Gianni Sapia
racconta Fakes From Another Place,
dei Post.
Guidare di notte, da
soli, con le luci di strade e città che sembrano scivolarti addosso, a volte
può diventare un’esperienza mistica. La malinconia diventa l’ingrediente
principale del polpettone che le tue sensazioni si accingono ad impastare e ti
sembra di vivere dentro un film dalle atmosfere dark, gotiche, qualcosa tipo Blade Runner o Sin City. Il tappeto di asfalto nero scorre sotto di te e nel
contempo ti dà sensazioni di passato e futuro, di vita vissuta e di vita da
vivere. L’autoradio sputava fuori uno stupido gracchiare che non riusciva
comunque ad alterare il mio stato allucinato e le poche stazioni radio che
riuscivo a sintonizzare, trasmettevano cose inascoltabili. Naturalmente Radio
Maria si prendeva. “La musica è
importante in questi momenti” e articolando quest’unico pensiero l’occhio
mi cadde sulla copertina bianca di un CD che mi aveva prestato il mio
spacciatore di dischi nuovi. “Fanno un
bel Rock!” mi aveva detto mentre me lo passava. Sopra c’era disegnata una
specie di palla ferrata stilizzata. Il corpo della palla era bianco come lo
sfondo. L’idea della figura era data dagli spunzoni neri che partivano dalla
sfera. Guardando bene poteva anche essere un sole stilizzato. Sotto, il nome
del gruppo e il titolo dell’album: Post, Fakes From Another
Place. Va bene, lo
infilo nell’autoradio. Absent Life è
il primo pezzo, che inizia con un riff chitarristico e una batteria che riporta
alla mente gli U2 di Boy e di War, con un po’ di elettronica in più,
che dà un tocco di new wave. L’inizio è promettente, penso. L’incipit di Release The Catch è affidato quasi
completamente all’elettronica, con un pestare di batteria quasi punk e
l’armonia in cui sfocia nella parte centrale è intramezzata da allucinazioni di
effetti sintetici, che poi riprendono il sopravvento nella parte finale.
Memorie di Sugarcubes in Lifes Too Good.
Si torna ad un gusto più squisitamente rockettaro con Wait. Bel pezzo! La batteria “pesta” come piace a me, coinvolgendo
tutte le parti. Charleston, rullante, grancassa tom, piatti, tutti sono
chiamati in causa. Il bravo batterista è ben coadiuvato dal resto della band
che confeziona proprio un bella canzone. Intanto l’atmosfera che mi circonda
cambia. La malinconia si dipana e lascia spazio ad una sensazione di audacia.
Potenza della musica! L’ipnosi del riff di Closer
To An End mi rapisce repentinamente e imbavaglia i miei pensieri,
coinvolgendomi pienamente in un brano dalla struttura curata che porta ad un
inaspettato ed ossessionante finale, che lascia spazio alla sferzata chitarristica
iniziale del brano successivo, Overlooking.
Un pezzo tirato. Una discesa tra le rapide della musica. Grinta vera
sottolineata dal roboante pompare del basso. Una corsa che ti lascia senza
fiato, fino al repentino stop finale. La musica ha la meglio sulla parte
probabile della mia mente e l’improbabilità ha di nuovo la meglio. Potenza
della musica! Little Waves è una
sosta appagante. Il galoppo si interrompe e uomini e cavalli si dissetano e si
rinfrancano all’ombra del romanticismo di voce e piano. Ma non c’è tempo,
bisogna rimontare in sella e continuare la cavalcata. Cosa che avviene
puntualmente con You Beggar. Riprende
la corsa con una sezione ritmica sempre più convincente, riff di chitarra che
alternano unghiate taglienti ad arpeggi graffiati e voce metallica ben cucita
tra le parti. Lo schema si ripete in Who
The Hell, dove l’amalgama strumentale è forse ancora più evidente e la
chitarra esprime maggiormente la sua potenza, con una batteria sempre in
evidenza, costante questa di tutto l’album. E siamo alla divagazione, alla
sperimentazione, all’inascoltabile, Unheard
appunto. Rumori messi in musica come base di un cantato lacerato, mi viene da
definirla così. La musica è anche gioco, scherzo. La musica è seria e ridicola
e ti dà il senso dell’ironia con cui andrebbe presa la vita. Potenza della
musica! Con la tempesta di sabbia di The
Say si ritorna sui consoni binari di rock ed elettronica in cui ormai i Post mi hanno coinvolto. Il pezzo di
congedo, Non Mi Confondere, unico
brano in italiano, sembra fatto apposta per far scorrere i titoli di coda.
Epico, onirico, ossessivo, da colonna sonora di film dove l’eroe, alla fine, ce
la fa. E scorrono i titoli di coda. Starring: Gio Franco (Vocals, Bass, Piano),
Davide Novallet (Guitars, Vocals), Gigi Laurino (Bass, Effects), Antonio Monaco
(Drums, Vocals) e loro sono i Post.
Il silenzio che prima
amplificava la malinconia ora ha un sapore diverso. Non si può definire quello
che lascia, che cambia, quello che trasforma e ricostruisce. Continuo a guidare
inebriato dai suoni che mi sono appena passati nella mente. E mi sento bene,
irresponsabilmente felice. Potenza della musica!