lunedì 30 maggio 2022

30 maggio 1972: VDGG a Genova... il mio primo concerto

VdGG-fotografia fornita da Oliviero Lacagnina, tastierista dei Latte e Miele


Esattamente 50 anni fa, a sedici anni e un giorno, assistevo al mio primo concerto, quello dei Van Der Graaf Generator, preceduti dalla “spalla” Latte e Miele.

Era il pomeriggio del 30 maggio del 1972 e mi trovavo a Genova, al Teatro Alcione.
Ripropongo - ancora una volta - il mio ricordo di quel felice attimo lontano...
A fine post, presento una lunga lista di concerti che la band, e il solo Hammill, tennero in Italia in quell’anno.
Aggiungo anche un prezioso reperto audio, che riporta alla presentazione originale di quel giorno (un grazie a Claudio Milano).


IL RICORDO
(2010)

Sono riuscito a risalire a una data importante. Importantissima per chi è cresciuto a pane e musica: mi riferisco al primo concerto a cui ho assistito.
Mi sono “formato”, da tutti punti di vista, nei primi anni '70 però… non ero abbastanza grande per possedere una buona autonomia di movimento, e tutti i concerti a cui ho avuto la fortuna di assistere erano realmente “sudati”.

Ricostruire il primo concerto è cosa emozionante, ma pressoché impossibile, perché sto parlando del 1972 , trentotto anni fa.
Non esistevano le videocamere e l’ultima cosa che poteva venirci in mente era quella di utilizzare ingombranti apparecchi fotografici e quindi… l’archivio è la mia sola memoria.

Leggendo “Codice Zena”, di Riccardo Storti, ho anche scoperto che quel mio iniziale approccio è anche considerato il primo passaggio del prog internazionale da Genova.
Sto parlando dei Van Der Graaf Generator, Teatro Alcione, 30 maggio 1972. 
Sarebbe stato bello avere coscienza di ciò che stava accadendo, avere l’idea che si stava vivendo in prima persona un pezzettino di storia.
Tutto è relativo, e il termine “pezzettino” si può ingigantire a dismisura, a seconda del punto di vista.

Avevo 16 anni, ed ero impregnato e invaso da quella musica che ascolto ancora oggi.
I veicoli informativi erano per me Ciao 2001 e “Per Voi Giovani”.
Indimenticabile quel pomeriggio in cui ascoltai la recensione radiofonica di Pawn Hearts, un racconto talmente efficace che arrivai al concerto con le idee già chiare su cosa dovessi aspettarmi.
Sino a quel 30 maggio non avevo mai pensato che ciò che ascoltavo sul vinile poteva trasformarsi in un concerto.
Sottolineo il 30 maggio, perché la proposta mi venne fatta all’uscita da scuola, con poche ore davanti per convincere i genitori.
Lo spettacolo iniziava alle 16. Eh sì, pomeriggio e sera a quei tempi!
Non so perché ma ottenni il permesso facilmente: ”... dai mamma, siamo in tanti…”
Con 2000 lire in tasca (mi pare che l’entrata fosse 1500) mi ritrovai in nutrita compagnia sul treno che da Savona portava a Genova. Ricordo una grande emozione.
Ora è relativamente facile avere contatti e pseudo amicizie con miti musicali, ma in quei giorni lo spazio esistente tra un ascoltatore e un artista che “girava” su vinile e splendeva su Ciao 2001 era abissale.

Dalla stazione Brignole al teatro, forse un paio di chilometri, l’agitazione aumentò e questo stato d’animo mi ritorna al solo pensiero di quel giorno. Ricordo persino che indossavo una maglietta verde, girocollo e… capelli lunghissimi.
Non ho memoria invece dell’ambiente, di quelli che allora venivano definiti “capelloni”, termine negativo per chi lo adoperava, elemento di vanto per chi invece lo subiva.

La pittoresca ”corte dei miracoli”, che tanto avrebbe colpito successivamente un ragazzetto come me, quel giorno fu nascosta dall’essenza, dal significato profondo della partecipazione ad un evento da brividi.
Forse i biglietti non erano numerati, ma le poltrone erano molto comode, niente a che vedere con la vita hippie che stava prendendo forma anche in Italia.
Ma a ben vedere i V.D.G.G. non sono stati per me i primi.
A fare la spalla - si diceva così un tempo - c’erano i Latte e Miele, e la prima immagine che ho di quel palco è un batterista giovanissimo, capelli lunghi, occhialini tondi e denti sporgenti. Era Alfio Vitanza, ovviamente.


Latte e Miele-fotografia fornita da Oliviero Lacagnina, tastierista dei Latte e Miele


Ricordo solo di aver pensato all’accostamento con ELP, per effetto di un trio dallo stampo classicheggiante. Poi il teatro si oscurò.
Un fascio di luce fu proiettato al centro del palco dove c’era una sedia su cui era seduto Peter Hammill con la sua chitarra appoggiata alla gamba destra.
Partì l’arpeggio di "Lemmings" e ancora ora, mentre scrivo, mi sembra di sentirlo.
Non mi sono rimasti altri dettagli di quel pomeriggio, solo le atmosfere rarefatte create dai sax di David Jackson, fuse alla perfezione con le tastiere (e il basso) di Hugh Banton, e la particolarissima ritmica di Guy Evans.
Impossibile spiegare cosa volesse dire sentire la voce di Hammill in quei giorni, qualcosa di irreale, capace di condurre ad un’involontaria introspezione. Già di per sé uno strumento globale.

E se ora mi fosse chiesto quale immagine idealizzo immediatamente, pensando a quel 30 maggio lontano, beh, mi vengono alla mente i colori azzurro e nero, delle stelle, degli omini sospesi nel vuoto… ecco la copertina di un disco in vinile aveva questa capacità, dare la forma e il colore a uno dei momenti significativi della vita.
Esagerazione? Sopravvalutazione di fatti in realtà insignificanti?
Forse, ma sono contento di poterlo in qualche modo raccontare.


Il 5 agosto dello stesso anno assistetti ad una nuova performance dei Van der Graaf Generator, questa volta al Palazzetto dello Sport di Albenga, nell’entroterra savonese: un altro grande evento che, oltre alla musica, mi permise di vivere alcuni momenti per me significativi precedenti all’evento, in particolare l'osservazione di una partitella di calcio della band e dei tecnici al seguito.

È stata anche l’occasione in cui “scontrai” David Jackson e la mano rimase intrisa del suo sudore legato al post-concerto, e quando in tempi recenti ho ricordato l'aneddoto a David abbiamo riso insieme delle manie di un sedicenne pieno di amore per la musica!


Van Der Graaf in Italia nel 1972 


08 FEB 72 Italy, Milan, Teatro Massimo (2 shows)
09 FEB 72 Italy, Rome, Piper Club
10 FEB 72 Italy, Turin, College Club
11 FEB 72 Italy, Reggio Emilia, Fifty Fifty Club
12 FEB 72 Italy, Novara (Prato Sesia), The Pipa
13 FEB 72 Italy, Verona (San Martino Buonalbergo), Lem Club (2 shows)
14 FEB 72 Italy, Florence, Space Electronic
15 FEB 72 Italy, Ravenna (Lugo di Romagna), Hit Parade Club (2 shows)

20 MAY 72 Italy, Pesaro, Palasport
21 MAY 72 Italy, Brescia, Travagliato, Super Tivoli (2 shows)
22 MAY 72 Italy, Treviso, Teatro Garibaldi
23 MAY 72 Italy, Alessandria (Sale), Teatro Sociale
24 MAY 72 Italy, Reggio Emilia, Palasport
25 MAY 72 Italy, Ravenna, Teatro Astoria
26 MAY 72 Italy, Rome, Festival Villa Pamphili
27 MAY 72 Italy, Naples, Mostra D'Oltremare, Teatro Mediterraneo (2 shows)
28 MAY 72 Italy, Naples, Mostra D'Oltremare, Teatro Mediterraneo (2 shows)
30 MAY 72 Italy, Genoa, Teatro Alcione (2 shows)
31 MAY 72 Italy, Novara (Suno), Parco Meulia

01 JUN 72 Italy, Siena, Palazzetto Virtus
02 JUN 72 Italy, Viareggio, Piper 2000 (2 shows)
03 JUN 72 Italy, Verona, Lem Club
04 JUN 72 Italy, Venice (Sottomarina), Ciquito Club


29 JUL 72 Italy, Ravenna, Jolly Club (2 shows)
30 JUL 72 Italy, Viserba, Club dell'Estate
(30 JUL 72 Italy, Milano Marittima (2 shows)
31 JUL 72 Italy, Monselice, Lago Delle Rose

01 AUG 72 Italy, Cardano al Campo, Nautilus Club (2 shows)
04 AUG 72 Italy, Viareggio, Piper 2000 (2 shows)
05 AUG 72 Italy, Albenga, Palazzo dello Sport (2 shows)
06 AUG 72 Italy, Rimini, La Locanda del Lupo (2 shows) 

PETER HAMMILL SOLO

08 DEC 72 Italy, Bologna, Palazzo dello Sport (2 shows)
09 DEC 72 Italy, Finale Emilia, Teatro Sociale
11 DEC 72 Italy, Padova, Teatro Corso (2 shows)
12 DEC 72 Italy, Verona, Teatro Ristori (2 shows)
13 DEC 72 Italy, Ferrara, Teatro Verdi (2 shows)
14 DEC 72 Italy, Latina, Teatro Giacobini (2 shows)
15 DEC 72 Italy, Terracina, Teatro Traiano (2 shows)
16 DEC 72 Italy, Naples, Teatro Mediterraneo (2 shows)
17 DEC 72 Italy, Naples, Teatro Mediterraneo (2 shows)
18 DEC 72 Italy, Piombino, Teatro Metropolitan (2 shows)
19 DEC 72 Italy, Arezzo, Teatro Politeano (2 shows)
20 DEC 72 Italy, Foligno, Teatro Clarici (2 shows)
21 DEC 72 Italy, Prato, Teatro Politeano (2 shows)
22 DEC 72 Italy, Lucca, Teatro Moderno (2 shows)

sabato 28 maggio 2022

Roberto Gualdi-"Ritmologia-Il musicista e la gestione consapevole del tempo"


Roberto Gualdi 

Ritmologia-Il musicista e la gestione consapevole del tempo

Volontè & Co

 

Con molto piacere mi appresto a commentare un libro molto particolare, quello di Roberto Gualdi, intitolato “Ritmologia-Il musicista e la gestione consapevole del tempo”.

Gualdi è mio concittadino ed è stato quindi grande il piacere trovato nel chiacchierare con lui nel corso della presentazione alla Ubik di Savona.

Savona, 27 maggio 2022

Ma vorrei concentrarmi maggiormente sul contenuto e fornire qualche chiarimento per il lettore curioso.

Devo dire che, nonostante avessi conosciuto Roberto in tempi lontanissimi, mi ero perso l’intensità del suo percorso, sino a quando l’ho scoperto parte della PFM, ovvero una delle band dedita alla mia musica di riferimento, l’amato (per qualcuno odiato) prog.

In realtà i suoi oltre quarant’anni di carriera gli hanno permesso di calcare palchi di ogni genere ed importanza, ed il suo nome è abbinabile al gotha della musica italiana e non, fatto ragguardevole se si pensa alle difficoltà che ogni musicista incontra quando decide di perseguire i suoi sogni e la sua passione, perché è chiaro a tutti come certe attività legate alla proposizione di progetti sonori, qualunque siano gli strumenti di riferimento, diventino nell’immagine comune corollario ad un’una attività principale, ed è famoso - e certificato -  il dialogo seguente: “Ma tu che mestiere fai?”,Il musicista…”.Ok, ma per vivere cosa fai?”.

In tutto questo non c’entrano nulla le skills specifiche, l’attitudine verso l’impegno costante, lo studio ecc…, il siparietto appena descritto mette sullo stesso piano tutti… i comuni mortali.

E poi ci sono quelli che arrivano, come Roberto, esempio da seguire per giovani e meno giovani, che oltre a tutte le sue positività avrà avuto la giusta sliding door, perché alla fine, come qualcuno ha scritto, “Il destino ha strade che non si possono cambiare…”.

Un esempio da seguire dicevo, e conscio del fatto che le esperienze vanno condivise - e chi meglio di un musicista può descrivere il rapporto osmotico con il proprio pubblico! - Gualdi ha deciso di mettere nero su bianco la sua esperienza, e ha confezionato una sorta di manuale che proverò a sviscerare.

Non avevo idea del contenuto, pensavo ad un primo bilancio di vita, a qualcosa di esclusivamente discorsivo, e ho trovato invece una metodologia, una serie di indicazioni, non solo prettamente tecniche - che comunque saranno manna piovuta dal cielo per tutti i batteristi/percussionisti -, ma un contenitore di tipo olistico che tocca svariati argomenti utili agli addetti ai lavori.

Dopo questa premessa verrà da chiedersi a chi è rivolto il progetto, idealizzando magari un contenitore indirizzato alla nicchia di seguaci dello strumento.

Sbagliato.

Sono dentro, da sempre, alle cose della musica, ma non tanto da poter dare giudizi legati ai dettagli specifici. È un po' come quando si parla con un musicista alla fine della sua performance - argomento peraltro trattato nel libro -: difficile trovarlo felice di sé o della band, ci sono sempre aspetti negativi di cui il pubblico non si è accorto, e anche chi ha captato l’eventuale errore nemmeno lo considera perché lo scopo di un live va oltre la perfezione esecutiva.

Pertanto, oltre agli addetti alle bacchette/casse/timpani, ogni tipo di musicista troverà utili e interessanti i consigli che Gualdi regala in ogni capitolo. Dirò di più, per un lettore lontano dall’argomento “musica”, ma curioso e scevro da preconcetti, la lettura potrebbe diventare una gradevole scoperta e pura didattica di vita, con la proposizione di concetti che superano l’idea tradizionale di musica e sua applicazione.

Il libro si fa aiutare dalla tecnologia esistente, nel senso che nella pima pagina esistono indicazioni per poter accedere ad un portale che, dopo rapida e gratuita registrazione, permetterà di visionare 30 brevi video (tra i 2 e i 3 minuti) nei quali Roberto fornisce esempio diretto da collegare alla parte scritta.

Sono 19 i capitoli suddivisi concettualmente nei seguenti macro-argomenti:

TECNICA-FOLOSOFIA-STRATEGIE-ROLASSAMENTO-CONCETRAZIONE

Partiamo dalla prefazione nobile, quella di Gavin Harrison, genio della batteria, tra Porcupine Tree, King Crimson e Pineapple Thief.

Harrison è punto di riferimento dichiarato per Gualdi e lo scritto introduttivo appare come qualcosa di sentito, e non un atto dovuto e legato a relazioni durature nel tempo.

Ma sono molte altre le testimonianze: Chistian Meyer, Massimo Varini, Paolo Costa, Paola Folli e Corrado Bertonazzi.

Sono utili alla comprensione le citazioni nobili che l’autore utilizza all’inizio di ogni capitolo, giacché esistono menti illuminate che riescono a condensare in poche parole concetti che pesano come macigni e che magari albergano da sempre nella testa di ogni singola persona, senza avere mai uno sfogo, sino a quando nasce l’incontro fortunato, quello che probabilmente ha permesso a Gualdi di abbinare i vari assiomi alla sua esperienza.

E così troviamo il pensiero di Nikola Tesla accostato a quello di Platone sino ad arrivare a Sant’Agostino (un punto di riferimento per chi studia musica), a Mozart, Hugo, Eraclito, Goethe, tanto per citarne alcuni.

Uno dei concetti che si ripetono come un mantra nel corso della lettura riguarda l’apertura dell’apprendimento a tutti i musicisti comuni, ovvero quelli non baciati dal Dio della musica, che probabilmente diventeranno nel tempo più costanti e “vincenti”, perché lo studio e l’impegno avrà creato in loro un consolidamento che spesso non arriva in chi è dotato di genio e sregolatezza. Insomma, il libro nasce anche per ostacolare il vecchio pensiero che “Il senso del ritmo o lo hai o non lo hai”, concetto frustrante per ogni giovane che potrebbe avvertire immediatamente che il raggiungimento del suo sogno si trasforma da subito in utopia.

Roberto Gualdi ci racconta e fornisce prove di tale falsità!

Il ritmo fa parte del nostro quotidiano, anche se non abbiamo dimestichezza con “il tamburo”. Difficile pensare alla poliritmia applicata alla vita di ogni giorno e al normale suo incedere, eppure il nostro corpo ne è un esempio, e la presenza per qualche istante in una camera anecoica diventerebbe esperienza icastica in tal senso.

Ci aiuta nella comprensione la differenziazione universale tra “sentire ed ascoltare”, utilizzando in toto il nostro corpo per percepire le vibrazioni che ci circondano e ci stimolano, facendo maturare un ascolto consapevole che Roberto propone attraverso una metafora molto efficace relativa al mare - e forse il luogo di nascita contribuisce ad elaborare il pensiero! -, un mare che può essere contemplato in tutto il suo fascino, oppure utilizzato nuotando in superficie o ancora meglio approfondito attraverso l’immersione. Così può essere la relazione con la musica.

In questo senso sarà interessante imparare come l’apprendimento musicale possa essere interpretato in modo tridimensionale, con una crescita verticale (lo studio della storia), una orizzontale (la conoscenza della suddivisione geografica e delle differenti culture) e la misura della profondità, spesso trascurata ma capace di dare un senso a tutto quanto si suona.

Gualdi sottolinea come non esista controllo sulla genetica (l’orecchio assoluto è un dono per pochi!), e una volta preso atto dei limiti personali le contromisure passano attraverso le TRE P (pratica, perseveranza e pazienza).

Un’altra condizione su cui non è possibile intervenire è il tipo di cultura, frutto esclusivo del luogo in cui si nasce e quindi indipendente dalla nostra volontà, ma determinante per ciò che diventeremo durante il nostro percorso.

Abbiamo invece il controllo su un ascolto senza pregiudizi, che allargherà gli orizzonti personali e che porterà il musicista “ortodosso” a dividere il tutto in tre categorie, che mettono in discussione le grandi liti da bar provocate dagli amori per un preciso genere, creando spesso barriere invalicabili tra epoche distanti tra loro: la musica che piace (quella più facile da seguire per chi ne è appassionato), quella più interessante per uno strumentista e quella che non si conosce e che quindi deve diventare oggetto di studio.

In questo panorama Gualdi ci descrive una sorta di atlante, suddividendo il mondo nei continenti conosciuti, legati tra loro da un comune denominatore chiamato “ritmo”.

Ma quali sono i requisiti minimi necessari per un batterista, o meglio, quale deve essere il suo obiettivo?

Un assoluto controllo tecnico, ovvero il possedere talmente tanta tecnica da non pensare ad essa mentre si suona.

Una conoscenza del repertorio, perché anche quando si è molto bravi ci si prepara studiando.

Per ogni musicista esistono dei condizionamenti psicologici, come l’ansia da prestazione, la difficoltà di concentrazione, il senso di inadeguatezza, la paura del giudizio di terzi, la sensazione di non essere all’altezza. Con tutto questo occorre convivere, anche se nel libro vengono sottolineate possibili azioni correttive. Ad esempio, attraverso la meditazione e lo sviluppo della concentrazione per mezzo dello Yoga, a cui viene dedicato un capitolo intero e che appare pratica imprescindibile per Gualdi, alla ricerca di quella condizione in cui emerge l’armonia nascosta, quella che vale più di quella apparente (Eraclito).

Non sarà lo Yoga a far migliorare la prestazione e il livello di performance, ma la sua pratica potrà aiutare per far sì che non ci esprima al di sotto del top, diverso per ogni strumentista.

Pratica fino al punto in cui la mente dimentica e il corpo ricorda

 (Bruce Lee)

 

Gualdi ci racconta come il nostro corpo abbia bisogno di una sorta di manutenzione, esattamente come una qualsiasi macchina, cercando di bilanciare le tre tensioni, muscolari, mentali ed emozionali.

Ma come si superano ansie, paure, magari la noia legata ad un genere che proprio non va giù? Il libro, passando anche attraverso il buddhismo, fornisce un punto di vista esaustivo.

Una parte importante che troviamo verso la fine è denominata “Conversazioni”, una serie di interviste con persone significative nel percorso di vita dell’autore, incontri con uomini e donne che hanno avuto ruolo formativo, non dimenticando mai che “Niente è veramente nostro finché non lo condividiamo” (C.S. Lewis). Si parte da Bruno Genero e si arriva a Elio Marchesini, Stefano Bagnoli, Omar Cecchi per terminare con la maestra di Yoga Gabriella Cella.

Tutti i concetti presentati hanno la finalità di indicare una strada per poter “vivere la musica”, quella con la “M” maiuscola, non solo quella realizzata dai grandi di ogni tempo ma, considerando la sua peculiarità di saper unire e comunicare attraverso l’azione quotidiana del semplice appassionato - ascoltatore o strumentista - le indicazioni fornite dovrebbero/potrebbero indicare quali siano le giuste porte da aprire, attraverso il seme della curiosità.

La lettura mi ha portato a fantasticare, a confrontare ere e musicisti lontani tra loro per mero elemento anagrafico, immaginando l’evoluzione di un ruolo che vedeva generalmente il batterista relegato a status di comprimario, superato nel tempo dall’evoluzione naturale delle cose, e pensare ai “tempi portati” nel beat, in relazione, ad esempio, all’uso dei "tempi dispari", induce a immaginare mondi distanti anni luce, che Roberto Gualdi, con questo progetto, contribuisce a chiarire con il suo esempio, una didattica che non si ritrova soltanto nella capacità di essere un bravo batterista, ma si allarga ad aspetti comportamentali ed etici che riguardano ogni aspetto della vita.

 Conclude l’autore…

La musica è magia quando viene fatta insieme agli altri e questo e questo è anche ciò che la accomuna alla vita. La bellezza della condivisione e del viaggio con una meta comune.

Per quanto mi riguarda la scoperta della Musica mi ha definito, mi ha indicato una via da percorrere, mi ha fatto capire che persona volevo essere e mi ha stimolato una crescita continua, come musicista ma ancora di più come essere umano”.

Grande lavoro che resterà nel tempo!

Savona, 27 maggio 2022



giovedì 26 maggio 2022

Ci ha lasciato Alan White

 


Alan White è morto all'età di 72 anni

 

Il batterista Alan White è morto all'età di 72 anni: la notizia è stata confermata dalla moglie Gigi che ha dichiarato sulla sua pagina facebook: "Alan, il nostro amato marito, padre e nonno, è morto all'età di 72 anni nella sua casa di Seattle il 26 maggio 2022, dopo una breve malattia. Nel corso della sua vita e della sua carriera di sei decenni, Alan è stato molte cose per molte persone: una rock star certificata per i fan di tutto il mondo; compagno di band di pochi eletti, gentiluomo e amico di tutti coloro che lo hanno incontrato”.

Alan nacque a Pelton, nella contea di Durham, in Inghilterra, il 14 giugno 1949. Prese lezioni di pianoforte all'età di sei anni mentre iniziò a suonare la batteria a dodici anni, esibendosi in pubblico a partire dai tredici anni.

Nel corso degli anni ’60 affinò il suo “mestiere” suonando con molteplici band, tra cui The Downbeats, The Gamblers, Billy Fury, Alan Price Big Band, Bell and Arc, Terry Reid, Happy Magazine (in seguito chiamato Griffin) e Balls con Trevor Burton (The Move) e Denny Laine (Wings).

Nel 1968, Alan si unì ai Ginger Baker's Airforce, un nuovo gruppo che fu messo insieme dall'ex batterista dei Cream e da altri noti musicisti della scena musicale inglese, tra cui Steve Winwood, ex Traffic.

Nel 1969 ricevette una richiesta che inizialmente pensò potesse essere uno scherzo, perché John Lennon gli chiese di unirsi alla Plastic Ono Band. Il giorno dopo Alan si ritrovò a imparare canzoni nel retro di un aereo di linea diretto a Toronto con Lennon, Yoko Ono, Eric Clapton e Klaus Voormann. L'album che seguì, “Live Peace In Toronto”, vendette milioni di copie, raggiungendo la posizione numero 10 nelle classifiche.

La collaborazione di Alan con Lennon continuò e assieme registrarono singoli come “Instant Karma” e il successivo album di riferimento “Imagine”, con Alan che suonava la batteria in “Jealous Guy” e “How Do You Sleep at Night”. Il lavoro con Lennon diventò per Alan il passepartout per arrivare a George Harrison, che gli chiese di esibirsi nell'album “All Things Must Pass”, incluso il singolo, “My Sweet Lord” pubblicato nel 1970. Successivamente lavorò con molti artisti per l'etichetta Apple, tra cui Billy Preston, Rosetta Hightower e Doris Troy.

Il 27 luglio 1972 si unì agli Yes, avendo a disposizione tre soli giorni per imparare il loro repertorio e partì per un tour negli Stati Uniti dove suonò davanti a 15.000 fan a Dallas, il 30 luglio.

Non si separò più dagli YES, e con la scomparsa del membro fondatore Chris Squire, nel giugno 2015, Alan diventò il membro della band più longevo.

All'inizio di questa settimana gli Yes hanno annunciato che White non avrebbe partecipato al prossimo 50th Anniversary Close To The Edge UK Tour della band a causa di problemi di salute.

La band dedicherà ad Alan il 50th Anniversary Close to the Edge UK Tour previsto per giugno.

Tra le tante testimonianze disponibili in rete scelgo uno stralcio del concerto che vidi il 12 luglio del 2003, evento che cambiò significativamente la mia vita… ma questa è un’altra storia!





lunedì 23 maggio 2022

Nel ricordo di Bruno Govone. L'omaggio musicale degli amici

 


Partecipare ad una onoranza funebre è sempre doloroso, a maggior ragione quando esiste un legame, più o meno sottile, con chi ci lascia.

Spesso la presenza al rito rappresenta un atto dovuto, un appuntamento triste a cui non si può mancare, e rilevo con rammarico che sono proprio questi eventi, sempre più frequenti quando l’età avanza, che forniscono motivi di incontro con chi non si frequenta più, anzi, diventano le uniche occasioni per sollecitare la memoria, in piena comunione.

Bruno Govone era un musicista, mio concittadino, che conobbi nella mia fase adolescenziale, quando comprai mia la prima chitarra elettrica, la mitica Framus che ancora posseggo; a quel punto nacque l’ovvia esigenza di amplificare il suono e corse in mio aiuto Bruno, chitarrista già affermato nel circuito locale per la sua attività con Le Volpi Blu, gruppo musicale italiano di musica beat, attivo negli anni Sessanta e nel decennio successivo, propositore di un genere melodico, con qualche passaggio televisivo e una partecipazione al Festival di Sanremo nel 1975.

Entrò così in casa mia un amplificatore Steelphone da 80 watt, valvolare, con testata separata, che usai per anni per la mia modesta attività di chitarrista e, ne sono certo, è utilizzato ancora in qualche cantina.

Poi le strade si separarono e lo ritrovai mille anni dopo come membro de Il Cerchio D’Oro, immerso nella musica progressiva, portatore di talento, esperienza e umanità.

Lo ricordo ben inserito nella band, con un bel concerto genovese in accoppiata con i Delirium, nel 2009, ma l’avventura dovette interrompersi per problemi di salute e da quei giorni lo incontrai solo sporadicamente.

Troppo giovane per lasciare gli affetti e gli amici, ma su questo non ci possono essere contrattazioni, solo rammarico e dolore per chi resta.

Se come spesso si è soliti dire, “…da lassù, ormai, ci sta guardando e ascoltando...”, non sarà passato inosservato il ricordo musicale confezionato a fine funzione da Gino e Giuseppe Terribile, Franco Piccolini e Piuccio Pradal, che imbracciate le acustiche e un minimo di percussioni hanno intonato una vecchia canzone de Le Orme, suonata in passato con Bruno, “Amico di ieri”.

La propongo in toto, un bel momento, un semplice omaggio ad una persona che, nel suo percorso di vita, ha lasciato il segno.




domenica 22 maggio 2022

The Lemon Pipers

 

The Lemon Pipers è stato un gruppo musicale psichedelico statunitense di Oxford, Ohio, noto principalmente per il brano "Green Tambourine", che raggiunse la posizione numero 1 negli Stati Uniti nel 1968. La canzone è stata accreditata come la prima bubblegum pop chart-topper.

The Lemon Pipers comprendevano il batterista William (Bill) E. Albaugh (1946-1999), il chitarrista Bill Bartlett (nato nel 1946), il cantante Dale "Ivan" Browne (nato nel 1947), il tastierista Robert G. Nave (1944-2020) e il bassista Steve Walmsley (nato nel 1948, Wellington, Nuova Zelanda) che sostituì il bassista originale Bob "Dude" Dudek.

La band fu formata nel 1966 da studenti di Oxford, che avevano suonato nei bar del college con i loro gruppi precedenti.

Il loro repertorio era fatto di blues, hard rock e folk rock, con alcune cover dei Byrds e degli Who.

Dopo un po’ di gavetta nei bar del luogo pubblicarono un singolo per l'etichetta Carol Records, "Quiet Please".

Il gruppo originale - un quartetto - guadagnò notorietà raggiungendo le finali nella Ohio Battle of the Bands al Cleveland Public Auditorium nel 1967, perdendo contro la James Gang.

La band reclutò quindi uno studente della Miami University come frontman - Dale "Ivan" Browne - e ingaggiò anche l'impresario musicale Mark Barger, che guidò i The Lemon Pipers alla Buddah Records, allora gestita da Neil Bogart.

Affidandosi ai consigli di Barger, accettarono così di stipulare un contratto discografico e distributivo con Buddah.

Il gruppo iniziò a suonare in grandi sale auditorium e da concerto negli Stati Uniti, inclusa un'apparizione al Fillmore West di Bill Graham a San Francisco sullo stesso palco con i Traffic, Moby Grape e Spirit, il 21 marzo 1968.

I piani di Buddah per il gruppo si concentrarono sul bubblegum pop piuttosto che sulla musica rock, e i The Lemon Pipers si unirono a un settore aziendale che conteneva già Ohio Express e la Fruitgum Company. Paul Leka fu assegnato come loro produttore discografico.

Buddah non sapeva inizialmente come gestire la band e li fece debuttare con una composizione di Bartlett, "Turn Around and Take a Look".

Visto lo scarso successo della canzone l'etichetta chiese a Leka e al suo compagno di scrittura, Shelley Pinz, che stavano lavorando in un ufficio di Brill Building a Broadway, di creare una canzone adatta. La coppia produsse "Green Tambourine", che la band registrò senza entusiasmo.

La canzone entrò nella Billboard Hot 100 alla fine del 1967 e raggiunse la posizione numero 1 nel febbraio 1968 nelle classifiche Billboard e Cashbox.

Arrivò alla posizione numero 7 nella UK Singles Chart e diventò un successo in tutto il mondo. Vendette oltre due milioni di copie e fu premiata con un disco d'oro dalla Recording Industry Association of America (R.I.A.A.) nel febbraio 1968.

Il successo di "Green Tambourine" fece sì che l'etichetta mettesse sotto pressione il gruppo per rimanere nel genere bubblegum, e nel marzo 1968 la band pubblicò un'altra canzone di Leka/Pinz, "Rice Is Nice", che raggiunse la posizione numero 46 nelle classifiche di Billboard, la numero 42 nelle classifiche Cashbox statunitensi e la numero 41 nel Regno Unito a maggio. La band nutriva poco entusiasmo per entrambe le canzoni, tuttavia, superarono il disagio considerandola "musica divertente", soprattutto sapendo che sarebbero stati abbandonati da Buddah se avessero rifiutato.

“Ordinary Point of View", scritto da Eric Ehrmann e con un assolo country di Bartlett, fu registrato, ma rifiutato da Buddah. Disincantato da Buddah e dall'industria musicale, Ehrmann smise di scrivere canzoni e si diede al giornalismo musicale.

Come è comune nel caso della musica degli anni '60, alcuni problemi di copyright e royalties collegati al precedente proprietario della Buddah Records, ereditati dagli attuali proprietari del catalogo editoriale musicale Kama Sutra e delle canzoni dei The Lemon Pipers rimasero irrisolti.

L'evoluzione dei The Lemon Pipers dalla musica rock degli anni '60 verso una bubblegum  band da disco d'oro creò una dualità all’interno del gruppo: "Eravamo una band rock 'n' roll stand-up e all'improvviso ci ritrovammo in uno studio con qualcuno che ci diceva come e cosa suonare".

Il divario tra le aspirazioni dell'etichetta e i gusti musicali della band divenne evidente nell'album di debutto “Green Tambourine”. Prodotto da Leka, il disco conteneva cinque canzoni di Leka/Pinz, così come due extended tracks scritte dalla band, "Fifty Year Void" e "Through With You" (quest'ultima, scritta da Bartlett, con influenze dei Byrds e, secondo l'etichetta originale LP, lunga 8:31). Fu inclusa anche "Ask Me If I Care" scritta da Ehrmann.

Registrarono un secondo album per Buddah, “Jungle Marmalade”, che mostrò ancora il duplice volto della band.

La band lasciò l'etichetta nel 1969 e successivamente si sciolse. Bartlett, Walmsley e Nave formarono gli Starstruck, la cui registrazione di una canzone dei Lead Belly, "Black Betty", fu rielaborata dai produttori della Super K Productions Jerry Kasenetz e Jeffry Katz, e pubblicata nel 1977 dai Ram Jam.

Browne si trasferì in California per continuare a suonare, Walmsley si fermò a Oxford a suonare il basso e Bartlett perse motivazione e diventò solitario dopo la morte della moglie Dee Dee. Nave divenne un disc jockey jazz su WVXU a Cincinnati, suonando occasionalmente l'organo con i Blues Merchants nei locali sud-occidentali dell'Ohio.

Il batterista Bill Albaugh morì il 20 gennaio 1999 all'età di 53 anni. Il tastierista Bob Nave è morto il 28 gennaio 2020, all'età di 75 anni.

Si registra una reunion nel 2017 denominata  “Summer of Love 50th Anniversary Reunion Madison Theater”.




domenica 15 maggio 2022

Parco Lambro, 1976, ultimo atto



I festival e i concerti a cui ho assistito nella mia giovinezza - e sono tanti quelli storici - presentavano molti rischi legati alle mutazioni dei comportamenti in funzione del momento contingente e della necessità di sentirsi parte di un gruppo, fattore determinante nell’adolescenza o giù di lì. Mi riferisco ai primi anni ’70.

La mia condizione di “provinciale e periferico" - anche se la mia città, Savona, di lì a poco sarebbe diventata città simbolo del terrorismo in Italia - non mi ha mai portato a collegare la musica a pulsioni politiche e sociali: penso che a 16 /17 anni sia comprensibile.
Quando mi capitò casualmente, nel ’76, di trovarmi in mezzo a rilevanti scontri milanesi, nel cuore della città, mi spaventai davvero, e girai alla larga.

Eravamo tanti dalle mie parti, amavamo la musica, ma ciò che propongo nel filmato a fine articolo è una situazione molto lontana dalle mie/nostre normali abitudini, quelle che sintetizzerei in… trasgressioni da "hippy di casa nostra", e nulla più!

Per descrivere quella che a detta di molti è stata la fine di un sogno, utilizzo informazioni trovate in rete, nella speranza che siano obiettive. Io non c’ero e provo a fidarmi!


I Festival del proletariato giovanile

Nel corso degli anni Settanta Re Nudo (una delle principali riviste italiane dedicate alla controcultura e alla controinformazione, nata nel 1970) si fece promotrice di una serie di raduni pop, i Festival del proletariato giovanile, lanciando lo slogan "facciamo che il tempo libero diventi tempo liberato", in controtendenza con il disinteresse della sinistra extraparlamentare nei confronti della musica rock. 

Il primo di questi raduni si svolse a Ballabio, vicino a Lecco, dal 25 settembre 1971, e vi presero parte alcune migliaia di persone.

Nel giugno 1972 si svolse il secondo raduno, a Zerbo, con una partecipazione ancora maggiore.

Nel 1974 il raduno pop di Re Nudo si sposta a Milano, più precisamente al Parco Lambro
L'evento richiama per quattro giorni (dal 13 al 16 giugno) migliaia di spettatori con una punta eccezionale del sabato, per l'esibizione della PFM. 
Si avvicendarono sul palco circa trenta entità, tra gruppi e solisti: nomi celebri come Perigeo, Alan Sorrenti, Area, Premiata Forneria Marconi, Battiato, attorniati da altri già parzialmente affermati (Acqua Fragile, Biglietto per l'inferno, Rocky's Filj, The Trip, Loy & Altomare, Il Volo, Donatella Bardi, Stormy Six, Angelo Branduardi) e da molti ancora sconosciuti al grosso pubblico.

Furono presentati vari e interessanti audiovisivi a cura del Comitato Vietnam e dello stesso «Re Nudo», ed inoltre fu fatto un coraggioso esperimento: venerdì 14, un'ora di musica contemporanea proposta da tre esecutori - Demetrio Stratos degli Area, Juan Hidalgo e Walter Marchetti - davanti a quasi 20.000 spettatori. Da segnalare ancora una jam-session tra componenti della Premiata (Pagani e Di Cioccio), del Volo (Radius e Tempera) e degli Area (Stratos, Capiozzo e Tavolazzi), nel pomeriggio della domenica.

Nel 1975, a partire dal 29 maggio, parte la quinta edizione, che vede la partecipazione, tra gli altri, di Area, Stormy Six, Claudio Rocchi, Pino Masi, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Eugenio Finardi, Edoardo Bennato, Franco Battiato, Antonello Venditti, Giorgio Gaber, Yu Kung.

Nel 1976, dal 26-29 giugno, nuovamente al Parco Lambro, si tiene la sesta e ultima, travagliata edizione del Festival del proletariato giovanile, cui partecipano più di quattrocentomila persone.

Il festival è segnato da problemi di ordine pubblico con saccheggi e scontri interni al movimento, ed è l'ultima edizione della rassegna organizzata da Re Nudo, con la partecipazione degli Area, di Gianfranco Manfredi, Eugenio Finardi, Ricky Gianco e Alberto Camerini.
Il manifesto della festa indica tra gli organizzatori i circoli del proletariato giovanile, i collettivi autonomi di quartiere, il partito Radicale, Lotta Continua, Rivista Anarchica, IV Internazionale, Umanità Nova, la radio libera Canale 96, la cooperativa Il pane e le rose.
I giovani potevano parteciparvi con una tessera dal costo complessivo di 1000 lire per i quattro giorni.

Il 30 giugno un articolo apparso su Lotta Continua commentava negativamente il risultato: 

"Un incontro che poteva e doveva essere momento di scontro - non fisico ma politico -, di analisi e di organizzazione", è divenuto "una sarabanda di gente diffidente, nervosa e impaurita".

Nel numero di Re Nudo del settembre successivo l'esito era così commentato:

"Non ci potevano essere le condizioni per coinvolgere 100.000 persone in una proposta creativa. Era inevitabile che emergesse in modo netto la miseria della realtà quotidiana che tutti portiamo dentro".

Il filmato a seguire penso sia una sintesi oggettiva di quei giorni, e ognuno potrà farsi la propria idea… cliccando sul seguente link:
 


sabato 14 maggio 2022

The Liverbirds: una band tutta femminile tra Liverpool e Amburgo


Non furono molte - accade ancora oggi - le band completamente al femminile, per cui vale la pena segnalare ciò che esiste… ciò che è esistito. 

Il pensiero si ferma oggi sui Beatles al femminile: stesso periodo, stessa città di provenienza ed esperienze tedesche molto simili.

The Liverbirds fu un gruppo rock inglese di Liverpool, attivo tra il 1963 e il 1968.
Era composto dalla cantante e chitarrista Valerie Gell, dalla chitarrista e cantante Pamela Birch, dalla bassista e cantante Mary McGlory e dalla batterista Sylvia Saunders.

È stata una delle poche band femminili della scena Merseybeat, nonché una delle prime band rock and roll al mondo.  
Il loro nome deriva da “Liver Bird”, uccello mitico, mezzo cormorano e metà aquila, simbolo della città di Liverpool da cui provenivano.

Gell, Saunders e McGlory formarono la band nel 1963 insieme alla chitarrista Sheila McGlory (sorella di Mary) e alla cantante Irene Green - che se ne andarono rapidamente per unirsi ad altre band e furono sostituite dalla Birch -, e nella loro storia ottennero un maggior successo commerciale in Germania piuttosto che nella loro Gran Bretagna.

All'inizio della carriera seguirono le orme dei Beatles e si diressero ad Amburgo, dove si esibirono allo Star-Club, e dopo il passaggio dei Beatles furono bollate come "i Beatles femminili".

John Lennon non fu tenero con loro e disse causticamente che le "ragazze" non erano in grado di suonare la chitarra.

 
JOHN LENNON DISSE A PROPOSITO DEI THE LIVERBIRDS: 
"LE RAGAZZE NON SANNO SUONARE LA CHITARRA!"

Indipendentemente da ciò, le The Liverbirds divennero una delle principali attrazioni dello Star-Club, e pubblicarono due album e diversi singoli per la loro etichetta. Uno di questi brani, una cover di Bo Diddley, “Diddley Daddy', raggiunse la quinta posizione nelle classifiche tedesche. 



Il gruppo si sciolse nel 1968, subito dopo aver terminato un tour in Giappone (si registra una breve riunione nel 1998).

Tre dei membri della band si stabilirono definitivamente in Germania. La Saunders si trasferì in Spagna, sistemandosi ad Alicante con suo marito John e ora vive a Glasgow, dopo la morte del consorte. McGlory gestisce una società con sede ad Amburgo che ha fondato con suo marito, il cantautore tedesco Frank Dostal (morto nell'aprile 2017), che è stato uno degli ex colleghi della band allo Star-Club e in seguito vicepresidente dell'organizzazione tedesca per i diritti di esecuzione GEMA. Anche la Birch si stabilì ad Amburgo e lavorò per molti anni nei club della città. Morì il 27 ottobre 2009, all'età di 65 anni. Gell visse per molto tempo a Monaco di Baviera, ma in seguito tornò ad Amburgo, dove si spense l'11 dicembre 2016, all'età di 71 anni.

Una bella storia di musica e gioventù, forse terminata troppo presto…


Album:
Star-Club Show 4 (1965)
More of the Liverbirds (1966)

Singoli:
"Shop Around" (1964)
"Diddley Daddy" (1965)
"Peanut Butter" (1965)
"Loop de Loop" (1966)

Compilation:
From Merseyside to Hamburg - The Complete Star-Club Recordings
(CD, Big Beat CDWIKD 290, 2010)