Come descrivere un concerto che
decreta una fine dichiarata? Possibile fermarsi agli aspetti meramente musicali?
Non è stata una serata triste, ma
nell’aria c’era profumo di cambiamento, di bridge teso tra ere differenti, di
avvicendamento generazionale, di persone - non solo quelle sul palco - che non
saranno mai più le stesse, di sogni infranti, di delusioni e dolori ma… anche di
consapevolezza di aver fatto grandi cose; nessuna corsa verso il primato, ma
c’è l’idea, anzi, la certezza, di aver lasciato traccia profonda in un mondo
che ci vede testimoni di passaggio… e cosa si può voler di più dalla vita!?
Quando qualcuno, al termine del
concerto, ha chiesto in modo spontaneo e legittimo il motivo per cui una band così
grande sia prossima ad arrestare l’attività, sono entrato senza dubbio alcuno
nella testa di Luciano Boero,
conoscendo di già il suo pensiero: “Non
siamo noi che dovremmo copiare dagli Stones, ma viceversa!”. Non so se ha
ragione oppure no… come si possono carpire le dinamiche interne di una band
nata, più o meno, 47 anni fa? Si può spiegare tutto con la sola naturale
progressione fisica?
Per chi non lo avesse capito sto
parlando della Locanda
delle Fate, che sta portando a compimento il “Farewell Tour”, quello di
addio, che prevede ancora una tappa brasiliana prima dell’epilogo del 9 dicembre,
ad Asti, il luogo in cui tutto iniziò.
La serata in questione è quella del 7 di ottobre, a Genova, luogo in cui la Locanda non aveva mai suonato, e la
risposta di pubblico è stata buona, se si considera che si tratta di prog,
ovvero musica riservata ad una nicchia di appassionati.
In realtà la complessità delle
trame musicali della band si appiana attraverso gli elementi lirici - i testi
non sono mai banali o scontati - e uno sviluppo melodico che è caratteristico
delle grandi band prog italiane.
Sono tre gli elementi fondatori on
stage (Luciano Boero al basso, Oscar Mazzoglio alla tastiere e Giorgio Gardino alla batteria), a cui
si sono aggiunti nel tempo Leonardo
Sasso - vocalist già dal 1977 e poi presente nel nuovo corso -, Maurizio Muha - tastiere, membro
“nuovo” - e Max Brignolo - chitarre, anche lui in forza a partire dal 2010.
Si è aggiunto nell’occasione, in
un paio di brani - ma capita ogni volta che è possibile -, un altro
“locandiere” doc, Alberto Gaviglio -
flauto, chitarra e voce -, che iniziò nel ’73 e ha fatto parte del gruppo in
diversi momenti della sua storia.
Nella scaletta che propongo a fine post emergono le perle del loro repertorio, con un paio di escursioni nel
fantastico secondo album, “Homo homini
lupus”, realizzato allo scadere del secolo, e meno considerato dai puristi
del prog: oltre alla title track, “Certe
cose”.
D’obbligo la riproposizione
integrale di “Forse le lucciole non si
amano più”, al compimento dei 40 anni dal rilascio, e di qualche “lucciola
mancante” tra quelle rispolverate nel 2012: “Crescendo”, “La giostra”
e “Sequenza circolare”.
Provo a dare un giudizio di
sintesi: skills dei singoli elementi stratosferiche, anche se è risaputo che ci
vuol altro per caratterizzare il sound di una band.
Le doppie tastiere - o meglio, i
doppi tastieristi, giacchè la loro strumentazione complessiva è degna della
ridondanza di un Wakeman anni ’70! - garantiscono una varietà sonora difficile
da spiegare, una peculiarità ormai unica nel panorama nazionale; la sezione
ritmica è collaudata da mezzo secolo di vicende di vita vissute assieme, con un
Gardino che si misura con tempi impossibili, che appaiono easy tanto sono naturali,
e un Luciano Boero che completa il motore ritmico, ma funge anche da collante,
come d’altronde capita anche quando la Locanda scende dal palco. A lui anche il
merito di aver messo su carta le vicende del gruppo, realizzando un documento
importantissimo per chiunque volesse avere la misura di quanto accadeva a quei
tempi dietro alle quinte, e di quale sia sta stata la storia di certa musica
italiana. Ma questo è un altro capitolo.
Bravissimo il “giovane”
chitarrista Max Brignolo, uno capace di eseguire con naturalezza e sorriso
parti complicatissime.
La voce di Leonardo Sasso non ha
perso né qualità né fascino. Grandi le sue doti attoriali e le sue esternazioni
e commenti si tramutano in piacevole modus didattico e didascalico, ma è dal
canto che arrivano le grandi emozioni, mentre le miriadi di ricordi diventano
un boomerang che colpisce Leo, facendolo a tratti commuovere.
Piacevole e doverosa la presenza
di Gaviglio, un’altra mente illuminata che pare a completo agio quando trova lo
spazio nella “sua” band.
Il pubblico apprezza
incondizionatamente, ogni fine brano è contrassegnata dal lungo applauso e
oltre alla musica assistiamo ad un vero scambio con il pubblico, perché per ogni
traccia viene delineata l’antica fase creativa.
“Un tiro pazzesco”, direbbe qualche giovane uomo di rock… è vero: ritmo,
tempi composti, atmosfere sinfoniche e serenità da palco, con qualche attimo di
tristezza quando, mentre la musica corre, si realizza che tutto questo, di lì a
poco, non sarà più possibile, e non ci saranno cofanetti o DVD che potranno
diventare corretto riempimento di un vuoto incolmabile.
Ma questa è la vita, è il nostro
passaggio di cui spesso, ahimè, nessuno si accorge.
Non è il caso della Locanda delle
Fate, un gruppo di anime che hanno avuto una grande fortuna - e capacità -, quella di realizzare e regalare
al prossimo qualcosa capace di creare emozioni fortissime, che si potranno
riprovare ogni volta che si deciderà di rimettere in circolo la loro musica.
Quelli del pubblico, presenti ieri sera erano al
Teatro Rina e Gilberto Govi di Bolzaneto, potranno in futuro gongolarsi ricordando a sé
stessi e agli amici assenti che… sì, loro c’erano, quella volta al Govi.
Personalmente mi lascio un’ultima
possibilità, quella di partecipare all’atto conclusivo di dicembre, ad Asti, e
lì è probabile che qualche lacrimuccia possa partire in automatico!
Quando mi chiedono che cosa cerco
in un concerto, che tipo di soddisfazione mi determini, descrivo sempre
qualcosa che ha poco a che fare con l’elemento tecnico ma tocca maggiormente la
sfera emotiva: sono passate ormai ore, la musica è alle spalle eppure non
riesco a togliermi di dosso uno stato difficile da descrivere, una miscela
melanconica che, in un caso come questo, giocoforza resta amplificata, e
risentendo parte di ciò che ho vissuto ritrovo frammenti di magia, che mi piace
condividere con chi abbia la fortuna di possedere una buona sensibilità
musicale… ecco alcuni pezzi del mosaico…
BRANI IN SEQUENZA:
Intro - A Volte un istante di quiete
A
volte un istante di quiete
Forse
le lucciole non si amano più
Profumo
di colla bianca
Sogno
di Estunno
Certe
cose
Non
chiudere a chiave le stelle
Mediterraneo
Lettera
di un viaggiatore
Cercando
un nuovo confine
Crescendo
Sequenza
circolare
La
giostra
Homo
homini lupus
BIS:
Vendesi
saggezza