lunedì 16 settembre 2024

Un anno fa ci lasciava John Marshall, leggenda dei Soft Machine


Il 16 settembre del 2023, all'età di 82 anni, ci lasciava John Stanley Marshall. 

Batterista inglese, membro fondatore del gruppo jazz rock Nucleus, era nato il 28 agosto 1941. Dal 1972 al 1978 fu il batterista dei Soft Machine, sostituendo Phil Howard.

Marshall era nato a Isleworth, nel Middlesex, e nel corso della sua vita ha suonato con varie band e musicisti jazz e rock.

Dal 1999, ha lavorato con ex co-musicisti dei Soft Machine in diversi progetti legati alla Soft Machine, come SoftWare, SoftWorks e Soft Machine Legacy. Era stato in tour come membro della band, che opera di nuovo sotto il nome di Soft Machine, dal 2015 al 2023.

Mi è capitato di vedere una sua performance da pochi metri, direttamente sul palco, molti anni fa, e di quell’articolo (lettura intera cliccando a questo link: https://athosenrile.blogspot.com/2011/03/ge-prog-festival-2011-1-serata.html) estrapolo la parte relativa alla loro performance.

E poi una chicca video, seppur di pessima qualità, ripresa da pochi passi.

 


Genova: estratto dal commento del 3 aprile 2011 intitolato

“Soft Machine Legacy/Tempio delle Clessidre al Ge-Prog Festival 2011”

 

E viene la volta dei Soft Machine Legacy, una vera eredità del gruppo originario.

Il progetto, nato nel 2004 dopo il re-incontro di Hoog Hopper, Elton Dean, John Marshall e John Etheridge, cambia attori durante il percorso, per la prematura scomparsa di Dean e Hopper, ma con l’entrata di Roy Babbington si ricompongono i 3/5 del gruppo originale, tra il 1975 e il 1978. La ciliegina sulla torta è il fiatista Theo Travis.

Un tuffo tra vecchi ricordi mi porterà a commentare, con un “nuovo amico”, alla fine della performance, che l’unica volta in cui vidi i Soft Machine eravamo nei primi anni ’70, stessa città, Genova, ma era il Teatro Alcione il luogo dell’esibizione.

Li ritrovo dunque dopo una vita e mi viene spontaneo condividere qualche pensiero ad alta voce con una giovane donna, sempre dalla mia postazione privilegiata a lato del palco; osservo tutti quei ragazzi indaffarati, avanti e indietro, tra i cavi elettrici e i piatti della batteria, quasi “insensibili” alla storia della musica che li sta sfiorando (ma ovviamente per loro è un lavoro). Di certo non potrebbero mai capire cosa può provare un uomo “antico” come me, un tempo incantato dalle icone di Marshall e soci, sulle copertine dei vinili, e ora a due passi da loro, con la possibilità di sentirli chiacchierare prima dell’esibizione, o in attesa della chiamata per il bis, con le mani glissanti sulle tastiere non amplificate!

È questo il lato più romantico di tutta la faccenda, probabilmente comune a molti dei presenti.

 

Non suonano tantissimo i SML, forse un’ora e un quarto, ma … questa è la musica.

Difficile collocarli appieno nell’area prog, ieri come oggi, perché il jazz che ci regalano non lascia spazio ad interpretazione alcuna. E suonare jazz, anche se miscelato e arricchito, può significare dedicarsi solo ad una élite di persone. Leggere l'autobiografia del mitico Bill Bruford per saperne di più.

Resto incantato da tutti. I fraseggi di Etheridge sembrano improvvisazioni, ma non lo sono. Il basso di Babbington è qualcosa che necessita di spartito, ed anche il suono è estremamente preciso. Marshall sembrerebbe il più dimesso, ma da un incredibile saggio di bravura nel corso di un assolo, e poi… che tempi riesce a tenere! Theo Travis sembra capitato per caso sul palco, per il suo modo educato e delicato di muoversi, ma credo sia unico, con complicati passaggi al sax alternati a momenti di estrema dolcezza, all’insegna del flauto traverso.

Tutto bene, al di là delle mie personali aspettative.

In tutta onestà credo che un evento simile avrebbe meritato un tutto esaurito, ma… rileggiamoci il libro di Bruford.