Mi ritrovo tra le mani Colors, del Luca Poletti Trio,
e la prima cosa
che mi viene da pensare è che i colori di copertina avrebbero attirato la mia attenzione
in un qualsiasi negozio di vinili, anche se ormai i luoghi dedicati alla
contemplazione religiosa dei differenti formati musicali sono oasi nel deserto.
La cover in questo caso è il preludio al contenuto, una liaison fondamentale tra significati e
modo di proporli. Non è fatto scontato, perché spesso si fa fatica a rendere
evidente e chiaro per tutti un pensiero, un sentimento, che magari resta latente
per molto tempo, e quando si decide di venire allo scoperto l’esplosione di
spontaneità può fare dimenticare la cura dei dettagli: un album va respirato in
toto e la musica da sola potrebbe non bastare, se si decide di penetrare all’interno
di un mondo nuovo per provare ad interpretarlo.
Colors è un opera prima e Luca Poletti appare ai miei occhi come un artista geniale, che nell’occasione
si avvale della collaborazione di molti ospiti, tra i quali spicca Paolo Fresu.
L’intervista a seguire e le informazione
contenute nel sito di riferimento risulteranno utili ed esaustive.
La “scuola”, la cultura e gli aspetti
tecnici che si percepiscono all’ascolto non vanno a mio giudizio sottolineati, perché
una possibile conseguenza negativa potrebbe essere quella di trasformare un
album incredibilmente bello in un disco di nicchia, per pochi eletti, per
amanti di un genere specifico.
Il jazz è l’amore di Poletti, ed è la linea guida che si distende nello spazio di 17
brani, oltre un’ora di musica. Ma c’è molto di più. Colors è un album
concettuale, fatto inusuale se si pensa alla tipologia della proposta. Il jazz
è libertà assoluta all’interno di schemi rigidi, e l’idea del racconto di una
storia attraverso episodi legati tra loro, privi di liriche - tranne in un caso
- rappresenta una buona novità, proposta con straordinaria efficacia. Anticipo l’intervista
ritagliandone un stralcio importante che disegna l’anima del concept: “… la storia è quella di un pianista che, in cerca di ispirazione, fa
zapping tra svariate frequenze radio nella speranza di trovare qualcosa che lo
possa coinvolgere. Incorre prima in Monteverdi, poi in Chopin, quindi in
Petrucciani finché sente una composizione che lo incuriosisce. Sintonizza
meglio la radio e parte il disco. I brani scorrono veloci finché verso la fine
del disco il segnale diventa improvvisamente così disturbato che il pianista
decide di spegnere la radio e di sedersi al pianoforte per ripercorrere ciò che
ha sentito. Ovviamente avendo ascoltato queste composizioni una volta sola,
cerca di eseguire quello che ricorda”.
I brani sono preceduti
da frammenti - preludi - che hanno una funzione ben precisa: le immagini del
quotidiano spesso vengono in nostro aiuto per esprimere sinteticamente momenti
che richiederebbero lunghe spiegazioni, ed io vorrei descrivere i “preludi” come l’acqua bevuta prima del
caffè, un modo per preparare il palato ad un nuovo sapore in arrivo,
cancellando quello pregresso, un tasto di reset capace di creare un collante tra i vari spazi, un bridge che consente il salto tra differenti sentimenti, stati d’animo legati alla propria terra, agli
affetti, alla musica nella sua globalità, ai viaggi - mentali e reali.
Jazz, dunque, ma anche
amore per il funky e per autori storici di riferimento.
Nel viaggio tra i colori,
rappresentativi di differenti storie, spicca una brano, This Is For You, che mi piace sottolineare in quanto unico cantato.
Annika Borsetto fornisce un’interpretazione
emozionante, regalando un attimo magico che sfugge ad ogni tipo di collocazione
di genere, dipingendo e “colorando” l’emozione ed il dolore di un attimo
comune, quasi fisiologico in un percorso di vita, ma difficilmente “raccontabile“
suscitando brividi e riflessioni, come invece accade in questa occasione.
Se è vero che non ci
si inventa musicisti di questo livello, e va quindi rimarcato il sudore, il
dolore, la determinazione - ed il piacere - che fanno parte del lavoro di
Poletti, occorre però dire che il passaggio dal sapere al “saper donare” è qualcosa
che ha a che fare con il DNA, e non è certo questione di know how. Luca
possiede la capacità di sintetizzare il suo feeling, trasportandolo nella
musica e mettendolo a disposizione del prossimo, ma in modo tale che possa
essere fruito facilmente, senza necessità di faticosa decodificazione. E’ questo
un dono del Signore che Poletti mette… a disposizione, perché sarebbe un
peccato mortale non condividere, in modo semplice, un tale patrimonio. Ma
leggiamo il suo pensiero.
L’INTERVISTA
Sei giovane e al disco
di esordio, eppure Colors appare l’opera di un navigatore esperto: riesci a
sintetizzare la tua storia musicale?
La mia storia musicale inizia molti anni fa,
avrò avuto 5/6 anni. Per la prima volta ascoltai una composizione di Ennio
Morricone per pianoforte ed orchestra d’archi di cui purtroppo non ricordo più
il titolo. Volevo a tutti i costi riprodurla sulla tastiera di mia sorella, mi
appassionava troppo. Passai un intero pomeriggio a cercare di capire la melodia
ed in parte gli accordi (che all’epoca non sapevo nemmeno cosa fossero) di
tutta la composizione ed a fine serata, fiero di me stesso, riuscii ad
eseguirla per intero. Quel giorno decisi che avrei iniziato a studiare il
pianoforte. Mentre frequentavo la scuola secondaria di primo grado (allora
Scuola media) restai fulminato da Charlie Parker e non riuscii più a staccare
le orecchie da quei dischi di jazz e con il tempo ne ho collezionati
moltissimi. Dopo qualche anno mi iscrissi al Liceo Musicale di Trento annesso
al Conservatorio e seguii gli studi classici: Diploma di Pianoforte e Maturità
musicale. Parallelamente riflettei sul fatto che se ci fossero state delle
composizioni da eseguire, qualcuno le avrebbe dovute scrivere. Lì scoprii la
composizione. Mi iscrissi immediatamente a Composizione e Strumentazione per
Banda per capire come i grandi del passato avessero scritto le proprie opere.
Appena conclusi questi studi, coronati da un altro diploma, mi restava un
grande punto da scoprire: il jazz. Conoscevo già di nome i docenti del
dipartimento di jazz a Trento, Roberto Cipelli e Robert Bonisolo oltre che
Daniele Carnevali con il quale mi ero diplomato in Strumentazione per Banda.
Decisi quindi di intraprendere il cammino specialistico in Musica jazz in città
e, grazie alla preparazione ed alla passione comune per questo genere musicale,
ho imparato moltissime cose ed ho avuto molte altre opportunità da cogliere.
L’anno scorso ho terminato il mio percorso di studi e mi sono Laureato al
Biennio Specialistico in Musica Jazz di Trento con la super votazione di 110 e
lode più menzione d’onore. Insomma, una bellissima soddisfazione.
Esistono artisti che
hanno in qualche modo condizionato la tua formazione personale?
Assolutamente sì. In primis Herbie Hancock,
artista che ha esplorato a fondo e scritto in modo incomparabile il ‘900. Ho
grandissima ammirazione per lui perché, partendo dallo storico quintetto di
Miles Davis (che adoro) è sempre rimasto curioso tanto che negli ultimi dieci
anni ha esplorato l’elettronica più selvaggia. Musica senza confini. Continuerei
citando Quincy Jones che al pari di Hancock ha solcato il secolo scorso
portando moltissime innovazioni nel jazz (nell’eccitante Count Basie Orchestra)
e nel pop (Micheal Jackson è il primo che mi viene alla mente). Adoro allo
stesso modo artisti come Leonard Berstein, genio dalla profonda volontà di
diffondere e trasudare di musica, Johannes Brahms, Ennio Morricone, Chopin,
Skrjabin, Bill Evans e Petrucciani, oltre che Monteverdi (suona strano ma è
così, sono appassionato della musica vocale del 400/500). Amo anche artisti
della scena cantautorale, come Fabrizio De Andrè (poeta immenso), Billy Joel,
Giorgia, Francesco De Gregori. Ora che rileggo questi nomi noto che, anche se
sono distanti anni luce l’uno dall’altro, hanno due caratteristiche comuni: la
profondità (non per forza seriosa) di intendere la musica e una continua propensione verso il
nuovo.
Come nasce l’idea di Colors e quanto tempo hai impiegato per mettere a fuoco il progetto e
portarlo a termine?
Colors ha avuto una “gestazione” di circa un anno. E’ servito del
tempo per capire alcuni dettagli come ad esempio la compattezza dei generi da
realizzare, la narrazione che ci sta dietro (essendo un concept album), la
composizione di alcuni brani e lo studio individuale oltre che ovviamente gli
arrangiamenti per il trio e il modo di affinare l’interplay tra di noi
musicisti. La mia paura più grossa ovviamente era la connessione tra i brani e
la loro diversità di genere: ci sono alcuni brani jazz, alcuni pop, uno gospel,
uno funky, un altro free ed una spruzzata di elettronica; non era la cosa più
facile da gestire. Ho voluto anche inserire delle transizioni (che ho chiamato
“preludi”) che mi aiutassero ad unire i brani. La cosa bella è stata il modo in
cui questi interludi hanno realizzato il loro fine: hanno aggiunto materiale
ancora più ricco e, sembra strano, ma questa diversità musicale ha portato una
grande compattezza al lavoro. Sono estremamente soddisfatto.
L’album è permeato
dalle atmosfere jazz: esistono altri “filoni” musicali che ti appassionano,
almeno nell’ascolto?
Adoro moltissima musica. Prima di tutto direi
il jazz e la musica classica; mi appassiona molto la musica americana di
Leonard Bernstein, di Aaron Copland e di Samuel Barber. Sono cresciuto con la
musica scritta per il cinema, il rock degli anni ’70, il cantautorato, le
grandi orchestre americane di jazz ed il pop. Credo che tutte queste esperienze
si siano sedimentate dentro di me e siano sgorgate a tratti nei brani inseriti
in Colors. In fondo, come
sottolineavo prima, il concept e le composizioni del disco sono molto eterogenee, “parlano” della
contemporaneità del nostro mondo: moltissimi stili uniti dalla voglia di
suonarli.
Mi racconti qualcosa
dei tuoi ospiti e, ovviamente, della partecipazione di Paolo Fresu?
I musicisti che fanno parte di questo lavoro
sono prima di tutto amici musicali che conosco da molto tempo. La base su cui
poggia l’intero lavoro è ovviamente il mio trio che vede nelle prime linee
Stefano Senni (bassista emiliano che collabora con Stefano Bollani ed Enrico
Rava) e Matteo Giordani, batterista trentino dal forte orientamento
contemporaneo che ha a suo attivo diversi dischi e che predilige le sonorità
alla Mark Guiliana ed Avishai Cohen. Al trio si aggiunge di volta in volta un
solista (o dei solisti) che ho scelto per le loro peculiarità: il tenorista Matteo
Cuzzolin, che ha collaborato in due brani, “Bastian oirartnoc” dalla sonorità
free e nel brano “Sold 20%”, è un musicista versatile che conosce molto bene la
tradizione ed ha una sua personalità chiara e definita; il trombettista
Christian Stanchina è un validissimo solista ed una speciale prima tromba
d’orchestra, lui, assieme al bassista elettrico Michele Bazzanella completano
la sezione superfunkymachine del brano “Sold 20%” dalle sonorità vicine ai
Tower of Power. Annika Borsetto l’ho voluta per il suo bellissimo timbro soul e
nero che ha dato a This Is For You la connotazione che cercavo. La collaborazione con Paolo Fresu è stata il
coronamento di un grande sogno, il suono che avevo in mente per questo disco
era proprio il suo; profondo, espressivo, creativo e sempre alla ricerca di una
compenetrazione tra i musicisti. Non nego che ero molto emozionato all’idea di
poter incidere un disco con lui, è sempre stato un mio punto di riferimento
musicale. Quando siamo entrati in studio per registrare mi ha messo subito a
mio agio parlando dei nostri viaggi, abbiamo poi definito alcuni dettagli ed è
iniziata la Musica. Voglio ringraziare davvero di cuore Paolo per la sua grande
disponibilità, la sua generosità musicale ed umana che ha contribuito ad
ottenere l’ottima concretizzazione di Colors.
Ho letto del tuo amore
per gli album concettuali e quindi per una struttura narrativa che ha termine
solo con la fine dell’ascolto: pensi si possa racchiudere un messaggio o una
melodia unica in uno spazio temporale breve, quello della canzone tradizionale
da pochi minuti?
Credo di sì, l’idea è proprio quella di
raccontare una storia, o meglio un colore, in ogni composizione. L’unione di
tutti i brani forma una coloratissima tavolozza da pittore, delle macchie
intense di musica, magari molto diverse, ma uniche nel loro genere. Il concept
di Colors si rifà in un certo modo
alla discografia rock degli anni ’70, un unico viaggio musicale che ci guida
attraverso la scoperta di vari “generi musicali”, insomma la contemporaneità in
tutte le sue sfaccettature. In Colors
la storia è quella di un pianista che, in cerca di ispirazione, fa zapping tra
svariate frequenze radio nella speranza di trovare qualcosa che lo possa
coinvolgere. Incorre prima in Monteverdi, poi in Chopin, quindi in Petrucciani
finché sente una composizione che lo incuriosisce. Sintonizza meglio la radio e
parte il disco. I brani scorrono veloci finché verso la fine del disco il
segnale diventa improvvisamente così disturbato che il pianista decide di
spegnere la radio e di sedersi al pianoforte per ripercorrere ciò che ha
sentito. Ovviamente avendo ascoltato queste composizioni una volta sola, cerca
di eseguire quello che ricorda. Ecco dunque l’ultimo brano: Colors.
Che giudizio ti senti
di dare dello stato generale della musica?
Prima di tutto mi piacerebbe spendere due
parole sulla fruizione musicale di oggi. Su internet abbiamo alla nostra
portata centinaia di migliaia di composizioni, compositori e canzoni che
ovviamente ascoltiamo a singhiozzo. Per questo motivo ogni tanto faccio pulizia
sul mio iPod e cerco di tenere solamente ciò che desidero ascoltare realmente.
Abbiamo talmente tante cose creative e varie da poter ascoltare che
paradossalmente non ne assaporiamo nessuna, ci scorrono attraverso e nulla più.
Andiamo meno ai concerti sapendo che troveremo tutto su YouTube, ci informiamo
di meno e ci limitiamo a vivere la musica degli altri senza goderne realmente,
senza provare l’emozione di vivere un rito collettivo come un concerto, per una
pigrizia latente. Restiamo un po’ nell’ombra ed il livello generale di
attenzione e conoscenza diventa più superficiale e vuoto. Dall’altra parte c’è
chi si propone di diffondere la conoscenza della buona musica, come ad esempio
Stefano Bollani nella sua trasmissione “Sostiene
Bollani”. La cosa curiosa è che alcuni amici mi hanno confidato che dopo
aver sentito questo programma si sono interessati al violoncello o al
clarinetto proprio perché ne hanno visto le potenzialità emotive. Tra questi
due universi molto distanti la realtà è che il tessuto su cui si muove la
musica oggi è in fermento, vedo che c’è sempre una voglia di scoprire cose
nuove, vedo moltissimi artisti che cercano una propria voce: i cantautori, i
musicisti elettronici, i jazzisti ed i compositori classici in particolare
stanno smuovendo le acque per realizzare dei loro lavori; credo sia un bel
passo per esprimersi e portare la musica in posti ancora inesplorati. Spero che
questo fervore invogli moltissime persone a scoprire il mondo musicale in tutta
la sua luce.
Hai pianificato una
pubblicizzazione live dell’album?
Per tutte
le informazioni sui live ho voluto raccogliere tutto sul mio sito, così si può
sapere passo passo tutta la programmazione live del progetto! Il sito è www.lucapoletti.com
Se una ventina di anni
fa fossi stato ospite di Maurizio Costanzo in uno dei suoi talk show ti avrebbe
chiesto: “ Che cosa c’è dietro l’angolo?”. Cosa c’è dietro al tuo angolo Luca?
Bella domanda, sicuramente non facile da sintetizzare
in poche righe. Ti anticipo che un
lavoro imminente è una sessione di registrazione con una cantante per un album
che uscirà tra qualche mese. Per quel che riguarda "l’altro angolo” più
personale ci saranno sicuramente i live di “Colors”, e sono in via di
definizione alcuni concerti con diverse compagini orchestrali per dei progetti
jazz importanti e davvero stimolanti. Quando avrò informazioni precise le
inserirò sicuramente sul mio sito per condividere queste belle esperienze con
tutti coloro che lo vorranno.