Un monastero nello spazio diventa
porta per un'indagine sull'amore e l'esistenza in MONASTIR
Fin dal mio primo incontro con il cinema di Francesco Paolo Paladino, nel 2011, ho avuto l'opportunità di apprezzare la sua visione artistica unica e la sua capacità di fondere diversi linguaggi espressivi. Questo interesse è cresciuto nel tempo, accompagnando anche le sue produzioni musicali. "MONASTIR" rappresenta un nuovo capitolo in questo percorso, un'opera che, fedele alla cifra stilistica dell'autore, sfida le convenzioni e si propone come esplorazione poetica dello spazio interiore ed esteriore. Paladino ci invita a contemplare il silenzio, a interrogarci sul significato dell'esistenza e a scoprire la bellezza anche nei detriti del cosmo.
Con "MONASTIR", Francesco Paolo Paladino offre un'opera che si distingue nel panorama cinematografico attuale, un'indagine audace sul confine tra il materiale e l'etereo. Il film trascende la mera narrazione, conducendo lo spettatore in un profondo percorso introspettivo attraverso le distese cosmiche, dove echi di spiritualità e confidenze amorose si fondono in un'esperienza sensoriale senza precedenti.
La vicenda di "MONASTIR" ruota attorno a un operatore cosmico, un guardiano dell'ordine galattico (Edward Ka-Spel), la cui consueta attività di pulizia spaziale subisce una svolta con il ritrovamento di un monastero deserto, un'oasi di silenzio sperduta tra i cieli di Giove. Questo sito, anticamente rifugio di monache di clausura dedite alla solitudine cosmica, si rivela la chiave per accedere a una storia più personale, celata tra le pagine di un diario.
Dalle pagine del manoscritto emerge la voce di Suona Menfrem, mirabilmente resa da Dorothy Moskowitz, che narra di un amore capace di superare le distanze siderali e svela i segreti dietro l'abbandono del monastero. Il tentativo delle religiose di alimentare il viaggio con l'energia della preghiera, anziché con i propulsori tradizionali, fallisce a causa della fragilità umana e dell'impossibilità di raggiungere la purezza d'intenti. L'assenza di presenze umane nel monastero suggerisce un atto di estrema dedizione, forse una trasmutazione dei corpi in pura energia cosmica.
Questa atmosfera unica è frutto di scelte stilistiche precise da parte di Paladino, che con uno stile che rende omaggio al cinema contemplativo di Andrej Tarkovskij, crea un'atmosfera rarefatta e sospesa, in cui la percezione del tempo e dello spazio si dilata. Il film esplora il rapporto tra scienza e fede, addentrandosi in territori dove la razionalità si confronta con il mistero dell'esistenza.
La colonna sonora, elemento essenziale dell'opera, nasce da una fertile collaborazione tra Paladino e un gruppo di artisti eclettici. Le melodie vocali di Dorothy Moskowitz si fondono con le trame sonore elaborate da Roberto Laneri e altri musicisti, creando un paesaggio sonoro che intensifica la dimensione emotiva della narrazione. L'influenza della musica aleatoria di John Cage si percepisce nell'accostamento di elementi sonori disparati, che concorrono a generare un'armonia inaspettata.
"MONASTIR" si distingue anche per un approccio visivo innovativo. Paladino parte dal concetto di "detrito spaziale" per sviluppare una riflessione sulla natura del reperto e sulla capacità dell'arte di trasfigurare l'ordinario in straordinario. Il regista impiega materiali visivi provenienti da archivi online, come la piattaforma PEXELS, integrandoli con riprese originali e installazioni artistiche. Questa tecnica di assemblaggio, che a prima vista potrebbe apparire frammentaria, si rivela in realtà un potente strumento per esplorare la fluidità della percezione e la molteplicità delle realtà.
Perfetta, anche, dal punto di vista estetico, "MONASTIR"
è opera che sfida le convenzioni e si propone come esplorazione poetica dello
spazio interiore ed esteriore, invitando lo spettatore a contemplare il
silenzio, a interrogarsi sul significato dell'esistenza e a scoprire la
bellezza che può scaturire anche dai detriti del cosmo.
E Francesco Paolo Paladino continua a stupire il suo pubblico!
La chiacchierata con Francesco Paolo Paladino…
L'idea del Monastero come "detrito spaziale" che si trasforma in "reperto" è molto suggestiva. Potresti approfondire questa metafora e raccontare cosa ti ha ispirato in particolare?
Ho spesso riflettuto sulla “vitalità ritrovata” delle “cose morte”, perché il “detrito” è qualcosa che fortuitamente è sopravvissuto ad un processo di distruzione, naturale o indotta, della volontà umana. Il detrito si trova in uno stato di abbandono, in una sorta di placenta della sua “morte apparente”, ma continua a esistere nel suo stato particellare. Sotterrato, abbandonato, sacrificato sotto strati e sedimenti ed esigenze di altre realtà più attuali. Nel momento che, per un caso fortuito, viene ritrovato, magari dopo migliaia di anni, quel detrito assume lo “status” di “reperto”, di scheggia minimale, di cromosoma storico che la sensibilità scientifica di quel particolare momento storico cerca di decriptare, catalogare e comprendere. Nessuno può dire, al tempo del ritrovamento, se quel reperto sia qualcosa di immensamente importante o meno. Ma, attraverso quel “reperto”, si ha la presunzione/volontà sociopolitica di poter ricostruire intere civiltà scomparse. Ti faccio un esempio paradossale: se fra settemila anni un’entità vivente ritrovasse -per puro caso- seppellito in una montagna di macerie nel cosmo, un 45 giri di Pupo e null’altro della civiltà terrestre del Novecento, proverà a ricostruire attraverso “Gelato al Cioccolato” la storia e la cultura millenaria degli esseri umani. E se, a tentare di ricostruire quell’epoca passata fosse sfortunatamente una intelligenza artificiale, soggetta a aggiornamenti da parte di imperi commerciali che tendono a indirizzare i loro fruitori reali e potenziali, quello che potrebbe essere ricostruito sarebbe una sorta di “NUOVA ENTITA’” che evidenzierebbe soltanto la convenienza commerciale e nel migliore de casi il gusto estetico del ricercatore e non già una vera, oggettiva e attendibile ricostruzione storica. Verrebbe da affermare che l’unica dimensione veramente reale è “il presente”: pensare a “futuro” e “passato” è comunque un “decontestualizzare” quel futuro e passato. Essi esistono nel ricordo o nella previsione ma sempre in un presente. Una buona parte del nostro presente viene non vissuto, tralasciato, abbandonato, dimenticato ed è oggetto dei nostri rimpianti. Prima che ti venga un mal di testa voglio rispondere brevemente sul significato “metaforico” di questo progetto; in “MONASTIR” la dialettica tra “detrito/reperto” è lo spunto di tutta la storia che ho cercato di narrare. Un “operatore ecologico” che ha quale compito eliminare tutte le scorie esistenti nel Cosmo s’imbatte in un enorme monastero di suore di clausura abbandonato nel sesto cielo di Giove. Potrebbe considerare quelle strutture un enorme detrito da distruggere ma, invece, si cala nel suo interno, affascinato dall’idea di poter “ritrovare” qualcosa. Non vi è segno di vita in quel luogo, ma nel tubo dell’aria ritrova un diario scritto da una suora (reperto). E, leggendo quelle pagine, scopre le confessioni di Menfrem e comprende il motivo dello stato di abbandono di quel monastero. E qui mi fermo per non togliere sorpresa ai fruitori di MONASTIR…
Il tema dell'amore cosmico, in particolare l'amore tra due donne distanti anni luce, è un elemento centrale. Come hai immaginato e sviluppato questa forma di connessione al di là delle distanze fisiche?
In un’epoca fortunatamente caratterizzata dall’insperata affermazione dell’uguaglianza di genere e dell’abbandono di ogni sorta di demonizzazione delle coppie omossessuali, ho provato a riflettere sull’amore. Sui limiti dell’amore. Ho identificato tali limiti nello spazio, nel tempo, nella religione. Ho ragionato su questi limiti: “lo spazio infinito” che è anche il limite delle nostre conoscenze e del nostro modo di amare;” il tempo” che ci allontana, a volte per sempre, dal nostro amore; “la religione” che è basata sulla nostra energia di trasfigurare l’amore tradizionale in qualcosa di universale. Qualsiasi sia la religione a cui ci si riferisca. Questi ingredienti mi hanno prodotto quella scossa creativa che ha generato MONASTIR. Nel diario di suora Menfrem vi è la confessione dell’amore che la religiosa nutre per un’altra donna lontana spazi e anni luce da lei. È un amore che non rientra nei canoni consueti, nelle regole etiche religiose, ma è sempre immenso amore. Seppellito sotto strati di conformismo e di ignoranza, ma è sempre amore. E allora l’”amore vero”, rivolto verso un altro essere umano, non importa di che sesso… è…” un detrito” o “un reperto” seppellito nel nostro essere? Parlando della sua vicenda sentimentale Menfrem svela la missione di quel satellite-monastero. Trasformare le preghiere della confraternita di cui fa parte in energia-propellente che possa sostituire il tradizionale carburante affinché quel monastero possa proseguire il suo viaggio nello spazio in altre dimensioni del cosmo. Il fatto che, invece, il monastero sia lì, abbandonato nel cielo di Giove, sancisce il fallimento della missione: le loro preghiere non hanno la forza, l’energia spirituale per proseguire il viaggio verso mondi sconosciuti. Si comprende, dalle parole del diario, che le religiose hanno compiuto un gesto estremo per portare a termine la loro missione, immolandosi e trasformando il loro stesso corpo in energia, in amore universale. L’amore cosmico forse qualcuno lo considera un arretrato “detrito” di una cultura ormai superata, ma la mia speranza è che possa trasformarsi in un “reperto” per le generazioni future di cui hanno (abbiamo) tanto bisogno.
Hai citato Andrej Tarkovskij come un omaggio. Quali aspetti specifici della sua opera hanno influenzato maggiormente la tua visione per "Monastir"?
La riflessione cosmica di Tarkovskij avviene con poveri mezzi; i suoi film non abbisognano di costosi “effetti speciali”: è la poesia a sostenere la gran parte dei suoi film. I suoi film sono affermazione dello spirito. In MONASTIR ho cercato di affrontare temi difficili in quella prospettiva. Questi temi spirituali sono senz’altro l’elemento connettivo del grande cinema del regista russo con il mio ben più modesto lavoro.
La collaborazione con Dorothy Moskowitz e gli altri artisti sembra essere stata fondamentale. Come si è evoluto il processo creativo collettivo e in che modo le loro intuizioni hanno plasmato il risultato finale?
Inizialmente ho composto tutte le strutture musicali di MONASTIR con il computer. Subito dopo è intervenuto Roberto Laneri e la cosa si è fatta davvero interessante. Successivamente ho proposto a Dorothy Moskowitz di recitare/cantare su questi pezzi. In un primo momento non era del tutto convinta. Luca Chino Ferrari (l’altra anima del progetto United States of america, mio amico da sempre) ha con tantissima umiltà e professionalità preso i miei testi, la mia storia e ha spiegato a Dorothy il tutto, ed insieme a lei ha smussato certi angoli rendendo il testo cantabile. Dorothy ha trovato tutte le armonie vocali che hanno elevato ad un altro livello ancora questo lavoro. Soltanto dopo l’11 maggio 2024 ho aggiunto alcune altre parti solo musicali che hanno avuto la funzione di essere un raccordo con le parti cantate. Diciamo che l’ultima fase di questo lavoro è stato l’inserimento delle texture dei musicisti che ho coinvolto e che attraverso la loro sensibilità hanno portato MONASTIR alla stesura finale. È stato un procedimento evolutivo interessantissimo. Possiedo versioni diversissime di MONASTIR che documentano la sua evoluzione. Come interessantissimo è stato proporre l’arrangiamento di alcuni brani estrapolati dal progetto affidandoli a una diversa formazione musicale che li ha eseguiti l’11 maggio 2024 al Festival ANGELICA. È bello vedere come una creatura sia viva e si modifichi naturalmente, attraverso rinnovate intuizioni e sonorità di musicisti sensibili ed ispiratissimi. Come tu sai “l’alchimia” è un concetto per me e per Dorothy importantissimo a cui spesso ci riferiamo.
Considerando la natura sperimentale del film, con l'uso di immagini da PEXELS e il montaggio con Final Cut Pro X, quali sono state le maggiori sfide tecniche e artistiche che hai incontrato nel dare forma a "Monastir"?
Quando ho avuto sulle mie casse la musica di “MONASTIR” ho
compreso che aveva una grande forza evocativa. Mi venivano in mente certe
immagini, certi movimenti scenici che - dicevo tra me e me - mai sarei stato in
grado di trasporre in fotogramma, perché molto costose da realizzare senza una
adeguata produzione. Quando per caso sono incappato nel sito PEXELS ho notato
che vi erano migliaia di immagini e piccoli filmati che venivano “donati” dagli
autori a chi li volesse utilizzare. “Detriti”? “Reperti”? Ho cominciato a
visionare quella cornucopia di sensazioni provenienti da tutto il mondo. Ho
scoperto che, introducendo una chiave di ricerca specifica mi comparivano
filmati inerenti a quello specifico tema. Ho digitato allora i temi del mio
“potenziale” film, che so, “spazio”, “monastero spaziale”, e via dicendo; mi si
sono presentati cernite di filmati davvero illimitati. Come se miei operatori
avessero filmato ciò che volevo proprio in quell’istante in cui proponevo la
mia ricerca. Pertanto, rincuorato da questa enorme possibilità, ho fatto una
cernita di frammenti, visionando migliaia di frames, selezionandoli,
raccogliendo i prescelti in diverse cartelle, come se giorno per giorno avessi
dato il “ciak” su diversi set; ho riguardato quei frammenti e li ho per un
momento dimenticati. Ma con quel mood che mi frullava dentro ho organizzato un
set reale, affidato a Luka e Shiaron Moncaleano che hanno realizzato un buon
50% delle immagini del film girandole seguendo il mio copione, come fosse una
installazione artistica. Maria Assunta Karini (autrice della splendida
copertina del cd) e sua madre di 95 anni Giuseppina Pantaleoni hanno recitato
in questo spazio performativo. La cantina della loro abitazione e lo spazio
dell’ascensore si sono trasformati nell’interno del monastero/ navicella
spaziale. Ho pertanto collegato le immagini “reperti” a quelle girate; ma, non
soddisfatto, ho eseguito anche una ricerca nel mio archivio di immagini di
film, documentari, clip precedentemente da me realizzati e ho reperito fotogrammi
mai usati, anche in questo caso “frames detriti/reperti”. A questo punto ho
montato il tutto, effettuando migliaia di tagli, sovrapposizioni, ricostruzioni
di frames e correggendo i colori ed è nato il film MONASTIR, una creatura
autonoma di cui sono davvero contento.


