domenica 30 giugno 2024

The Alice Cooper Show: era il 30 giugno del 1972



Alice Cooper
Empire Pool, Wembley, Londra, 30 giugno 1972
The Alice Cooper Show

In realtà si tratta solo di uno specchio che metto di fronte a un pubblico per riflettere il lato più oscuro della natura umana

Alice Cooper a Roy Carr, Music Scene, 1972.

Andato in scena per la prima volta a New York il 1 dicembre 1971, “Killer di Alice Cooper era uno scioccante esempio di teatro rock che, secondo il cantante, “era figlio della televisione, del cinema e dell’America“. 
Con il singolo “School’s Out” in procinto di sbancare le classifiche britanniche, lo spaventoso spettacolo horror, con tanto di boa constrictor vivo, ghigliottina portatile e bambole decapitate, andò in scena a Londra guadagnandosi i titoli a tutta pagina dei quotidiani. Fra i presenti in sala quella sera c’era anche la giovane e accesissima fan Simone Stenfors.

Ero la più grande fan di Alice Cooper sulla faccia della terra. Tutto in lui era originale. Era un film dell’orrore, non la solita cosetta carina. Come Captain Beefhart e Frank Zappa, si trattava di musica per fuori di testa. Più o meno all’epoca del concerto, il gruppo suonò a “Top Of The Pops” e il pubblico era pieno di sosia di Alice Cooper e di ragazzine che urlavano in prima fila. Provai fastidio perché quello era il mio gruppo e mi disturbava che fossero diventati così famosi. Avevamo due posti molto indietro , ma io e la mia amica convincemmo due tipi a venderci i loro che erano all’incirca in decima fila. Quando il gruppo di spalla, i Roxy Music, finì di suonare, erano arrivati anche tutti i miei amici e mi ritrovai ai bordi della passerella, seduta in braccio a un ragazzo. Così, quando Alice si sedette lì a cantare ci trovammo alla stessa altezza. E quando cantò “Dead Babies” strappando i vestiti alla bambola i suoi occhi guardavano diritti nei miei.
“Non so dire se facesse paura o meno. Ero una ragazzina molto presa da quel tipo di cose. All’epoca uno spettacolo simile no si era mai visto. C’era il serpente per “It My Body”, il patibolo per “Killer” e tante capsule piene di sangue. Si diceva che Alice stesso avesse rischiato di finire decapitato. Credo fossero voci messe in giro ad arte, ma noi del pubblico avevamo tutti tra i 15 e i 18 anni per cui restammo parecchio impressionati.
Quando Alice, quasi alla fine, cantò “School’s Out”, lanciò gladioli al pubblico e me ne mise uno in mano. Arrivata a casa lo sistemai con la massima cura in un bicchiere pieno d’acqua. Mia madre lo buttò via: non aveva capito quanto importante fosse per me!”

Da “Io C’ero”, di Myke Paytress.

Immagini di repertorio...



sabato 29 giugno 2024

"Sandy Denny and the Strawbs": la compilation folk rock perfetta


Titolo: Sandy Denny and the Strawbs

Artista: Sandy Denny e Strawbs

Tipologia: Compilation album by Sandy Denny and the Strawbs

Pubblicazione: 1991

Registrazione: 1967 Copenaghen

Genere: Folk, rock

Durata: 36:54

Label: Hannibal

Produzione: Gustav Winckler-Joe Boyd

 

Sandy Denny and the Strawbs” è una raccolta di canzoni di Sandy Denny con gli Strawbs, band con cui collaborò prima di entrare nei Fairport Convention.

 

ASCOLTO E RIASCOLTO, DA ANNI, E OGNI VOLTA MI VIENE DA PENSARE CHE QUESTE CANZONI… NON INVECCHIANO MAI!

 

L'album, pubblicato nel 1991, è una rielaborazione di nastri registrati dalla band a Copenaghen nel luglio 1967. Le tracce di queste registrazioni furono rilasciate per la prima volta dall'etichetta Pickwick nel 1973 con il nome di “All Our Own Work”.

La tracklist di questo album è leggermente diversa e alcune delle canzoni presentano gli arrangiamenti originali degli archi, registrati nel 1967.

La più conosciuta "All Our Own Work" è un'opera interessante, collaborazione tra gli Strawbs e la cantante Sandy Denny, che in seguito avrebbe acquisito fama come membro dei Fairport Convention. Appare da subito chiaro il talento e la creatività di questo gruppo di artisti all'inizio della loro carriera.

L'album presenta una formazione dei Strawbs leggermente diversa rispetto a quella che sarebbe diventata quella più nota della band.

Le tracce dell'album sono una combinazione di composizioni originali e tradizionali, che fondono il folk britannico con influenze pop e rock.

Una delle caratteristiche distintive dell'album è la voce potente e affascinante di Sandy Denny, che si amalgama perfettamente con gli arrangiamenti delle canzoni. Tracce come "Who Knows Where the Time Goes?" e "On My Way" mostrano la sua abilità nell'esprimere emozioni profonde e nel coinvolgere l'ascoltatore.

La musicalità degli Strawbs è altrettanto notevole, con le loro abilità strumentali che si miscelano per creare un suono unico derivante dall’uso di chitarre acustiche, tastiere e archi, strumenti che contribuiscono a creare un'atmosfera ricca e coinvolgente.

In termini di produzione, "All Our Own Work" è solido, sebbene sia importante considerare che è stato registrato agli inizi della carriera della band e potrebbe mancare della perfezione tecnica di produzioni più moderne.

L'album che mostra il potenziale e il talento degli Strawbs e di Sandy Denny, e risulta un lavoro imperdibile per gli appassionati di folk rock britannico.

 


Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)

Lato A

Nothing Else Will Do (Dave Cousins) – 2:25

Who Knows Where the Time Goes (Sandy Denny) – 4:09

How Everyone But Sam Was a Hypocrite (Cousins) – 2:48

Sail Away to the Sea (Cousins) – 3:23

And You Need Me (Cousins) – 3:18

Poor Jimmy Wilson (Cousins) – 2:35

Side B

All I Need Is You (Cousins) – 2:23

Tell Me What You See in Me (Cousins) – 3:41

I've Been My Own Worst Friend (Cousins) – 2:42

On My Way (Cousins) – 3:07

Two Weeks Last Summer (Cousins) – 2:06

Always on My Mind (Tony Hooper) – 1:53

Stay Awhile With Me (Cousins) – 2:24


Musicisti

Sandy Denny - voce, cori, chitarra

Dave Cousins - voce, cori, chitarra, banjo

Tony Hooper - voce, cori, chitarra

Ron Chesterman - contrabbasso


Collaboratori

Ken Gudmand - batteria

Cy Nicklin – sitar 


Crediti

Svend Lundvig - arrangiamento archi su 2, 5, 7, 13

Registrazione

Registrato a Copenaghen, Danimarca 1967.

 

Le note di copertina riportano "The original 1967 sessions" anche se quelle di “All Our Own Work” indicano erroneamente August 1968. Questa è una discrepanza in quanto entrambi gli album derivano dalla stessa fonte di registrazioni. Joe Boyd scrive che lui e Denny ascoltarono una stampa dell'album poco prima dell'uscita di “Sgt. Pepper” (giugno 1967).

 

Gustav Winckler – produttore

Ivar Rosenberg – ingegnere del suono

Karl Emil Knudsen – coordinamento




 

venerdì 28 giugno 2024

Pink Floyd: il 28 giugno 1968 usciva "A Saucerful of Secrets", l'ultimo album con Syd Barrett-Riascoltiamolo nell'articolo

 

La copertina è formata da un collage di 13 immagini tra cui figurano alcuni frammenti del fumetto basato sul Dottor Strange, l’immagine di un alchimista, immagini di ampolle e bottiglie, una ruota con i segni zodiacali, il sole, alcuni pianeti e una piccola foto del gruppo sulle rive di un fiume fuori Londra. Sulla copertina si può leggere anche la scritta “y d pinkfloyd p“. Prima della pubblicazione viene rimosso l’articolo “The” dal nome Pink Floyd.


"A Saucerful of Secrets" è il secondo album dei Pink Floyd, pubblicato nel 1968,  lavoro che segna una svolta significativa nella loro carriera, introducendo elementi psichedelici e sperimentali che li avrebbero resi celebri in seguito. È un'opera che perlustra territori sonori inesplorati e si distingue per la sua natura innovativa.

Emerge la title track, "A Saucerful of Secrets", un pezzo epico che dura oltre undici minuti, dove i Pink Floyd sfoggiano il loro talento nel creare atmosfere psichedeliche, con un'ampia gamma di suoni ed effetti sonori. La canzone è un susseguirsi di sezioni che si intrecciano, passando da momenti più riflessivi ad altri più corposi, richiedendo una buona attenzione da parte dell'ascoltatore, ma riesce a catturare l'immaginazione, con la sua complessità e la sua struttura avvolgente.

Altro punto forte dell'album è "Set the Controls for the Heart of the Sun", una traccia che esplora le atmosfere cosmiche e spaziali. La voce eterea di Roger Waters si sposa perfettamente con il mood onirico creato dalla strumentazione, conducendo verso una sorta di "trance", portando l'ascoltatore in un viaggio attraverso dimensioni sonore inimmaginabili.

"A Saucerful of Secrets" presenta anche pezzi più brevi e immediati, come "Remember a Day" e "See-Saw", che mostrano la vena melodica della band e,  sebbene meno sperimentali, non perdono la loro essenza psichedelica, grazie all'uso di strumenti come l'organo e le tastiere che conferiscono loro un suono unico.

Nonostante la grande qualità delle trame sonore, "A Saucerful of Secrets" soffre di alcune incongruenze e disomogeneità nella produzione. Questo può essere attribuito alla sua natura sperimentale, che potrebbe non appagare completamente i gusti di tutti gli ascoltatori. Tuttavia, è proprio questa ricerca del nuovo a renderlo un disco così affascinante e avvincente per gli appassionati di musica progressiva e psichedelica.


Artista: Pink Floyd

Album (in studio): A Saucerful of Secrets

Pubblicazione: 29 giugno 1968 nel Regno Unito-27 luglio 1968 negli Stati Uniti

Durata: 38:48

Tracce: 7

Genere: Rock psichedelico

Etichetta: Columbia Graphophone Company/EMI nel Regno Unito Tower Records/Capitol negli Stati Uniti

Produttore: Norman Smith

Registrazione: agosto–ottobre 1967

gennaio–aprile 1968

Abbey Road Studios e Sound Techniques Studios, Londra


Ma si possono fare altre considerazioni legate ad una figura in particolare, perché la nascita dell'album coincise con il declino dello stato mentale di Syd Barrett, frontman e chitarra solista del gruppo fino all'ingresso di David Gilmour. Questo è l'ultimo lavoro dei Pink Floyd a cui Barrett prese parte prima di essere allontanato definitivamente dal gruppo. È proprio in questo periodo che Barrett cominciò ad accusare problemi di carattere psichiatrico e psicologico. In sua presenza le registrazioni risultarono lunghe e difficoltose e divenne impossibile per il gruppo continuare con lui. Le uniche apparizioni di Barrett in quest'album furono la chitarra su “Remember a Day”, “Set the Controls for the Heart of the Sun”, “Corporal Clegg” e “Jugband Blues”, quest'ultimo unico brano dell'album da lui scritto e cantato.

La versione del brano “Set the Controls for the Heart of the Sun”, contenuta in quest'album, in particolare, è l'unica nella loro discografia suonata da tutti e cinque i membri della band.

"A Saucerful of Secrets" è da considerarsi un'opera imprescindibile nella discografia dei Pink Floyd e un importante tassello nella storia della musica rock.


Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)

Lato A

Let There Be More Light – 5:39 (Roger Waters)

Remember a Day – 4:33 (Rick Wright)

Set the Controls for the Heart of the Sun – 5:28 (Roger Waters)

Corporal Clegg – 4:13 (Roger Waters)

Lato B

A Saucerful of Secrets – 11:57 (Roger Waters, Rick Wright, Nick Mason, David Gilmour)

See-Saw – 4:36 (Richard Wright)

Jugband Blues – 2:56 (Syd Barrett)

 

Formazione

David Gilmour – chitarra (tracce 1, 3-5), kazoo (traccia 4), voce (tracce 1, 4 e 5)

Roger Waters – basso, percussioni, voce

Rick Wright – pianoforte, organo, mellotron, vibrafono, xilofono, voce, tin whistle (traccia 7)

Nick Mason – batteria, percussioni, voce (traccia 4), kazoo (traccia 7)

Syd Barrett – chitarra acustica e slide guitar (traccia 2), chitarra (tracce 3, 4 e 6), cori (traccia 6), voce solista (traccia 7) 

Altri musicisti

Norman Smith – batteria, percussioni (traccia 2), voce parlata (traccia 4)

The Salvation Army (The International Staff Band) (traccia 7):

Ray Bowes – cornetta

Terry Camsey – cornetta

Mac Carter – trombone

Les Condon – tuba in Mi

Maurice Cooper – eufonio

Ian Hankey – trombone

George Whittingham – tuba in Si bemolle






giovedì 27 giugno 2024

Nel ricordo di John Entwistle



Il 27 giugno del 2002  moriva, a soli 57 anni, John Entwistle, bassista storico degli Who; il suo corpo viene ritrovato nella stanza dell'Hard Rock Hotel di Las Vegas: le cause del decesso riportano ad un attacco cardiaco aggravato da uso di cocaina.
Raccolgo stralci di un articolo di Roberto Brunelli, del 2002, dove viene ricordata la figura di John Entwistle.

Rimasero tutti di stucco, in quel 1965, quando dalle radio inglese esplose per la prima volta My Generation, l'esordio fulminante targato The Who: due accordi perentori implacabili, una batteria selvaggia, la voce che balbetta (sì, balbetta) “voglio morire prima di diventare vecchio”, e un riff di basso imponente, di quelli che segnano la linea di confine tra un “prima” ed un “dopo” nella storia della musica. Un marchio di fuoco che ha segnato la storia del rock in eterno, attraverso i roaring sixties, fino a toccare la rivoluzione punk nel '77, e che ancora oggi continua a riecheggiare tra i solchi degli emuli rockettari più giovani, che siano post grunge, crossover, post-punk o neo-psichedelici che si voglia. Quell'incredibile, mai sentita e irripetibile linea di basso elettrico era firmata da un tranquillissimo ragazzo che si chiamava John Entwistle.

Non è diventato vecchio, John Entwistle. Era nato lo stesso giorno di John Lennon, l'8 ottobre, ed è morto a 57 anni a Las Vegas, in una stanza d'albergo, l'Hard Rock Café. Problemi di cuore, quasi certamente (lo stabilirà un'autopsia).

Trentasette anni anni dopo quell'esordio fulmicotonico di quattro imberbi ragazzetti sovente e provocatoriamente avvolti nell'Union Jack, la bandiera britannica, doveva partire da Los Angeles l'ennesima tournée degli Who. Gli Who sono uno dei quattro o cinque gruppi-pilastri della storia del rock, insieme ai Beatles, ai Rolling Stones, ai Led Zeppelin. A 24 anni dalla morte del batterista Keith Moon (overdose di farmaci), si è archiviato nei meandri della memoria un altro capitolo della sezione “Olimpo del rock”, insieme a Elvis, Hendrix, Morrison, Joplin, Lennon, Moon, Harrison e compagnia divina. Lo chiamavano “The Ox”, il virtuoso Entwistle, il bue, oppure “The quit one”: al centro della rock revolution degli anni sessanta, al centro del caos, quando tutto era nuovo, sconcertante, inusitato, febbrilmente eccitante, c'erano gli Who. E loro stessi erano una tempesta al cui centro stava, immobile come una sfinge, John Entwistle. C'era Pete Townshend (il chitarrista, il gran maestro delle cerimonie, la mente, che mulinava il braccio sopra la sua Gibson), c'era Roger Daltrey (la voce, colui che roteava il microfono come un lazo verso il cielo), c'era Keith Moon (quello fulmicotonico e portentosissimo, quello che alla fine del concerto spaccava la batteria in mille pezzettini). E c'era “The Ox”: una roccia, un monolite nell'occhio del ciclone, impassibile, marmoreo. Solo le sue dita correvano, velocissime, sulla tastiera del basso. Il rock, si sa, ama l'iperbole. Molte riviste specializzate si sono sbizzarrite, nei decenni, a nominarlo, di volta in volta, “bassista del secolo” o, financo, “del millennio”. Certo era un grandissimo: la sezione ritmica Entwistle – Moon era davvero una delle più formidabili della storia della musica, una chimica esplosiva, che – accoppiate al chitarrismo furente di Townshend – hanno fatto gli Who un “live act” inimitabile, insuperabile, sconvolgente e sciamanico. Ovvio che i britannicismi Who sono stati molto più di questo. La mente febbrile di Townshend non poteva rimanere ferma al rock pelvico, impulsivo, voluminoso, adolescente e bastardo degli inizi: prima mettendosi i panni (probabilmente senza eccessiva convinzione) di eroi dei “mod” (giovani scicchettosi della working class che si opponevano, nei primi anni sessanta, ai rockers), poi cercando di allargare i confini del rock “oltre l'immaginazione”. Nacque così Tommy (1969), la prima opera rock, nacque così quella grande (a tratti eccessiva) partitura fantastica che era Quadrophenia (1973). Nonostante il loro impatto violento degli esordi (mai completamente abbandonato), gli Who hanno sempre incarnato l'ala intellettuale del rock, senza perderne di un grammo l'energia vitalistica: l'ambizione musicale di Townshend e soci era sfrenata, e quel monumento musicale e concettuale che è Tommy sta lì da 33 anni a dimostrarlo. John “the quiet one” era uno strumento formidabile nelle mani sapienti di Townshend. Di canzoni sue non se ne contano molte nel catalogo Who: epperò sono tutti pezzi proverbiali, da Boris the spider a My Wife, a Whiskey man. Pezzi venati di un sarcasmo oscuro, spiritosi, splendidamente arrangiati, così com'erano sempre curiosi e atipici i suoi album solisti (Smash your head against the wall, 1971, Wistle Rymes, 1972, Rock, 1996, John Entwistle, 1997). Perché John era uno atipico nel mondo del rock: nato nel '44 a Cheswick, sobborgo di Londra, aveva studiato pianoforte, tromba e corno francese, esperienza che gli tornò utile quando si ritrovò ad arrangiare tutte la partiture di fiati per gli Who. Aveva cominciato in un gruppo jazz, The Confederates, dove invitò a suonare il suo compagno di scuola Pete Townshend. Poi, sempre insieme a Pete, formò i Detours, nei quali venne assunto un giovane e rissoso cantante, Roger Daltrey. Dopo poco, su consiglio del produttore Kit Lambert, si decise di cambiare nome al gruppo in The Who. Come i Beatles e gli Stones, gli Who erano soprattutto un incontro tra personalità straordinarie: ovviamente meno appariscente degli altri tre, Entwistle rappresentava la spina dorsale del gruppo. Ma tutto questo, ormai, è solo ricordo.




Dire Straits live a Sanremo il 27 giugno del 1981


La mia partecipazione ai concerti rock ha avuto, nella giovinezza, un termine ben preciso, e un altrettanto preciso nuovo inizio nella maturità.
Ricordavo bene quella prima conclusione affrettata, perché coincideva con una grande performance - o almeno la ricordo come tale - dei Dire Straits, allo stadio comunale di Sanremo. Arrivammo in cinque in auto, compreso “quella” che l’anno successivo sarebbe diventata mia moglie.
Avevo però la convinzione che fosse un giorno di agosto del 1980, e invece ho scoperto che si trattava del 27 giugno del 1981 (pochi mesi premi i D.S.erano stati ospiti al Festival di Sanremo).
Non sarei in grado di commentare quella giornata vissuta in tempi lontanissimi, ma ho casualmente trovato un articolo che la ricorda, e propongo quindi la mia scoperta estratta dall’archivio de “La Stampa”.

In rete ho trovato un altro “reperto”, l’audio dell’evento, e lo propongo a fine articolo.
Ecco quindi il commento del giornalista Roberto Basso, poco “musicale” e molto concentrato sugli aspetti al contorno, quelli corretti per un giornale generalista come era ed è La Stampa.
In ogni caso un bel ricordo!

Stampa Sera 29/06/1981 - numero 174 pagina 7


Dire Straits strepitosi
Sanremo presa d'assalto per il concerto dei Dire Straits

SANREMO — Per il primo concerto nazionale dei Dire Straits, sabato in quindicimila hanno «aggredito» Sanremo. Tutti giovanissimi, dai 14 ai 25 anni. Sono arrivati in treno, in auto, in moto, con l'autostop, a piedi, con in spalla variopinti sacchi a pelo. Un'affluenza di pubblico mai vista in Riviera per uno show musicale. Neppure ai tempi d'oro del Festival la città è stata così affollata da patiti della canzone: è il miracolo del nuovo rock, che fa muovere da distanze anche di 200-300 km masse di fans.
Angelo Esposito, proprietario di un eccentrico ristorante a due passi dal Casinò, ed organizzatore dello show dei Dire Straits, era raggiante. Ha fatto soldi a palate, ha incassato più di ogni rosea previsione. Il complesso inglese non ha deluso. Per quasi due ore con la sua musica esclusiva, ha fatto impazzire il pubblico. Dagli amplificatori ha «gettato» sui 15.000 spettatori rock a fiumi: “Comunique”, “Making Movies”, “Dire Straits”, “Sultan of swing”, “Wild West end”, “Sacred loving”, “Tunnel of love”, “Romeo and Juliet… solo per citare i titoli più applauditi.
Il campo sportivo - dove alla domenica gioca la Sanremese Calcio di fronte ad un pubblico che difficilmente supera le quattromila unità - sembrava un miniconcentrato dell'isola di Wight. Anche dopo il concerto. Sul prato, sugli spalti, per strada, cumuli di lattine vuote, sacchetti di plastica, rifiuti di ogni genere. I netturbini hanno dovuto fare parecchio extra per rimettere tutto a posto.

In soli tre anni i Dire Straits sono diventati ricchi e famosi in tutto il mondo. Il loro primo album infatti viene alla luce nel ‘78. Esplodono in America dopo aver inciso alle Bahamas il loro secondo album, “Comunique”. Nel 79 a Los Angeles incontrano Bob Dylan e insieme realizzano “Slow Train Coming”. Vincono due dischi d'oro, uno in Olanda, un altro in Australia. Il disco di platino l'avevano già vinto due anni fa in America.
Mercoledì saranno allo stadio di Torino per il loro ultimo concerto. Anche a Torino la prevendita sta andando fortissimo. 

Quale il segreto di tanto successo? «Quello dei Dire Straits - ha dichiarato a Sanremo Franco Mamone, impresario rock - è l'unico vero megaconcerto di quest'anno. Logico che gli appassionati non perdano l'occasione. Il pubblico si è fatto più esigente. Corre e paga il biglietto solo se ne vale veramente la pena».

Per il concerto sanremese la polizia aveva predisposto un servizio d'ordine nutritissimo. Sugli spalti e nel campo parecchi spinelli, ma nessun disordine. In “tilt” invece il traffico automobilistico. In 15.000 hanno praticamente intasato l'ingresso Est di Sanremo. Sull'Aurelia, attorno allo stadio, erano parcheggiate file d'auto lunghe oltre mezzo chilometro, arrivate un po' da dovunque: Milano, Genova, Savona, Vercelli, Torino, Brescia, Nizza, Montecarlo. Grossi affari hanno fatto anche bancarelle volanti e abusive che offrivano per cinquemila lire variopinte magliette e una serie di sei bottoni metallici con sopra stampati i visi dei cinque magnifici Dire. 


LA SCALETTA

Once Upon a Time in the West
Expresso Love
Down to the Waterline
Lions
Skateaway
Romeo and Juliet
News
(dedicated to John Lennon and Bob Marley)
Sultans of Swing
Portobello Belle
Angel of Mercy
Tunnel of Love
Telegraph Road
Where Do You Think You're Going?
Solid Rock




mercoledì 26 giugno 2024

Strawbs: l'ultimo album con Rick Wakeman-"From the Witchwood"

 

Album: From the Witchwood

Artista: Strawbs

Pubblicazione: luglio 1971

Genere: Folk rock

Etichetta: A&M Records (AMLH 64304)

Produttore: Tony Visconti

 

Gli Strawbs, band britannica di rock progressivo e folk rock attiva dagli anni '60, hanno prodotto molti album di grande qualità nel corso della loro carriera. Uno dei loro lavori più celebri è il terzo, "From the Witchwood", pubblicato dalla A&M Records nel luglio del 1971. Il disco fu registrato nel febbraio e marzo 1971 all'Air Studios di Londra

"From the Witchwood" è un disco che cattura perfettamente l'essenza del suono distintivo degli Strawbs. L'album presenta un mix ben bilanciato tra elementi di folk rock e rock progressivo, con testi ricchi di immagini suggestive e melodie accattivanti, una dimostrazione di abilità nell'intrecciare diverse influenze musicali in un'unica opera coesa.

L'apertura dell'album con la traccia "A Glimpse of Heaven" è un perfetto esempio di ciò che gli Strawbs riescono a fare. La canzone inizia con un'atmosfera delicata e acustica, ma si sviluppa gradualmente in un crescendo epico, grazie all'aggiunta di strumenti e arrangiamenti più complessi. Questa progressione è un elemento ricorrente nell'intero album, creando un senso di avventura e scoperta musicale per l'ascoltatore.

Altri punti salienti dell'album includono "The Hangman and the Papist" e "Autumn", che mostrano le doti compositive della band nel creare melodie coinvolgenti e testi profondi. "The Hangman and the Papist" in particolare è una canzone potente e drammatica, che affronta tematiche legate alla giustizia e alla vendetta.

Gli arrangiamenti strumentali di "From the Witchwood" sono un elemento cruciale che rende l'album affascinante. La band utilizza una varietà di strumenti - chitarre acustiche ed elettriche, tastiere, flauti e violini - per creare una gamma di suoni e atmosfere uniche. Questo contribuisce a dare all'album una dimensione sonora ricca e piena, che si sposa perfettamente con i testi e le melodie.

"From the Witchwood" è un album notevole, che merita sicuramente di essere ascoltato. La combinazione di folk rock e rock progressivo, unita a testi ben scritti e arrangiamenti impeccabili, rende questo lavoro un classico del genere.

L'album è il terzo e ultimo album che include Rick Wakeman, compresa la sua apparizione come musicista turnista nell'album del 1970 “Dragonfly”.

L'illustrazione della copertina era "La Visione di san Girolamo”, un arazzo della collezione reale spagnola.

Ascolto consigliato, magari da un click sulle tracce a seguire

 

Tracce 

Lato A

A Glimpse of Heaven – 3:50 (Dave Cousins)

Witchwood – 3:20 (Dave Cousins)

Thirty Days – 2:50 (John Ford)

Flight – 4:25 (Richard Hudson)

The Hangman and the Papist – 4:10 (Dave Cousins)

Lato B

Sheep – 4:15 (Dave Cousins)

Canon Dale – 3:40 (Richard Hudson)

The Shepherd's Song – 2:50 (Dave Cousins)

In Amongst the Roses – 3:45 (Dave Cousins)

I'll Carry on Beside You – 3:10 (Dave Cousins)

 

Da sinistra a destra: Dave Cousins, Tony Hooper, Rick Wakeman, John Ford and Richard Hudson


Musicisti

Dave Cousins – voce, chitarra, banjo, dulcimer, recorder tenore

Tony Hooper – voce, autoharp, tamburello, chitarra

Rick Wakeman – organo, celeste, clarinetto, pianoforte, pianoforte elettrico, sintetizzatore moog, clavicembalo, mellotron

John Ford – voce, basso

Richard Hudson – voce, batteria, sitar





martedì 25 giugno 2024

La bellezza di "The Cinema Show" (Genesis)

 

Esistono trame musicali che, indipendentemente dal loro valore intrinseco - spesso difficile da decodificare -, regalano sensazioni difficili da spiegare a parole. E infatti, nemmeno ci provo a raccontare che cosa mi procura la seconda parte di “The Cinema Show”! Di sicuro tanto… tanto bene, a raffica, ad ogni ascolto e in ogni possibile versione: approfondiamo… in modo più serioso!

"The Cinema Show" è una canzone dei Genesis, inclusa nell'album "Selling England by the Pound", del 1973. È un brano epico e complesso che mostra il talento compositivo e l'abilità strumentale della band. La canzone è divisa in diverse sezioni che si fondono armoniosamente, creando un'esperienza musicale coinvolgente e avvincente.

La canzone si apre con un'introduzione strumentale che crea un'atmosfera misteriosa e suggestiva. Successivamente, entra in scena la voce di Peter Gabriel, che trasmette una gamma di emozioni attraverso le sue capacità vocali eccezionali.

Gabriel racconta una storia complessa e surreale, creando immagini vivide con le sue liriche poetiche.

Una delle parti notevoli della traccia è rappresentata da un lungo e intricato assolo strumentale. I membri della band dimostrano il loro virtuosismo e la loro capacità di improvvisazione - apparente -, creando un'intensa interazione tra tastiere, chitarra, basso e batteria. Questa sezione è un vero e proprio trip musicale che cattura l'ascoltatore e lo trasporta in un viaggio sonoro emozionante. Ed è quella che… mi uccide!

Il pezzo si sviluppa attraverso diverse atmosfere e cambiamenti di tempo, creando un senso di suspense e dinamicità. Le melodie sono accattivanti e le armonie vocali sono curate e coinvolgenti.

La produzione dell'album è di alta qualità, consentendo a ogni strumento di risaltare e creando un suono bilanciato e immersivo, con la cura di ogni dettaglio sonoro e lo spazio di luce per ogni singolo strumento.

"The Cinema Show" è considerato un capolavoro della musica progressive rock. La sua complessità musicale, le liriche evocative e le performance strumentali superbe ne fanno un brano che merita di essere ascoltato attentamente. È un esempio della maestria e dell'innovazione dei Genesis come band, che hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo del genere prog rock.

Entriamo ora nella particolarità della lirica.

Del testo, scritto da Mike Rutherford e Tony Banks, colpiscono in maniera particolare sia la struttura che i riferimenti interni. Il brano è infatti suddiviso in due parti che si distinguono fra di loro proprio per le allusioni che contengono.  Lo stacco che vi è fra una sezione e l’altra è abbastanza chiaro, con la prima che vede come protagonisti Romeo e Giulietta, e la seconda Tiresia. Sembra che Mike e Tony siano stati influenzati dalla poesia “The Waste Land”, di T.S. Elliot, con particolare attenzione alla terza sezione, “The Fire Sermon”, giocata appunto, sulla figura di Tiresia, colui che è stato sia uomo che donna.

Le due sezioni su citate si caratterizzano anche per una suddivisione di tipo musicale. Se la prima parte ha una melodia segnata dal suono e dall’incrocio di due chitarre a dodici corde, la seconda ha invece un articolato assolo di tastiera costruito da Tony Banks.

Con “The Cinema Show” siamo davanti alla ripresa di uno dei temi più cari ai Genesis, quello mitologico, che a sua volta si cuce molto bene con quello della prima sezione perché riprende in un certo qual modo il rapporto fra la figura maschile e quella femminile, vista la particolare storia di Tiresia. I riferimenti alla terra e al mare che si ritrovano in alcune strofe, infatti, alludono rispettivamente all’uomo e alla donna.

Ascoltiamo il brano in due differenti versioni, una antica e la seconda proposta recentemente on stage da Steve Hackett e la sua band. 

Album: Selling England by the Pound

Artista: Genesis

Data di uscita: 1973 

 

Liryc

Home from work our Juliet

Clears her morning meal

She dabs her skin with pretty smell

Concealing to appeal

I will make my bed

She said, but turned to go

Can she be late for her cinema show?

Romeo locks his basement flat,

And scurries up the stair.

With head held high and floral tie,

A weekend millionaire.

I will make my bed

With her tonight, he cries.

Can he fail armed with his chocolate surprise?

Take a little trip back with father Tiresias,

Listen to the old one speaks of all he has lived through.

I have crossed between the poles, for me there's no mystery.

Once a man, like the sea I raged,

Once a woman, like the earth I gave.

But there is in fact more earth than sea. 

Take a little trip back with father Tiresias,

Listen to the old one speaks of all he has lived through.

I have crossed between the poles, for me there's no mystery.

Once a man, like the sea I raged,

Once a woman, like the earth I gave.

But there is in fact more earth than sea.

 

Writer(s): Peter Gabriel, Anthony Banks, Phil Collins, Steve Hackett, Michael Rutherford

 

lunedì 24 giugno 2024

Quella volta che Bobby Solo incontrò Jeff Beck

Bobby Solo, Jeff Beck e The Yardbirds

Un anno fa è venuto a mancare un musicista geniale, Jeff Beck.

Impossibile collegarlo ad una sola situazione musicale, ma certamente i The Yardbirds gli sono rimasi appiccicati, gruppo inglese che fece anche un’apparizione al Festival di Sanremo, nel 1966, ma… Beck non era presente.

Nel video a seguire scopriremo il perché!

Molto bello il contributo di Bobby Solo che, con il suo fare un po' gigionesco, induce a non prenderlo troppo sulserio, ma è stato un innovatore, e di musica ne sa… assai.

I segni dell’età si vedono sul viso, ma la memoria è molto vivida e il suo pensiero è davvero significativo…

 






domenica 23 giugno 2024

Gli Steppenwolf e la loro "Born to Be Wild"

 


La visione di questa antica e godibile versione di “Born to Be Wild” mi porta a rispolverare una band storica, gli Steppenwolf…


Steppenwolf è stato un gruppo rock canadese naturalizzato statunitense, attivo dal 1968 al 1972. Si formarono alla fine del 1967 a Los Angeles per opera del cantante John Kay, dal tastierista Goldy McJohn e dal batterista Jerry Edmonton (tutti precedentemente nei Jack London & the Sparrows di Oshawa, Ontario). Il chitarrista Michael Monarch e il bassista Rushton Moreve furono reclutati attraverso avvisi affissi nei negozi di dischi e strumenti musicali dell'area di Los Angeles.

Gli Steppenwolf hanno venduto oltre 25 milioni di dischi in tutto il mondo, hanno pubblicato otto album d'oro e 12 singoli entrati nella Billboard Hot 100, di cui sei sono stati top 40 hits, tra cui tre top 10 successi: "Born to Be Wild", "Magic Carpet Ride" e "Rock Me".

Il successo mondiale si scontrò con le personalità contrastanti dei membri del gruppo e ben presto si arrivò alla fine della formazione principale.

Le varie reunion e i progetti collaterali non aggiungo nulla alla, comunque, prestigiosa storia degli Steppenwolf!