Ho divorato il libro di Maurizio Baiata, in uscita ufficiale prevista per il mese di settembre (ma già disponibile sulle piattaforme online), dal titolo icastico e dal sottotitolo criptico - ma facilmente comprensibile dopo l’intervista all’autore che pubblico a seguire: “ROCK MEMORIES-Scritti ribelli E SINCRONICITA’ DI UN GIORNALISTA MUSICALE- Volume primo.”
Sono due le prefazioni autorevoli,
quella di Renato Marengo e di Susanna Schimperna, due “aperture”
all’opera e due diversi punti di vista che convergono e che forniscono valore
aggiunto, certamente partecipazioni sentite.
Anche le mie parole saranno influenzate
da sentimenti che, talvolta, potranno allontanarsi dalla razionalità, perché la
musica - anche il solo parlarne - può far volare alti e perché la sollecitazione della
memoria che riporta al periodo formativo tocca il cuore, la mente, le storie di
vita e un po’ di rammarico per un tempo andato, che solitamente quelli della
mia generazione ritengono assolutamente migliore di quello attuale.
Non voglio giungere a conclusioni in tal senso, ma mi piace crogiolarmi nelle mie sicurezze di sempre, alle quali mi aggrappo con una buona dose di sicurezza conoscendone in parte la validità.
Queste prime note rappresentano la
mia introduzione al libro, con l’intento di delineare i contorni del lavoro di
Baiata e al contempo i miei, perché non riesco a scindere le vie che intersecano il
mio periodo giovanile e quel gruppo di persone, ai miei occhi inarrivabile, che
attraverso un giornale, Ciao 2001, mi hanno fatto crescere e istruito. Non
esagero, la musica non mi ha mai abbandonato e credo nel tempo di aver fornito
il mio piccolo contributo, ma nulla sarebbe accaduto se quel numero sparuto di
giornalisti non mi avesse portato in casa musica nuova da abbinare alla mia
curiosità.
Nel corso del tempo la tecnologia ha reso possibile un contatto diretto con molti di loro, alcuni conosciuti non solo virtualmente, come nel caso di Maurizio Baiata che, come accaduto con Armando Gallo, ha partecipato episodicamente all’avventura di MAT 2020, giornale online che per nove anni ha cercato in modo dichiarato di ridare lustro a Ciao 2001 e di cui ho partecipato alla gestione.
Leggere “Rock Memories…” mi ha fatto un po’ male, uno stato d’animo che penso possa abbracciare chi riesce a capire all’impatto quale sia il tema e il linguaggio proposto dall’autore, ma oltre ad un bilancio di vita e alla sintesi personale di una storia importante, fatta di eventi e cultura pura, l’occhio di Baiata è rivolto, anche, ad un altro pubblico, quello dei giovani curiosi.
Maurizio mette mano e rivisita materiale pubblicato su Ciao 2001 dal ’70 al ’74, rivolgendosi soprattutto a quei millennials predisposti ad indagare un periodo epico di cui si continua a parlare, almeno all’interno di nicchie di appassionati. Personalmente non sono molto ottimista, ma spero di sbagliarmi e in ogni caso l’intento è pregevole e condivisibile.
L’ulteriore denominazione, “VOLUME
PRIMO”, svela la complessità del progetto, e dopo questa prima parte delineata
temporalmente arriverà un secondo book che comprenderà scritti degli anni a
seguire, quegli articoli definiti “meno asciugati, corretti e
comunque non stravolti nella sostanza”, pubblicati su Muzak, Nuovo Sound e
Best, Stereoplay, Rolling Stone prima edizione e Classic Rock.
Nella sua prefazione Susanna Schimperna
sottolinea inizialmente le parole di Baiata: “Per leggere questo libro
bisogna lasciarsi andare al Suono che lo ha generato”, e aggiunge il giornalista:
“Un giorno nacque il Rock e il mondo non fu più lo stesso”.
Con questa chiosa inizia il viaggio delle “Rock Memories”, un percorso dinamico che accorcia spazi e tempi, e che partendo dalla “Johnny B. Goode” di Chuck Berry (1958) termina nel 1980 con con gli U2 (“I will follow”), venti tracce con ampia didascalia e consigli per l’ascolto, possibilmente in vinile, perché anche il tipo di fruizione appartiene a quel rito fatto di piena condivisione, con tanto di fruscio tipico del “mezzo”, e almeno una volta occorrerebbe… provarne l’ebrezza!
Qualche nome? Lo start è affidato a Jimi Hendrix e alla sua “Purple Haze” (senza tempo), e passando per i Santana di Woodstock (“Soul Sacrifice” - 1969) e i Jethro Tull ("My God"-1971) si arriva ai The Who ("Baba O'Riley-1971) e ai Led Zeppelin (“Kashmir” - 1975). Tanto per fornire qualche sample.
La super sintesi della vita di Baiata riporta ad un inizio di lavoro giornalistico iniziato ai tempi del liceo, con collaborazioni e differenti ruoli in ambito musicale e vaste esperienze negli States - in due periodi differenti -, questo per chiarire il curriculum rilevante, che oltre a significare gratificazione personale sancisce skills e autorevolezza nell'affermazione e nel racconto.
Il saggio prende il via e vengono proposti articoli “ripuliti” accanto alle immagini degli originali, e appare chiaro come non esista un genere preferenziale - anche in quei giorni era necessaria diversificazione e apertura mentale - senza dimenticare che il primo Baiata non poteva certamente essere un grande esperto, per mero elemento anagrafico, e che tutto il periodo che lui racconta gli sarà servito per accumulare esperienze che poi, dalla sua posizione privilegiata, ha potuto condividere col resto del mondo.
Pop, jazz, blues, prog, rock, psychedelia,
folk, sperimentazione, avanguardia, cantautorato… non ci sono paletti che possano
restringere il campo di interesse e la proposta, con occhi che si muovono tra
Italia, Inghilterra, America, Germania.
E poi interviste e commenti ad album
e incontri sonori.
Qualche
nome altisonante sparso?
Black Sabbath, Jefferson Airplain, John Mayall, Rory Gallagher, ELP, King Crimson, Colosseum, Francesco Guccini, Antonello Venditti, Angelo Branduardi, Claudio Rocchi, Tangerine Dream, Soft Machine, The Doors, Osanna, Il ritratto di Dorian Gray, Il Balletto di Bronzo, Joe Cocker, Magma, Santana… mi fermo qui. La lista è lunga!
A conclusione del libro segnalo un
paio di capitoli rilevanti.
Il primo riguarda la discografia rock
consigliata dall’autore a cinquant’anni di distanza da quella realizzata per
Ciao 2001, facendo probabilmente storcere il naso, all’epoca, a molti colleghi di
redazione con gusti differenti.
Si va in rigoroso ordine cronologico, con una sezione finale dedicata agli album “speciali” (il triplo “Woodstock”, ad esempio) e una dedicata agli “italiani”.
L’ultimo spazio, specchio esatto di
quei giorni in cui l’interazione passava obbligatoriamente attraverso le poste
italiane, si chiama “L’Angolo del Pop”, una sorta di tribuna dei lettori
che permetteva l’unione tra giornalisti esperti e fruitori del giornale, in
tempi in cui l’idea di poter essere in apparente diretto contatto con i propri
guru dell’informazione musicale appariva gratificante, oltre che utile per i
contenuti.
Altri tempi, e mi chiedo se Baiata e i suoi colleghi potessero essere consci della loro importanza al cospetto dei giovani appassionati di rock, che trovavano un punto di aggancio reale con i propri sogni.
Una lettura che, come sottolineavo in
precedenza, mi ha regalato molto, soprattutto sotto l’aspetto emotivo, una esplosione
di ricordi, sentimenti, profumi, gusti… un’azione sinestesica che mi ha
procurato benessere a iosa.
E poi c’è la storia, la realtà, le
cose raccontate perché accadute e vissute in prima persona, il valore aggiunto
della passione applicata alla professione.
Ammetto anche la mia debolezza umana, quella che mi porta a pensare che se fossi nato un pugno di anni prima, vivendo nella città giusta, forse, anche la mia strada avrebbe potuto prendere una via simile a quella di Maurizio e tanti come lui. Sana invidia la mia!
L’intervista realizzata con Maurizio
Baiata aggiungerà molto al mio commento.
Vorrei partire da uno stimolante annuncio, “Volume primo”, segno che hai già programmato il seguito e, soprattutto, che hai materiale a iosa da proporre: come hai pianificato il progetto?
Dopo attenta riflessione, ho optato per la sequenza storica. Ho iniziato a collaborare con il Ciao nella seconda metà del 1970 (ero ancora al Liceo), curando una rubrica sulle motociclette e poi articoli su grandi personaggi dello sport mondiale. La raccolta dei pezzi musicali del “Volume Primo” parte dal novembre ‘70 (Black Sabbath) e arriva al 9 giugno ‘74 (Tim Buckley). Allora avevo già preso contatto con il Collettivo di Redazione di Muzak. Il “Volume Secondo” si aprirà su articoli e recensioni del “Ciao 70-74” esclusi dal primo per ragioni di spazio. Poi arriveranno i materiali tratti da Muzak luglio 74-novembre 75), dal settimanale Nuovo Sound e dai monografici della serie “Best” (75-77), fra cui quello sull’Avanguardia, da me curato. Lo stesso è previsto con Stereoplay e con l’Annuario Discografico (76-79), di cui sono stato caposervizio Rock. Chiudevo gli anni ‘70 alla direzione della prima edizione italiana di Rolling Stone e qualcosa merita di essere letta oggi. Valgono anche le mie corrispondenze da New York nuovamente per il Ciao 2001 (81-83), alcuni articoli del quotidiano Il Progresso italoamericano chiuderanno il secondo volume, che conterrà almeno sette interviste inedite a grandi del Rock tutte realizzate negli USA. Quella a Ray Manzarek è apparsa su Mat2020.
Opere come la tua contengono, anche, frammenti nostalgici e bilanci di vita, ma va sottolineato l’elemento storico, culturale e quindi didattico: a chi vorresti fosse maggiormente rivolto il tuo book?
Il libro è dedicato ai ragazzi di oggi che amano il Rock e le Avanguardie, vi troveranno fonti di ispirazione di riflessione e ne apprezzeranno la scrittura in totale libertà. Ho comunque editato e snellito molti dei testi originali per renderli di fruizione più immediata. Ai ragazzi di ieri, dai dodicenni in su, dico che di essere felice di aver condiviso con loro un’era irripetibile.
La lettura mi ha portato da subito al mio mondo adolescenziale e formativo, quando sul “mio” CIAO 2001 imparavo a memoria i nomi di giornalisti - e musicisti - che hanno accompagnato la mia crescita, non solo musicale: c’è qualche aspetto di quei giorni antichi che sarebbe riproponibile con successo 50 anni dopo?
Interrogativo da film post apocalittico. Sarebbe come parlare di “The Book of Eli” a uno che non ha mai sentito parlare delle grandi religioni monoteiste (meglio per lui sarebbe). Per questo, in apertura di libro ho inserito un lungo viaggio con una scelta di 50 brani epocali che dovrebbero accompagnarne la lettura, in effetti antecedendo di almeno tre lustri i Black Sabbath del primo album. Una colonna sonora di viaggio a cavallo di una Harley…
Approfitto della tua vita oltreoceano: quali erano le più grosse differenze tra “noi e loro” rispetto alla concezione di musica, in tutti i suoi aspetti?
Ho vissuto negli USA negli anni 1979-1986, NYC. La musica la si viveva e respirava ad ogni angolo di strada, dall’East Village ad Harlem. Le radio andavano ovunque a tutto spiano dagli altoparlanti dei boombox, gli stereo portatili. Immaginate la colonna sonora di “The Warriors” ambientata tra Centocelle e la Magliana…
Tra i tuoi tanti incontri musicali, quale/quali ti ha dato maggior gratificazione e quale/quali invece ti ha deluso?
Gratificazione imperitura l’intervista a David Bowie, il cui testo aggiornato e integrale appare nel Volume Primo. Ho lavorato con i Genesis a Roma per tre giorni per il lancio italiano di “Invisible Touch”. Mai avuto a che fare con un individuo più spocchioso e scostante quale Phil Collins.
Hai mantenuto i contatti con qualche vecchio collega di redazione?
Ad oggi, solo con Dario Salvatori.
La tua carriera professionale all’interno del mondo musicale ti ha visto impegnato in diversi ruoli, ma qual è il tuo… vestito più comodo?
Il conduttore di programmi radiofonici in cui trasmettere la musica che a me piace, l’ho fatto in passato, da “Atmosfere 2000” a “Spazio X” nei programmi Radio Rai. Mandavo i Corrieri Cosmici tedeschi, gli Amon Duul 2 e Bruce Palmer, Beaver & Krause e Terry Riley e non li sfumavo mica…
Fare il commentatore di “cose musicali” significa ascoltare, anche, materiale e generi che non si amano particolarmente: qual è la tua musica di riferimento, quella a cui ti aggrappi quando hai bisogno di stare bene, senza costrizioni professionali?
Le musiche insulse non le ho mai trattate. Preferisco lo facciano altri. Quando ho partecipato a Sanremo per due edizioni in qualità di discografico, ho avuto modo di ascoltare live Pino Mango e mi sono detto: questo è un Dio della Voce e dell’Anima, per questo nessuno se lo fila, soprattutto fra gli addetti ai lavori. La musica che per me è taumaturgica è quella dei Dead Can Dance.
Il sottotitolo di “Rock Memories” è abbastanza criptico: puoi decodificare “Scritti ribelli e sincronicità di un giornalista musicale”?
“Scritti ribelli” nasce dal fatto che il sottoscritto, come Riccardo Bertoncelli che ammiravo e a un tempo detestavo (le ragioni lui le sa, ognuno ha le proprie fissazioni), eravamo gli unici che davano “visione” ai suoni. Mi sono detto: se questo libro deve essere un report di quattro anni trascorsi ogni giorno ad ascoltare e vivere e scrivere di musica, la mia fortuna è stata di avere uno spirito ribelle, che non si conformava, ergo… le sincronicità nascono da ogni incrocio di armonie, di urla, di sberleffo, di trappole che ti si animano davanti ad ogni istante e che vuoi e devi evitare, quindi hai solo una scelta: o colleghi il tutto in un entanglement che neppure sai cosa significhi, ma avviene in automatico, oppure sei fottuto e resti solo capace di scrivere quello che altri vogliono che tu scriva.
Credo che i nostri percorsi di vita non dipendano solo da noi; qualcuno, 2000 anni fa, disse che la fortuna non esiste, ma capita talvolta che il talento incontri le opportunità: ti riconosci un po' in questa affermazione antica?
Il talento incontra le opportunità? A volte, anche per molti, è così. Per me è più il dolore dell’anima che davvero scoperchia le nuove realtà, a quel punto… lassù qualcuno ti ama. Aggiungo: il talento che utilità potrebbe mai avere se non batti le tue nocche contro il makiwara per tante e tante volte sino a sbucciartele e farle sanguinare. A quel punto l’opportunità che ti arriva è che sai che un giorno non proverai più il dolore. Ma mi piace di più concludere con il titolo di quel film dedicato a Rocky Graziano. Perché mi sento italoamericano dentro.
Avrei mille domande da farti ma le
lascio per il secondo volume!