. Ad accompagnare in questo viaggio il cantattore (come qualcuno ha amato definirlo) i musicisti: Alessandro Graziano (violino, chitarre, cori), Boris Vitrano (chitarre), Federico Fugassa (basso elettrico e contrabbasso), Mirco Rebaudo (sax,clarino), Loris Lombardo (batteria, percussioni e colori).
Nel 1999 ritorna a Reggio, dove conosce il crotonese Giovanni Squillacioti, raffinato percussionista con cui un anno dopo daranno vita al progetto musicale dei Calìa. La band, con l’aggiunta della presenza scenica di Pennavaria, propone un connubio musicale che spazia dalla musica balcanica, a quella araba e del mediterraneo in genere. I Calìa hanno partecipato ad alcune rassegne musicali, a concerti in pub e piazze di alcuni comuni sparsi sul territorio calabrese e siciliano e, grazie ad una grande passione per il teatro di strada, nei vicoli di alcuni centri storici. Nel 2001 Pennavaria ritorna in Sicilia, a Catania, dove vivrà per due anni dedicandosi alla pittura. In questo periodo partecipa ad una serie di esposizioni pittoriche e scrive due racconti: “Il bosco incantato” ed “Il caso Giuly Anderson”. Questo è l’anno che lo vede pure presenziare in una mostra collettiva di design dal titolo “PROGETTO SEDIA”, tenutasi in uno spazio commerciale della città. L’artista presenta un’ opera ricavata con oggetti di riciclo. Un’ istallazione che mostra una colonna vertebrale sospesa su di una sedia senza fondo dal titolo “to be or not to be” che spiega il rapporto uomo-tecnologia ed un’ ipotetica mutazione genetica dell’uomo come conseguenza. Nello stesso periodo con i Calìa partecipa ad una serie di concerti e ad una rassegna musicale sul tema letteratura –musica. Frequenta un laboratorio teatrale curato da Gioacchino Palumbo, suo docente di storia dello spettacolo, ma soprattutto noto attore/regista teatrale catanese. Inizia quindi, la sua esperienza da attore soprattutto in alcuni cortometraggi : Sogno di un feticista(2003) di Valerio Conforti, Le avventure di pinocchio (2004) di Sergio Pennavaria e Valerio Conforti. Di questo corto scriverà la sceneggiatura, ne curerà la regia, il trucco e la colonna sonora. Franke Love (2004) di Orazio Sturniolo con cui si piazzeranno al secondo posto del festival nazionale del cinema Trash a Roma. Senza sguardo (2006) di Valerio Conforti, Ulisse ha avuto solo fortuna (2007) di Valerio Conforti di cui Pennavaria oltre a sdoppiarsi in due personaggi, il vecchio protagonista ed il giovane nazista, scrive di questo corto la colonna sonora che poi eseguirà in collaborazione con il chitarrista Filippo Postorino. Springtime (2007) di Giacomo Triglia che partecipa al Film Festival di Torino. Poi il teatro: Ring(2004) con Sergio Pennavaria, Valerio Conforti, Christian Schirripa di Sergio Pennavaria, piece teatrale presentata in occasione della rassegna artistica “ Una Casa per l’Arte” svoltasi nel comune di San.Giovanni in Fiore (Cs). Titolo non pervenuto(2005) di Orazio Sturniolo, piece teatrale presentata in occasione di una conferenza per l’università di Messina sul tema “ La letteratura nel teatro”, di Antonin Artuad. Gente di Aspromonte(2004/06) tratto da un racconto di Corrado Alvaro con Americo Melchionda e Maria Milasi. Per quest’ultima commedia compone pure la colonna sonora. Nel 2004 ritorna a Reggio Calabria ed è in questo periodo che partecipa alle selezioni Premio Recanati per la canzone d’autore, ricevendo parole d’elogio da parte della giuria di qualità per il brano Alì Babà. Nel 2005 le collaborazioni con il chitarrista Filippo Postorino e la registrazione di un demo con sei tracce prodotto dall’amico Joe Mannarino che ne curerà pure la grafica della copertina. Conclude il percorso universitario. Nel 2007 si trasferisce in Liguria, a Savona. Tra i comuni di Varazze ed Andora insegnerà per circa due anni educazione artistica. Recitazione a Savona, per poi la sera svolgere l’attività di barman in un locale della città. Apre i concerti di alcune band liguri come A Brigà ed Il ponte di Zan, per il cantautore Zibba. Nell’estate del 2008 partecipa al festival M&T (Musica e Teatro)svoltosi nel comune di San Bartolomeo a mare (Im). Nel 2009 nasce un nuovo progetto, Senza Lume A Casaccio Nell'Oscurità, titolo di un recital scritto dall'artista contenente monologhi che man mano che lo spettacolo sui evolve fanno da premessa alle canzoni. Lo stesso titolo darà il nome all'album in uscito nel Novembre 2011. Vincitore del Su La Testa Contest 2011. Ad accompagnare in questo viaggio il cantattore (come qualcuno ha amato definirlo) i musicisti: Alessandro Graziano (violino, chitarre, cori), Boris Vitrano (chitarre), Federico Fugassa (basso elettrico e contrabbasso), Mirco Rebaudo (sax,clarino), Loris Lombardo (batteria, percussioni e colori).
Dicono di lui…
Sergio Pennavaria ha tutto il
mestiere dell’artista di strada, del busker, sempre pronto ad offrire un numero
ad effetto, sempre scanzonato e circense per intrattenere il gentile pubblico,
salvo poi destabilizzarlo in un sol colpo con la mimica selvaggia e il sottile
disincanto dei suoi testi.
Camaleontico nello stile, in lui è chiara l’impronta della musica tradizionale del Sud Italia, ma sono altrettanto evidenti le contaminazioni balcaniche e arabeggianti e le suggestioni che tende a creare attraverso la sintesi di elementi teatrali e pittorici. In polemica con la realtà che lo circonda, Pennavaria aggredisce i simboli dell’autorità e dell’omologazione,come nella metaforica Il mercato dell’obbrobrio, dove non ci sono bancarelle ma solo sguardi in terra e ogni cosa fa paura, o in Tropea, città che fa da sfondo alla tradizionale diffidenza e ottusità dell’ordine costituito verso la creatività e la cultura. Le sue canzoni sono spesso dei veri e propri inseguimenti, montagne russe, cascate di parole, scioglilingua che portano al capogiro, all’iperventilazione, tanto che un inaspettato blues o una ninna-nanna sembrano pause dovute prima di sfinirsi nella tarantella.
Con la nuova formazione il sound è diventato più raffinato, a tratti jazzato, ma Pennavaria mantiene la sua visceralità i toni sarcastici e surreali, i precari equilibrismi del giocoliere.
Camaleontico nello stile, in lui è chiara l’impronta della musica tradizionale del Sud Italia, ma sono altrettanto evidenti le contaminazioni balcaniche e arabeggianti e le suggestioni che tende a creare attraverso la sintesi di elementi teatrali e pittorici. In polemica con la realtà che lo circonda, Pennavaria aggredisce i simboli dell’autorità e dell’omologazione,come nella metaforica Il mercato dell’obbrobrio, dove non ci sono bancarelle ma solo sguardi in terra e ogni cosa fa paura, o in Tropea, città che fa da sfondo alla tradizionale diffidenza e ottusità dell’ordine costituito verso la creatività e la cultura. Le sue canzoni sono spesso dei veri e propri inseguimenti, montagne russe, cascate di parole, scioglilingua che portano al capogiro, all’iperventilazione, tanto che un inaspettato blues o una ninna-nanna sembrano pause dovute prima di sfinirsi nella tarantella.
Con la nuova formazione il sound è diventato più raffinato, a tratti jazzato, ma Pennavaria mantiene la sua visceralità i toni sarcastici e surreali, i precari equilibrismi del giocoliere.