domenica 8 ottobre 2017

Locanda delle Fate live: 7 ottobre, Genova, Teatro Govi


Come descrivere un concerto che decreta una fine dichiarata? Possibile fermarsi agli aspetti meramente musicali?
Non è stata una serata triste, ma nell’aria c’era profumo di cambiamento, di bridge teso tra ere differenti, di avvicendamento generazionale, di persone - non solo quelle sul palco - che non saranno mai più le stesse, di sogni infranti, di delusioni e dolori ma… anche di consapevolezza di aver fatto grandi cose; nessuna corsa verso il primato, ma c’è l’idea, anzi, la certezza, di aver lasciato traccia profonda in un mondo che ci vede testimoni di passaggio… e cosa si può voler di più dalla vita!?
Quando qualcuno, al termine del concerto, ha chiesto in modo spontaneo e legittimo il motivo per cui una band così grande sia prossima ad arrestare l’attività, sono entrato senza dubbio alcuno nella testa di Luciano Boero, conoscendo di già il suo pensiero: “Non siamo noi che dovremmo copiare dagli Stones, ma viceversa!”. Non so se ha ragione oppure no… come si possono carpire le dinamiche interne di una band nata, più o meno, 47 anni fa? Si può spiegare tutto con la sola naturale progressione fisica?
Per chi non lo avesse capito sto parlando della Locanda delle Fate, che sta portando a compimento il “Farewell Tour”, quello di addio, che prevede ancora una tappa brasiliana prima dell’epilogo del 9 dicembre, ad Asti, il luogo in cui tutto iniziò.
La serata in questione è quella del 7 di ottobre, a Genova, luogo in cui la Locanda non aveva mai suonato, e la risposta di pubblico è stata buona, se si considera che si tratta di prog, ovvero musica riservata ad una nicchia di appassionati.
In realtà la complessità delle trame musicali della band si appiana attraverso gli elementi lirici - i testi non sono mai banali o scontati - e uno sviluppo melodico che è caratteristico delle grandi band prog italiane.
Sono tre gli elementi fondatori on stage (Luciano Boero al basso, Oscar Mazzoglio alla tastiere e Giorgio Gardino alla batteria), a cui si sono aggiunti nel tempo Leonardo Sasso - vocalist già dal 1977 e poi presente nel nuovo corso -, Maurizio Muha - tastiere, membro “nuovo” -  e Max Brignolo - chitarre, anche lui in forza a partire dal 2010.
Si è aggiunto nell’occasione, in un paio di brani - ma capita ogni volta che è possibile -, un altro “locandiere” doc, Alberto Gaviglio - flauto, chitarra e voce -, che iniziò nel ’73 e ha fatto parte del gruppo in diversi momenti della sua storia.
Nella scaletta che propongo a fine post emergono le perle del loro repertorio, con un paio di escursioni nel fantastico secondo album, “Homo homini lupus”, realizzato allo scadere del secolo, e meno considerato dai puristi del prog: oltre alla title track, “Certe cose”.
D’obbligo la riproposizione integrale di “Forse le lucciole non si amano più”, al compimento dei 40 anni dal rilascio, e di qualche “lucciola mancante” tra quelle rispolverate nel 2012: “Crescendo”, “La giostra” e “Sequenza circolare”.


Provo a dare un giudizio di sintesi: skills dei singoli elementi stratosferiche, anche se è risaputo che ci vuol altro per caratterizzare il sound di una band.
Le doppie tastiere - o meglio, i doppi tastieristi, giacchè la loro strumentazione complessiva è degna della ridondanza di un Wakeman anni ’70! - garantiscono una varietà sonora difficile da spiegare, una peculiarità ormai unica nel panorama nazionale; la sezione ritmica è collaudata da mezzo secolo di vicende di vita vissute assieme, con un Gardino che si misura con tempi impossibili, che appaiono easy tanto sono naturali, e un Luciano Boero che completa il motore ritmico, ma funge anche da collante, come d’altronde capita anche quando la Locanda scende dal palco. A lui anche il merito di aver messo su carta le vicende del gruppo, realizzando un documento importantissimo per chiunque volesse avere la misura di quanto accadeva a quei tempi dietro alle quinte, e di quale sia sta stata la storia di certa musica italiana. Ma questo è un altro capitolo.
Bravissimo il “giovane” chitarrista Max Brignolo, uno capace di eseguire con naturalezza e sorriso parti complicatissime.
La voce di Leonardo Sasso non ha perso né qualità né fascino. Grandi le sue doti attoriali e le sue esternazioni e commenti si tramutano in piacevole modus didattico e didascalico, ma è dal canto che arrivano le grandi emozioni, mentre le miriadi di ricordi diventano un boomerang che colpisce Leo, facendolo a tratti commuovere.
Piacevole e doverosa la presenza di Gaviglio, un’altra mente illuminata che pare a completo agio quando trova lo spazio nella “sua” band.
Il pubblico apprezza incondizionatamente, ogni fine brano è contrassegnata dal lungo applauso e oltre alla musica assistiamo ad un vero scambio con il pubblico, perché per ogni traccia viene delineata l’antica fase creativa.
Un tiro pazzesco”, direbbe qualche giovane uomo di rock… è vero: ritmo, tempi composti, atmosfere sinfoniche e serenità da palco, con qualche attimo di tristezza quando, mentre la musica corre, si realizza che tutto questo, di lì a poco, non sarà più possibile, e non ci saranno cofanetti o DVD che potranno diventare corretto riempimento di un vuoto incolmabile.
Ma questa è la vita, è il nostro passaggio di cui spesso, ahimè, nessuno si accorge.
Non è il caso della Locanda delle Fate, un gruppo di anime che hanno avuto una grande fortuna - e capacità -, quella di realizzare e regalare al prossimo qualcosa capace di creare emozioni fortissime, che si potranno riprovare ogni volta che si deciderà di rimettere in circolo la loro musica.
Quelli del pubblico, presenti ieri sera erano al Teatro Rina e Gilberto Govi di Bolzaneto, potranno in futuro gongolarsi ricordando a sé stessi e agli amici assenti che… sì, loro c’erano, quella volta al Govi.
Personalmente mi lascio un’ultima possibilità, quella di partecipare all’atto conclusivo di dicembre, ad Asti, e lì è probabile che qualche lacrimuccia possa partire in automatico!

Quando mi chiedono che cosa cerco in un concerto, che tipo di soddisfazione mi determini, descrivo sempre qualcosa che ha poco a che fare con l’elemento tecnico ma tocca maggiormente la sfera emotiva: sono passate ormai ore, la musica è alle spalle eppure non riesco a togliermi di dosso uno stato difficile da descrivere, una miscela melanconica che, in un caso come questo, giocoforza resta amplificata, e risentendo parte di ciò che ho vissuto ritrovo frammenti di magia, che mi piace condividere con chi abbia la fortuna di possedere una buona sensibilità musicale… ecco alcuni pezzi del mosaico…


BRANI IN SEQUENZA:

Intro - A Volte un istante di quiete
A volte un istante di quiete
Forse le lucciole non si amano più
Profumo di colla bianca 
Sogno di Estunno 
Certe cose
Non chiudere a chiave le stelle
Mediterraneo
Lettera di un viaggiatore
Cercando un nuovo confine
Crescendo
Sequenza circolare
La giostra
Homo homini lupus

BIS:
Vendesi saggezza