SERGIO PENNAVARIA - “HO PIÙ DI UN AMO
NELLO STOMACO “
(Autoproduzione)
Sono passati circa otto anni dall’uscita di "Senza
Lume a Casaccio nell’Oscurità”, album di esordio di Sergio Pennavaria, cantautore siciliano
trapiantato in Liguria; sottolineo la terra di appartenenza perché alla fine
dell’intervista realizzata a quei tempi il buon proposito per il futuro
riguardava un ipotetico lavoro dedicato in modo specifico alle origini: le
radici restano attaccate, qualunque sia il luogo in cui ci si trovi a vivere.
Il tutto è rimandato ad un terzo lavoro, probabilmente dialettale in toto, ma “Ho più di un amo nello stomaco”, album rilasciato nel maggio scorso, fornisce molti spunti interessanti e da condividere.
Anche in questo caso ho cercato di captare le idee di chi crea
e, a posteriori, direi che sia questo il modo migliore per far emergere la
profondità di pensiero di un artista che, nell’occasione, riesce a realizzare
un concept album - fatto inusuale quando si parla di cantautorato - di cui non
si può perdere neanche una tessera del puzzle, perché se è vero che ogni
singolo brano può essere vissuto come elemento a sé stante, riuscire a godere
del panorama completo è qualcosa, a mio giudizio, di imprescindibile.
Il primo fattore che è emerso, chiacchierando davanti ad un
caffè, riguarda uno stato d’animo completamente diverso rispetto al passato, palese
anche prima dell’ascolto del disco.
Otto anni sono una parte significativa di vita, cambiano la
prospettiva, aiutano a fare chiarezza e, ricordando bene il “vecchio”
Pennavaria - soprattutto dal vivo - dopo pochi minuti avevo in testa un
ipotetico titolo per il mio articolo, denominazione su cui ha concordato
l’autore: “Dalla rabbia all’amore”.
La denominazione “Dalla rabbia all’amore” contiene in
sé un concetto temporale, uno spazio concreto che inizia tra l’insoddisfazione
e il disappunto del passato per approdare alla pacatezza attuale.
Il disagio non è cambiato, forse si è pure amplificato, ma
l’esperienza e la maturità hanno spinto Sergio verso una modifica importante
dell’atteggiamento, uno stato che conduce ad una buona resilienza e alla
capacità di affrontare la vita seguendo una via più morbida, mix di razionalità
e sentimenti, con la capacità di produrre neve per ogni stagione, utile a
coprire e addolcire ogni spigolo potenzialmente pericoloso che quotidianamente ci si para davanti.
Pennavaria disegna la sua tela, lui, creativo totale,
incapace di dividere l’arte in tante nicchie, e dalla sua posizione
privilegiata (prerogativa di chi ha i mezzi per condividere con il mondo il
proprio pensiero) conduce il gioco e propone il suo parallelismo tra mare e i
sentimenti umani, tra abissi che celano segreti e stati d’animo che spesso
fanno fatica a distruggere la barriera del pudore, quella che una volta abbattuta
potrebbe portare alla liberazione.
Si parla di amore, non solo tra due essere umani, come idealizzato nella
concezione tradizionale, ma quello più completo, una dedizione appassionata,
istintiva e intuitiva fra persone, un trasporto casto, platonico, sensuale, travolgente,
tormentato, carico di desiderio, un percorso spesso doloroso da cui però non si
può sfuggire, essendo uno degli obiettivi di vita, a volte inconscio, ma essenziale.
Ogni traccia riferisce ad una storia, ed ogni amo nello
stomaco diventa il simbolo di una ricerca intensa che l’autore ha svolto su di
sé, trovando poi il modo per trasformare il particolare in generale, sempre in
bilico tra un mondo ovattato - misterioso, liquido - ed uno “rumoroso”, emerso,
necessario per “prendere fiato”, ma da cui si fugge subito dopo senza
esitazione, alla ricerca del benessere fisico e spirituale, o semplicemente
dell’apparente conforto.
Sergio Pennavaria si mette a nudo e realizza un lavoro che potrebbe
e dovrebbe commuovere, almeno gli animi più virtuosi - quelli che troveranno
facile comparazione di sentimenti facendo opera di immedesimazione -, e tutti
quelli che capiranno lo sforzo immane che è alla base di una riflessione così
complessa e coinvolgente.
Pennavaria è un poeta. Le dodici tracce che compongono
l’album mettono in luce qualità uniche, e la sua proposta non è riconducibile
ad altri esponenti del cantautorato, perché l’unione di culture e tradizioni,
in bilico tra Sicilia e Liguria - e in ogni caso il passato da busker ha
lasciato il segno! -, unita ad una preparazione personale legata al mondo dell’arte,
lo rende originale e… profondo!
Dal punto di vista strettamente musicale troviamo un parterre
di musicisti di assoluto primo piano (a fine articolo la lista completa) che
produce un tappeto sonoro che profuma di etnia e jazz, musica di atmosfera
proposta come sfondo a liriche che viaggiano tra contemporaneità e valori
immortali, con l’autore che si muove tra il sussurro ed un modello
interpretativo unico, dove il cumulo di parole sfugge alla metrica tradizionale
e produce concetti in rapida successione, una sorta di liberazione dopo una
grande raccolta di pensieri e sentimenti contrastanti.
Scelgo di non entrare nei dodici dettagli - sperando che il
mio commento possa produrre curiosità -, ed è l’autore stesso che, a seguire,
ci aiuta a comprendere i vari step.
I due brani che propongo (il link al video di “Due Parti
Precise Di Me”) e la clip relativa a “Rebus”, mi appaiono come
rappresentativi dell’intero album.
Un gran disco!
Ecco un sunto della nostra lunga chiacchierata:
Sergio, cosa è cambiato? Da dove nasce questo improvviso
interesse per una musica di qualità come la tua, dopo tanti anni di gavetta?
È vero, c’è un diverso interessamento da parte degli addetti
ai lavori. Credo ci sia un’altra atmosfera rispetto al recente passato, e la
mia proposta può essere intrigante avendo una matrice rétro, che riporta al
passato, con un’impronta da chansonnière francese; siamo attualmente arrivati alla
tragica distruzione delle parole e quindi, per qualche addetto ai lavori
lungimirante, un album come il mio può sapere di ritorno alle origini e, forse,
alimenta la speranza di poter collocare correttamente, e nel contesto più
consono, musica e parole.
In questi otto anni sei ovviamente cambiato, ma alla base
della tua proposta esisteva ed esiste lo stesso modo di concepire la musica: qual
è il punto di svolta che ti ha permesso di aprire la porta della maggior
visibilità?
Ho iniziato ad utilizzare il web e la tecnologia mi ha
aiutato, perché è stato un tramite che ha reso le mie cose immediate e quindi ha
accorciato un processo che normalmente è molto lungo, fatto di proposte e successive
attese infinite; però la visibilità social è fine a sé stessa e non ti porta
dentro al sistema che regola ogni movimento - i media, la critica musicale le
radio. Come ben sai ho sempre coltivato un sogno, che è quello di vivere della
mia passione, e penso che la maggior gratificazione per un artista sia quella
di avere un pubblico costante che lo segue nel suo lavoro.
Ti sei dato una conformazione diversa? Una struttura più
professionale?
Io nasco come busker, un artista di strada, e non avevo mai
fatto esperienze con un Ufficio Stampa. È accaduto che il mio ruolo di
direttore artistico di rassegne musicali abbia suscitato l’interesse di alcuni
protagonisti del settore, tra cui Jonathan Giustini, che presenta un programma
su Radio Elettrica e che, incuriosito dalla mia programmazione tendente a unire
artisti di tutta Italia - elementi del cantautorato underground che facevano chilometri
e chilometri per poter suonare - ha indagato sulla mia attività, scoprendo che
scrivevo canzoni e che avevo un lungo passato da cantautore. Fissiamo un’intervista
radio e lui si propone come Ufficio Stampa e quindi promotore del mio ultimo
lavoro. Come sai, solitamente è l’artista che cerca un U.S., e quando capita il
contrario significa che esiste l’intenzione di seguire il progetto in modo
serio e totale, nel caso specifico prettamente rivolto alla canzone d’autore, quindi
ad una nicchia di appassionati.
Per mia esperienza personale l’importanza di un Ufficio
Stampa non risiede nella capacità di scrivere perfetti comunicati o
meravigliosi e completi press kit, ma nella conoscenza capillare della rete di
ricezione, che varia a seconda del genere proposto…
Me ne sono reso conto, il disco sta piacendo, ma senza una
diffusione corretta e specifica è difficile amplificare il proprio messaggio.
Il mio U.S. conosce i canali giusti e addirittura organizza concerti per
addetti ai lavori (e questo va oltre i compiti di un normale U.S., N.d.r.). Certo, ci vuole un po’ di fortuna, occorre trovarsi al posto
giusto al momento giusto, ma sono convinto che sei testardo alla fine i
risultati arrivano, e io di gavetta ne ho fatta davvero tanta!
Vista la tua attività professionale, che da anni ti vede
educatore/formatore, e in passato insegnante, non pensi che la scuola potrebbe
avere un ruolo importante nell’alimentare tutti gli aspetti culturali, quindi
anche quelli musicali?
Quando insegnavo Educazione Artistica avevo delle ore fisse
settimanali da cui ritagliavo alcuni spazi vitali che utilizzavo per portare i
ragazzi in sala apposita, dedicando parti di lezione alla storia della musica;
loro non conoscevano quasi nulla, perché se non hai un genitore interessato
sarai preso solo dalla proposta del momento, senza poter avere un metro di
paragone, e quindi non potrai alimentare lo spirito critico e, probabilmente,
perderai la possibilità di scoprire delle meraviglie! Concordo con te!
Ora parlami del nuovo disco, “Ho più di un amo nello
stomaco”, oggetto del nostro incontro. Sono passati ben otto anni da quando
scrissi una recensione al tuo “Senza lume a casaccio Nell’Oscurità” …
È vero, è passato tanto
tempo, perché c’è stata una fase in mezzo in cui mi sono anche allontanato
dalla musica per i tipici assestamenti che la vita richiede, e poi mi ero messo
in testa l’idea di passare dalla rabbia del primo Pennavaria - quello che
declamava con forza e irritazione all’interno del suo spettacolo, con un
registro vocale diverso, usato per urlare il disappunto, con un messaggio
politicizzato - all’amore di quello attuale.
Sono andato allora a riprendere
le mie origini di cantautore, quando da ragazzo affrontavo tematiche legate ai
sentimenti, più alla portata di tutti, ma avendo nel frattempo acquisito un vocabolario
legato a immagini e a figure retoriche, ho pensato che avrei potuto parlare
dell’amore prettamente a livello simbolico, non esplicito, ma creando un
concept album dove in tutte le tracce fossero presenti racconti fatti di pictures,
attraversando la profondità dell’amore usando ciò che mi ha strutturato in
questi anni, il mare, fondamentale per un siciliano; così ho creato questo
parallelismo tra la profondità dell’essere e quella del mare, e mi sono chiesto
come poter dare luce alle storie, evidenziando le difficoltà nel vivere i
sentimenti, collocando il tutto negli abissi marini. Ho trovato la mia
soluzione creando momenti di apnea, e quindi gli episodi vengono raccontati
dipingendo una grande tela che ha uno scenario marino, un’immensità liquida in
cui ho traslato il mio io, e mi sono fatto traduttore delle sensazioni provate,
che ho poi riportato nelle 12 tracce del disco, tanto che l’ultima canzone, “Il
palamito”, racchiude tutte quelle precedenti.
Ma ogni tanto occorre
prendere respiro e tornare a galla, per cui ci sono pezzi più legati a
situazioni “di superficie” - “Rebus”, “Due Parti Precise di Me” (https://www.youtube.com/watch?v=DzvnVS2NwWU&feature=youtu.be) - da cui poi mi distacco per
rituffarmi nel mio ambiente ideale, ma trovando suggerimenti dalla
contemporaneità, come accade in “Nel Mondo Senza Tempo”, dove volevo parlare
del problema dell’immigrazione, ma rimanendo ancorato all’argomento “amore”, per
cui ho scritto la storia di due innamorati, profughi, che intraprendono il
viaggio conosciuto diventandone vittime; lui parla dal suo limbo, uno stato in
cui non si rende conto di aver perso la vita e in quel momento, in quella
condizione assurda legata alla morte, la prima cosa che fa è cercare lei per
comunicarle che lì non si sta poi così male, anzi, il contrario, perché in
quella dimensione non ci sono differenze e pregiudizi che vigono invece sulla
terra. Dopo la stretta
contemporaneità ritorno nel surrealismo, quello che utilizzavo nella pittura.
Questi otto anni mi sono serviti anche per coltivare un’arte olistica, perché
io non amo la musica e la canzone, ma amo l’arte, per cui vorrei far convivere
tutte le forme possibili, dalla musica al teatro, dalla pittura alla scultura,
un sunto di tutte le rappresentazioni conosciute.
Ci sono novità per quanto riguarda la musica che proponi nel
nuovo album?
Sono cambiati i riferimenti.
Il primo lavoro era intriso di influenze balcaniche, volevo riproporre il sud
del mondo, il folk del mondo, la canzone popolare, la samba brasiliana, il
blues, la voce del popolo, i ceti inferiori che cantano per superare il loro
dramma e le differenze sociali. Ritmi andanti per creare trasporto e dinamicità
nell’ascoltatore.
In questo secondo
album tutto è pacato, con riferimenti alla classica, con la presenza continua
del jazz, mondo che amo ma in cui non potrò mai essere protagonista come musicista
per inadeguate skills, e allora ho usufruito delle competenze di Martino
Biancheri (trombettista), e assieme abbiamo fatto gli arrangiamenti, lui ha
capito perfettamente ciò che volevo e, avendo alle spalle esperienza jazz, è
bastato fornirgli indicazioni sulle atmosfere che volevo creare e lui ha capito
benissimo e trasposto in musica. È un lavoro più sinfonico e orchestrato a cui hanno preso
parte un sacco di amici e musicisti (la lista completa a seguire, N.d.r.).
Come ti presenti dal vivo? Con quale tipologia di formazione?
Non mi pare facile mettere assieme tanti musicisti e, soprattutto, fornire una
resa legata a strumentazione acustica che richiede ambientazione ad hoc…
La formazione ideale è composta da sette musicisti, e l’ho
già proposta, perché è quella che mi serve per avvicinarmi il più possibile
all’album, anche se esistono difficoltà - soprattutto per i gestori di locali -
nel portare sul palco, ad esempio, una sezione archi; ci proveremo il 14
novembre al The Tube, a Savona, dove ci sarà la full band, tranne il violino,
ma per contro sono molto contento di avere in contemporanea due grandi
chitarristi, Lorenzo Piccone e Marco Cravero.
Sergio, se chiamassi questo articolo “Dalla rabbia
all’amore”, centrerei il tuo percorso di questi otto anni?
Assolutamente sì, anche se è un amore allargato, non pensato
solo come scambio tra due persone, ma in senso più ampio, come credo sia emerso
dal nostro dialogo. E poi occorre rimarcare la mia sicilianità rappresentata
nei due album dai brani “Calìa” e “Bufera”, un utilizzo del dialetto che nei
live ha sempre colpito l’audience, e penso che il prossimo lavoro sarà tutto in
lingua siciliana… mi pare giusto dedicare un disco ad una terra da cui partii
tanti anni fa, e approfittarne per rispolverare i tanti ricordi che sono in me
diventerà un grosso lavoro di ricerca interiore.
Proseguirai la tua attività di direttore artistico nella tua città?
Siamo in fase di discussione per capire la formula migliore
da adottare per la prossima edizione di “Porto, musica e parole", ammesso che si farà. A me piace
evolvermi, mi è capitato di proporre persone che già si erano esibite, ma vorrei
mantenere questo spazio cantautorale per dare possibilità di esibirsi a nuove
proposte.
Senza entrare troppo nel personale, come va la vitaccia, tra
attività professionale e non?
Non mi sento molto a mio agio, perché non posso dedicare
tutto il tempo che vorrei alla musica. Io faccio un mestiere che prende buona
parte della giornata, un lavoro che svolgo con passione, ma ho un altro sogno
che vorrei realizzare. Ma alla fine piccole porzioni di sogno si materializzano,
e quindi non ho perso la speranza di arrivare al mio sostentamento attraverso
il mestiere di musicista. Sai, lavorare con disabili è qualcosa che dovrebbe
avere un temine, perché dopo trent’anni esci devastato da ciò che vivi nel
quotidiano.
Alla fine dello scambio di battute ho posto a Sergio una
domanda specifica che seguiva il filone lavorativo, e verteva sulla sua
possibilità di utilizzare la musica come ausilio e facilitazione nella sfera
delle disabilità, campo in cui notoriamente si può dare sviluppo positivo
concreto. Il panorama descritto merita approfondimento per cui lascio aperto il
campo per una prossima chiacchierata, magari in occasione di un nuovo album,
sperando che non ci sia molto da aspettare, perché l’arte di Sergio Pennavaria
è un patrimonio collettivo a cui non si dovrebbe rinunciare.
Elenco
tracce:
1. Ho Più di Un Amo Nello Stomaco 6:06
2. Rebus 3:54
3. Due Parti Precise di Me 3:13
4. L'amore Invisibile 2:45
5. L'amore nell'armadio 3:07
6. Nel Mondo Senza Tempo 3:28
7. Se Potessi Come Si Fa 3:40
8. Un Cuore Sul Viso 4:10
9. Bufera 3:25
10. Il Tappeto Volante 5:34
11. Dove Nasce la Libertà 5:03
12. Il Palamito 3:35
Musicisti presenti:
Sergio
Pennavaria: voce, piano
elettrico, Rhodes MK2, chitarra classica e acustica e sintetizzatori.
Simone
Rossetti Bazzaro:
violino e viola
Martino
Biancheri: tromba,
trombone e bombardino
Marco
Moro: flauto
traverso
Lorenzo
Piccone: Lap steel
guitar, dodici corde, resofonica, acustica e mandola
Max Matis: basso elettrico
Giorgio
Bellia: batteria,
schaker e spazzole
In veste di ospiti hanno fatto la
loro apparizione:
Finaz (chitarra solista in “Rebus”
Geddo (voce in “L’amore Invisibile”)
Marco
Berruti (voce e
chitarra classica in “Nel mondo senza tempo”)
Loris
Lombardo (tablas in
“Ho più di un amo nello stomaco”, handpan e udu in “Bufera”, Congas in “Un
cuore sul viso”)
Matteo
Profetto (armonica a
bocca ed ukulele in “Il tappeto volante” ed ukulele in “Due parti precise di me”)
Mirco
Rebaudo (clarinetto
in “Il palamito”)
Giovanni
Ruffino
(contrabbasso in “Dove nasce la libertà”, “L’amore nell’armadio”, “L’amore
invisibile”)
Boris
Vitrano (chitarra
acustica in “Se potessi come si fa”)
Gabriele
Fioritti
(violoncello in “L’amore invisibile” e in “Dove nasce la libertà”)
Luca Pino (voce intro “Nel mondo senza tempo”)
CREDITS:
Testi,
Musiche ed arrangiamenti: Sergio Pennavaria
Arrangiamenti
sezione archi e fiati
Martino Biancheri tranne “Due parti precise di me”, arrangiamento archi
di Simone Rosetti Bazzaro
Arrangiamenti
sezione ritmica:
Giorgio Bellia e Max Matis
Intro “Ho più di un amo nello stomaco”:
Lorenzo Piccone e Loris Lombardo
Registrazione,
missaggio e mastering:
Alessandro Mazzitelli. Aiuto mix: Giorgio Bellia e Sergio Pennavaria
BIOGRAFIA
Sergio Pennavaria nasce a Siracusa nel 1975. Una laurea in
Belle Arti ottenuta con il massimo dei voti dopo aver discusso una tesi
sperimentale dal titolo “La Maschera del volto” e scritto per l’occasione una
piece teatrale intitolata “Ring”. Compositore, pittore, attore. Nel 2008 si
trasferisce a Savona, dopo l’esperienza folk con i Calìa, band orientata verso
la musica popolare del sud Italia contaminata però da blues, rock e jazz, il
tutto cantato in dialetto siciliano. Nel 2008 pubblica l’album “Senza Lume A
Casaccio Nell’Oscurità”, da lui scritto e arrangiato, contenente dodici tracce,
album in cui partecipano ospiti del calibro di: Carlo Aonzo (mandolino), Claudio
Bellato (chitarra elettrica), Gianni Martini (fisarmonica), Davide Baglietto
(flauto), Martino Biancheri (tromba, trombone), Renzo Luise (chitarra
elettrica). Nel 2011 vince il contest Su la testa. Nel 2013 esce il brano Le tue
parole accompagnato da un videoclip (https://www.youtube.com/watch?v=PXbxIe5ZFdQ). Nel 2015 viene selezionato per
esibirsi a S. Daniele del Friuli, in occasione del Folkest come rappresentante
della regione Liguria. Nel 2016 in occasione del 25 aprile, presso la Fortezza
del Priamar di Savona, apre per la Bandabardò a cui hanno fatto seguito due
anni di attività live e didattica. Negli stessi anni sempre in Liguria ha dato
vita e dirige due rassegne cantautorali: “Canzoni Fuori Dal Cappello” e “Porto
Musica e Parole”. Per “Canzoni Fuori Dal Cappello”, alla tradizione edizione
ligure lo scorso anno ha affiancato anche un'edizione siciliana con una tappa a
Noto.
Link utili:
Management: Giuseppe Gadaleta
mail: generaladv80@gmail.com
PROSSIMI CONCERTI
9 novembre Ventimiglia, Al Galeone
14 novembre Savona, The Tube
6 dicembre Roma, Antica Stamperia
Rubattino - Sopra c'é Gente, rassegna