Ad estate inoltrata Claudio Milano mi invia il suo nuovo lavoro, un
cofanetto carico di storia, a cui mi avvicinerò gradualmente: il
materiale è tanto, e sento subito nell’aria l’importanza del contenitore che mi
passo da mano a mano, scrutando con un certa riverenza la confezione. Conosco
Claudio da un po’ di anni, ho ascoltato la sua musica, l’ho visto in fase live,
ho scambiato con lui commenti e informazioni varie, ma ogni volta che mi trovo
a sintetizzare il suo impegno utilizzo un approccio di estrema cautela e
rispetto, avendo la quasi certezza di trovarmi
davanti ad un genio a cui non potrei fornire alcun valore aggiunto descrivendo
con le mie parole la sua arte. Proverò a lasciarmi andare, correndo il rischio
di andare fuori tema, lasciando da parte quel poco mestiere che conosco, agendo
come farebbe un bambino o l’ascoltatore casuale, nel caso sentisse l’esigenza
di trasporre il suo sentimento del momento. La parte oggettiva è garantita dall’intervista
a seguire, e di fatto da sola basterebbe a raccontare la vita racchiusa nei due
progetti presenti nel cofanetto, due doppi album targati Nichelodeon - Bath Salts - e InSonar - L’Enfant et le
Ménure, progetto di
Milano e Marco Tuppo. Lavori diversi per raccontare la Storia,
il presente e ipotizzare un futuro che nessuno potrebbe prevedere roseo. I
rapporti umani e le relazioni trasversali diventano l’argomento principe - e come
potrebbe essere il contrario - mentre il mondo, visto attraverso l’occhio di
innocenti, assume altro aspetto, nuovo valore, e forse recupera la sciagura che
arriva dall’insensibilità del quotidiano. Occorre fare uno sforzo supplementare
e andare oltre l’ascolto. Il lavoro che Milano ci regala è monumentale, e nel
caso di InSonar il coinvolgimento di un elevato numero di musicisti provenienti
dai cinque continenti testimonia al contempo l’originalità della proposta e l’amore
indiscusso che Claudio riesce a suscitare nelle persone che incontrano lui e la
sua musica. Ma trovo sempre un certo malessere, un ‘insoddisfazione, una
situazione di grande disagio che faccio fatica a decodificare e che riesco solo
a percepire tra le righe. In questo senso Bath Salts /L’Enfant et le Ménure mi appare come una sorta di eredità, di raccolta precoce di
quanto realizzato sino ad oggi, come se ci fosse la paura che il nostro vivere attuale possa
portare via il tempo, anche quando si è giovani come Claudio. Lui è un artista
completo e colto, capace di viaggiare senza alcuna difficoltà tra Hammill e
Brecht, tra Eno e Buckley, tra Bowie e i Velvet, tra il sacro ed il profano,
attraversando la differenti religiosità e diversi modi di vivere e di pensare.
La sua musica non credo sia poi così facile, perché percorrere stili diversi,
proponendo un’avanguardia spinta, utilizzando lo strumento “voce” per
perlustrare sentieri inesplorati, richiede al ricettore una predisposizione all’ascolto e al
nuovo che spesso viene a mancare, in giovani e meno giovani. Ma affrontare senza pregiudizi questo progetto porta a
scoprire ciò che non ci si potrebbe mai aspettare, e questo può accadere anche
senza essere a conoscenza dell’iter realizzativo, delle partecipazioni, delle
collaborazioni, anche se occorre dire che mai come in questo caso l’art work è
da considerarsi inscindibile dalla proposta musicale. La mia chiave di lettura
porta a consigliare un ascolto “leggero”, il primo, lasciandosi andare e
rimandando alla volta successiva la conoscenza dei dettagli. Cosa potrebbe
succedere? Ero in auto, un lungo viaggio, e la voglia di ascoltare tutto di
fila. La mia giovane figlia accanto a me. Il quarto brano di Bath
Salts, Surabaya Johnny, è qualcosa di conosciuto, poco amato nella mia
cecità adolescenziale: la tv in bianco e nero e Milva che aumenta la mia
tristezza della domenica sera, anche quella in bianco e nero. Accompagnamento
acustico e poi la voce di Claudio, che la mia bambina apostrafa con stupore
come quella di un “attore”. In quella canzone c’è tutto, Milva, Brecht, e un Claudio Milano
capace di farmi vedere la bellezza di una perla rimasta nascosta per lustri, e
che solo grazie a lui potevo vedere brillare. Alla prima sosta in autostrada è
partito un messaggio, perché d’impulso ho sentito la necessità di ringraziare…
L'INTERVISTA
Anche se complicato, ti chiedo di sintetizzare lo spirito racchiuso in Bath
Salts, le storie che, pur separate, si miscelano tra due differenti progetti.
"Bath
Salts” parla di cannibalismo nei rapporti interpersonali, di un'epoca in cui il
disagio porta alla svalutazione di ogni legame, affetto, nella quale la
mancanza di riferimenti in momenti di difficoltà conduce a ricorsi storici
assai pericolosi in termini economici, politici, socio-culturali. Il titolo fa
riferimento ad una droga di sintesi che, come il Krokodil, rappresenta in
maniera dichiarata rabbia che esplode e consuma sé stessi e chi è attorno in
maniera rapida, definitiva, irreversibile. Le droghe sono sempre a modo loro la
rappresentazione di un periodo culturale, quanto oracoli che in maniera
ossessiva annunciano una fine non intesa come rinascita; il ritorno alla luce
delle destre estreme; il credere che ci possa essere un'egemonia culturale a
discapito delle altre: gli Stati Uniti che con la scusa della difesa dal
terrorismo controllano tutto quello che siamo e diciamo. Il disco nasce da una
riflessione maturata attorno a “La Recessione” di Pier Paolo Pasolini, da un
periodo di profonda crisi e cambiamento dunque, che ha investito la mia vita
nell'ultimo anno. Ho creduto profondamente di aver perso ogni valore assieme ad
una mia cultura ormai in cancrena; ho pensato e sperato di potermi “vendere” al
mercato nero organo per organo per ricambiare i sacrifici compiuti dai miei
genitori per me e ho trovato in rete una valanga di disperati che lo avevano
già fatto. Ho letto testimonianze, ho visto immagini e ho avuto paura. Ho
capito che tra l'epoca in corso e quella tra le due guerre in realtà non c'è
particolare distanza, abbiamo identificato in maniera infantile i bisogni
immediati (non sempre i più importanti) con il solo denaro e la sua assenza ci
ha fatto credere di essere in crisi culturale, di non avere più valore. Abbiamo
dimenticato di essere capaci di trasformare le nostre vite, di saper costruire
momento per momento, di avere risorse inimmaginabili e le abbiamo bruciate
sull'altare di un'era dei consumi ormai al tramonto. Ho pensato a Brecht e
Weill e ne ho cantato suoni e versi, ho ridotto la mia scenografia, di solito
assai ricca a un ambiente beckettiano, ma non ne ho voluto prendere i cinismo.
Il cinismo è una brutta bestia, ha un fascino decadente, aiuta a sopravvivere
ma non a vivere, non genera speranze e quantunque dovesse farlo le fabbrica
troppo fragili. Le speranze vanno messe alla prova perché acquistino solidità.
Il brano conclusivo di “Bath Salts”, su testo di Brecht e musiche di Fiorenzo
Carpi recita “Portami un fiore ma da un cespuglio che cresca mezz'ora
almeno dalla casa dove stai. Così obbligato sarai a camminare per farti forte
ed io per quel bel fiore ti ringrazierò”. Un
nuovo umanesimo nasce da uno sforzo individuale per gli altri. Senza
compassione, senza amore indiscriminato oggi non abbiamo futuro. Io per
rigenerarmi ho avuto bisogno di ridurre tutto all'essenziale, alla preghiera,
alla fiducia negli altri e ho invertito la rotta, ho smesso di “prendere”
dall'ambiente per “immettere”.
Già al
primo ascolto ho avuto l’impressione di essere in possesso di un lavoro dalle
dimensioni enormi, dalla qualità inusuale, e da un impegno che sembra
impossibile da affrontare. Sono andato fuori strada?
L'impegno
di fatto è stato affrontato. “Bath Salts” è nato per necessità di dire, urgenza
espressiva. La valutazione della sua qualità non spetta a me, anche se
l'esperienza umana che ne è derivata è stata enorme. Lo scambio avuto con chi
vi ha partecipato è stato quanto di più puro io abbia conosciuto. Le dimensioni
di questo lavoro non mi sono ancora del tutto chiare, tant'è che a tornare a
comporre oggi non saprei da dove iniziare, mi sento svuotato, ma penso queste
dimensioni possano essere ridotte davvero a un granello di sabbia che è fine e
nuovo inizio.
Una cosa che mi ha colpito è il grande
numero di persone che sei riuscito a coinvolgere. Come sono nate le
collaborazioni, italiane e straniere?
Assieme a “Bath Salts”, come cofanetto contente 2 doppi album è stato
pubblicato un lavoro in programma da tempo, “L'Enfant et le Ménure” del
progetto InSonar, con Marco Tuppo e 62 musicisti da 5 continenti. Credo si
tratti dell'opera di networking più imponente mai realizzata. Questo è stato un
lavoro d'espansione, il disco dell' “itai doshin”, della comunione d'intenti,
più menti per un unico obiettivo. “Bath Salts - il disco della rivoluzione
umana”, per come l'ho nominato, conta una trentina di collaborazioni ma per lo
più in termini di interscambio diretto, in studio ed è un disco nel quale tutto
sembra ridursi a voce, arpa e suoni della natura, nonostante di fatto siano
coinvolti strumenti d'ogni sorta. “L'Enfant et le Ménure” è invece un disco giocoso
dove sono testati i limiti strutturali e timbrici di voci e strumenti, dove
vuoti e pieni si alternano creando una differenziazione evidente di linguaggi,
una sorta di Babele, una festa che parla delle possibilità che offre il potere
dell'immaginazione quando si conservano occhi infantili. L'ottantina di
musicisti e artisti visivi coinvolti complessivamente sono stati contattati nel
corso di diversi anni o mi hanno contattato per esprimere stima nel mio lavoro
e le collaborazioni son nate un po' per volta, non si tratta di qualcosa di
studiato, ma di accaduto. Come, ancora non mi è chiaro, so solo di averlo
voluto, molto.
Anche l’art work mi pare inscindibile
dalle storie che racconti. Mi dici qualcosa in più?
Per
InSonar ho lavorato con Marcello Bellina dei MoRkObOt e Arend Wanderlust, il
primo nei panni di illustratore, il secondo come mosaicista. Il perché del
mosaico per un lavoro del genere appare chiaro, tanto più se fatto di tessere e
fili, come nel caso di Arend, i cui mosaici incantano ma parlano di relazioni,
pieni e vuoti ad accompagnare “Ashima” secondo dischetto del progetto dal
taglio assai cosmopolita come in “La Torre più alta” e “Medina”. Le
illustrazioni di Marcello, in arte “Berlikete” (il cosiddetto Babau o uomo
nero) hanno un carattere noir, raccontano storie tremende viste con la fantasia
di un bambino che le accomoda a fiaba. Questo è il tema di “L'Enfant”, primo
disco del progetto, con brani dichiaratamente volti in tal senso come “L'Estasi
di Santo Nessuno” e “Dieci Bambini Cacao”. Per “Bath Salts” tutto è nato
dall'incontro con Effe Luciani, artista geniale e per molti versi
inafferrabile, ma mai sfuggente. A lui illustrazioni ma anche percorsi di
poesia visiva davvero intriganti a penetrare il senso nascosto delle parole e
renderle percorso di vita e visione.
Avverto nell’aria un senso di nostalgia
per tempi lontani, quando la semplicità rendeva gli uomini sereni. Che cosa ci
insegna la storia? E come si racconta la storia in musica?
E'
qualcosa di associabile solo a “Bath Salts”, “L'Enfant et le Ménure” ha un
sapore ben più moderno, anche se il cofanetto in sé, incartato a mano,
numerato, dipinto copia per copia e avvolto con dello spago, ha certo un sapore
artigianale. Ogni confezionamento mi porta via 20 minuti di tempo. C'è certo
nel lavoro complessivo la volontà di tornare ad un sapore autentico, ma non
necessariamente “antico”. Qualcosa in questo senso s'è mossa da tempo con la
mailing art, in musica poi, ci sono stati i lavori di Alio Die, Mariolina Zitta
e numerosi land musicians, ma anche produzioni ben più imponenti come diverse
pubblicazioni Snowdonia, da Maisie all'ultimo, impagabile Deadburger; i dischi
della dEN, passando per “Have One on Me” di Joanna Newsom; “Strobo Trip” il
cofanetto con lecca lecca, chiavetta USB con canzone da 6 ore ad opera dei
Flaming Lips; il bellissimo fonodramma del Babau e i Maledetti Cretini: “La
Maschera della Morte Rossa”; le produzioni di Davide Riccio, quelle di Vittore
Baroni; il ben più lontano negli anni “Ladies and Gentlemen We Are Floating in
Space” degli Spiritualized, nella prima edizione, racchiuso dentro un enorme
scatola per medicinali con bugiardino incluso e blister ... C'è un mondo di
meraviglia attorno, che da anni riduciamo ad ovvio ma che tale non è. Comunque,
credo possano esserci uomini sereni e inquieti ad ogni epoca e latitudine, il
tutto dipende dalla nostra capacità di reazione alle difficoltà, ogni periodo
storico ha le proprie ma è giusto valutare come alcuni ne abbiano di più.
Quello che stiamo vivendo se non avremo un'inversione di marcia rischia di
essere solo l'inizio di un'umanità difficile a meno che non si abbia capacità
di reazione immediata che inizi dalla consapevolezza e che porti alla reazione
mirata. Non serve essere consapevoli se non si genera una reazione di
causa-effetto per primo luogo nelle nostre vite, nelle micro-comunità e poi
pian piano in dimensioni sempre più ampie su scala globale e non è detto ci
voglia chissà quanto tempo. Siamo noi che creiamo il tempo dandogli valore. Mi
fa sorridere il fatto che in periodi in cui la gente non trova lavoro nei campi
qualcuno vada a farsi vacanze rigenerative vendemmiando, trovo imbarazzanti i
freakkettoni sulle spalle di genitori facoltosi. La storia la giriamo e la
rigiriamo a nostro piacimento ma i fatti restan fatti. Oggi è tempo in cui a
parlare come sto facendo io ci si sente urlare addosso “comunista!” e nessuno
si scandalizza nel vedere la televisione che andrebbe banalmente spenta perché
allo stato dei fatti irrecuperabile, ci ha trasformato tutti in voyeur, anche
se un grazie a gente come Bollani, o meglio, a chi gli ha permesso di lavorare
come sta facendo, è d'obbligo. Tanti vorrebbero essere al posto di chi
spadroneggia seminando solo orrore. Siamo in guerra, da tempo, ma all'orrore ci
siamo accanto, come ad avere vicina la sacralità di un corpo ridotta a carogna
marcescente mentre facciamo jogging allegramente, cosa che abbiamo visto
attraverso le telecamere a Lampedusa. In musica è la stessa cosa, ognuno
racconta la storia a modo suo, da musicista, da giornalista, da ascoltatore,
ognuno con i propri mezzi, ma sarebbe bello venisse dato spazio a chi almeno ha
consapevolezza di quello che dice sulla base di conoscenze effettive e non
presunte tali. Basterebbe anche solo ascoltare, non sentire, a volte tacere,
per ore, giorni, mesi se necessario e saremmo salvi da un inquinamento acustico
che ci ha consumato le speranze. Se si parte da noi stessi non avremo bisogno
di rifondare un sistema culturale conducendolo alla sua distruzione, cosa che
facciamo da secoli e che non ci fa brillare certo di intelletto come razza. Noi
abbiamo bisogno di distruggere per sentirci vivi e capaci, abbiamo bisogno di
smontare i nostri giochi più belli, non risolviamo fino alla fine dei nostri giorni
il nostro debito con la terra, con i nostri genitori. Così la storia è
riducibile ad un gioco immaturo, nella quale il mio e il tuo (quello di Athos),
sforzo quotidiano, serve “solo” a portare benessere a noi stessi e alle nostre
comunità. Un'oligarchia di iene e qualche martire da essa creato per
giustificare una controparte invece, finiranno nei libri. Fin da bambino mi
sento ripetere una sola affermazione “fatti furbo”. Preferisco un filo d'erba e
milioni di sorrisi senza nome che hanno dato luce al sole, ad una qualsiasi
pagina di un libro. Preferisco credere che la speranza sia cosa da costruire
portando valore in ogni attimo della propria vita, che si fortifica quando
superiamo il credere solo nella realizzazione dei nostri bisogni primari per
rilanciare attraverso dei sogni grandi che vanno trasformati in realtà, perché
siamo noi a creare la nostra realtà. Nessuno può fermare i nostri pensieri
neanche quando cerca di censurarci, castrarci, zittirci, neanche se ci ammazza.
Questa è la “mia” storia in musica.
Mi hai accennato ad un “incidente” di
percorso che ti è capitato mentre ti esibivi in Surabaya Johnny: lo puoi
ricordare ai lettori?
Ognuno
ha la sua idea di performance, per me è interazione nella quale ogni gesto
viene tramutato in bonifica e gioco di relazione maturo, come in un setting di
musicoterapia. Non è della stessa opinione Nicola Frangione, performer monzese
direttore del Festival internazionale “Harta Performing”. Era tra il pubblico
della Galleria “Villacontemporanea” di Monica Villa (persona davvero di
valore), durante la mia performance per sola voce e pubblico “Playvoice”, nata
dal teatro vocale di strada, tra Lecce e Torino. A detta dei presenti in sala,
Frangione ha prima intrattenuto conversazioni polemiche con Monica, accusandola
di invitare a performare “cani e porci” e non lui. In questo ovviamente, il
titolo di cane e/o porco spettava al sottoscritto. Rumoreggiava entrando e
uscendo dalla sala cercando di portare il proprio parere ai presenti fino a che
per personali convinzioni ha voluto “interagire” con me provocandomi prima
sessualmente in pubblico in modo ironico (“kiss me”, “do you want have sex with
me?”… ) poi disegnandomi una croce in fronte dandomi del morto, urlando la sua
opinione di svolgimento di una performance, strappando tutti i fogli che avevo
usato fin lì per cantare ed impedirmi di fatto di continuare. Ho comunque
inserito come bonifica il suo intervento nel tutto, giocando, al punto che il
pubblico non si è accorto di nulla prima della sua esplosione finale, salutata
con un mio “Ciao amore ciao” di Tenco e sua ulteriore disapprovazione
nell'urlarmi imprecazioni addosso. Cosa continuata per il resto della sera in
un locale a fianco finché il signore in questione non è riuscito a baciarmi
(?!) ed è stato allontanato. Un quadro chiaro, quello di una persona impaurita,
da cosa non posso saperlo, ma solo chi ha paura aggredisce così. Un quadro che
non avrebbe avuto alcuna eco se il pubblico, composto anche da diversi bambini
che avevano disegnato cose a cui io ho dato voce, non fosse rimasto davvero
imbarazzato e interdetto e io non avessi avuto un malessere in tarda serata a
causa della tensione accumulata e l'essermi sentito violato. Nei giorni
successivi sono stato chiamato più volte per delle scuse e per essere invitato
all' “Harta Performing” con affermazioni quali, “sono ingiustificabile ma non
ritratto le mie convinzioni, partecipi al mio Festival?”... è umano provare
rabbia ma ha più ragion d'essere sviluppare compassione. La lezione che mi son visto
ribadire è che chi fa più rumore e in modo volgare ha apparentemente “vinto”
comunque, perché quella serata sarà ricordata come quella di Frangione.
Tutt'oggi ricordiamo Hitler nei libri di storia ma non i nomi di chi ha fatto
uccidere, declinando ad altri il compito di boia, quegli “altri” che oggi, come
Priebke, vengono a loro volta dichiarati “vittime della storia”, manco non
avessero avuto possibilità di scelta. A volte però morire dignitosamente può
servire per rinascere e far rinascere, a volte è giusto ricordare che vince
solo chi si sente sereno e io in questo momento lo sono.
Come si porta sul palco un’opera
monumentale come quella che hai/avete realizzato?
Arpa,
voce, un cavo elettrico e un po' di silenzio possono bastare.
Dedico questa intervista allo “zio” Todaro che sto accudendo in questi
giorni, al mio maestro Dany Zebra e a Valentina Campagni, da poco sposa.