Francesco
Renna è un
giovanissimo cantautore che racconta
molto di sé attraverso l’album “Appunti dal Blu”.
Dice
Francesco: “ In questo disco c’è sudore, ci sono lacrime, risate, tuffi al
cuore, luci fioche e ingiallite, sere e notti…” . Stati d’animo comuni a tutti, con la grande differenza che Renna,
poco più che ventenne, è in grado di
tracciare bilanci che spesso arrivano più in là, quando il tempo ha permesso di
vivere un numero impressionante di dolori e forse pochi piaceri. E non è
neppure semplice mettersi a nudo, evidenziare ciò che si ha realmente dentro,
mettere in mostra sentimenti che, in particolari stagioni della vita, si
nascondono perché considerati segni di debolezza.
Francesco ci racconta l’amore, non solo per una
donna; ci descrive la guerra, la semplicità dei gesti, il manifestarsi della
natura, in bilico tra semplicità, filosofia e frammenti di “sociale”.
Nell’intervista a seguire si scopre la scintilla
che ha provocato in lui lo scossone musicale iniziale, quel “Sono solo
canzonette” di un musicista che ha fatto scuola, quell’Edoardo Bennato che
ha anche scritto frasi come : “ … un giorno credi di essere giusto e di
essere un grande uomo, in un latro ti svegli e devi, cominciare da zero…”,
delusioni che possono essere ricondotte al microcosmo quotidiano, e ogni
singolo episodio di questo album, ogni pezzo del mosaico di “Appunti dal Blu”,
mi ha riportato all’altalena di umori e situazioni di cui siamo
vittime/protagonisti giorno dopo giorno.
La musica di cui ci “appropriamo” non dovrebbe solo
farci pensare alla bravura di chi l’ha realizzata, ma stimolare le più ampie
riflessioni.
Saper raccontare in musica tutto ciò non è materia
per tutti e quindi… giù il capello davanti alle idee chiare di Francesco Renna
e il suo cantautorato rock.
Un’annotazione
per il brano “Biciclette al Passeggio”.
Riascoltandolo e cercando di entrare nell’atmosfera di una
Bologna al risveglio primaverile, mi è
venuto naturale, tra i tanti incontri possibili, immaginarne uno con Lucio Dalla.
Di certo si sarebbe preso una lunga pausa per parlare di musica con Francesco
Renna.
L’INTERVISTA
Quando e come nasce il
tuo amore per la musica?
Sono
cresciuto negli anni ’90, quindi di conseguenza da bambino ero bombardato da
883, Fiorello, Bud Spencer, Neri per Caso, dei quali conoscevo tantissime
canzoni a memoria. Per molto tempo è stato un amore davvero semplice, sempre in
secondo piano rispetto al calcio. Spesso i miei familiari mi ricordano che
andavo a dormire con il pallone nel letto. Poi con il tempo iniziai a
collezionare musicassette, registrando canzoni in radio o comprandole alle
bancarelle. Mia madre mi consigliava di prendere lezioni di chitarra, ma io
puntualmente rifiutavo categoricamente per non togliere tempo al calcio. Verso
i 14 anni però, la cosiddetta folgorazione, a casa dei miei cugini. Mio zio
mette su un cd di un certo Edoardo Bennato, “Sono solo canzonette”. Resto
sorpreso e incantato da come questa voce strana e buffa riesca ad esprimere
qualcosa di mai ascoltato prima. Ironia, fantasia, divertimento, amore, pazzia,
tristezza, rabbia... in quelle canzoni c'è tutto. Dopo qualche mese convinsi
mio padre a comprarmi una chitarra, una Florentia da 180.000 Lire, con tanto di
armonica e reggiarmonica. Da lì cominciò la mia avventura.
Ascoltando il tuo album
si ha la sensazione che le tue influenze formative siano ampie. Esiste però un
riferimento preciso, un musicista o una band che consideri un modello da non
perdere mai di vista?
È da
premettere che tutto ciò che si ascolta in questo album si è evoluto con
estrema naturalezza, nonostante ci siano canzoni scritte anche molti anni fa,
da adolescente. In una recensione del mese scorso l’autrice scrisse che le
tracce “riescono quasi sempre ad autogiustificarsi”. Niente di più vero, ho
inteso così il lavoro, volevo che ogni canzone risultasse autonoma e che al
tempo stesso facesse riferimento all’ambiente blu(es) da cui provengo. Il
rischio è che nel suo complesso possa risultare disomogeneo, ma per quanto mi
riguarda era un rischio che andava corso. Quanto al modello / riferimento, dal
punto di vista prettamente musicale, non perdo mai di vista il Mark Knopfler
degli ultimi anni. Le sue canzoni risultano sempre fresche, soprattutto negli
arrangiamenti.
Il tema dell’amore è da
sempre oggetto di musica e liriche. Pensi che in questo “campo” il cantautore
abbia subito una sorta di evoluzione? Quali sono secondo te le differenze
maggiori tra Francesco Renna e un autore / interprete di trent’anni fa?
Quanto ho
desiderato che mi fosse posta questa domanda in questi mesi!! Non sono mai
andato particolarmente d’accordo con le canzoni d’amore, per non dire di quello
che si ascolta in radio. Ma, come il figlio che non vuole seguire a tutti i
costi le orme del padre e poi le ripercorre ugualmente, mi ci sono trovato
dentro senza nemmeno saperlo. La verità è che in realtà la stessa “Blowin’ in
the wind”, definita fin dalla sua nascita come canzone di protesta, è una
canzone d’amore nei confronti dell’essere umano. Quelle che detesto per davvero
sono le canzoni di odio oppure le canzoni d’amore preconfezionate. La musica è
sempre figlia del suo tempo, quindi se negli anni ’60 in America le canzoni di
protesta erano le più scritte e ascoltate, dipendeva da un’esigenza comune. Una
persona una volta mi chiese: “Perché non
scrivi canzoni come quelle di Guccini, perché non parli di argomenti più
importanti?”. Beh, tralasciando il fatto che ognuno scrive quel che gli
pare, secondo me in questo periodo storico più che di proteste c’è bisogno di
umanità e di coesione. Le mie canzoni in maniera molto sottile parlano di
questa tendenza, usando l’amore come pretesto per dire qualcosa di più
importante.
Ti senti più vicino a
Bob Dylan o a Bennato?
Si
possono amare due donne contemporaneamente, ma il primo amore non si scorda
mai...
Quanto ti appassionano
le nuove tecnologie e i nuovi strumenti, in funzione della tua musica?
Ho avuto
il mio primo PC a otto anni, un Pentium I da 133 mhz. Tutto ciò che ho
realizzato dopo è stata la diretta conseguenza di questo precoce avvenimento, a
partire dagli arrangiamenti dell’album. Al momento ho un rapporto molto
conflittuale con la tecnologia, in particolare con i social networks. Vorrei
avere qualcuno che se ne potesse occupare per me, mentre io nello stesso
momento vorrei poter suonare per strada, nei bar, con amici, divertendomi e
facendo ciò che mi piace fare per davvero. Per come si stanno mettendo le cose,
c’è il serio rischio di diventare una generazione di dattilografi!
Che idea ti sei fatto
dell’attuale businness che ruota attorno alla musica?
È un
settore che ha poco a che vedere con la libertà di espressione, bisogna
combattere quotidianamente se si vuole riuscire a combinare qualcosa di decente.
Comanda il potere, quindi bisogna imparare a nuotare affianco ai pesci più
grossi. Spesso mi capita di immaginare l’ambiente del Greenwich Village a New
York, negli anni ’60. Si suonava per strada, si entrava in un circuito di
persone che amava la musica e scambiava idee ed opinioni. Adesso la realtà è
invece molto frammentata, ognuno pensa esclusivamente alla propria
sopravvivenza quotidiana. Le tribute band in particolare stanno uccidendo il
modo di fare musica, complici coloro che vanno in un locale ad ascoltare cose
che già conoscono. Per fortuna esistono ancora delle brave persone, quelle
sinceramente interessate alla creazione comune di idee che possano rendere il
mondo più bello.
Mi racconti un aneddoto
particolarmente felice ed uno meno positivo legati alla realizzazione
dell’album?
Uno dei
momenti più belli è stato quando ho comprato il glockenspiel, uno strumento che
mi serviva per “Tra passato e futuro”, la traccia numero 3. Mi trovavo a
Pozzuoli e appena entrato nel mercatino pensai che lì sicuramente l’avrei
trovato, sono quelle sensazioni che si hanno senza motivo. Mi girai a sinistra
e ne vidi uno su una bancarella. Ovviamente lo acquistai immediatamente! Per fortuna non ricordo aneddoti negativi,
anche se di momenti tosti ce ne sono stati tanti, a partire da quelli in cui mi
trovavo da solo e credevo di non farcela. È ovvio che per come sono fatto non
avrei mai mollato, ma se non fossi stato supportato da qualche amico non sarei
mai arrivato in fondo al percorso allo stesso modo.
Quanto conta l’amicizia
quando si lavora in gruppo perseguendo un obiettivo?
La
maggior parte delle canzoni di “Appunti dal blu” è stata scritta in solitudine,
nella mia soffitta, nella mia stanza a Bologna, viaggiando in treno, come una
serie di note sparse che piano piano trovavano una forma propria. Il cammino
l’ho iniziato da solo, ma con il tempo si sono aggiunte persone fondamentali,
senza le quali non avrei combinato nulla. L’amicizia è importantissima perché
ti permette di lavorare in un modo molto più rilassato, a volte anche troppo!
Quanto pensi possa aver
influito la tua terra - e la cultura derivante - nella tua formazione di
musicista?
Ciascuno
è frutto della terra in cui nasce, in un modo o nell’altro. Credo di essere
ancora giovane per poter parlare di una cosa del genere, ma per il momento
faccio fatica a vedere della sana cultura nella città in cui sono cresciuto,
Avellino. Sono un grande appassionato di Delta Blues, Piedmont Blues,
Fingerpicking, Folk americano, quindi mi sento molto influenzato da questi
generi musicali e culturali, che poco hanno a che vedere con la verde Irpinia. Non
escludo però che, se un giorno dovessi andare a vivere nel Delta del
Mississippi, potrei innamorarmi della tarantella o della musica melodrammatica
napoletana!
E ora un sogno, cosa
vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, da oggi al 2015?
Vorrei
crescere ed evolvermi, padroneggiando più linguaggi musicali possibile. Suonare
e migliorarsi per me significa apprendere più significati dalla vita e
conoscere persone che hanno da dare qualcosa, nella speranza di dare allo
stesso tempo anche qualcosa da parte mia.
Note biografiche…
Immaginate una soffitta di notte, una luce fioca e una
chitarra acustica. Da qui partono le canzoni di Francesco Renna, tra post-it,
appunti, lettere, visioni dylaniane, armonie bossanova, ritmi blues e collage
di fotografie. La matrice è chiaramente cantautorale, ma l’approccio alle
canzoni può benissimo rifarsi a Chris Rea o a Willie Nelson. “Qualche anno fa tendevo a costringere le
mie canzoni in una dimensione forzata, che non solo le snaturava, ma
contribuiva anche ad ucciderle. Adesso posso dire di aver concesso più spazio
ai testi e alle musiche dal punto di vista interpretativo, provando a
liberarle, non a impacchettarle”. Se il punto di partenza è una
comunissima stanza, possiamo dire che il punto di arrivo è il cuore, nella sua
semplicità folk, nella sua profondità brasiliana e nel suo spirito blues. Il
modo di parlare di FR è diretto, ma questo non toglie spazio al sogno, anzi lo
rafforza, nel coraggio di chi ha ancora la forza di sperare.
Francesco Renna nasce in
Irpinia nel Gennaio del 1987. Inizia a suonare chitarra e armonica da
adolescente. Da allora scrive e canta canzoni.
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