venerdì 7 giugno 2013

Kundalini Shakti Devi



Un incontro occasionale, provocato dall’ascolto in piena comunione di un disco di prossima uscita, termina con un regalo, quello che Matthias Sheller fa a me e ad Angelo De Negri, quando ci passa una chicca, uno di quegli album che fanno la felicità di chi li scopre, non tanto per un fatto commerciale - il prog resta comunque prodotto che fa poca cassetta - ma per la gioia di aver dato nuova vita e prima visibilità ad una musica creata quarant’anni fa, e rimasta in un ripostiglio in attesa di un atto coraggioso o di un colpo fortunato.
Era il 1974, uno degli anni più felici per quella musica che in quei giorni coinvolgeva un enorme pubblico ed era oggetto di largo ascolto.
Un gruppo di ragazzi ci prova, affascinato della creazione complessa, sulla scia dei grandi esempi d’oltremanica. Sono tanti in Italia quelli che subiscono la contaminazione, ma per emergere serve comunque un’occasione, una scintilla che scocca, una conoscenza utile … magari solo un po’ di buona sorte.
I Kundalini Shakti Devi ci provano e ci riescono, perché la materia sgorga con fluidità, ma viene a mancare la finalizzazione, quell’album che a posteriori possiamo dire sarebbe rimasto nella storia, come esempio di musica progressiva nostrana, costruita ed eseguita rispecchiando i canoni dell’epoca (Museo Rosenbach insegna).
Tutto finisce in cantina o soffitta o chissà dove, sino a che il cerchio trova la sua fermatura e tutti i pezzi del mosaico realizzano la figura idealizzata e mai composta per intero.
Sheller, da appassionato di  musica, permette la coronazione di un sogno, forse anche suo, e l’album prende vita.
Il disco si compone di tre brani lunghi, per un totale di quarantasette minuti che odorano di anni lontani. Non è la conoscenza del punto di inizio che può influenzare, giacché la musica ideata da Roberto Paramhansa Puddu e amici, nel 1974, ha qualcosa che si può ritrovare anche in alcune composizioni di giovani musicisti degli anni 2000 che popolano la penisola.
Ma la cosa che colpisce è trovare attuale un prodotto che ha vissuto come ibernato, e che a seguito di scongelamento improvviso ripropone i pensieri, le idee, la filosofia di vita e le speranze di un ensemble umano che miracolosamente si ritrova attraverso il collante più potente che possa esistere: la musica e la passione che spinge e viverla.
Le liriche sono il simbolo di come eravamo: denuncia sociale, sogni, amori, mondi irreali…
La tecnologia ha poi permesso di rendere attuale l’ascolto, attraverso l’opera di digitalizzazione delle vecchie bobine.
Da chi hanno tratto ispirazione i Kundalini Shakti Devi?
L’utilizzo del sax e certe atmosfere rarefatte riconducono ai Van Der Graaf, probabilmente un amore da seguire, ma le influenze si allargano e gli spunti originali rendono il disco un “pezzo” unico, non comparabile a nessun altro che io ricordi dell’epoca.
Invito il lettore ad ascoltare il brano proposto a fine post e a leggere attentamente la lista degli strumenti utilizzati… da lacrime agli occhi!
Art work godibile, con liriche, storia e foto vintage.
Un disco da pubblicizzare, da fare conoscere e magari da proporre dal vivo.



L’INTERVISTA

Partiamo da un’apparente banalità, ma è necessario risalire alle ragioni del nome del gruppo, Kundalini Shakti Devi: cosa vi ha portato a rifarvi all’induismo?
Secondo le scritture indù, “Kundalini Shakti” è la Divina Madre Primigenia, che con la sua energia ha dato vita alla Creazione e la sostiene. Questa energia esiste anche nel corpo umano, e prende il nome di “Kundalini”. A quel tempo praticavo lo Yoga, come del resto anche attualmente; ero affascinato e cercavo i poteri  che, si diceva, il risveglio di “ Kundalini” desse, quindi  pensai fosse una cosa originale e gratificante per me dare al gruppo questo nome.

C’è fame in giro di chicche come la vostra, e conosco discografici che rastrellerebbero ogni soffitta di antichi musicisti, per proporre il materiale rinfrescato ad un popolo, purtroppo, di nicchia. Perché non è stato possibile per voi … emergere in tempo reale?
Allora, i discografici italiani, come del resto al giorno d’oggi, cercavano la “canzonetta” da fischiettare sotto la doccia, erano e sono convinti che il pubblico italiano non sia in grado di recepire della musica più impegnata. Ho trovato un sacco di porte chiuse, tranne quella di Vittorio de Scalzi, produttore della “Magma”, che però mi disse che aveva appena prodotto i “Pholas Dactylus, e non se la sentiva di investire ulteriormente altri soldi… così tornai a casa ancora una volta deluso e con le pive nel sacco.

Che cosa ha significato per voi l’incontro con Matthias Sheller?
Matthias ci ha permesso di realizzare finalmente un sogno rimasto nel cassetto, anzi in una cantina, per 40 anni, quindi a lui va tutta la nostra stima e tutto il rispetto.

Che tipo di intervento tecnico si è reso necessario per rendere il prodotto tecnologicamente avanzato, mantenendo il  tono vintage?
Come ti ho detto, la registrazione del nastro che avevamo realizzato a quel tempo in”presa diretta” giaceva nella mia cantina. Non sapevamo in che condizioni fosse, ma fortunatamente riascoltandola ci rendemmo conto che non aveva perso nulla delle frequenze originali - mancava solo la prima frase di ”Tu che ti senti così bene”, cancellata per errore da un collega al quale l’avevo prestato il nastro per ascoltarlo, così nel mio studio ricantai quella frase con gli stessi effetti di allora (flanger), e poi quando in uno studio specializzato in questo tipo di interventi facemmo la digitalizzazione del nastro riattaccammo  la frase al suo posto. L’operazione non pregiudicò minimamente il sound, anche se sul vinile, come sappiamo, questo tipo di suono risponde maggiormente.

Riascoltando la vostra musica a distanza di 40 anni, che giudizio date della vostra opera, in relazione al tempo passato?
Non possiamo che dare un giudizio positivo… per realizzarla abbiamo fatto tanti sacrifici, prove su prove, per migliorarci sempre più e per rendere più fedele possibile all’ascoltatore ciò che avevamo in mente; per quanto riguarda i suoni sono i suoni di quel tempo… certo, se avessimo avuto la possibilità di avere una strumentazione più completa (mini moog ecc…) senz’altro avremmo potuto dare di più.

Che cosa significa ritrovarsi dopo tanti anni? Quanto c’entra l’amicizia in una storia come la vostra?
”La pelle d’oca”, letteralmente… la prima volta che ci siamo sentiti per telefono avevamo la pelle d’oca,  per non parlare quando ci siamo rivisti e se non ci fosse stata una salda amicizia tra noi certamente non sarebbe stato possibile realizzare “Kundalini”.

Avete pensato alla proposizione dell’album in fase live?
Stiamo a vedere come vanno le cose, se prometteranno bene forse un pensiero lo faremo.

Pochi giorni fa ho ascoltato una critica bonaria di un santone della musica beat, che criticava la lunghezza dei brani prog - mentre lui aveva dedicato la vita a costruire brani da 3 minuti, di immediata presa. E’ sufficiente guardare le note di copertina per realizzare come sia presente nell’album una delle caratteristiche principali di quel genere: quasi 50 minuti suddivisi su 3 tracce. Cosa significava allora poter spaziare senza vincoli?
Come si può realizzare un’opera rock in 3 minuti ? La musica è un’arte e come arte deve essere libera. Questo abbiamo sempre pensato. Specialmente in questo genere ci deve essere, secondo me, solamente il vincolo dato dalla capienza dei  tempi del vinile.

Cosa si può dire  del futuro dei Kundalini Shakti Devi?
Questa nuova avventura ci è capitata improvvisamente tra capo e collo, come ti ho detto stiamo a vedere come vanno le cose, per ora aspettiamo di vedere la reazione del pubblico, poi chissà…


Line up:

Massimilano Moretti: Gibson Les Paul Custom, amplificatore VOX AC 30, voce
Roberto Paramhansa: sax tenore Mark VI, flauto Grassi flute, voce
Enrico Radaelli: organo Pari con Leslie Hammond, Elka stings
Gianni Lecchi: chitarra Gibson Studio Junior Deluxe del 1956, Amplificatore 160 W Davoli Testa Rossa, voce
Tony Ognibene: organo Pari con Leslie Hammond, voce
Ampelio Biffi: batteria Rogers
Claudio Capetta: bassi Fender Precision e Rickenbacker, amplificatore F.B.T., voce