È da poco uscito l’album “Habitat”,
di Valeria Caputo, cantautrice che ebbi l’occasione
di conoscere nel 2010 quando, giovanissima, partecipò ad un concorso ideato da
Ezio Guaitamacchi denominato “Premio Janis Joplin”, ed io facevo parte della giuria.
Da allora, di acqua sotto ai ponti ne è passata,
e il tempo, unito al duro lavoro, ha permesso una sua naturale maturazione musicale il cui apice è al
momento costituito dall’album rilasciato nel 2023 e recensito
da Alberto Sgarlato per MAT2020:
https://mat2020.blogspot.com/2023/09/valeria-caputo-habitat-commento-di.html
A lei ho rivolto alcune domande,
tanto per fare il punto in un momento della vita, la sua vita, in cui è già possibile tracciare qualche bilancio…
Sono passati 11 anni da quando ti posi qualche domanda a proposito dell’uscita di “Migratory Birds”: che cosa ti è accaduto, musicalmente parlando, in questo lungo periodo?
Il tempo è volato! In questi 11 anni
ho prodotto tre dischi e nel frattempo tra un lockdown e l’altro ho conseguito
una laurea magistrale in musica elettronica e sound design. Potrai capire che
la mia musica, partendo dagli esodi “acustici”, ha subito molte influenze.
In questo percorso l’incontro
artistico con Joni Mitchell
è stato importantissimo, sia per imparare ad usare le accordature aperte, sia
per confrontarmi con un modello artistico fluido che ha spaziato moltissimo nei
generi mantenendo la sua autenticità. Gli studi al conservatorio mi hanno
permesso di familiarizzare con i grandi compositori della musica contemporanea
ed elettroacustica, uno stimolo verso il superamento dei vecchi schemi aprendo
la porta a nuove possibilità espressive.
La musica si è così proposta come uno spazio aperto in cui esercito un’espressione libera sfuggendo ad una prassi apparente in cui giustificare la mia cifra artistica. Il punto del percorso personale in cui mi trovo, di solito, segna il mio limite.
È da poco uscito il tuo terzo album in studio, “Habitat”: quali sono le peculiarità e, soprattutto, quale il messaggio che più ti sta a cuore evidenziare?
“Habitat” potrebbe rappresentare metaforicamente il ritorno a casa. Per la prima volta ho scelto di cantare in italiano, svelando molto più di me attraverso la fragilità del mio canto che scopre la nudità delle parole nella mia lingua madre. “Habitat” è fatto da brani scritti di pancia e nasce da una reale esigenza di fare la mia piccola parte per la sensibilizzazione al rispetto del pianeta che ci ospita e alla delicata questione ambientale della mia città di provenienza, Taranto. Ma è anche un viaggio alla ricerca delle radici perdute a cui mi aggrappo attraverso storie altrui per potermi stabilizzare. È il caso del brano Mel, dedicato alla compositrice tardo romantica francese Mélanie-Hélène Bonis, che a sua volta dedicò sette composizioni a sette donne della mitologia antica. In questa catena di anelli al femminile entrambe, probabilmente, abbiamo cercato un contatto nella profondità del femmineo pur nella difficoltà che ogni musicista, spesso, porta nella sua vita concreta. Basti pensare che la compositrice firmava le sue opere con lo pseudonimo Mel Bonis per celare la sua identità femminile che, ad esempio, all’epoca avrebbe di certo vincolato la considerazione della commissione di un concorso musicale.
Dal punto di vista meramente musicale esistono segni precisi della tua naturale evoluzione personale?
Dal punto di vista musicale “Habitat” è stato una conquista poiché mi ha portato ad un risultato certamente più consapevole dei precedenti miei lavori. Ho sentito di essere al timone di una nave in mezzo al mare in burrasca ma ho potuto anche disfare e rifare le mie vele e, se pur con le difficoltà implicite di una impresa dimensionata come la mia, non mi sono mai lasciata sopraffare dalle onde correndo ai ripari quando necessario. Ad esempio, in un momento critico è stato vitale affidarmi alle competenze della straordinaria Emanuela Cortesi, che ringrazio per avermi indirizzata per sviluppare l’arrangiamento del brano “Dove Finisco Io”. Posso concludere dicendo che uno dei segni evolutivi della mia crescita personale è stato quello di riconoscere ed imparare a gestire una crisi senza soccombere agli eventi e non lasciare che qualcun altro decidesse per me.
Ricordo di un tuo forte amore per Joni Mitchell… resta ancora un tuo faro?
Tutta la musica che ho ascoltato
nella mia vita ha influito nella mia produzione; come detto prima Joni Mitchell
è stata fondamentale. Nonostante l’abbandono delle accordature aperte e
dell’idioma britannico, per “Habitat” l’influenza della cantautrice canadese
gioca sempre un ruolo attivo nella mia produzione musicale e non solo. Il 2023
è stato un anno positivamente segnato da un viaggio in Norvegia per la mia
partecipazione, come ospite, nella produzione di Song Av Joni, tre concerti in teatri meravigliosi tra i fiordi per celebrare Joni Mitchell e
i 40 anni dal suo concerto a Oslo. Posso dire che è stata un’esperienza unica,
per cui devo ringraziare l’ideatore Morten Feiring, condivisa con la
chitarrista e cantante Silvia Wakte e con tanti bravissimi professionisti del settore,
tra i quali Birgitte Volan Håvik della Oslo Philharmonic Orchestra, la
deliziosa cantante Siril Malmedal Hauge, il Maestro Magnus Murphy Joelson, la
cantante danese Christina Friis-Nielsen e non ultimo il manager e cantante
Bjørn Holum.
Quale pensi possa essere oggi il ruolo del cantautore, e ne approfitto per chiedere un tuo giudizio sullo stato attuale della musica.
Il ruolo del cantautore è in parte ancora quello che già fu del menestrello e del trovatore: un giullare di grado elevato che riporta attraverso la propria poetica un riflesso del mondo che sta vivendo. Per me il cantautore porta con sé una sorta di responsabilità politica, intesa come partecipazione alla vita sociale offrendo punti di vista inediti e ampliando le proprie visioni attraverso il potente mezzo della musica. Mi pare che lo stato attuale della musica sia molto coerente con le difficoltà della situazione odierna. La musica vive una fase critica, in bilico tra la commercializzazione spietata che mette a rischio di omologazione la “gamma” delle possibilità espressive e la musica di chi ancora chi resiste, chi va controcorrente, chi ci crede e porta qualità per offrire una scelta colta. Mi sento di affermare che l’Italia offre una nuova varietà di bravi cantautori, arrangiatori, interpreti ed orchestre che spero possano ritrovare uno spazio più incisivo soprattutto dopo il duro colpo che la pandemia ha sferzato al mondo della cultura. Non mi addentro oltre per non aprire un capitolo che sarebbe troppo lungo.
Hai programmato delle presentazioni/concerti per diffondere il tuo ultimo lavoro?
Si, sono impegnata nella diffusione di “Habitat” e dei suoi contenuti, da poco sono tornata da Taranto dove ho potuto esibirmi a Casa131 e Spazioporto, due bellissime realtà culturali della provincia. Sto inoltrando la mia proposta artistica che, per la sua originalità, seleziona da sé il proprio habitat. Per ora sono stata ospite dei luoghi giusti, con l’arrivo della primavera mi piacerebbe partecipare a qualche festival e chissà magari tornare a suonare nella fortezza di Savona dove ci siamo conosciuti e dove, successivamente, fui accolta per l’Acoustic Guitar Meeting.
Cosa resta di quella giovanissima ragazza che nel 2010 partecipò al premio “Janis Joplin”?
Dall’epoca sono cambiate un po’ di
cose, è vero… di quella giovane donna resta sicuramente la voglia di esprimersi
e di condividere la musica con gli altri e di vivere la vita attraverso
esperienze significative, gratificanti e che fanno crescere.
Seguitemi!