Devo essere onesto, quando Flavio
Bertuccio mi ha proposto l’ascolto di “LUPI D’INVERNO”, non avevo la minima idea del
contenuto del progetto “Quartelà” e sono questi i casi in cui si rischia di ascoltare e scrivere per pura
cortesia, aiutando per quanto possibile la pubblicizzazione, ma rimanendo in
terreno neutro, per non sottolineare pesantemente il mancato - parziale o totale
- gradimento, a volte legato ad un genere lontano dai propri gusti.
Ma poi esiste la Musica con la “M”
maiuscola, quella a cui non è importante affibbiare alcuna etichetta, perché vola
alta, al di sopra di ogni catalogazione; di certo occorre essere intellettualmente
onesti e dedicare il giusto tempo di approfondimento, senza preconcetti di
sorta.
In realtà non ho avuto bisogno di
tanti giri ripetuti e programmati, perché dopo il primo ascolto ho sentito il
bisogno di replicare l’atto un paio di volte, senza soluzione di continuità.
A seguire propongo un’intervista
esaustiva ai due protagonisti e una biografia sintetica, nonché tutte le note
possibili per poter afferrare in pieno un album davvero piacevole di cui
propongo tutti i file audio (cliccare su ogni titolo).
I Quartalà sono una coppia formata dalla
cantante Marcella Cortese e dal già citato Flavio “Faffo” Bertuccio,
sulla carta voce e chitarra, ma ho l’impressione che tra le mani di quest’ultimo
potrebbe prendere vita sonora uno dei qualsiasi attrezzi quotidiani con cui veniamo
in contatto, come il “battito di mano su pancia” citato nei crediti.
Sto parlando di due grandi professionisti
che, nell’occasione, chiedono ausilio ad “esperti specifici” che segnalo nel
corso dell’articolo.
L’inizio dell’album, con brani
proposti nel dialetto ligure - lingua tradotta nel booklet annesso - farebbe pensare
ad una proposta per una nicchia di amanti della musica, quelli che riescono in modo
naturale a captare i risvolti di un idioma particolarissimo, ma lo svolgimento
delle trame musicali in successione svela qualcosa di molto più complesso e
completo, con una base folk e un profumo di cultura che passa attraverso una fine
ricerca sonora e un utilizzo della voce - e della parola - come vero strumento,
forma espressiva che incide su risultato finale e non rappresenta meramente il
veicolo naturale per portare un generico messaggio.
Ciò che si percepisce immediatamente
e istintivamente è la varietà dei sentimenti che nascono spontanei, un’empatia
musicale che, ne sono certo, colpisce anche chi non può “entrare” con facilità all’interno
delle liriche.
Non solo dialetto, ma anche inglese,
italiano e una venatura tedesca, come vedremo nell’analisi dei brani.
Le competenze tecniche di Marcella e
Flavio mi sembrano mostruose, così come il loro gusto nelle scelte e nel
racconto dei sentimenti.
Non si tratta di album concettuale,
come dichiarato dai Quartelà, ma in fondo il fil rouge che lega le canzoni di
un album esiste sempre, anche quando non viene esplicitato o non è obiettivo
iniziale. Ci si renderà conto, a lavoro concluso, che ogni tessera è parte di
un puzzle, di un disegno che a volte prende la mano e si snoda in modo
autonomo. Ho avvertito questo legame, come un racconto che si snocciola pagina
dopo pagina, capitolo dopo capitolo, nell’ansiosa attesa di capire dove andrà a
parare l’autore. Valeva la pena arrivare alla fine!
Apre “Baccanà”
(F. Bertuccio / M. Cortese), con la prima necessità di aiuto comprensivo conseguente
all’utilizzo della lingua regionale: una festa quotidiana, l’uva, la vendemmia,
un odore mare in sottofondo, un senso di serenità diffusa che porta buonumore.
Ma il brano è tutt’altro che semplice, con un arpeggio chitarristico che si interseca con una fisarmonica virtuosa e insieme disegnano un folklore preciso, mentre le voci duettano e danzano con leggerezza.
Segue “Il vento e la ginestra” (W. Ferrandi / M. Cortese), una delle due dediche alle madri degli autori.
Pezzo toccante, una bossanova lenta per una poesia pura: la paura, la guerra, i colpi di fucile in lontananza… pregare il nostro Dio sembra la sola cosa possibile. Ma da un muretto spunta una ginestra: “Nasce nelle pietre, nelle zolle/Senz’acqua né amore/Come la speranza di pace/Non può morire stanotte”.
Sembrava una
fiamma, una luce, un pericolo, ma era una ginestra, e così si intravede la
speranza che si nasconde dietro ad ogni ostilità.
Segnalo l’utilizzo
di molti “attrezzi del mestiere” inusuali evidenziati a seguire nei
crediti, ed è questa una caratteristica di tutto il disco.
Difficile estrapolare “il meglio di”,
ma “5.58” (Bertuccio) è canzone davvero commovente, che mette in risalto,
tra le altre cose, la difficoltà nel far combaciare dialetto e musica, un
cantato/parlato difficilissimo ma efficacissimo.
È un pezzo di oltre sei minuti e si snoda
attraverso tre movimenti, una sorta di mini-suite, tra andamento lento, valzer
e country, un alternarsi di situazione che parlano del dramma quotidiano dei
senzatetto.
La “Signora” in questione vive nella stazione, sfidando il
freddo dicembrino, sembra impossibile trovare un posto asciutto, non ci sono
lenzuola, armadi, coperte, abiti di ricambio, ma resta una grande dignità,
anche se: “Una vita così è una condanna che non si perdona, Penso se fosse mia
figlia, o se fosse mia madre, ma chiunque sia è una persona…”.
Con “My life had stood” (Bertuccio/Dickinson) si passa direttamente all’albionico idioma e Quartelà utilizza una lirica di Emily Dickinson, poetessa americana dell’Ottocento: nel corso dell’intervista si comprende il motivo dell’iter creativo.
Un tango carico di pathos che non può lasciare indifferenti.
“L’aze co-a corònn-a” (Bertuccio) penso sia di impossibile decodifica linguistica se si esce da certi confini regionali, ma è un tormentone che è assai “pericoloso”, perché quando ti entra dentro rimane per giorni!
Stiamo parlando di una “asina con la corona”, ovvero una stolta che, nonostante ciò, ha ruolo sociale importante, figura politica di cui non si fa nome ma che deve aver incontrato in qualche modo la strada degli autori che reagiscono… omaggiandola con una dedica!
“Non le basta essere un’asina deve dimostrarlo a tutti/ Cose giuste qui non se ne fanno/ Qui ci siamo solo per rubare, Siamo asini ma possiamo comandare…”.
Nell’occasione entra in gioco il blues caratterizzato dall’uso dell’armonica e del banjo, a dimostrazione di una grande ecletticità.
“Habibi” (Bertuccio / Guido) - un nuovo duetto vocale -, propone due novità, il cantato in italiano e un modus molto classico, utilizzato per realizzare l’immagine del viaggio, penetrando culture e radici mediterranee, profumi e suoni che si miscelano e regalano serenità.
La seconda dedica materna arriva con “Il labirinto di Maggio” (Bertuccio), un testo da riflessione spinta che viene accompagnato da atmosfere auliche contraddistinte dall’uso degli archi: “Come succede, che cosa si fa, quale sia il passo che falso ti porta di là, dietro un vetro sospeso tra noi, che ci si vede ma non ci si può sentire. Ecco che tu intorno hai mille profumi e sorridi, ma io so che sei nel tuo equilibrio fragile fuori dal labirinto…”.
Da brividi!
Bastano 28 secondi per lo “sproloquio lirico” in lingua tedesca contenuto in “Sushi e krauti” (Bertuccio), un diversivo per perseguire il versante ironico, una tessera tesa a sdrammatizzare la seriosità degli argomenti proposti.
“Eucalypso” (Ferrandi/Bertuccio/Cortese) si lega idealmente al brano di apertura, un siparietto gioioso, paesano, che, utilizzando nuovamente il dialetto, racconta una giornata al mercatino del pesce, uno scambio vocale, tra il serio e il faceto, che vede protagonista un venditore e una cliente insoddisfatta, in cerca di qualità a buon prezzo.
Una bossanova spinta ci conduce in posti esotici che oltrepassano mari e oceani, nel ricordo dell’assonanza tra il dialetto ligure e il portoghese.
A chiusura la canzone più lunga, oltre nove minuti, dal titolo “Maddalena” (musica di F. Bertuccio / parole liberamente tratte dal monologo “Maddalena”, di L.S. Guido).
Nel corso dell’intervista a seguire una domanda verte proprio su questo brano, che è quindi “raccontato” in modo adeguato dagli stessi autori.
Testo impegnato, dal mood sacrale, che prevede la partecipazione di una grande coralità vocale ed è estratto da un monologo che fa parte dello spettacolo teatrale “Sei donne”,
La degna conclusione di un album sorprendente, per varietà, contenuti e bellezza estetica.
Il contributo dei vari collaboratori appare essenziale e centrato, così come il lavoro eseguito sull’artwork; segnalo come Marcella Cortese e Flavio “Faffo” Bertuccio abbiano lavorato in proprio, anche, per tutti gli aspetti pratici che riguardano la costruzione di un nuovo album.
La speranza è che la fine del momento sanitario complicato possa dar spazio ad una proposizione live, magari fatta di piccoli episodi in molteplici luoghi differenti, non solo in Liguria.
È questa una musica di grande qualità, oltre i generi, oltre i preconcetti e il diffonderla, oltre ad essere un dovere morale, trova motivazione nella certezza che potrà essere apprezzata da tutti quelli che posseggono un minimo di sensibilità.
Ho scambiato qualche parola con Marcella e Flavio…
Ciò che proponete è molto originale e difficile da etichettare: potete sintetizzare la vostra storia musicale e il percorso che avete realizzato per arrivare a questo secondo album, “Lupi d’inverno”?
Abbiamo un vissuto musicale
differente ma entrambi non abbiamo preconcetti ed abbiamo cercato di
frequentare vari ambienti e stili musicali. Nel tempo ci siamo avvicinati a
diversi generi: musica antica, jazz, musica tradizionale popolare, musica
ottomana e mediorientale, blues, world music, pop. Per lungo tempo ci siamo
esibiti in duo, proponendo in acustico un repertorio di cover eterogeneo e
Faffo aveva anche altri progetti in cui suonava la chitarra elettrica o il
contrabbasso.
Il progetto “Quartelà” nasce nel 2012
proponendo da subito, in trio o quartetto, un repertorio originale. Dopo alcune
variazioni di formazione viene presa la decisione di tornare alla formula
originaria del duo e di avvalersi, a seconda delle occasioni, della
collaborazione di diversi musicisti.
Quando abbiamo iniziato a pensare a “Lupi d’Inverno” potevamo già disporre di alcune canzoni che non avevano trovato spazio in “Canto di Migranti”, il nostro primo album, inoltre ne avevamo molte altre in lavorazione. Pertanto, era solo questione di scegliere quali brani inserire nella scaletta.
Nel disco dimostrate una buona tendenza all’autarchia: necessità o credo profondo?
Ci occupiamo di molte cose:
arrangiamenti, produzione, registrazione (e ci siamo anche auto-scattati le
foto del CD). In alcuni brani Faffo suona quasi tutti gli strumenti. Però è
anche vero che ci sono tante collaborazioni: sono presenti 12 musicisti ed
alcuni brani non portano solo la firma Bertuccio/Cortese.
Senz’altro tutto parte da un’esigenza interiore, poi, pur non escludendo un poco di mania del controllo, per alcune cose abbiamo fatto di necessità virtù, visto il periodo in cui stiamo vivendo.
Qual è l’anima del progetto, il messaggio che vi ha motivato verso la creazione dei vari episodi?
Da qualche anno a questa parte stiamo scrivendo con una certa regolarità. Comporre e scrivere è diventata una necessità sulla quale cerchiamo di lavorare costantemente. Ci siamo attrezzati di un piccolo ma discreto studio di registrazione in modo da poter produrre in libertà ed autonomamente. Poi, quando ci sembra il momento giusto, scegliamo una manciata di canzoni e le pubblichiamo.
Esiste una concettualità, un fil rouge che lega i brani di “Lupi d’inverno”?
Il nostro primo cd, “Canto di
Migranti”, è una sorta di concept album. Tratta di persone che, nel nostro
pianeta, si sono spostate e si stanno spostando per indole, tradizione o
necessità.
In “Lupi d’Inverno” il criterio di
scelta è stato più musicale che tematico-concettuale. Ne è risultata una
scaletta di brani molto diversi tra loro, sia dal punto di vista del genere
musicale che da quello testuale.
L’album è dedicato alle nostre madri, Maggiorina e Vera, mancate alcuni anni fa, alle quali si ispirano rispettivamente i brani “Il labirinto di Maggio” e “Il vento e la ginestra”.
Il dialetto che utilizzate (che nel booklet viene tradotto!) non è il solo idioma proposto, ma è miscelato all’italiano, all’inglese e troviamo persino una spruzzata di tedesco: da dove nasce il bisogno di diversificare la lingua?
Oltre al significato delle parole, pure il suono delle parti cantate è importante, come la scelta degli strumenti, quindi cerchiamo di porre attenzione anche a questo. La canzone cantata in dialetto piuttosto che in italiano o in inglese ha colori decisamente diversi (nota: nel caso specifico “Sushi e Krauti” è una specie di grammelot per sdrammatizzare ed ironizzare un po’).
Anche musicalmente parlando le variazioni sul tema sono molte, con una dimostrazione da parte vostra di grande conoscenza e competenza, ma… qual è il vostro genere di riferimento, quello da cui siete partiti e a questo punto del percorso come definireste la vostra musica per presentarla a chi non ha mai avuto occasione di ascoltarla?
In effetti non abbiamo un genere
specifico di riferimento. Adoriamo la musica corale, la classica, il blues, il
jazz, le musiche tradizionali popolari, il rock, il progressive, la world music
etc. etc…
Possiamo affermare di avere la fortuna di riuscire ad apprezzare e di poter godere di tutta la buona musica. Probabilmente, nelle nostre composizioni riaffiora un po’ di tutto questo, ma alla fine sono semplicemente canzoni, anche se a volte insolite. Potremmo definirla musica popolare d’autore oppure “folk-prog-world-mist-mediterranean-nordsudestovest medioriental-blues-boh”.
Con quale criterio avete scelto i collaboratori?
Come per “Canto di Migranti” anche
per “Lupi d’Inverno” abbiamo potuto decidere gli arrangiamenti in piena
libertà. Quindi, in base all’arrangiamento e gli strumenti scelti, abbiamo invitato
i musicisti che stimiamo e con i quali abbiamo piacere di lavorare.
Affidare il missaggio a Marco Canepa (che poi ci ha anche indirizzati per il master) era un sogno nel cassetto. Ha fatto un lavoro straordinario, inoltre è una persona meravigliosa. Anche la grafica di Laura Bagliani è stata una scelta basata sul criterio di stima (e di amicizia). Il liutaio Antonello Saccu si occupa dei miei strumenti acustici a corda da parecchi anni.
Tra i dieci brani, come accennato, uno è in lingua inglese e ripropone un testo di Emily Dickinson: da dove nasce la scelta?
Quando scrissi la musica di “My life had stood” mi piaceva così tanto che pensai che non saremmo stati in grado di scrivere delle parole altrettanto belle. In quel periodo ero molto interessato a Emily Dickinson e stavo leggendo un libro di sue poesie, quando lessi quella che comincia con “My life had stood…” mi accorsi subito che calzava a pennello con la melodia che avevo scritto.
Mi incuriosisce anche la chiusura, “Maddalena”, un testo magnifico…
“Maddalena” è un brano ambizioso. Dal punto di vista musicale ci sarebbe piaciuto poter registrare un coro di 30 voci ed un’orchestra d’archi, ma nell’attuale situazione sanitaria non è stato possibile. Abbiamo quindi risolto con sovraincisioni. Per quanto riguarda il testo, ricordo che con Luciana Guido parlammo dei Vangeli apocrifi perché volevo scrivere un testo su quello di Giuda per una canzone che invece diventò tutt’altra cosa. Nel frattempo, avevo finito di comporre un brano dal titolo provvisorio “I don’t know why”, per il quale avevo solo poche parole di testo. Luciana mi fece leggere sei monologhi che aveva scritto e che sarebbero poi diventati lo spettacolo teatrale “Sei donne” (nel quale ha recitato Marcella). Attinsi a piene mani dal monologo intitolato “Maddalena” e ne è venuto fuori un brano che dura oltre 9 minuti (che poi è anche diventato la musica dello spettacolo teatrale).
Nella speranza che l’emergenza sanitaria volga al termine, avete progettato momenti di presentazione o concerti per l’immediato futuro?
Ci stiamo pensando ma, siccome vorremmo presentarlo con una formazione di 6 o 7 elementi, dobbiamo ancora valutare.
Un’ultima cosa. C’è un tormentone nel vostro disco che mi è rimasto dentro e che richiede almeno una spiegazione chiara: chi è l’asina con la corona? Il connotato femminile potrebbe ingannarmi!
Lo spunto per scrivere questo brano
mi è stato fornito da una Sindaca che ho avuto modo di conoscere, ma Marcella
dice che non posso fare nomi…
I Quartelà sono:
Marcella Cortese: canto
Flavio “Faffo” Bertuccio: chitarre, altri strumenti, canto
BIOGRAFIA SINTETICA
Quartelà nasce
nel 2012 da un’idea di Marcella Cortese e Flavio “Faffo” Bertuccio.
Dopo alcune
variazioni di formazione viene presa la decisione di tornare alla formula originaria
del duo e di avvalersi, a seconda delle occasioni, della collaborazione di diversi
musicisti.
Marcella e Faffo negli anni hanno esplorato vari generi musicali (musica antica, musica tradizionale popolare, jazz, rock-blues, pop) per arrivare al progetto attuale: un repertorio su un impianto essenzialmente acustico di canzoni originali dal sapore mediterraneo con echi di Nord America e Medioriente, di Brasile e Portogallo, di tango e di musica classica, di jazz e progressive. Per i testi viene spesso utilizzato il dialetto ligure.
I Quartelà hanno pubblicato il loro primo CD “Canto di Migranti” nel 2018. Nell’aprile 2021 è uscito il loro secondo CD “LUPI D’INVERNO”. In entrambi i CD si sono anche occupati di arrangiamenti, produzione, registrazione e fotografie.
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