domenica 28 novembre 2010

Lorenzo Monni-Grey Swans of Extremistan


Il mio modo di raccontare gli album che ascolto non ha regole codificate. Le informazioni che cerco sono precise e chiare e a queste unisco il feeling post ascolto, ma gli “ingredienti” non arrivano mai con lo stesso ordine e non ho quindi un metodo univoco di elaborazione.
In questo caso, dopo un unico passaggio sul lettore CD, ho ricercato una biografia di Lorenzo Monni e ho incominciato a fare 2+2. In dieci minuti ho preparato qualche domanda, l’ho spedita, e dopo due ore avevo già le risposte.
Questa premessa, apparentemente superflua, serve per aiutarmi a fornire un immagine di questo artista.
In generale si cerca di valutare solo la musica, perché alla fine è l’essenza che tutti cerchiamo, quella capace di farci stare bene o male; ma come accade per i poeti, gli scrittori, i pittori… se si sa qualcosa di più di colui che crea ed esegue, quel prodotto, normalmente assimilato con istinto, può diventare un qualcosa su cui poter discutere, forti di un discreto valore aggiunto. E perché si dovrebbe “discutere” sulla musica?
Questo è un mio pallino. Mi piacerebbe che un album diventasse l’oggetto di approfondimenti… non sulle qualità dei musicisti o sulle comparazioni trasversali, ma vero “lavoro didattico”. Chissà se esistono insegnanti di vedute così aperte! “…ascoltate quindici minuti di questa musica e poi rovesciate su carta ciò che vi è “arrivato….”
Un album( strumentale) come questo “Grey Swans of Extremistan”, si presta a infinite interpretazioni e a diversi scopi, con un elemento basilare e imprescindibile: la libertà espressiva.
Adeguandomi a tale libertà, ritorno a bomba, a Lorenzo Monni.
Mi sono fatto l’idea di essere davanti a un giovane uomo genialoide. Questo di per sé non è sinonimo di grande musicista, ne di musica di qualità, ma mi pare di captare grandi potenzialità, unite ad un certo rigore professionale, rigore che dal punto di vista relazionale si può tradurre in avversione verso quei compromessi con cui tutti, prima o poi dobbiamo fare i conti.
Ma da quanto posso capire, i compromessi musicali non fanno parte della filosofia della Lizard, e questo ha permesso a Monni di creare un “disco” che “parla senza avere alcun testo”. Anche il silenzio parla … anche il silenzio è musica… e la musica regala ai virtuosi e sensibili molto più di una serie gradevole di note.
Una delle domande poste a Lorenzo, sembrava incomprensibile, ma poi ci siamo chiariti. Riguardava “l’esperienza musicale globalizzante”. Detesto utilizzare frasi e parole che hanno del roboante, ma utilizzate solo per creare “effetti speciali”; nel caso specifico ho metabolizzato la valanga di stimoli provenienti dall’album e li ho inseriti in un contesto più ampio, perché questa musica mi da l’idea di elemento che fa parte di un “piano superiore”, riversato in un contenitore capace di miscelare arti diverse, quella delle immagini in primis.
Un banalità, una piccola cosa che chiunque può provare.
Nel formulare le domande a Lorenzo, il CD girava nel PC (era il massimo consentito in quel momento) e il programma utilizzato era il comunissimo Windows Media Player. Le tipiche immagini “spaziali”, del lettore CD erano in sottofondo. Giochi di colori, cambi di luce, assenza di coordinate, geometrie variabili in rapida successione… un mondo visuale che mi ha suggerito la domanda numero quattro, ed è stato quindi il connubio musica/immagini che mi ha portato a un ragionamento, ad una catalogazione, ad un giudizio sulla musica di Monni, che potrebbe essere lontano anni luce dai propositi dell’autore, ma ha provocato in me una reazione… in piena libertà.
Come spesso scrivo e dico, appiccicare a un musicista una determinata categoria musicale serve solo a chi, curiosamente, a lui si avvicina, e forse qualche indicazione può avere una certa utilità. Lorenzo Monni pare sia inserito nell’area prog, e io mi inventerei una sorta di… “prog sperimentale”, pur sapendo che entrambi termini non fanno la felicità di questo artista.
Le definizioni di musica progressiva si sprecano e io ne conosco molte, oltre ad avere una mia opinione precisa. “Grey Swans of Extremistan” è “progressivo” nel senso etimologico del termine, in quanto brano dopo brano, o all’interno del brano stesso, l’aumento costante, così come la diminuzione, sono una peculiarità fondamentale. E questo senso di dinamicità a due direzioni è la caratteristica che maggiormente mi porta ad inserire la musica in un contenitore più capiente, multi spazio e multifunzione, naturalmente in assoluta libertà.
Ma a cosa assomiglia allora questa musica che viene definita prog… Gentle Giant? Van der Graaf? Oppure i Gong e la scuola di Chanterbury? Un tocco di Soft Machine?
Sono incapace di dare esatte dimensioni, ma se devo dar retta al mio feeling, posso dire di aver trovato la “lucida schizofrenia” di Robert Fripp miscelata alla “razionale pazzia “ di Frank Zappa. Troppo complicato? Provare l’ascolto please!
Non ho voluto sezionare “Grey Swans of Extremistan”, album che ci regala quarantacinque minuti di musica stimolante. L’immagine globale è quella che preferisco dare in casi come questi, certo di provocare una certa curiosità nei potenziali lettori, e un minimo di ascolto, a fine post, può alimentare la voglia di “saperne di più”.
E che i Lorenzo Monni si moltiplichino!
http://www.myspace.com/lorenzomonni



L’INTERVISTA

Ho letto la descrizione della tua storia, e mi pare di capire che dietro all’ironia del tuo “racconto” ci sia un bel po’ di amarezza, non tanto legata a chi non comprende la tua musica, fatto di per sé non condannabile, ma a chi cerca di darti una collocazione, giudicandoti in modo superficiale. Sono su una strada sbagliata?

Credo che tu dica cose giuste. Ecco, ogni musicista (e in generale, ogni essere umano) ambizioso ha dei momenti di scarsa lucidità, sono quei momenti in cui ti prende la rabbia perché ti rendi conto che gli altri non possono sempre pensarla come te, che non possono tutti apprezzare emotivamente quello che scrivi, e questo a volte è difficile da accettare, ma è una cosa naturale, e arrabbiarsi per questo denota scarsa lucidità. C’è però un’incazzatura del tutto motivata, ossia quella che mi viene quando un mio disco arriva alle orecchie di un critico e questo si obbliga a scriverci due righe senza averci capito una mazza, allora mi chiedo (ma mi piacerebbe chiederlo proprio a quel critico): ma chi te lo fa fare? Perché devi costringerti ad ascoltare e addirittura descrivere cose che non puoi capire? Questo è il paradosso che purtroppo affliggerà sempre una certa categoria di critici d’arte, quelli che non riconoscono i propri limiti (ma vorrebbero sempre fare a gara riconoscere i limiti degli artisti). Per quanto riguarda l’ironia della mia biografia: a me piace un sacco scrivere in maniera ironica, e l’ironia non può che essere amara.

Mi ha colpito la frase dove ti dichiari inserito a pieno titolo nel contesto prog, ma dici di non essere amato completamente dall’appassionato più incallito. Io sono nato col prog( ma a quei tempi non sapevamo si chiamasse così…) e ho sentito le versioni più svariate. Mi dai la tua definizione di giovane musicista? Cosa vuol dire nel 2010 fare musica progressiva?

Ecco, devo confessarti una cosa, anzi due: 1) io non ho ancora capito cosa sia il progressive 2) io ascolto pochissimo progressive. Quindi mi risulta difficile spiegarti cosa sia secondo me il progressive, però posso dirti la caratteristica fondamentale dei pochi gruppi progressive che più mi piacciono: tentano (a volte invano) di rifuggire totalmente qualsiasi standard e qualsiasi luogo comune musicale. A volte lo fanno in maniera artificiale, magari si rifiutano di arrangiare un brano in un modo convenzionale che però sarebbe più accomodante per le orecchie dell’ascoltatore, oppure evitano di mettere un pezzo di batteria che sia già stato pensato troppe volte da altri batteristi, e questo li porta ad essere considerati poco spontanei. Quindi ecco la seconda risposta: fare musica progressiva nel 2010 è un inferno, perché vuol dire pesare e calibrare con raziocinio qualsiasi intuizione musicale irrazionale, e ogni volta chiedersi: ha un senso quello che ho scritto? Qual è il suo significato? Puzza troppo di già sentito? Ho già scritto questo tipo di pezzo altre volte? Ogni volta un musicista progressive deve considerare quanto peso ha in un pezzo che sta scrivendo la sua parte irrazionale, e quanto peso ha la sua parte invece razionale. Se queste due parti hanno lo stesso identico peso allora il pezzo è perfetto. E nel 2010 questa è una sfida difficilissima.

Cosa significa per te suonare in pubblico … che tipo di interattività riesci a stabilire con chi è lì per vedere ed ascoltare?

E’ un tasto dolente per me, perché mentre nel lavoro in studio posso diluire la stesura dei pezzi in un qualsiasi numero di sessioni, nei live hai una sola possibilità, e siccome purtroppo ho grossi problemi di concentrazione raramente riesco a suonare come vorrei. Comunque il concerto ideale in cui mi piacerebbe suonare è quel concerto in cui il pubblico prende parte attiva al concerto e spontaneamente. Come se ci fosse un gigantesco incendio che si propaga per tutta la sala del concerto. Se il pubblico cominciasse spontaneamente a ballare e a battere in qualsiasi modo per essere parte attiva del ritmo allora sarei sicuramente soddisfatto, o se piangesse nei momenti più emotivi e intimi del concerto. Ma son cose che finora non mi sono mai successe, quindi penso di essere un pessimo performer live attualmente.

Come tradurresti in azioni le parole “... esperienza musicale globalizzante..”?

Mi piace concepire appunto la musica come qualcosa di globale, ossia che influisce non solo a livello puramente "musicale", ma che può essere contestualizzato ad altri campi, e può essere unita ad altre performance che ne completano il significato artistico. Il mio però attualmente è solo un desiderio, per esempio per il mio nuovo disco avevo progettato una serie di video paradossali che avrebbero arricchito il senso dei brani musicali, ma non ho potuto seguire questa parte parallela perchè non avevo abbastanza tempo e soldi. Un'altra cosa in questo senso che avevo in mente è sul piano concertistico, ossia di concepire i concerti come performance teatrali, ma non nel senso narrativo del termine, ma proprio come teatrini dell'assurdo in cui può succedere di tutto, in cui i musicisti si muovono seguendo il flusso musicale, delle installazioni video circondano il luogo della performance, dove gruppi di ballo si mischiano con il pubblico e lo coinvolgono e così via, il tutto con l'idea di uno spettacolo totalizzante in cui lo spettatore sembra proiettato in un mondo parallelo. Un'altra idea sempre "globale" che sto provando a sviluppare riguarda l'interazione tra arte web e musica, ossia dei siti che siano opere d'arte in cui la musica accompagna la "navigazione artistica" e risponde agli impulsi del visitatore. Ma sono tutte idee embrionali, e non ho attualmente le risorse finanziarie e umane per lavorarci sperimentalmente.

Cosa significa collaborare con una etichetta, la Lizard, che lascia massima libertà espressiva?

Per me significa avere altra gente oltre a me stesso che crede nel valore della mia musica e si adopera per far si che chi può potenzialmente apprezzarla la conosca e ne possa usufruire. Anche solo il fatto di ricevere periodicamente mail con scritto “Ciao, guarda che qua parlano di te”, “Hey, ho inviato il disco a Tizio e mi ha detto che se lo sta godendo un sacco” è una cosa simpatica.

No so cosa ne pensi del termine “sperimentale”, riferito alla tua musica, certo è che è “poco convenzionale”. Ho trovato altre esperienze simili e arrivano spesso dalla stessa zona geografica.
Esiste un libro di Riccardo Storti, “Rock Map”, che raggruppa in differenti regioni italiane musicista artisticamente omogenei. Credi che il luogo in cui si è vissuti possa arrivare a condizionare, magari inconsciamente, chi si occupa di musica, generando una sorta di uniformità espressiva?

Mmh, la corrispondenza è molto sfumata secondo me, credo che il fatto di essere sardo abbia sicuramente influenzato la mia musica, ma non nel senso che tutti i sardi scrivono pezzi che hanno le stesse sonorità. La mia terra mi ha influenzato forse laddove l’eterogeneità della mia proposta riflette le caratteristiche storiche e ambientali del posto in cui sono nato, l’ho sempre pensato, e le sarò sempre grato per questo, ma è un discorso talmente complesso che avrei bisogno di un libro per spiegare bene come la terra in cui sono nato ha influito sul mio modo di essere e quindi anche sulla mia musica. Comunque – Giusto per puntualizzare - io non credo di essere un compositore di musica sperimentale.

Quanto può soddisfare un musicista l’attività di “ingegnere del suono”? Non è un po’ come quando si passa dallo stato di alunno a quello di insegnante?

Considero l’ingegnere del suono a tutti gli effetti come un musicista (i più bravi almeno). Il lavoro in studio è quasi un’arte a sé stante, ed è ciò che può rendere definitiva una grande opera. Non tutte le grandi opere sono definitive, è questo il ruolo di chi lavora in studio di registrazione, scegliere la forma finale di un disco, in maniera che sia il più possibile vicina al significato del contenuto e il più possibile espressiva. L’ideale però sarebbe che i musicisti stessi che compongono il disco siano in grado di fare tale lavoro. E’ una sfida che trovo affascinante, ovviamente poi se ti tocca lavorare con gente che non scriverà mai della musica decente diventa una pratica magica, devi trasformare in oro anche la merda, e questo è parimenti interessante. Un altro motivo più personale per cui mi interessa l’attività di ingegnere del suono è costringermi a capire qualcosa anche a livello tecnico, lato sul quale sono sempre molto pigro purtroppo.

Quanto ha inciso la tua famiglia sulla tua formazione musicale? Hai avuto incoraggiamenti particolari?

Hanno inciso i dischi di musica classica di mio padre ascoltati da quando ero piccolo, che mi hanno segnato indelebilmente, ha inciso l’incoraggiamento della mia famiglia a farmi suonare uno strumento fin da quando avevo 8 anni. Purtroppo però più vado avanti con gli anni più la musica viene vista dai miei familiari con diffidenza, lo vedono un po’ come il motivo per il quale morirò di fame, ma gli ho spiegato che tenterò di guadagnarmi da vivere in altro modo. Ma è divertente, quando ho detto a mio zio che volevo specializzarmi in ingegneria del suono mi ha risposto con compassione, come se stessi per andare in guerra, probabilmente si sarà anche fatto il segno della croce dall’altro capo del telefono.

Mi indichi il musicista dei tuoi sogni… un mito a cui ti sei spesso rifatto, almeno nelle linee guida?

E’ difficile dirtene solo uno, però il primo – e quindi forse il più importante - che mi viene in mente è indubbiamente Stravinsky. Ti giuro, mi brucerebbe tantissimo non poter mai scrivere una cosa incredibile come la Sagra della Primavera, ma temo che non ci riuscirò mai. Però leggendo qualche sua biografia ho capito che mi sta sul cazzo come persona, quindi non riuscirei mai a identificarmi con la sua figura, non ho il suo carisma e la sua stronzaggine. Miles Davis invece mi affascina per il suo percorso artistico, il suo bisogno continuo di cambiare e di inseguire il tempo e avere mille volti, e questo è un po’ lo stesso motivo per cui ammiro molto anche David Bowie. Poi visto che mi hai precedentemente fatto domande riguardo all’ingegneria del suono non posso non citarti gli Steely Dan che dal punto di vista dell’uso dello studio di registrazione sono attualmente il mio punto di riferimento principale.

Cosa vorresti realizzare, musicalmente parlando, entro i prossimi cinque anni?

Vorrei poter andare in giro per il mondo suonando, non importa se la musica mia o quella di altri, a me piace l’idea di viaggiare da un posto all’altro per motivi musicali ed incontrare sempre nuova gente tramite la musica. Poi vorrei avere la possibilità di atterrare con un volo Charter in Inghilterra, ad accogliermi correndo in mezzo alla pista c’è Brian Eno, lui sorride mi stringe la mano e mi dice: “Oh Lorenzo, sei fantastico, ammiro il lavoro che stai facendo”. Io rido, lo guardo negli occhi e gli dico: “Grazie Brian, però una cosa devo dirtela e mi dispiace, negli ultimi 28 anni di carriera hai sbagliato tutto, spero che almeno con la famiglia sia tutto ok”, e poi gli regalerei la mia copia di “My life in the bush of ghosts”.