Quando mi ritrovo in un ambiente che percepisco confortevole,
mi lascio andare e sciorino le mie perle di saggezza, le mie convinzioni, i
miei dogmi, che mi sento autorizzato a descrivere perché… ho un po’ vissuto.
Tra i tanti ce n’è uno che riguarda la musica, la sua capacità di abbattere le
barriere e di far entrare rapidamente in sintonia persone che apparentemente
non hanno molto in comune.
Non approfondisco, ma sabato 29 settembre, nel corso della
premiazione del 1° Concorso letterario “La Parola e la Musica”, organizzato da
MusicArTeam, mi sono ritrovato in questa situazione, nonostante alcune persone
fossero lì quasi per dovere… alla fine si è percepita una sincera e non
faticosa partecipazione.
Uno quasi obbligato alla presenza era Raffaello Corti, vincitore
del 1° premio nella sezione “Racconto breve”, proveniente da Bergamo.
Uno scrittore eclettico, più portato alla poesia, per sua
stessa ammissione, ma capace di “colpire” in qualunque caso, e il filmato a
seguire - lettura del racconto “La nota”
da parte di Antonio Carlucci, Presidente del Teatro Sacco di Savona - ne è una
dimostrazione tangibile.
Un uomo dalla vita avventurosa e dolorosa, costellata però di
soddisfazioni e di successi personali, sia in campo lavorativo che in quello
delle passioni.
Per approfondire è sufficiente visitare il suo esauriente
sito:
Lo scambio di battute a seguire rivelerà qualcosa in più di
questo poeta particolare che ho avuto la fortuna di conoscere.
L’INTERVISTA
Ripeto una domanda
posta nel momento del nostro incontro, sul palco. Cos’è per te la musica… oltre
la letteratura?
Ho sempre
amato la musica sin da ragazzo, con una predilezione per i cantautori italiani
dei primi anni ‘70, da Gaber a De Andrè, da Lolli a Guccini e così via (di cui
conservo con gelosia maniacale tutti i vinili all’epoca da me acquistati).
Seguendo quindi l’istinto del 14enne d’allora mi iscrissi ad un corso di
chitarra, dal quale fui però respinto perché secondo il Maestro avevo “le mani
grosse… da meccanico… e non avrei mai potuto suonare”. Da allora, ho continuato
il mio percorso come ascoltatore, affinando i miei gusti ed avvicinandomi al
jazz e alla musica popolare, specialmente quella sudamericana, brasiliana e
portoghese. Oggi, non potrei vivere senza musica, per me è uno “stato mentale”necessario,
una sorta di “continuum” esistenziale quotidiano, un’estensione naturale dei
miei pensieri muti, la forma d’aria trasparente con la quale avvolgere il mio Tutto.
La musica ha il meraviglioso potere di modificare il mio stato d’animo, e
guidarlo su mondi paralleli, ove ritrovare sensazioni ed emozioni unicamente
mie.
Leggendo le note
biografiche inserite nel tuo sito sono rimasto colpito dalla descrizione della tua vita “faticosa”,
soprattutto agli inizi, cosa che evidenzi contrapponendo i tuoi viaggi e il tuo
lavoro, quasi a dire… però, sudando e soffrendo ce l’ho fatta lo stesso… e ti chiedo in modo un po’ retorico, ma utile a comprendere la tua
storia: “ Che cosa ti ha dato tanta forza?”.
La
capacità di superare difficoltà di quella portata, penso sia stata soprattutto
l’educazione e l’amore ( dolcemente
ruvido ) ricevuto dalla famiglia affidataria, con la quale ho condiviso
qualche anno, tra un istituto e l’altro. Da bambini è difficile misurare l’intensità
del dolore e la sua capacità distruttiva che si manifesta, solitamente, in età
più adulta. Da bambini, specialmente se in gruppo ed uniti nello stessa
sofferenza, si cerca inconsciamente ed istintivamente di lottare contro gli
elementi esterni che aggrediscono il tuo essere, siano essi fisici e/o
psicologici. Solo successivamente se ne comprende l’entità valutando, con la
giusta misura, ciò che veramente si è subito e fatto. Oggi, a 52 anni, ogni
qualvolta “rileggo” la mia vita, io stesso mi stupisco di come ho saputo
reagire, di ciò che sono riuscito a costruire ! Porto ancora i segni della mia
infanzia mancata e nel mio libro “Nomen Nescio n°55” descrivo le disavventure successe
a me ed ai miei compagni e di come io sia riuscito a superarle.
Non
saprei quindi cosa mi ha dato tanta forza in questi anni, forse solo e semplicemente,
la paura di essere nuovamente abbandonato e di morire dentro, spingendomi, di
conseguenza, a dimostrare a me stesso e al mondo che io c’ero… che nonostante
tutto io ce l’avevo fatta!
E’ banale dire come
l’appropriarsi di elementi di differenti culture sia utile per lo sviluppo
personale, ma quali sono i maggiori insegnamenti che hai tratto dal vivere in
posti lontani da quello in cui sei nato?
In
realtà, io sono nato “già lontano”. La consapevolezza delle radici,
della casa, della famiglia, mi appartiene di più ora, da adulto, perché fino a
pochi anni fa il pensiero di avere un
luogo definito, deputato ad essere la magione in ogni senso era una concezione
astratta. L’essere costretto a continui spostamenti, tra orfanatrofi, collegi,
famiglie e quant’altro, mi ha creato da sempre un senso del viaggio, fisico e
psicologico. Ognuno di questi cambiamenti, mi ha donato qualche cosa ed ha
contribuito a rendermi diverso dai miei coetanei, rendendomi più “selvaggio” e
più famelico di conoscenza, di sensazioni, di emozioni di cui ero stato
privato. Il vivere poi, per diversi anni, in paesi stranieri culturalmente diversi
tra loro, mi ha regalato una arricchimento personale incredibile. Ho imparato
ad affrontare ed apprezzare le persone e la diversa umanità, a “confondermi” con esse e con la loro
cultura, per diventare insieme una sorta di opera d’arte comune, in cui ognuno
donava all’altro le sue conoscenze, la sua sete di curiosità, la ragione del suo
essere vivo. Ogni viaggio era come attraversare le pagine di un libro… ed era
poesia il mio amico siberiano Victor, che mi portava nella tundra sul fiume e
con cui comunicavo solo a mezzo disegno, mentre mangiavamo cetrioli, lardo e
vodka… era poesia Pedro, che nella sua favelas della Rocihna mi invitava a
“cena” con cocco e birra da condividere con lui e i suoi otto figli nelle notti
violente di Rio de Janeiro… era poesia il piccolo monaco buddhista di Malacca,
che durante l’ascolto dei mantra mi dedicava un sorriso e poi una ciotola di
riso… era poesia la prostituta di Ho Chi Min City, che mi salutava ogni giorno
con un sorriso smagliante sebbene avesse bruciato l’amore per pochi dollari nel suo Apecar, trasformato
in paradiso vellutato-rosso-fuoco. Ecco cosa ho portato con me dai miei viaggi
intorno al mondo, e cosa ho appreso da tutto questo, la capacità di leggere
“poesie” reali, di comprendere che non esiste il diverso, ma siamo noi stessi
che ha volte non sappiamo vedere, né leggere, né interpretare gli altri, convinti,
troppo spesso, e arroccati sulle nostre
“educazioni e certezze”, di essere i migliori!
Mi parli un po’ delle
opere letterarie che hai realizzato?ù+
Scrivo da metà degli anni 70, inizialmente
pensieri gettati tra la folla, generati dal contesto sociale e politico
dell’epoca, versi di rabbia e di speranza. Poi lentamente ho modificato il mio
scrivere seguendo la mia maturità e la realizzazione di ciò che ero stato e di
ciò che avevo vissuto, quindi la scrittura diventa catarsi, valvola di sfogo
per metabolizzare il passato, e via di uscita per scoprire l’amore. Ho
raccolto, quindi, negli anni un numero sempre più alto di poesie, che lette in
sequenza compongono la mia vita. Ma solo negli ultimi quattro anni, grazie alla
spinta di mia moglie, ho avutola la forza e il coraggio di propormi al
pubblico, al suo giudizio e alla critica. Nasce così il primo librino d’artista
edito da Pulcinoelefante con un’opera dell’artista/amico Carlo Oberti. A seguire
vede la luce “ Disegnando sull’acqua”
una raccolta di poesie interamente dedicate a mia moglie, da cui si evince il
desiderio e l’importanza che questo nuovo amore ha su di me, la mia opera più
venduta. Segue poi la raccolta “Visioni imperfette”, opera che racchiude una
serie di pensieri minimi e di brevi emozioni tracciate dal ricordo, menzione
d’onore al Concorso Oubliette Magazine e finalista al Premio “Parole e Poesia”
di Modena. Nel Marzo 2011 viene pubblicato “Scatti… di parole”, in questo volumetto
la modalità creativa fiorisce nell’accostamento di poesia e fotografia e trae
forza da due elementi: la trasposizione del pensiero in forma poetica e
l’osservazione attenta e curiosa della realtà. La fotografia, tuttavia, non è
semplice strumento esplicativo dei versi, ma offre uno spunto diverso, come
fosse una “macchina” per tracciare liriche analogie. Poi nel Maggio 2011, vede la luce l’opera a me
più cara, quella più sofferta e dolorosa, un’opera difficile e cruda “Nomen
Nescio n°55”, titolo che rappresenta il mio identificativo al brefotrofio di
Bergamo all’atto della nascita. Dalla prefazione di Maria Guerriero un breve
estratto “…il componimento è scritto
nella forma dell’autobiografia in versi liberi in cui l’autore, venuto al mondo
come figlio di N.N. (Nomen Nescio), indaga nel suo profondo il germinare di
ricordi, di stati d’animo e sentimenti legati ai primi anni di vita; la materia
toccante di questo lavoro è il senso dell’abbandono, sofferto fin dalla
nascita. Il racconto lirico diventa un journal
intime in cui un flusso di coscienza, misurato e composto, rifonde
dignità anche agli accadimenti più drammatici e umilianti aprendosi di continuo
in una poesia degli affetti...”. Il libro raccoglie un buon successo di
critica e vince il 3° premio al Concorso Oubliette Magazine, ed è in fase di
elaborazione una breve pièce teatrale legata al tema del libro.
Verranno poi la silloge “Passi”, ed altre due
pubblicazioni vincitrici di concorsi letterari e quindi edite dai rispettivi
editori ; “Impercettibili sospensioni” edito
e tradotto anche in inglese da Edizioni Miele, e “Scorrerò pagine di memoria al
tuo fianco” edito da Cicogna editore di Bologna.
Hai vinto il 1° premio
del concorso letterario “La Parola e la Musica” con un racconto breve, ma mi
hai raccontato di come tu prediliga la poesia. Che cosa ti da in più l’una
rispetto all’altro?
Scrivere
è per me un viaggio nell’anima, luogo deputato alla raccolta e alla
elaborazione di tutti i ricordi ed emozioni. Diciamo quindi che non esiste una
predilezione per l’uno o l’altro genere, penso però di esprimermi al meglio con
la poesia, in quanto segue un flusso emozionale diretto, immediato, legato ad
una immagine, un ricordo, un profumo, un luogo, qualsiasi cosa che risvegli in
me sensazioni immediate, che trasporto sulla carta al momento, elaborandole poi
con calma e dando loro una forma, che seppur breve nella maggiore parte dei
miei componimenti, racchiude l’essenza di un attimo. I racconti, a cui mi sono
avvicinato da poco, richiedono una elaborazione più complessa, più strutturale,
e tendo quando compongo un racconto a lasciarmi trascinare dalla poesia,
mischiando così a volte i due stili. Per questo mi limito alle “short story”, ai
racconti brevi, che sono più affini alla mia forma di scrivere “di getto”
sull’onda di un pensiero o di una immagine reale o fantastica che sia. Ho
scritto diversi racconti brevi, quasi tutti pubblicati in antologie di vari
editori, che seguono sempre una linea surreale, come il racconto con cui ho
vinto il vostro premio. Direi quindi che la poesia, rappresenta la parte più
profonda di me, mentre il racconto viaggia più sulla fantasia, sull’onirico,
mettendo a nudo il mio essere sognatore ed un po’ utopista.
Trasportare su di un
foglio di carta, o elettronico, le emozioni di un momento significa renderle
eterne. Eppure non è la razionalità che porta a scrivere una poesia, che non
potrebbe essere sincera se fosse frutto di un calcolo. Che cosa provi quando ti
capita di rileggere le cose scritte nel passato?
Rileggere
le proprie opere a distanza di anni, a volte è sorprendente, in quanto ritrovo
una persona diversa, e mi accorgo di come sia cambiata la mia visione delle
cose nel corso del tempo. A volte alcuni componimenti non li trovo
particolarmente belli e/o rispondenti alla mia forma attuale di espressione, ma
non li modifico perché sono una parte di me stesso e di com’ero: rileggo la
distinta capacità di esprimere la rabbia, più violenta nel passato, più
metaforica e potente ora, la diversa forma di disegnare l’amore vissuto o
desiderato. E’ praticamente un percorso nella memoria che osservo sempre con un
sorriso ed a volte con una lacrima, io sono le mie parole, che esse mi
piacciano o meno!
Che cosa è per te la
felicità?
Una
domanda complessa che richiederebbe un’analisi profonda e non basterebbero
tutte le pagine a disposizione. Ognuno ha descritto a suo mondo la felicità nel
corso del tempo, le sue forme sono molteplici e soggettive, tracciare il mio
concetto di felicità non è semplice, quindi la descriverei con una breve poesia
dedicata a mia moglie, che racchiude il senso della mia felicità:
“Ero tronco morto,
solo una piccola gemma
giaceva nascosta tra i rami.
Ora sono foglie verdi
E fiori profumati,
ora sono …Te!”
Mi hai raccontato del
tuo amore per il jazz. Il blues soprattutto, ma analogamente il jazz, sono
stati spesso la forma espressiva di chi soffriva, tanto che si è soliti
dire… no pain no blues. Quanto hanno a
che fare i tuoi gusti musicali con i tuoi momenti difficili passati
nell’infanzia?
Credo
tutto, la musica è stata parte integrante del mio percorso fin dai primi dischi
di musica classica ascoltati “in famiglia” all’età di 4 anni, alla scoperta dei
cantautori che raccontavano le nostre piccole miserie in forma di poesie
musicali, al blues e al jazz, che sono, per me, le parole che non riesco a
scrivere, i momenti che non riesco a dimenticare, i volti di amici scomparsi
troppo presto per colpe altrui. Ogni volta che mi immergo nell’ascolto di
alcuni brani jazz, per esempio il piano di Luca Flores, il mio essere si
divide, respiro la musica e mi allontano dalla mia fisicità, non più carne né
ossa, solo immagini, brividi, sensazioni, storie che si muovono sotto le mie
palpebre chiuse disegnando la mia malinconia e le mie piccole gioie.
Che idea ti sei fatto,
nonostante il poco tempo passato con noi, della nostra città e dell’ambiente
trovato al Teatro Sacco?
Della
città posso dire poco, in quanto ho fatto solo due passi e poi mi sono infilato
in buon ristorante a mangiare dell’ottimo pesce, ma da quel poco che ho visto,
credo sarà molto piacevole ritornarci e scoprirla con calma, assaporandone ogni
angolo e sapore. Relativamente all’esperienza con voi presso il Teatro Sacco,
sono rimasto davvero colpito ed emozionato. Non tanto per il premio vinto, che
ovviamente mi riempie di orgoglio, ma per la sensazione di unità e di voglia di
fare che aleggiava nell’aria, la passione per ciò che stavate facendo era
palpabile, così come il senso di umanità e speranza che traspariva dalle vostre
parole. Purtroppo le distanze non mi permetteranno di vivere appieno questa
vostra avventura, ma farò quanto mi sarà possibile per essere partecipe anche
da lontano, perché dietro quel palco ho trovato degli amici e delle persone
rare, che fanno della propria passione un cammino di vita, ed io vorrei fare
parte di tutto questo.
Che cosa ha pianificato
Raffaello Corti per l’immediato futuro?
Al momento non ho progetti per l’immediato
futuro, continuo a scrivere le mie poesie ed i miei micro racconti, partecipando
a qualche concorso. Mi piacerebbe trovare la forma per potere promuovere meglio
le mie opere ed il mio lavoro, anche se purtroppo la poesia è snobbata dai
grandi distributori in quanto “non vende”. Raccoglierò
sicuramente in un volumetto un’altra serie di poesie da sottoporre il prossimo
anno a qualche editore, per il resto saranno le mie dita ed il mio cuore che
guideranno il tempo a venire.